6
letteratura ci offre una vasta rassegna di tutti gli strumenti di regolamentazione che
sono stati più o meno applicati nelle diverse realtà nazionali.
Nel capitolo 1 soffermiamo la nostra attenzione sui due più importanti strumenti di
controllo tariffario che sono stati adottati nella storia della regolamentazione, la rate
of return regulation e il price-cap. Si è cercato di fornire una loro dettagliata
definizione analitica, così come appare nella teoria economica, mettendo in
evidenza le qualità di entrambi i metodi, e le maggiori critiche da cui sono più
intensamente colpiti. In particolare, un peso rilevante è stato dato alla maggiore
critica verso la rate of return regulation, il cosiddetto effetto di Averch-Johnson,
della quale è stata presentata anche una dimostrazione alternativa a quella classica
degli anni sessanta. Per rendere più chiaro, poi, ciò che è stato esposto, si è ritenuto
opportuno presentare brevemente il processo di regolamentazione nell’esperienza
del settore idrico britannico, che viene considerato molto spesso come un
importante esempio a cui fare riferimento.
Dall’esposizione dei due principali strumenti di controllo tariffario è possibile
intuire in quale campo operino gli elementi di contabilità e di finanza che
costituiscono il fulcro delle pagine successive. Emerge, infatti, con chiarezza, nella
prassi regolatoria, si tratti del price-cap o della rate of return regulation, la
necessità di una approfondita valutazione dell’impresa regolamentata e del suo
capitale investito iniziale, il cosiddetto rate base, e la necessità della determinazione
di un equo tasso di rendimento da applicare proprio al capitale investito iniziale
calcolato. Le metodologie di determinazione del tasso di rendimento e della
valutazione del capitale investito rappresentano l’oggetto rispettivamente del
capitolo 2 e del capitolo 3.
Si è preferito esporre dettagliatamente ogni metodologia, comprendendo anche
quelle meno adottate nella prassi regolatoria in primo luogo per rendere meglio
l’idea di quali criteri di valutazione necessiti la determinazione delle tariffe, e in
secondo luogo per una necessità di completezza nell’esposizione.
La parte empirica di questo lavoro, cioè il capitolo 4, tratta dei criteri di
determinazione delle tariffe di trasporto e stoccaggio del gas naturale e delle tariffe
di trasmissione dell’energia elettrica in Italia.
7
Si è proceduto ad analizzare in linee generali l’evoluzione di questi servizi, ai quali
è preclusa ogni possibilità di liberalizzazione trattandosi di monopoli naturali (una
trattazione particolare andrà ad occuparsi dello stoccaggio del gas naturale per il
quale emerge più un monopolio “di fatto” che un monopolio naturale), per poi
addentrarci in dettaglio nei metodi di calcolo delle tariffe, con un paragone
obbligato fra i due settori, e fra servizi diversi del medesimo settore. Sono stati
evidenziati i criteri che l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas ha utilizzato
separatamente per ogni servizio trattato, sottolineando i successi e i fallimenti che si
sono registrati. Si è trattato, in altre parole, di osservare in che modo le metodologie
esposte nei capitoli precedenti sono state applicate in una parte rilevante del settore
energetico italiano, parte ancora sottoposta largamente ad un regime di monopolio
naturale.
Infine, l’ultimo capitolo, il capitolo 5, si preoccupa di concludere il lavoro, con una
breve rassegna di ciò che è stato esposto, mettendo in rilievo le parti più importanti
e i punti fondamentali nella prassi contabile e finanziaria della regolamentazione
che sono tuttora aperti alla discussione.
8
Capitolo 1
TEORIA DELLA REGOLAMENTAZIONE ATTRAVERSO IL
CONFRONTO DI DUE SCHEMI DI CONTROLLO TARIFFARIO: ROR
(RATE OF RETURN) E PRICE-CAP
1.1 Premessa
I servizi di pubblica utilità di settori quali l’elettricità, il gas, l’erogazione
dell’acqua, il trasporto ferroviario e le telecomunicazioni sono stati sempre
storicamente associati dal lato dell’offerta a condizioni di monopolio naturale,
derivanti dalla presenza e quindi dall’utilizzo di reti la cui duplicazione
comporterebbe un incremento del costo complessivo di fornitura. Dal lato della
domanda, invece, emerge il rilievo sociale che tali servizi comportano, e si tratta di
un aspetto che nel corso del tempo e nei diversi contesti nazionali ha assunto un
contenuto differente, associato all’idea che la fruizione del servizio fosse un diritto
economico e che, come tale, dovesse essere in qualche misura garantito
indipendentemente dalla capacità economica dell’utente e in modo uniforme su
tutto il territorio nazionale.
Queste sono le motivazioni principali che hanno spinto molti Paesi in Europa a
nazionalizzare le imprese fornitrici delle public utilities. Negli Stati Uniti si è
preferito seguire un’altra strada
1
, mantenendo la proprietà privata delle imprese, ma
affidando alle Autorità di regolamentazione la fissazione dei prezzi da queste
praticate e la definizione della politica di investimento.
Attualmente, in Europa, si sta mettendo in atto la stessa strada intrapresa dagli Stati
Uniti per rispondere in modo efficiente alle esigenze di concorrenza e di
liberalizzazione dei mercati, esigenze che stanno emergendo sempre con maggior
forza. La regolamentazione, quindi, con la creazione delle relative Autorità, fa in
modo di operare un controllo diretto sull’operato dell’impresa produttrice (fosse
1
Si tratta comunque di una scelta storicamente precedente a quella europea.
9
questa pubblica o privata) e di preparare interi settori, da sempre caratterizzati dal
monopolio, all’apertura verso la concorrenza e la liberalizzazione dei mercati.
Gli economisti, per quanto riguarda l’economia della regolamentazione, si sono
concentrati soprattutto sul problema dell’ottima fissazione dei prezzi e hanno
sviluppato diversi modelli per la definizione della cosiddetta regola ottimale
(soluzione di first best). Si tratta per lo più di criteri slegati da effettive
considerazioni sui costi di produzione e rappresentano più che altro analisi
antecedenti l’attività di contabilità analitica (attività sulla quale saranno spinti i
maggiori sforzi dei regolatori). Da mettere in evidenza sono le caratteristiche
peculiari del monopolio naturale, per poter arrivare all’individuazione della regola
ottimale e per poter giudicare una sua applicabilità. Il monopolio naturale è tale da
evidenziare costi fissi rilevanti e sostanziali economie di scala; i costi medi si
presentano sempre decrescenti, con la logica conseguenza di una curva del costo
marginale sempre al di sotto di quella dei costi medi. Applicando, perciò, la regola
del prezzo pari al costo marginale, che rappresenta proprio la regola ottimale per la
fissazione dei prezzi in un mercato concorrenziale, l’impresa regolamentata
recupererebbe esclusivamente i costi variabili, rilevando perdite pari ai costi fissi.
L’introduzione di un trasferimento diretto dallo Stato al produttore, per far fronte a
queste eventuali perdite, non risulterebbe di alcun aiuto: da un lato sarebbe in grado
di garantire la sostenibilità di prezzi efficienti, ma dall’altro arrecherebbe effetti
distorsivi sulle scelte di consumo, andando ad incidere sulla fiscalità generale. Per
questi motivi la regola del costo marginale non è applicabile nella realtà. Nella
teoria economica troviamo altri modelli per la fissazione dei prezzi, una volta
constatata l’insostenibilità del first best. Per esempio, un grande interesse anche sul
piano attuativo ha suscitato la cosiddetta regola di Ramsey, la quale, garantendo la
piena copertura dei costi (inclusivi del profitto giudicato accettabile), si discosta il
meno possibile dalle condizioni di Pareto efficienza definite dall’uguaglianza tra
costo marginale e prezzo. I beni a domanda più elastica avranno prezzi più vicini al
costo marginale, mentre quelli a domanda più rigida, come i beni di prima necessità,
avranno un prezzo più elevato. Ma anche in questo caso si pongono seri problemi di
attuazione. Evidenziamo, per esempio, le critiche che G. Palermo ha apportato
10
all’utilizzo dei prezzi à la Ramsey nel settore delle telecomunicazioni
2
(tlc), con
riferimento all’esperienza delle società americane. La tesi sostenuta dallo studioso è
duplice: primo, egli ritiene che l’accettazione acritica della regolamentazione
tramite la regola di Ramsey nel settore delle tlc contrasti con i principi che su base
democratica hanno portato storicamente all’istituzione delle Autorità di
regolamentazione nelle moderne democrazie capitalistiche; secondo, ritiene che
l’adozione della regola di Ramsey nelle tlc offra l’opportunità alle imprese
regolamentate di perseguire strategie di sussidiazione incrociata e di incrementare
così il proprio potere anche in mercati contigui, favorendo in questo modo il
rafforzamento di gruppi di potere economico in grado di controllare i principali
settori strategici per lo sviluppo industriale.
Palermo, per sostenere le sue tesi, fa riferimento al contributo teorico sull’uso dei
prezzi à la Ramsey nel settore delle telecomunicazioni sviluppato da Sheehan
3
.
Quest’ultimo ha confrontato la regola di Ramsey con i criteri di fissazione dei
prezzi vigenti in regime di monopolio. In assenza di regolamentazione, la
massimizzazione dei profitti da parte di un’impresa monopolistica si realizza
attraverso la discriminazione di mercato, imponendo prezzi maggiori ai consumatori
con domande relativamente inelastiche e prezzi minori ai consumatori con domande
maggiormente elastiche. Si osserva con chiarezza come tale pratica corrisponda con
la logica della regola di Ramsey.
L’argomentazione di Sheehan non è pienamente corretta, in quanto di fatto i prezzi
di Ramsey non coincidono in generale con i prezzi di monopolio, ma si collocano in
posizione intermedia tra i prezzi di monopolio e i prezzi di first best. L’osservazione
di Sheehan, quindi, va considerata più come un caso particolare. Tuttavia, Palermo
accetta ugualmente la logica di Sheehan, anche al di fuori del caso limite. Ciò che,
infatti, rimane comunque da notare è che attraverso la regola di Ramsey l’impresa
regolamentata alloca ai consumatori con domande inelastiche parte dei costi relativi
alla produzione dei servizi rivolti ai consumatori con domande elastiche. Il
problema dei consumatori con domande inelastiche in un mercato regolamentato
2
Palermo, 1999, l’industria, pagg. 1-18.
3
Sheehan, 1991, pagg. 21-32.
11
attraverso la regola di Ramsey si configura anche più grave che nel caso del
monopolio naturale, in quanto la regolamentazione stessa conferisce una sorta di
monopolio ufficiale: qualora un eventuale concorrente provasse ad entrare nel
mercato con l’intenzione di abbattere i prezzi, la legge interverrebbe per
impedirglielo.
Ci si trova di fronte anche ad una riallocazione dei costi tra le classi dei consumatori
che, se da una parte non modifica i profitti dell’impresa, la quale realizza extra-
profitti nulli, dall’altra può avere comunque degli effetti dal punto di vista
dell’impresa regolamentata. Il settore delle tlc è, infatti, caratterizzato da rapporti di
proprietà articolati tra le imprese, il che permette alle imprese regolamentate un uso
strategico dei criteri di fissazione dei prezzi a favore di determinati gruppi di utenti
affiliati, a danno dei gruppi di utenti non affiliati. Come esempio, Palermo
considera due imprese A e B ( con l’impresa A soggetta a regolamentazione)
dipendenti da una stessa holding company e suppone che l’attività produttiva
dell’impresa B richieda i servizi dell’impresa A. Qualora l’impresa A sia sottoposta
ad un regime di Ramsey pricing essa potrebbe riuscire ad assicurare una riduzione
dei costi all’impresa B semplicemente sulla base delle elasticità della domanda
dell’impresa B e delle altre classi di utenti dei servizi prodotti dall’impresa A. In
altre parole, il fatto che gli incassi totali non superino i costi totali (più il profitto
consentito) non toglie che l’adozione dei prezzi di Ramsey consenta di favorire
determinati gruppi di utenti privilegiati a scapito di altri gruppi di utenti.
Il rischio maggiore, dunque, che si correrebbe nell’applicare i prezzi à la Ramsey
nelle tlc è che tale regola venga usata strumentalmente per sostenere interessi
particolari di determinati gruppi industriali nascondendoli sotto le vesti della
scientificità e dell’efficienza economica.
Viste, quindi, le innumerevoli difficoltà nell’applicare i diversi modelli teorici
presentati dalla letteratura, il regolatore preferisce concentrarsi sull’adozione di
metodi pratici di controllo dei profitti, da cui scaturiscono prezzi e livelli di qualità
che si allontanano da quelli praticati da un monopolista non regolamentato, per
approssimare quelli ottimali. Questi metodi pratici di regolamentazione si dividono
in due categorie. Da una parte abbiamo i metodi cost of service, che prevedono la
12
fissazione dei prezzi in modo da coprire i costi sostenuti dall’impresa
regolamentata, e tra questi il più applicato è la Rate of Return Regulation o Ror
Regulation (metodo del tasso di rendimento). Dall’altra parte, invece, si hanno i
metodi basati sui cosiddetti tetti ai prezzi, in cui si fissa un prezzo massimo
indipendentemente dai costi realizzati
4
, tra i quali si fa maggiormente riferimento al
metodo del Price-Cap.
L’obiettivo del regolatore è quello di massimizzare il benessere sociale, inteso come
l’insieme degli interessi dei consumatori e delle imprese, e la tariffa è diventata
proprio uno degli strumenti maggiormente efficaci per il conseguimento di tale
obiettivo; con essa viene riattivato il processo di convergenza tra le condizioni
d’offerta del monopolista e le condizioni di domanda della collettività. La tariffa
così intesa assume dunque un’ulteriore importanza: diventa condizione necessaria
per attivare forme di verifica e incentivazione dell’efficienza tecnica ed economica
che sono il fondamento di ogni percorso di gestione industriale
5
. A tal fine, il
processo di regolamentazione che le autorità devono mettere in atto si può
suddividere nei tre passaggi seguenti:
1. definire un dato schema tariffario, cioè una formula analitica che rispetti
criteri di efficienza e di equità sociale;
2. stabilire i valori da attribuire alle variabili presenti in tale formula, basandosi
sulle condizioni tecnologiche dell’impresa regolamentata e sulle
caratteristiche del mercato in cui essa opera;
3. procedere alla revisione di tali valori, alla fine di ogni periodo di
regolamentazione nel caso del price-cap, quando se ne fa richiesta nel caso
della ror regulation
6
, basandosi sul comportamento dell’impresa, sui nuovi
costi che essa dovrà sostenere nel periodo successivo e sulle variazioni delle
caratteristiche del mercato.
4
Cervigni-D’Antoni, 2001, pagg. 160-161.
5
Caselli, Peruzzi, 1998, pagg. 23-24.
6
La richiesta può essere effettuata dall’impresa regolamentata oppure dal regolatore stesso.
13
Il primo dei tre passaggi mette in evidenza il problema maggiore e più discusso
nell’ambito della regolamentazione, e cioè la scelta dello schema tariffario da
adottare. I dubbi più forti riguardano soprattutto la scelta tra la ror regulation e il
price-cap, molto spesso optando, alla fine, per una combinazione dei due metodi.
Ogni regolatore è guidato nella scelta del metodo da studi approfonditi che
scandagliano tutti i vantaggi e gli svantaggi dei modelli presi in considerazione,
cercando di valutarne l’efficacia interna e la validità.
L’efficienza di un metodo di regolamentazione, e quindi la possibilità di una sua
applicazione nella realtà, si misura considerando due elementi vitali: la complessità
ed il requisito di informazioni necessarie alla sua attuazione
7
. Il primo elemento, la
complessità, fa riferimento alla sofisticatezza matematica della formula analitica su
cui si basa la tariffa; il secondo elemento, invece, consiste nella quantità e qualità di
informazioni relative alle caratteristiche della tecnologia e della domanda,
necessarie al regolatore per rendere efficiente lo schema tariffario. Spesso, regole
analiticamente semplici possono richiedere un’elevata quantità di informazioni
difficilmente reperibili e delle quali potrebbe essere messa in dubbio persino la
qualità e la validità. Questo problema si rivela determinante in una delle fasi più
delicate del processo di regolamentazione, quello della revisione, in cui l’impresa
potrebbe assumere un comportamento opportunistico, falsando le informazioni da
concedere al regolatore. Per questo motivo, la fase della revisione è un ulteriore
elemento che l’economista deve considerare nella scelta del metodo.
In questo capitolo si farà particolare attenzione alle caratteristiche peculiari dei due
metodi nominati in precedenza, la ror regulation e il price-cap, mettendo in
evidenza le loro differenze in termini teorici, le difficoltà che i regolatori hanno
incontrato e che incontrano nella loro applicazione, e, quindi, le motivazioni di
fondo che portano all’applicazione di un metodo invece che dell’altro.
7
Laffont – Tirole, 1993, pag. 8.
14
1.2 Il metodo del tasso di rendimento del capitale
Il metodo del tasso di rendimento del capitale, o più semplicemente ror (rate of
return), è una forma di regolamentazione che trova le sue radici più profonde negli
Stati Uniti. Qui, la pratica della regolamentazione ha una tradizione molto lunga,
che ci porta direttamente agli anni antecedenti alla seconda guerra mondiale,
durante i quali si aprirono numerosissime controversie riguardanti gli aspetti
contabili e finanziari del processo regolatorio. Tali controversie, più o meno risolte
negli anni attraverso l’intervento diretto della Corte Suprema
8
, dimostrano
chiaramente quanto la pratica della regolamentazione fosse assai diffusa nel Paese,
e quindi quanto gli statunitensi si fossero ormai addentrati nello studio e nello
sviluppo di quella specifica materia.
La AT&T, holding del gruppo industriale Bell, cominciò ad operare nel settore delle
telecomunicazioni fin dalla fine del XIX secolo
9
, mantenendosi in una posizione di
forte e sicuro monopolio per decenni. Divenne la società di telecomunicazioni più
potente e avanzata del mondo, con un’esperienza nel campo della regolamentazione
economica molto vasta, che creava il terreno adatto ad ampi dibattiti sull’efficienza
dei diversi schemi tariffari. Il sistema che quella società si trovava a controllare era
(ed è tuttora) molto complicato, e venne sempre regolamentato attraverso il metodo
del rate of return. Ma la ror regulation, col passare del tempo e degli anni,
cominciò a creare problemi, soprattutto in un ambiente in cui era sempre accesa la
discussione sull’eccessivo potere di monopolio di cui godeva la AT&T. Le critiche
cominciarono a piovere, soprattutto dopo il 1962 con un intervento pubblicato
sull’American Economic Review, e da allora fu sempre molto forte la tentazione di
sostituire il ror con un altro metodo più efficiente ed incentivante. Finalmente ciò
avvenne nel 1989, con l’adozione, diventata poi definitiva nel 1991, del price-cap,
creato in Gran Bretagna qualche anno prima. Da quel momento la posizione di
monopolio della potente società americana comincia a declinare, aprendo le porte a
8
Importante è l’intervento del 1944 nel caso della Federal Power Commission v. Hope Natural Gas Company;
vedi Sherman, 1983, pag. 46.
9
Per una breve storia della holding americana e del settore delle telecomunicazioni vedi Cervigni –
D’Antoni , 2001, pagg. 354-373.
15
qualche forma di concorrenza. Ben presto, in quasi tutte le utilities statunitensi si
comincia ad utilizzare il price-cap, comprendendo come tale schema sia
effettivamente in grado di superare le difficoltà del ror. Quest’ultimo rimane
tuttavia ancora applicato in diversi ambienti, tra cui occorre ricordare il sistema del
gas negli Stati Uniti e qualche ramo del sistema delle telecomunicazioni
10
.
Studiare la ror regulation rimane, comunque, ancora fondamentale, almeno come
premessa di base per fornire una giusta dimostrazione del metodo concorrente del
tetto ai prezzi. Perciò, ne diamo qui di seguito una rappresentazione così come
risulta dai numerosi interventi nella letteratura economica.
1.2.1 Il metodo del tasso di rendimento del capitale: definizione
La ror regulation consiste nel porre un limite al tasso di rendimento sul capitale
investito (RB, rate base) nell’impresa regolamentata, individuando una sorta di
tasso considerato dal regolatore “adeguato”, cioè sufficiente a remunerare il
produttore. Averch e Johnson
11
forniscono una definizione in termini contabili del
ror:
Ror =
oaccantonat toammortamen - capitale del neacquisizio di costi
imposte - tiammortamen - lavoro del costo - totaliricavi
Per semplificare l’analisi, trascureremo il deprezzamento del capitale, sia al
numeratore che al denominatore, e le imposte
12
.
Dalla definizione data dai due studiosi si vede come, in un primo stadio della
procedura di regolamentazione, il regolatore deve identificare l’ammontare dei
ricavi che sono necessari all’impresa per poter proseguire nella sua attività
produttiva.
10
David, 1999, pag. 2.
11
Averch – Johnson, 1962, pag. 1054.
12
Per approfondire il modello inclusivo della tassazione, vedi: Berg – Tschirhart, 1988, pagg. 298-9.
16
A tal fine, egli deve osservare i costi storici operativi, cioè lavoro, materie prime e
manutenzione, indicati anche come costi variabili, con un periodo di riferimento
generalmente pari ad un anno, e determinare il livello di stock di capitale tenendo
conto anche della svalutazione dei precedenti investimenti. La valutazione dei costi
viene poi aggiustata considerando anche le spese imprudenti o ingiustificate e
prevedendo l’andamento dell’inflazione e di altri shocks esogeni. In questo modo, il
regolatore è ora in grado di calcolare l’equo tasso di rendimento sul capitale che può
essere concesso al produttore. Sommando questo tasso di rendimento al livello dei
costi calcolato si determina l’ammontare dei ricavi necessari, come mostra
chiaramente la formula seguente:
Ricavi obiettivo (necessari) = Costi totali ≡ Costi variabili + RB · ROR
13
Una volta calcolati i ricavi obiettivo e il ror adeguato, in uno stadio successivo il
regolatore sceglie il livello del prezzo al fine di eguagliare il ricavo stimato
necessario con il ricavo effettivo e di definire il livello dei prezzi relativi. I prezzi
così decisi rimangono fissi per un periodo ben preciso, il cosiddetto “regulatory
lag”, cioè fino al momento della revisione del tasso di rendimento per il periodo di
regolamentazione successivo. Il processo di revisione può avere luogo sia su
richiesta dell’impresa sia per decisione del regolatore, allo scopo di apportare
modifiche alla tariffa, in base a mutamenti nella gestione del produttore o nel
mercato in cui essa opera.
La logica stessa che sta alla base di questo schema tariffario implica un forte
intervento dell’autorità pubblica nelle scelte di investimento del produttore
regolamentato, dato che è il regolatore che stabilisce se i costi e i ricavi calcolati
sono allocati correttamente tra le diverse fasi della produzione, se è presente
un’attività dell’impresa dalla quale possa derivare un eventuale eccessivo tasso di
rendimento, e in quale modo sia possibile incentivare il produttore a migliorare la
sua attività.
13
Cervigni – D’Antoni, 2001, pag. 228.
17
Proprio per questa caratteristica peculiare, il ror è uno dei metodi di
regolamentazione che richiedono un alto requisito informativo
14
, in quanto il
regolatore, per poter intervenire nelle scelte d’investimento, è costretto a recuperare
il maggior numero di informazioni possibile su ogni aspetto dell’attività
dell’impresa, analizzando tutti i suoi documenti contabili, e in molti casi l’impresa è
incentivata a non rivelare alcune informazioni, o a rivelarle errate. Sta al regolatore
applicare un metodo che spinga il produttore a non mentire.
Il potere d’incentivazione del ror, cioè il potere di indurre l’impresa a comportarsi
in modo più efficiente possibile, dati i suoi vincoli tecnologici e quelli di mercato,
viene considerato molto basso; l’impresa, infatti, non ha nessun incentivo a
prendere decisioni di investimento in capitale in modo più efficiente possibile,
poiché il tasso di rendimento viene fissato a priori dal regolatore ed essa non
potrebbe appropriarsi degli extra profitti risultanti da un eventuale aumento di
produttività, rispetto a quelli definiti dal regolatore. Ciò determina il cosiddetto
effetto di sovracapitalizzazione
15
, che fu causa di cambiamenti fondamentali nelle
scelte di strumenti di regolamentazione in paesi quali la Gran Bretagna e gli Stati
Uniti e di cui tratteremo analiticamente più avanti.
Una delle caratteristiche peculiari della ror regulation riguarda i soggetti che
devono sopportare il peso dei rischi connessi a tutti gli investimenti la cui
opportunità di essere inclusi nel capitale investito è decisa e valutata dall’Autorità di
regolamentazione. Qui, infatti, sono direttamente i consumatori, in rappresentanza
dei quali il regolatore opera come controparte dell’impresa, che si assumono tutti i
rischi relativi al settore.
L’accertamento, infatti, dell’opportunità dell’investimento viene deciso al momento
della sua realizzazione; si parla perciò di opportunità ex ante, che garantisce la
remunerazione dell’investimento indipendentemente dall’opportunità ex post, la
14
In Littlechild (1983), il requisito informativo di uno schema di regolamentazione viene incluso nel
concetto di “peso dell’informazione” (burden of regulation), adottato come uno dei criteri fondamentali
per la scelta del miglior schema di regolamentazione da applicare alle imprese di pubblica utilità in
Gran Bretagna.
15
Noto anche come effetto di Averch – Johnson, dal nome dei due economisti che per primi lo hanno
messo in evidenza, in un articolo già citato, nel 1962, dando vita ad un ricco dibattito nella letteratura
economica.
18
quale dipende dai mutamenti delle condizioni tecnologiche e dal mercato. In tal
modo, applicando la ror regulation, si fa in modo di trasformare il settore in
questione in un settore completamente privo di rischio per gli azionisti.
16
Attualmente, in quei casi in cui si applica ancora il ror, si sta cercando di modificare
questa caratteristica, e di spostare leggermente il peso del rischio dai consumatori
agli azionisti. È ciò che è stato proposto negli Stati Uniti per il settore elettrico,
suggerendo di includere nel calcolo dell’RB anche gli investimenti con
un’opportunità ex post la quale richiede che essi siano “used and useful”, cioè
utilizzati ed utili. La proposta è stata rifiutata successivamente dall’autorità
giudiziaria, perché ha ritenuto che avrebbe operato un’espropriazione degli
azionisti.
Come esempio
17
poniamo il caso di un’impresa che, prevedendo un incremento
della domanda, metta in atto un progetto di espansione della capacità produttiva
approvato dal regolatore. Se, successivamente, le previsioni sulla domanda si
rivelano errate, l’impresa dovrà far fronte ad un eccesso di capacità produttiva e
così il regolatore può decidere di non permettere l’inclusione dell’investimento nel
calcolo del capitale investito, facendo gravare il fallimento del progetto interamente
sugli azionisti, invece che sui consumatori.
Il ror è stato comunque adottato per molti anni dalle autorità regolatorie americane
per la sua caratteristica principale insita nella logica del suo funzionamento: il
regolatore, fissando direttamente egli stesso i prezzi sulla base dei costi, come
abbiamo visto prima, è così in grado di controllare l’esercizio di potere di mercato
da parte dell’impresa, preservando gli incentivi all’afflusso di capitale nel settore.
16
Cervigni – D’Antoni, 2001, pag. 229.
17
Ibidem.
19
1.3 Proprietà della ror regulation attraverso un modello analitico
Per mettere in evidenza le proprietà della ror regulation e le sue inefficienze
tecniche ed allocative, proponiamo un semplice modello à la Boiteux
18
, in cui
consideriamo due soli input, il lavoro e il capitale. Assumiamo che il lavoro z
0
< 0 e
il capitale z
1
< 0 siano utilizzati per ottenere gli output z
i
>0, i = 2,…, n.
Chiaramente, si tratta di una formulazione che fa riferimento ad un’analisi parziale,
in netto contrasto con il modello dell’equilibrio generale, in cui non potrebbero
esserci due prezzi per il capitale, come invece risulta assunto in questo modello per
la ror regulation.
Prendiamo di nuovo in considerazione la definizione contabile del ror offerta da
Averch e Johnson, secondo la quale un adeguato tasso di rendimento deve essere
tale da permettere ai ricavi totali, una volta tolti i costi variabili, di remunerare il
capitale investito del produttore
19
.
L’RB (rate base, o capitale investito) risulta essere pari ai costi di acquisizione del
capitale, cioè –p
A
z
1
, dove p
A
sono i costi di acquisizione per unità di capitale.
Occorre fare attenzione a non confondere p
A
con p
1
, in quanto p
1
rappresenta il
costo opportunità delle risorse impiegate: infatti, nel caso del capitale preso in
prestito p
1
rappresenta i costi che derivano dagli interessi da pagare su quello stesso
capitale; nel caso, invece, del capitale proprio p
1
è il rendimento che l’impresa
potrebbe ottenere prestando il suo capitale
20
.
18
Bös, 1994, cap. 26. Boiteux (1951a, 1951b, 1956) si è occupato in particolare del problema posto
dall’incompatibilità tra regola di tariffazione al costo marginale e soddisfazione delle condizioni di
equilibrio di bilancio dell’impresa pubblica, giungendo a conclusioni importanti, che si rifanno ai
prezzi di Ramsey. A Boituex si deve anche l’impostazione originaria del peak-load pricing, studiando il
problema della connessione possibile tra tariffe e grado di utilizzazione della capacità produttiva delle
imprese.
19
Come già specificato sopra, tralasciamo nella definizione contabile gli ammortamenti e la tassazione
per semplificare l’analisi.
20
Train, 1991, pag. 34. Un’interpretazione alternativa considera z
1
come il capitale fisico con un prezzo
pari a un dollaro per unità, mentre p
1
“è la percentuale che riflette il costo del capitale finanziario, che
è utilizzato per l’acquisizione del capitale fisico” (Berg – Tschirhart, 1988, pag. 299). Nel modello che
stiamo prendendo in considerazione (denominato modello à la Boiteux) non è presente questa
distinzione tra capitale fisico e finanziario.