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Capitolo I:
Il finanziamento dei partiti politici dal dopoguerra al
referendum del 1978.
Come nella generalità delle democrazie occidentali, anche in Italia il
processo di trasformazione del sistema politico, dopo la parentesi
totalitaria, è stato marcato dalla mutazione dei partiti di integrazione di
massa in catch- all parties
5
. Il fenomeno è strettamente correlato
all’evoluzione della società pre-industriale dell’immediato dopoguerra
verso il boom economico e l’attuale terziarizzazione, contrassegnata da una
crescente disponibilità di beni al consumo
6
. Il carico conflittuale ed
ideologico dei partiti che diedero vita alla Carta costituzionale si è
stemperato con la progressiva omologazione tra le classi sociali, ben
5
gia utilizzata è rispettivamente proposta da Newmann, Toward a comparative study of political parties,
in Modern political La terminoloparties. Approaches to comparative politics, Chicago, 1956, e
Kircheimer, The transformation of westwrn European party system, in la Palombara – Weiner (a cura di),
Political parties and political development, Princeton, 1966; di entrambi la trad. it. È in Sivini (a cura di),
Sociologia dei partiti politici, Bologna, 1970.
Melucci (in Sistema politico, partiti e movimenti sociali, Milano, 1982) applica le categorie introdotte dai
due all’evoluzione del sistema politico italiano.
6
Cfr. Bevilacqua, Cinquant’anni di sviluppo. Uomini, lavoro, risorse, in AA.VV., Lezioni sull’Italia
repubblicana, Roma, 1994.
Una lucida ancorché atecnica testimonianza della transizione è in Pisolini, Il vuoto di potere in Italia, in
Corriere della Sera, 1° febbraio 1975, ora in Scritti corsari, Milano, 1990.
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percettibile con metodologie statistiche
7
. Abbandonata l’ambizione di
guidare il cambiamento sociale, l’attività politica si è sovente ridotta a
pratica pragmatica, essenzialmente rivolta all’allargamento del consenso
verso masse indifferenziate
8
. Così, allentati i tradizionali vincoli di fedeltà,
le competizioni elettorali divengono dure e di incerto esito.
Non solo le strategie di marketing vengono adattate con successo alla
collocazione di candidature sul mercato elettorale, con ingenti investimenti
sui mass-media, ma è gran parte dell’attività politica ad essere ora di fatto
svolta sui mezzi di comunicazione di massa
9
. In questo contesto, la
maggiore o minore disponibilità di risorse economiche e/o organizzative in
capo ad un soggetto politico risulta fattore dirimente nel decretarne il
successo o l’emarginazione
10
. Stabilire in quale misura un ordinamento,
che ponga tra i propri fondamenti il principio di uguaglianza, possa dirsi
indifferente alle tecniche attraverso le quali l’insieme dei partiti reperisce
risorse da destinare al finanziamento della spesa politica, significa quindi
7
Cfr. Sylos Labini, Le classi sociali negli anni ottanta, Bari, 1986.
8
Il motivo pragmatico domina, peraltro, nella definizione di politica data da Weber (in Wirtschaft und
Gesellshaft, 1922, trad.it. Comunità, Milano, 1968), come «aspirazione a una partecipazione al potere o a
una struttura di potere o a un’influenza sulla distribuzione del potere, sia fra Stati che, nell’ambito di uno
Stato, fra i gruppi di uomini che essa comprende».
9
Secondo Melucci «i partiti come canali di mobilitazione vengono progressivamente sostituiti dall’opera
dei media, che permettono un contatto diretto (e manipolabile) tra i leader e le masse e che diventano
strumenti privilegiati di creazione del consenso».
10
Analoghe considerazioni sono svolte da Troccoli, in il finanziamento delle campagne elettorali,1992.
15
affrontare un capitolo decisivo dello Stato liberal-democratico
contemporaneo, cui è indotta particolare complessità dalla partecipazione
dei partiti ai meccanismi decisionali attraverso i quali, a livello
parlamentare, debbono essere approntati gli eventuali strumenti di
riequilibrio.
Nell’esperienza comune, oltre le peculiarità di ogni singolo ordinamento, le
misure adottate al fine di contenere le distorsioni derivanti dalla disparità di
mezzi materiali tra i competitori politici possono essere sempre ricondotte a
tre tipologie fondamentali.
L’ipotesi minimale di intervento nel settore dei finanziamenti politici
consiste nell’introdurre forme di pubblicità delle entrate e delle uscite dei
soggetti che esplicano attività politica. Conoscere la provenienza dei fondi
affluenti consente, infatti, di stabilire il grado di dipendenza del soggetto
politico da lobbies o da singoli sovventori interessati al mantenimento di un
preciso indirizzo politico e non all’adozione di specifici provvedimenti: se
le destinazioni di spesa e la misura dei mezzi finanziari utilizzati sono rese
manifeste, la collettività è anche in grado di valutare l’importanza annessa
dal soggetto politico all’occupazione di una posizione di potere ed il
16
proprio grado di esposizione del suo battage propagandistico
11
.
Ben più incisiva azione si rivela il contingentamento della spesa politica,
realizzato attraverso la previsione di tetti massimi di uscita in relazione a
determinate attività politiche o all’attività complessiva di singoli soggetti
politici.
Sul versante dell’entrata, si può limitare il quantum delle singole
contribuzioni private, così da imporre al soggetto politico la ricerca di una
pluralità di sovventori, ovvero escludere tout court taluni di essi. Altro
intervento sull’entrata consiste nell’adottare forme di finanziamento
pubblico dell’attività politica (con l’obiettivo di salvaguardare la corretta
formazione dell’indirizzo politico).
Posto ad ulteriore garanzia delle pari opportunità tra soggetti politici, il
finanziamento pubblico può risolversi in un’attribuzione diretta di risorse
economiche ovvero nella prestazione di beni e servizi da parte della
pubblica amministrazione.
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Invero, l’efficacia dei (soli) obblighi pubblicitari dipende dalle modalità di diffusione dei dati forniti dai
soggetti politici. Reputandosi comunque insufficienti le forme di pubblicazione ufficiale (deposito presso
organi di controllo, bollettini, etc.), il ruolo dei mezzi di comunicazione di massa può rivelarsi ancora una
volta decisivo.
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La posta in gioco impone una continua verifica della rispondenza tra
sistema legale e sistema reale dei finanziamenti politici, onde evitare che le
regole imposte, oltre a rivelarsi di scarsa efficacia, non costituiscano esse
stesse un fattore distorsivo, costringendo di fatto all’illegalità. Nonostante
molta parte del vigente diritto dei partiti attenga ai finanziamenti politici, in
Italia un simile approccio pragmatico è del tutto mancato. Ciò ha costituito
la causa prima delle note vicende giudiziarie che nei primi anni novanta
hanno interessato gran parte della classe politica
12
.
1.1 L’iniziativa di Luigi Sturzo.
Le ragioni di tale defaillance sono da ricercare ab initio nel lungo travaglio
della dottrina giuridica tra le posizioni di chi sosteneva la necessità di una
disciplina complessiva dei patiti politici, destinata ad attuare il disposto
dell’art.49 Cost.
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, e di chi all’opposto paventava i rischi di un simile
intervento.
12
Un’interessante documentazione ricca di dati statistici, sul coinvolgimento di parlamentari in fatti
connessi all’illecito finanziamento dei partiti, oltre che in altre fattispecie di reato, è in Ricolfi, L’ultimo
parlamento, Roma 1993.
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Questa era, in particolare, la posizione di Mortati, costituzionalista e membro dell’Assemblea
costituente.
18
Il prevalere tra le forze politiche di quest’ultimo orientamento aprì un
periodo di sostanziale immobilismo anche sul fronte dei finanziamenti
politici, destinato a durare fino al 1974
14
. In questo lungo tratto temporale
i partiti avrebbero dovuto reperire i mezzi economici per sostenere le
proprie attività unicamente ricorrendo alle quote associative e ai contributi
dei simpatizzanti, ma non mancano elementi per ipotizzare illeciti
finanziamenti tratti da fondi pubblici e neppure per sostenere che la
spartizione mondiale in zone di influenza abbia occasionato flussi
economici diretti ai partiti nazionali che rappresentavano la continuità
ideale delle issues delle superpotenze.
L’assoluta opacità del sistema e l’avvertibile spinta al rialzo della spesa
politica suggerirono a Luigi Sturzo un’iniziativa che ancora meraviglia per
la consapevolezza delle problematiche e per l’organicità delle soluzioni
suggerite
15
. L’obiettivo principale della proposta di legge era costituito
dalla moralizzazione della vita pubblica del Paese, finalità che si sarebbe
potuta raggiungere, nel convincimento di Sturzo, solo con il
14
All’inizio degli anni settanta vennero introdotte limitate forme di finanziamento pubblico indiretto,
realizzate riconoscendo ai partiti politici agevolazioni fiscali: cfr. Art. 7, legge 9 ottobre 1971, n. 825, ed
art. 4 legge n. 633/72.
15
Sul progetto Sturzo, presentato in Parlamento il 16 settembre 1958 ed intitolato Disposizioni
riguardanti i partiti politici e i candidati alle elezioni politiche ed amministrative, si condivide l’opinione
espressa da da Troccoli, in Il finanziamento delle campagne.
19
riconoscimento ai partiti della personalità giuridica di diritto privato ed il
correlato controllo pubblico delle fonti di finanziamento, operato per il
tramite dell’obbligo di deposito del bilancio presso il Tribunale
16
. Il
progetto prevedeva inoltre limiti di spesa alle campagne elettorali stabiliti
nei confronti dei candidati alle cariche e il divieto assoluto di finanziamenti
statali
17
. Il contesto politico in cui il progetto Sturzo si trovò proiettato non
consentì l’adozione di provvedimenti tanto rigorosi e lungimiranti, ma
dimostrò la possibilità di un’azione coerente volta a regolare un tema
finalmente riconosciuto di primaria importanza. La definitiva
privatizzazione del rapporto associativo, assieme alla pubblicizzazione dei
controlli, affidati alla giurisdizione ordinaria, se pure rendeva palese la
rinuncia ad una normazione generale intesa ad imporre schemi
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Nelle note illustrative al progetto, Luigi Sturzo affermava, tra l’altro, che «occorre innanzitutto che il
partito, pur conservando la libertà che deve avere il cittadino nella propria attività politica, sia legalmente
riconoscibile e posto in grado di assumere, anche di fronte alla legge, le proprie responsabilità. A questo
scopo, con il disegno di legge che intendo presentare, viene fatto obbligo ai rappresentanti dei partiti di
depositare nella cancelleria del Tribunale competente lo statuto e le successive variazioni, firmato dal
presidente e dal segretario generale. Questo atto basta per poter attribuire al partito la personalità giuridica
e in tale veste poter anche possedere beni stabili e mobili senza nessuna autorizzazione preventiva».
17
Il progetto Sturzo comminava anche sanzioni penali in caso di violazione del divieto disposto nei
confronti dei partiti di accettare contributi da ministeri, enti, gestioni statali, enti locali territoriali, enti o
banche di diritto pubblico o di interesse nazionale.
20
organizzativi alla struttura del partito, toccava probabilmente il punto più
scoperto del sistema politico che rifiutò precisamente di assoggettarvisi
18
.
Né l’atteggiamento dei partiti mutò nel breve periodo, quando il progetto
Sturzo venne ripresentato, nelle sue linee essenziali, dall’onorevole
D’Ambrosio. È probabilmente semplicistico affermare che tanto l’uno
quanto l’altro avessero sopravvalutato l’entità delle quote associative e
delle libere contribuzioni provenienti da soggetti privati rispetto alle reali
esigenze dei partiti
19
: in realtà nelle intenzioni di Sturzo e di D’Ambrosio la
moralizzazione della vita pubblica sottendeva una profonda revisione del
modello organizzativo interno dei partiti.
Il ridimensionamento degli apparati, conseguente alla limitazione della
spesa politica, sarebbe stato infatti compensato dalla promozione di
organizzazioni collaterali di tipo ricreativo, assistenziale o sindacale, che
18
L’affossamento del progetto Sturzo risulta più comprensibile se si considera che esso venne presentato
alle Camere pochi mesi dopo le elezioni del maggio 1958, che non avevano registrato alcun significativo
spostamento di voti, mentre già nella Democrazia Cristiana, partito di maggioranza relativa con il 42,4%
dei suffragi, che pure avrebbe dovuto sostenere una proposta proveniente dal proprio interno, oltretutto da
una voce così illustre, si evidenziano le faglie che avrebbero portato nel gennaio 1959 alla caduta del
Governo Fanfani e, poco più tardi, al rovesciamento degli equilibri interni del partito susseguenti al
convegno di Santa Dorotea. Per una ricostruzione del clima politico d’allora, cfr. Ginsborg, Storia d’Italia
dal dopoguerra ad oggi, Torino, 1989.
19
Una stima del 1971 (in Crespi, Lo Stato deve pagare i partiti?, Firenze, 1971) fissava in 65 miliardi di
lire il fabbisogno complessivo annuo dei partiti politici, cifre reputata ben distante dall’entità delle quote
associative raccolte dai partiti stessi.
21
avrebbero dovuto provvedere anche all’aggregazione del consenso sui
candidati selezionati al proprio interno. La proposta si situava in evidente,
netta controtendenza rispetto alle linee evolutive del sistema e decadde
ancora una volta
20
.
Nell’impossibilità di imporre ai partiti una ristrutturazione così radicale, le
preesistenti difficoltà economiche non tardarono a suscitare l’ambizione
verso un sistema che prevedesse l’apporto di contributi statali
21
.
1.2 Interventi che contribuirono alle scelte del ’74.
Negli anni sessanta il dibattito sul finanziamento dei partiti conobbe così
alcuni importanti passaggi politici, che in buona misura contribuirono a
definire il quadro entro cui il legislatore del 1974 opererà le sue scelte.
Tra questi meritano attenzione l’intervento di Nenni al XXXIV Congresso
20
Secondo Ginsborg, «la dinamica sociale del miracolo economico contribuì ad accentuare
l’atomizzazione della società civile» causando – primo fra tutti – il collasso delle grandi associazioni
collaterali cui si accennava nel testo e incentrando il meccanismo di scambio clientelare essenzialmente
sui partiti, che dovettero farvi fronte approntando strutture sempre più complesse e costose. Cfr. Rinaldi,
Il bilancio del partito politico nel quadro della legge sul finanziamento pubblico, Milano, 1988.
21
Nel frattempo, si aggravò considerevolmente la situazione di diffusa illegalità nel reperimento dei
fondi, stante l’inconsistenza delle entrate derivanti dalle quote associative e dal finanziamento privato, a
fronte del costante incremento della spesa politica. Sul punto, si veda Passigli, Comparative party finance
– Italy, in Journal of politics, 1963, che segnala la riluttanza dei partiti ad aumentare il costo del cd.
tesseramento.
22
del PSI , tenutosi a Milano nel marzo 1961, in cui il leader socialista, tra i
primi a schierarsi a favore del finanziamento pubblico, sostenne che «i
partiti sono ormai strutturalmente un organo della vita pubblica e
burocratica del Paese», per concludere che «il Paese intero è interessato al
loro funzionamento» , e il Congresso della Democrazia Cristiana di San
Pellegrino del 1963 nel quale il partito, impegnato a dar vita al primo
governo di centrosinistra, deliberò di addivenire al più presto ad una
normativa in materia
22
.
Tuttavia , le proposte più concrete furono avanzate dall’ I.S.L.E. nel corso
del 1966, e dal Club Turati nel 1968. Quest’ultima, in particolare,
prevedeva il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato del
partito, la registrazione dello stesso presso la Corte costituzionale come
elemento dirimente per l’attribuzione del finanziamento pubblico, il riparto
della somma complessivamente assegnata ai partiti in due quote uguali, una
a sua volta ripartita tra tutti i partiti rappresentati in Parlamento in quote
22
Nell’ambito dei lavori congressuali, l’on.Taviani sottolineò l’urgenza di un intervento di settore,
ammonendo che è meglio una disciplina imperfetta che l’attuale vuoto, pur riconoscendo come non sia
facile predisporre un sistema legislativo che risponda all’opportunità che tutti i partiti possano usufruire
con adeguati controlli di un finanziamento pubblico proporzionato alla loro importanza. Come
immediata conseguenza, l’allora Ministro del Bilancio l’on. Pella formalizzò una proposta di
finanziamento pubblico dei partiti, destinata ancora una volta ad arenarsi sulle secche parlamentari.
Vedere Crespi, Lo Stato.
23
uguali, l’altra in proporzione alla consistenza dei relativi gruppi
parlamentari, l’obbligo di destinare agli organi periferici del partito la metà
delle somme percepite e, infine, il deposito del bilancio annuale presso la
Cancelleria della Corte Costituzionale.
La scarsa fortuna parlamentare delle proposte derivò certo dall’aver inserito
il finanziamento pubblico in un quadro organico di cui erano parte la
definitiva specificazione della natura giuridica del partito politico, nonché
la regolamentazione ope legis di alcuni momenti organizzativi interni.
Paventando indebite intromissioni del legislatore nell’autonomia dei partiti,
proprio nel momento in cui più forte si registrava l’occupazione pratica
della cosa pubblica, il problema venne ancora una volta accantonato
23
.
Contestualmente, altre proposte mirate a costituire un particolare fondo a
cui tutti i partiti avrebbero potuto attingere per il loro finanziamento, senza
tuttavia prevedere alcun meccanismo di controllo sui bilanci, furono
rigettate perché scarsamente sostenibili davanti all’opinione pubblica in un
23
Assai significativamente, l’Assemblea nazionale della Democrazia Cristiana tenutasi a Sorrento nel
1965 scartò, per i noti motivi, l’ipotesi di una disciplina generale del partito politico, cui avrebbe dovuto
afferire anche il sistema di finanziamento pubblico, pur sottolineando l’esigenza che i partiti possano
attingere a fondi erariali, stante il ruolo loro riconosciuto dalla Costituzione. Cfr. Leone, Finanziare un
partito costa, in La Stampa, 6 novembre 1965.
24
momento di recessione economica
24
. Tali proposte sono comunque
indicative del prevalere della tendenza a scorporare il finanziamento
pubblico dei partiti della regolazione legislativa degli stessi.
Tale tendenza trova un primo compiuto consolidamento nella proposta di
legge Bertoldi, presentata al Parlamento il 29 settembre 1971
25
.
1.3 Il progetto Bertoldi.
Pur prescrivendo il requisito del riconoscimento della personalità giuridica
ai fini dell’accesso ai finanziamenti statali, il progetto Bertoldi rinunciava
ad imporre altre coordinate organizzative ai partiti, ma introduceva un
controllo severo ed incisivo sulla loro gestione finanziaria, fatalmente
destinato a suscitare scarsi entusiasmi
26
.
Una forte spinta all’introduzione del finanziamento pubblico, tanto più
determinante in quanto proveniente dal più forte partito d’opposizione,
24
Tali proposte vennero avanzate nel 1965 dalla Commissione studi costituzionali del Partito
repubblicano italiano e nel 1966, con l’autonoma elaborazione del deputato democristiano Aurelio Curti.
25
La proposta è in AA.VV., Il diritto dei partiti in Italia (1945 – 1970), Roma, 1971. La proposta venne
ripresentata nella successiva legislatura il 24 maggio 1972.
26
Cfr. D’Orazio, Il finanziamento pubblico dei partiti, 1974.