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Introduzione
«L’arte è identificata con l’esistenza stessa dell’artista»
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La critica recente, come quella passata, si è espressa in merito alla considerazione delle
sculture di Michelangelo Buonarroti attribuendo ad alcune di esse lo stato di non finitezza.
Tali opere sono tema di questa prima analisi descrittiva.
Un giovane Michelangelo realizza la Battaglia dei centauri (Fig.1), prima opera valutata
non finita, negli anni della sua formazione nel giardino di San Marco precisamente intorno
al 1490-1492 su tema suggerito dal Agnolo Poliziano. L’altorilievo marmoreo, lavorato a
più registri di profondità, rappresenta la lotta tra umani e centauri nella quale spicca al
centro un centauro con il braccio alzato, punto principale della composizione. Accanto a
lui, nel registro mediano, si vede un uomo nudo rappresentato interamente mentre compie
una torsione per lanciare un masso come la figura barbuta posta dietro di lui. Uno scontro
si consuma al centro nel quale un uomo di spalle afferra per la testa una figura che cerca di
liberarsi mentre un altro personaggio l’avvolge con il braccio. La lotta continua nel registro
superiore dove le figure sono meno pronunciate e si conclude in quello inferiore in cui
figure accasciate in terra cercano riparo.
Nel Tondo Pitti (Fig.2), realizzato per Bartolomeo Pitti nel 1503-1505 e collocato al
Bargello, si vede al centro la Vergine, seduta su un parallelepipedo abbigliata con una
veste dalle fitte pieghe e acconciata con un raccolto avente un diadema raffigurante un
cherubino. Sulle gambe della Vergine è posto un libro aperto al quale è poggiato il braccio
del Bambino intento nella lettura
2
. Maria distoglie lo sguardo verso sinistra, distratta da un
1
ARGAN 2002, p. 52
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ACIDINI 2010, p. 9 «Il linea di massima il motivo iconografico della lettura appartiene al tema, popolarissimo nella
tradizione artistica fiorentina, della precoce educazione di Gesù sui testi sacri.»
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accennato putto raffigurante probabilmente San Giovannino. Il fondo reca i solchi della
lavorazione non finita di Michelangelo.
Vicino al Tondo del Bargello per soggetto e cronologia si colloca il Tondo Taddei (1504-
1506) (Fig.3) commissionato al Buonarroti da Taddeo Taddei oggi alla Royal Academy di
Londra. A differenza del Pitti, il Tondo Taddei si anima di tensioni reciproche fra i tre
protagonisti. La parte centrale del disco marmoreo è occupata da Gesù il quale, spaventato
da ciò che San Giovannino gli sta mostrando, si rifugia dalla Madre la quale dolcemente
sembra fermare il San Giovannino. Lo stato di non finitezza non permette di comprendere
la fonte di timore del Bambino il quale insieme alla Madonna sono i soggetti più rifiniti
rispetto al San Giovannino e al fondo.
Il San Matteo (1505-1506) (Fig.4) della Galleria dell’Accademia di Firenze, commissionato
dall’Opera di Santa Maria del Fiore, è insieme ai Prigioni l’opera che mostra efficacemente
la concezione tecnica-artistica del Maestro rinascimentale. Il blocco di marmo abbozzato
mostra in parte la potenziale figura dell’apostolo vestito con una tunica che lascia scoperte
le gambe ed il braccio destro che sembra sorreggere una piega della tunica. Il piede
sinistro poggiando su una base cubica permette al ginocchio di sporgere verso l’esterno
creando torsioni anatomiche che rendono questa figura anche se non conclusa, ricca di
pathos. L’esempio più visibile è l’atteggiamento del volto dell’evangelista orientato verso
sinistra con uno virtuoso slancio stilistico (Fig.5).
Il Cristo Risorto (1514-1516) (Fig.6) è la prima versione di un Cristo che Michelangelo
concepì per la Basilica romana di Santa Maria Sopra Minerva e che si trovo oggi nel
Monastero di San Vincenzo Martire a Bassano Romano. Il Cristo, rappresentato
frontalmente nudo e stante, sostiene una maestosa croce con la mano destra e a sua volta
impugna gli strumenti della Passione: la spugna e la corda mentre la mano sinistra
comprime contro la rispettiva gamba quella che probabilmente fu la veste del Cristo prima
della Crocifissione. Sul volto rivolto verso destra e fornito di barba è visibile la celebre
vena nera (Fig.7) che costrinse il Buonarroti ad abbandonare l’opera. La capigliatura
mossa cade dolcemente sulle spalle del Cristo.
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Lo Schiavo morente (Fig.8) e lo Schiavo ribelle (Fig.9) sono stati concepiti da Michelangelo
fin dal primo progetto per la Tomba di Giulio II (1505) tuttavia furono realizzati
dell’artista solo nel 1513 quando concordò con gli eredi Della Rovere un nuovo progetto
monumentale. Oggi sono conservati al Museo del Louvre. Lo Schiavo morente (Fig.8) si
mostra stante con una corporatura robusta tipica dello stile del Maestro; il braccio sinistro
è abilmente innalzato fino alla testa dove la mano, affondando le dita tra i capelli, sembra
confondersi con essi (Fig.10). La mano destra, viceversa, è posta delicatamente sul petto
congiungendosi alle fasce che girano intorno al torace e al polso sinistro del giovane. Nel
volto, inclinato verso la spalla destra, gli occhi e la bocca sono serrati. Le gambe sono
sostenute da una massa abbozzata dalla quale spunta il volto non definito di una scimmia
(Fig.11) probabilmente simbolo della Pittura o un’allusione alla sapienza letteraria
3
. Lo
Schiavo ribelle (Fig.9), a differenza del suo compagno, si presenta in atto di sforzo: mentre
si contorce cercando di liberarsi dalle fasce che gli imprigionano le mani dietro la schiena
(Fig.12). Questo movimento conferisce all’opera un portamento a spirale reso grazie
all’abbozzato volto rivolto verso l’alto, alla gamba destra sollevata su un basamento
rialzato e alla spalla sinistra posta in avanti (Fig.13).
Come per gli Schiavi del Louvre (Fig.8-9), l’artista concepì fin dal primo progetto per il
monumento funebre a Giulio II i prigioni dell’Accademia di Firenze: il Prigione giovane
(Fig.14), Prigione che si desta (Fig.15), Prigione barbuto (Fig.16) e Prigione Atlante (Fig.17)
ma a differenza dei primi due sono meno definiti e vennero abbozzati tra il 1519 ed il 1534
e citati nel quinto progetto del monumento. Le quattro figure hanno in comune oltre ad un
evidente stato di non finitezza, la movenza tortuosa del loro corpo ancora legato alla
materia. Nello specifico il prigione giovane (Fig.14) porta il braccio destro dietro la
schiena mentre il sinistro viene piegato sulla fronte, la gamba sinistra poggia su un rialzo e
la destra leggermente flessa posa sul basamento (Fig.18) . Del corpo possente della figura ,
il torace è la parte leggermente più definita mentre la parte posteriore dell’opera appare
completamente da scolpire (Fig.19).
3
ACIDINI 2010, p. 119
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Il Prigione che si desta (Fig.15), ancora incorporato nel blocco di marmo, si presenta con il
volto verso sinistra abbozzato e barbuto (Fig.20), il braccio sinistro appena accennato è
piegato e sollevato, il destro è portato indietro flesso a formare un angolo. Della gamba
sinistra è abbozzata solo la coscia mentre la destra, piegata ad angolo come il rispettivo
braccio, la incrocia dando vita ad un movimento dinamico e deciso.
Il Prigione barbuto(Fig.16), definito così per la sua folta barba, è il più finito fra i prigioni
fiorentini e presenta il corpo in torsione con il braccio destro sollevato sopra la testa, in
un’attitudine che ricordata il prigione giovane, mentre il sinistro cade sulle gambe
leggermente piegate, e con la mano ancora abbozzata sembra reggere la fascia che
imprigiona il figura fino ai piedi.
Il Prigione Atlante (Fig.17), infine, presenta una parte del blocco sporgente che doveva
contenere il braccio destro e la testa della figura che sembra sorregga la materia ancora
non lavorata. Le gambe sono divaricate, la destra flessa e la sinistra, lievemente piegata,
esalta lo stato di non finito dell’opera (Fig.21). Il torso presenta una graduale rotazione
culminante con il braccio sinistro piegato ad angolo e portato avanti. Lo stato di non
finitezza della massa superiore rende visibili tre cerchi con una ”M” , segno che l’artista
utilizzava per contrassegnare il blocco da lui scelto per la realizzazione dell’opera
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(Fig.22-
23-24).
Il Genio della Vittoria (1532-1534 ca) (Figg.26-27) era anch’esso destinato alla Tomba di
Giulio II ed è conservato nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Il gruppo
rappresenta un giovane che con il ginocchio sinistro pressa una figura accasciata con volto
barbuto non finita (Fig.28) mentre la gamba destra flessa gli fa da sostegno. Il giovane
porta indietro il braccio sinistro ed in avanti la spalla ed il braccio destra che, piegato su di
essa a formare un angolo, tiene con la mano il lembo di un drappo. La testa è girata in
direzione opposta a tale movimento.
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Michelangelo firmava i blocchi di marmo da lui scelti attraverso un’impresa con tre anelli incrociati come testimonia
Vasari in una lettera a Cosimo I nel 1564: «una impresa con tre grillande, segno suo». Questa impresa era in realtà
l’impresa di Cosimo il Vecchio come attesta Paolo Giovio nel suo testo “Le sententiose imprese di monsignor Paolo
Giovio” del 1562 a pagina 69 (Fig.25)che probabilmente l’artista vide quando lavorò alle finestra inginocchiate del
Palazzo Medici Riccardi.
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Nella Sagrestia Nuova della Basilica di San Lorenzo a Firenze Michelangelo intorno al
1526-1531 realizza le tombe dei fratelli Giuliano e Lorenzo de’ Medici. Per quella di
Giuliano (Fig.29) l’artista scolpisce la figura di quest’ultimo ponendola nella nicchia
centrale del monumento e due sculture non finite poste più in basso: il Giorno (Fig.30)
sulla destra e la Notte (Fig.31) sulla sinistra. Quest’ultima, personificata da una donna
nuda e dormiente, è semidistesa su un panno che le attraversa la gamba destra adagiata su
esso, la gamba sinistra piegata crea un incavo nel quale si colloca un rapace notturno e il
piede poggia sopra un cumulo erbaceo. Il braccio destro poggiato sula coscia sinistra
sorregge la testa reclinata della donna mentre il sinistro, piegato dietro la schiena, trova
vicino a se una maschera. Questo moto provoca la torsione del busto dando vita a un
dinamismo tipico del Maestro. I capelli sono raccolti in trecce (Fig.32) di cui una cade sul
petto della donna e in testa indossa un diadema con stella a otto punte (Fig.33). Il Giorno
(Fig.30) viene invece rappresentato come un uomo nudo e robusto, semidisteso in una
posa dinamica: braccio destro verso l’interno, braccio sinistro piegato alle spalle verso
l’esterno e gambe accavallate in senso opposto alla rotazione del busto con un drappo
poggiato sulla gamba destra. Il volto barbuto si presenta appena sbozzato (Fig.34). Per
quanto riguarda la tomba di Lorenzo de Medici (Fig.35) la composizione è la stessa: la
figura di Lorenzo al centro e le due sculture non finite ai suoi piedi: a sinistra il Crepuscolo
(Fig.36) e a destra l’Aurora (Fig.37). L’Alba, raffigurata come una donna nuda, ruota il
corpo e la gamba sinistra verso l’esterno con il gomito destro piegato come appoggio e il
braccio sinistro, flesso sulla spalla, solleva un lembo del drappo che le ricopre la testa. La
gamba destra cade verso il basso su un abbozzato drappeggio. La sinuosità del corpo della
donna è accompagnata dall’inclinazione del volto angosciato e sofferente (Fig.38) . Il
Crepuscolo (Fig.36) figurato come un uomo virile e nudo giace disteso con la gamba
destra accavallata alla sinistra, il braccio e la mano destri sono adagiati sulla coscia destra e
trattengono un velo che scende sul retro. Il braccio sinistro poggia piegato per sorreggere
la figura il cui volto barbuto non finito guarda verso il basso. (Fig.39)
Per la decorazione della Sacrestia Nuova, Michelangelo tra il 1521 e il 1534 il Buonarroti
realizza un’altra scultura conosciuta come la Madonna Medici (Fig.40). La figura maestosa
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della Vergine si presenta seduta su un abbozzato blocco di marmo con la gamba sinistra
accavallata alla destra, la testa velata ed il volto non ancora definito del tutto. Sulla sua
coscia sinistra è adagiato il Bambino che, con una articolata torsione, si gira verso di lei a
cercare il seno sorretto dalla mano sinistra della Madre (Fig.41) mentre il braccio destro,
non finito, è posto posteriormente. La torsione del busto della Vergine, accentuata dalla
sontuosa veste, e la contorsione del corpo del Bambino generano un vorticoso dinamismo.
Il Museo Nazionale del Bargello conserva il David-Apollo (Fig.42) che l’artista realizzò
intorno al 1530 per il diplomatico Baccio Valori. L’opera, di soggetto ancora ambiguo,
raffigura un giovane nudo in una complessa torsione caratterizzata dall’uso di
corrispondenze ad x: il braccio sinistro, in direzione della spalla destra, è piegato come la
gamba sinistra; viceversa il braccio destro disteso come la gamba sinistra. Nel suo moto
rotatorio, il David-Apollo, è esempio della “figura serpentinata” tipica del Buonarroti. Il
volto orientato a destra si presenta in uno stato di non finitura come la capigliatura e le
estremità della figura (Figg.43-44).
Michelangelo presumibilmente realizzata per la sua sepoltura la Pietà Bandini (1547-1555)
(Fig.45) oggi conservata al Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore a Firenze. L’artista
in quest’opera dà vita ad una composizione attiva e articolata: al centro la figura di Gesù
accasciato e sorretto dalla Vergine con l’aiuto di Maria Maddalena a sinistra e di
Nicodemo in alto, il quale, incappucciato e barbuto presenta il volto abbozzato come la
Vergine e il Cristo (Fig.46) . Quest’ultimo con andamento serpentinato porta la spalla ed il
braccio sinistro, sorretti dalla Vergine, in avanti in modo tale che la mano si giri per
mostrare il palmo.
Michelangelo lavorò alla sua ultima opera conosciuta come Pietà Rondanini (Fig.47) fino a
pochi giorni prima di morire (1553-64). Il gruppo, conservato al Castello Sforzesco di
Milano, è il risultato di varie modifiche progettuali adottate dall’artista i cui segni sono
visibili nell’opera (Fig.48). Quest’ultima si presenta con zone portate a compimento come
un braccio destro, staccato dalla composizione (Fig.49), e le gambe del Cristo che cadono
leggiadre sul basamento e zone non finite come il volto, il tronco e le braccia del Cristo
10
sorretto dall’abbraccio della Vergine la quale, come il figlio, presenta il volto ed il corpo
non finiti. (Fig.50)
Queste opere costituiscono il cosiddetto “non finito” michelangiolesco, caratteristica
peculiare dello stile del maestro rinascimentale, di cui si vuole con il presente studio
affrontare la specifica questione della sua recezione. Si è inteso, in particolar modo,
verificare sulla scorta del materiale già noto, come queste opere siano state recepite da
alcune delle principali personalità del Cinquecento. Prima di fare ciò, nel tentativo di
conseguire un quadro quanto più completo del tema in questione, nel primo capitolo si è
tentato di evidenziare alcune delle interpretazioni moderne; in tal senso il percorso che
seguiremo è ben sintetizzato da Umberto Baldini:
«Si è pensato da alcuni ad uno stato di insoddisfazione, che avrebbe impedito a Michelangelo di
toccare il termine della propria visione e gli avrebbe fatto abbandonare il lavoro vuoi per il tragico
sgomento suscitato in lui dall’eterno dissidio fra spirito e materia, vuoi per la impossibilità di dare
contenuto mistico-cristiano alla forma plastico-pagana. Si è congetturato da altri che l’improvviso
arresto del lavoro sia stato causato invece dalla soddisfazione di avere raggiunto il termine della
propria visione : o per il risalto che il non finito dà al rilievo plastico nei confronti del finito; o per
la maggiore espressione di pathos che balza da una sintesi estremamente rapida ed ardita; o per
l’accentuazione di movimento che emana da una forma che tenta di liberarsi dal blocco; o per
l’amore delle sculture antiche più poderose ed espressive se corrose e mozze; o infine per la
suggestione che deriva dalle figure che escono dal marmo grezzo nelle quali l’attività dello spirito
umano sembra associarsi alle forze cosmiche e perciò approfitta di uno sforzo ideale infinito, in
luogo dello sfondo limitato di una personalità o di un’epoca»
5
.
Nel secondo capitolo si analizzerà come alcune delle principali personalità rinascimentali
considerano il non finito, nello specifico: Giorgio Vasari, Anton Francesco Doni, Ascanio
Condivi, Raffaello Borghini e Francesco Bocchi. Prima di fare ciò si esaminerà la
produzione poetica del Maestro intesa come espressione della sua concezione artistica.
Nel terzo capitolo si proverà, tramite materiale già analizzato, a ricostruire la fortuna
collezionistica delle opere non finite.
Questa trattazione si concluderà con un’analisi che verterà a considerare anche per tentare
di fornire una modesta interpretazione del tema del non finito.
5
BALDINI 1891, p.12