2
comunicazione, teorico e vuole descrivere alcuni casi applicativi per
tentare di porre in risalto le sue potenzialità a livello formativo, nella
convinzione personale che tale tecnologia possa essere considerata una
nuova e importante metodologia per la formazione scolastica e
professionale.
Il lavoro è articolato in quattro capitoli, ciascuno dei quali destinato
all’analisi e all’approfondimento di specifici aspetti e problematiche della
Realtà Virtuale, in modo da poter ottenere, alla fine dell’esposizione, un
quadro più chiaro possibile delle sue potenzialità come strumento
formativo e diradare l’alone di mistero che circonda questa tecnologia.
Nel primo capitolo oggetto di analisi è la Realtà Virtuale nelle sue molteplici
forme. Inizialmente, poiché è stato al centro di una lunga diatriba, si è
introdotto l’aspetto terminologico e oltre ad un’analisi scientifico-filosofica
di ciò che viene ad essere ritenuto Reale e Virtuale, sono state presentate
definizioni proposte nel corso degli anni dai cosiddetti “guru” del settore
classificandole – rifacendosi alla posizione di Holzer – in tre categorie: la
Realtà Virtuale come tecnologia, come concetto – visione teorica – e
come medium cognitivo. Successivamente, per meglio comprendere
l’evoluzione di questa tecnologia, sono state tracciate le tappe storiche
più importanti, analizzate le sue diverse dimensioni e il grado di
coinvolgimento richiesto agli utenti che, da un livello “spettatore”,
progrediranno ad un livello “attore”, nel quale saranno sempre più
coinvolti nella creazione dell’ambiente virtuale e non subiranno più
3
passivamente ciò che l’artefice di quell’ambiente ha stabilito. Gli ultimi
paragrafi del capitolo si sono sviluppati sia attorno all’assetto tecnologico
che ci permette di distinguere cinque forme di Realtà Virtuale in rapporto
al livello ed alla qualità di interazione dell’utente con il computer, sia alle
tre diverse modalità di percezione dell’ambiente virtuale: la vista, l’udito e il
tatto (per ora l’uso dell’olfatto è ancora fantascienza).
Fissati tali concetti, nel capitolo secondo sono state prese in considerazione
aree in cui la Realtà Virtuale ha dimostrato di avere grandi potenzialità dal
punto di vista formativo, offrendo un valido supporto alle tradizionali
metodologie. Le tre aree analizzate sono:
Scientifico/Medica, a cui la Realtà Virtuale fornisce strumenti sempre più
sofisticati che potenziano sia le possibilità di indagine e cura sia la
formazione del personale medico, che risulta sensibilmente più efficace
poiché tale tecnologia consente un’immediata e diretta integrazione degli
aspetti teorico e pratico. Concretamente, sono state presentate diverse
terapie, dalla simulazione chirurgica, all’uso della Realtà Virtuale per
risolvere casi di gravi fobie, dal superamento del dolore alla riabilitazione
psicologica dei disturbi del comportamento alimentare, che si fondono
sull’utilizzo di tale tecnologia, concludendo con la presentazione di un
software destinato a rivoluzionare l’ambito della chirurgia.
Beni Culturali, in cui la Realtà Virtuale determina una riqualificazione
delle funzioni didattiche e divulgative dei musei, poiché fornisce la
4
possibilità di ricostruire virtualmente qualsiasi oggetto, monumento storico o
sito impraticabile e può simulare le tecniche di restauro o un viaggio a
ritroso nel tempo. Per queste ragioni, dopo un’analisi dei vantaggi
apportati allo studio dei Beni Culturali dall’uso di una simile tecnologia,
sono stati presentati e descritti alcuni interessanti Musei Virtuali presenti in
Rete, come ad esempio il Nuovo Museo Elettronico della città di Bologna e
il Museo dedicato a Leonardo da Vinci.
Didattica, in cui l’uso della Realtà Virtuale, sia nel campo della
didattica/formazione professionale tecnico-scientifica sia in quello
attinente le discipline umanistiche, mostra sin dai suoi esordi una valenza
positiva, soprattutto poiché consente di porsi la domanda: ”Cosa
succederebbe se…?” e poi di scoprirlo provando durante l’interazione con
oggetti tridimensionali presenti nel mondo virtuale. Concretamente, è
possibile agire in questo modo all’interno dei laboratori virtuali – di cui
saranno presentate quattro diverse categorie – in quanto il discente si
rapporta con una conoscenza che può manipolare, sperimentare,
costruire e che potrà in un secondo momento condividere e confrontare
con gli altri membri della comunità di apprendimento.
Nel terzo capitolo, dopo una breve premessa sulle possibili forme di
interazione e relazioni sociali prodotte dallo sviluppo dei mezzi di
comunicazione di massa, è stato analizzato lo sviluppo dei nuovi mezzi di
comunicazione on-line via MUD/MOO e via mondi virtuali multi-utente, nei
5
quali si instaura un nuovo tipo di relazione sociale definita (da Stefano
Martelli) “interazione virtuale”.
Sia per i MUD /MOO, ambienti virtuali testuali, sia per i mondi virtuali multi-
utente, ambienti di tipo desktop basati su immagini, si è scelto di articolare
il discorso partendo da una loro descrizione, per poi proseguire con la
presentazione di alcuni concreti esempi applicativi. Infine, seppur in
maniera sintetica, si è trattato della possibilità offerta da tali ambienti di
poter assumere al loro interno identità diverse da quelle reali, e si è altresì
approfondito il discorso sugli Avatar che popolano questi mondi.
Nel capitolo quarto l’ultimo elemento considerato, per poter concludere in
maniera esaustiva il nostro discorso, è stato lo studio dei principi di diverse
teorie dell’apprendimento – dal Learnig by doing all’Esplorazione guidata
da interazioni tutoriali, dal Costruttivismo socio/cognitivo all’Apprendimento
per conversazione/discussione – e la descrizione del loro impiego in
ambienti di Realtà Virtuale con relativi esempi di applicazione,
concludendo con la presentazione delle trasformazioni del ruolo del
docente/formatore rispetto alle innovazioni teoriche e metodologiche che
questa tecnologia comporta.
6
Capitolo Primo
Alcune annotazioni schematiche sulla
Realtà Virtuale
1.1. Reale e Virtuale: due dimensioni a confronto
Prima di intraprendere questo viaggio all’interno del mondo della Realtà
Virtuale, mi sembra opportuno sottolineare che la sfera di ciò che rientra
nel “Virtuale” è ampia ed ha confini assai labili ed incerti; ecco perché
troviamo grandi differenze e innumerevoli possibili distinzioni al suo interno.
Una delle prime difficoltà che i ricercatori incontrano operando in questo
campo è come definire la locuzione “Realtà Virtuale”, in quanto essa è
costruita sulla contrapposizione del significato letterale dei due termini ed è
di per sé un ossimoro: tutto ciò che è Reale non può essere Virtuale e
viceversa, poiché uno è l’opposto dell’altro
1
.
In genere, gli ossimori hanno la funzione di stupire, ed esprimono un
significato soprattutto metaforico. In questo caso, però, non è così: la
Realtà Virtuale è infatti un campo di ricerca specifico e concreto, che
negli ultimi anni ha conosciuto uno sviluppo immenso rappresentando
qualcosa di assolutamente reale
2
.
1
Aukstakalnis, S. – Blatner, D. (1992), Silicon mirage, (tr.it., Miraggi elettronici, Feltrinelli,
Milano 1995), p. 30.
2
Roncaglia, G. (28-5-1998), Introduzione ai nuovi media 5/a. Costruire il ciberspazio: realtà
virtuale e ambienti condivisi, Media Mente, in Internet, URL:
http://www.mediamente.rai.it/home/tv2rete/mm9798/98052529/a980528.htm
7
Nicholas Negroponte
3
, fondatore nel 1985 del Media Lab del MIT
(Massachusetts Institute of Technology), considera i due termini come le
due metà di un unico concetto; per lui risulta essere più ragionevole
ritenere la Realtà Virtuale (RV) come un pleonasmo, ossia un concetto
ridondante. Infatti, la RV può rendere l’artificiale altrettanto realistico del
Reale, se non di più.
L’autore, a supporto di questa sua affermazione, porta come esempio la
simulazione del volo: la prima e più sofisticata applicazione della RV, che
consente esperienze ed emozioni più realistiche di quelle che si
proverebbero volando su un vero aereo.
Il filosofo e teologo inglese Giovanni Duns Scoto (1266-1308) utilizza il
termine latino “Virtualiter“
4
come fondamento della sua teoria sulla Realtà,
sostenendo che dobbiamo utilizzare la nostra esperienza per svelare la
qualità di un oggetto, poiché l’oggetto contiene già in sé le proprie
multiformi qualità empiriche, ma le contiene virtualmente.
Scoto usa così il termine Virtuale per colmare la distanza tra la Realtà
formalmente unificata e le nostre esperienze disordinatamente differenti.
Con lo stesso principio, oggi si fa riferimento al termine Virtuale per varcare
la distanza tra un ambiente dato e un supplementare livello artificiale
accessibile.
3
Negroponte, N. (1995), Being digital, (tr.it., Essere digitali, Sperling & Kupfer editori, Milano
1995), p.117.
4
Mazzoli, G. – Boccia Artieri, G. (1994), L’ambigua frontiera del virtuale. Uomini e
tecnologie a confronto, FrancoAngeli, Milano, p. 37.
8
Recentemente il filosofo francese Pierre Lévy
5
per cercare di dare una
fondazione a questo discorso, fa notare che il termine “Virtuale”
comunemente ed erroneamente viene contrapposto al termine “Reale”.
La parola “Reale” infatti, deriva dal latino Res (cosa) e si riferisce
all’esistenza tangibile e visibile di una cosa, ossia a tutto ciò che viene ad
essere rilevato da un’interpretazione oggettiva. “Virtuale” – dal latino virtus
(forza) – al contrario, indica ciò che esiste in potenza e non in atto, ossia
ciò che potrebbe essere ma che non dà ancora manifestazione tangibile
della sua presenza.
La filosofia scolastica medievale, allo stesso modo, definisce Virtuale ciò
che esiste in potenza e non in atto; il Virtuale tende ad attualizzarsi senza
però raggiungere un’effettiva concretizzazione: “L’albero è virtualmente
presente nel seme”
6
, ossia il seme è l’albero in potenza anche se ancora
non esiste come tale.
Rifacendosi a questo ragionamento filosofico, il concetto di “Virtuale” non
va contrapposto, secondo Lévy, al concetto di “Reale”, ma all’Attuale.
Gilles Deleuze
approfondisce la relazione tra Possibile, Reale, Attuale e
Virtuale. Possibile e Virtuale hanno in sé una connotazione di latenza,
mentre Reale ed Attuale sono caratterizzati dall’essere manifesti.
Al Reale si contrappone il Possibile, poiché quest’ultimo si realizzerà senza
cambiare nulla della sua natura. Esso è, infatti, esattamente come il Reale:
5
Lévy, P. (1995), Qu’est-ce-que le virtuel? , La Découverte, Paris (tr.it., Il virtuale, Cortina,
Milano 1997), pp. 6-8.
6
Ibi., p. 5.
9
gli manca solo l’esistenza, e dunque la loro è una differenza puramente
logica.
Il Virtuale, a differenza del Possibile, esiste e non è statico né già costituito;
esso è piuttosto come un aspetto problematico che accompagna una
situazione e che richiede un processo di trasformazione: l’Attualizzazione
(ricerca della soluzione che risolva il problema). L’Attuale è così una
manifestazione posteriore del Virtuale, manifestazione che non è però
definibile a priori.
Reale, Possibile, Attuale e Virtuale, infine, sebbene rappresentino modi
diversi di essere, sono molto spesso in atto insieme in ogni fenomeno
concreto analizzabile
7
.
Operate queste precisazioni di carattere terminologico, analizziamo in che
senso Lévy considera la Virtualizzazione: essa è un processo inverso rispetto
all’Attualizzazione. Infatti, se quest’ultima parte da un problema per
arrivare alla soluzione, la prima è la tendenza a risolvere i problemi non
identificando una soluzione univoca, ma proponendo soluzioni elastiche,
transitorie ed adattabili. Ciò significa che la Virtualizzazione sposta
l’attenzione dal particolare al generale e questa ridefinizione perpetua è
uno dei più attivi vettori per la creazione continua di Realtà
8
.
Secondo Lévy la nostra epoca, definita della comunicazione digitale e
della comunità virtuale globale, si caratterizza proprio per una peculiare
inversione tra processo di Attualizzazione e processo di Virtualizzazione.
7
Deleuze, G. (1972), Differenza e ripetizione, in Lévy, P., Il virtuale, op. cit., p. 6.
8
Ibi., p.129-133.
10
Se prima della rivoluzione “nanotecnologica” il settore sociale tendeva
all’Attualizzazione, ossia a cercare soluzioni a problemi dati, oggi è la
Virtualizzazione che governa i processi.
Vi è infatti la tendenza a non concepire la soluzione ad un problema sul
modello causa-effetto, ma a ricercarla attraverso una diversa analisi del
problema stesso e della sua collocazione in un nuovo orizzonte, tale da
permettere una diversa interpretazione che consente alla soluzione di
emergere.
Per fornire un esempio concreto, Lévy
9
prende in esame la differenza tra
l’impresa tradizionale, dove ogni dipendente ha una collocazione fisica
precisa e un mansionario che ne specifica le modalità e gli orari di lavoro,
e un’impresa virtuale, caratterizzata principalmente dal lavoro a distanza
supportato da risorse informatiche che agevolano la cooperazione e da
modalità lavorative continuamente riadattate invece che stabilite una
volta per tutte.
La caratteristica più importante di questo processo di Virtualizzazione della
società è individuata da Lévy nel distacco della dimensione del ”qui e ora”
che questo comporta.
La velocità dei mezzi di comunicazione di massa (stampa, radio,
televisione), dei personal media (computer), dei media interpersonali
(telefono, telefax, teleconferenza, posta elettronica), e dei self media
(registratore, videoregistratore), consente il collegamento istantaneo tra
soggetti collocati nello spazio anche a distanze grandissime, implicando
9
Ibi., p. 8.
11
una tendenziale simultaneizzazione della comunicazione che consente di
trasmettere a distanza la voce, i suoni, le immagini e la scrittura.
Per questo motivo l’impresa virtuale non è più localizzabile con precisione, i
suoi elementi sono dispersi e la pertinenza della loro posizione geografica è
ridotta.
La virtualizzazione dell’impresa consiste, quindi, nel fare delle coordinate
spazio-temporali del lavoro un problema continuamente riproposto,
anziché definitivamente risolto.
10
In termini tecnico-filosofici, Lévy considera il fenomeno della
Virtualizzazione come un’uscita dal “ci”. La particella “ci” racchiude infatti
la caratteristica specifica dell’essere dell’uomo: secondo Heidegger,
quella di essere costantemente attivo, presente nel mondo, all’interno di
una specifica dimensione spazio-temporale. Per Lévy, il principale risultato
della Virtualizzazione è l’uscita – anche se virtuale – dal “ci”, questo
comporta un’apertura ad un nuovo spazio dell’abitare carico di insidie ma
anche di occasioni che, in quanto tale, deve essere compreso ed
analizzato
11
.
Da quanto è stato detto finora è facile giungere alla conclusione che le
dimensioni “Reale” e “Virtuale” sono in stretto rapporto e l’una non può
esistere senza l’altra. A rigore, il “Virtuale” non viene ad essere considerato
come una fase mancante di qualcosa che il “Reale” ha in più, ma viene
10
Ibidem.
11
Ibi., pp. 9-10.
12
ad essere riconosciuto e definito come un suo elemento, la cui
comprensione permette una maggiore partecipazione alla Realtà stessa
12
.
Virtuale è dunque un termine “ponte” tra due realtà:
la prima definibile tramite la presenza di caratteristiche permanenti,
percepite per mezzo dell’esperienza e del common sense, portando così
alla formazione di un realismo ingenuo che ancora l’uomo al mondo e a
quella che Platone definisce Realtà reale.
La seconda definita invece dall’alterità, dalla continua messa in gioco
delle certezze e quindi di se stessi, dal sempre possibile altrimenti, che
chiamiamo Virtuale. Realtà Reale e Realtà Virtuale possono essere ritenute
come sistemi congruenti all’interno di una medesima dimensione
complessa tra soggetto e mondo, tra sistema e ambiente
13
.
Per concludere la dissertazione terminologica, è necessario precisare che
l’espressione Realtà Virtuale adottata oggi in tutto il mondo non è stata
l’unica. Di seguito sono elencate le più originali:
14
le Realtà Virtuali (al
plurale), Realtà artificiale, mondi virtuali, ambienti multisensoriali interattivi,
cyberspazio
15
e ambiente sintetico.
12
Andreoletti, M., Realtà virtuale, in Scurati, C. (2000) (a cura di), Tecniche e significati.
Linee per una nuova didattica formativa, vita e pensiero, Milano, p. 56.
13
Mazzoli, G. – Boccia Artieri, G. L’ambigua frontiera del virtuale. Uomini e tecnologie a
confronto, op. cit., p. 37.
14
Cadoz, C. (1994), Les réalités virtuelles, (tr.it., Le realtà virtuali, il Saggiatore, Milano 1996),
p. 11.
15
Cyberspace, termine creato dal romanziere di fantascienza statunitense William Gibson,
nel suo libro del 1984 Neuromante, per definire la rappresentazione grafica dei dati
prodotti da tutte le banche dati di tutti gli elaboratori gestiti dall’uomo. In altri termini è
uno spazio elettronico in cui si muovono, agiscono e interagiscono i programmi e gli utenti,
navigando a bordo di modem sulle reti che creano le connessioni.
13
1.2. Realtà Virtuale: alcune definizioni
La Realtà Virtuale è un “termine” ormai di moda ma ambiguo, aperto a
diverse interpretazioni sia scientifiche che filosofiche; per questo risulta assai
difficile tracciare un’unica definizione valida e universale. È pertanto
opportuno presentarne alcune, proposte nel corso degli anni dai cosiddetti
“Guru” del settore.
Gli autori Aukstakalnis e Blatner affermano che “la Realtà Virtuale è un
modo per gli esseri umani di visualizzare, manipolare e interagire con
computer e dati estremamente complessi, (...) è soltanto la più recente di
una linea di interfacce”.
16
Per Jaron Lanier, scienziato informatico ed inventore riconosciuto del
termine “Realtà Virtuale”, “l’essenza della Realtà Virtuale dipende dal fatto
che è condivisa”. A suo modo di vedere la RV è “il primo livello nuovo di
realtà oggettivamente condivisa che l’umanità abbia a disposizione da
[l’invenzione del] mondo fisico”. È attraverso questa nuova tecnologia che
è possibile fare un salto qualitativo nella comunicazione interpersonale
17
.
Il giornalista Howard Rheingold
18
sottolinea invece “la libertà di prospettiva
che, nella Realtà Virtuale, si oppone alla prospettiva fissa imposta dal
cinema e dalla televisione, ed ecco la differenza fondamentale dagli altri
media, poiché l’osservatore non è più seduto a contemplare
16
Aukstakalnis, S. – Blatner, D. Miraggi elettronici, op.cit., p. 25.
17
Gullichsen, E. (1990), In the Realm of the sensor, in catalogue of art futurea, Barcellona,
Summer 1990, p. 83.
18
Jolivalt, B. (1996), La réalité virtuelle, Presses Universitaires de France, Paris (tr.it., La realtà
virtuale, Armando, Roma, 1999), p. 23.
14
passivamente ciò che qualcun altro ha prodotto, per essere guardato da
una sola, specifica angolazione, ma può andare e venire, aprire una porta
e guardarvi dietro,esplorare il mondo virtuale e partecipare”.
Secondo la società IBM la RV è “un’interfaccia uomo-computer che
consente all’utente di sperimentare un ambiente di sintesi interattivo e
tridimensionale. Questo mondo artificiale contiene oggetti e suoni atti a
simulare il loro corrispettivo del mondo reale. L’utente che può agire
sull’ambiente circostante Virtuale in tempo reale sprofonda in un ambiente
“reale” dal quale nasce l’esperienza per immersione”
19
.
Nicholas Negroponte asserisce che l’idea che sta alla base della Realtà
Virtuale è: ”darvi la sensazione di essere sul posto, presentando alla vista
tutto ciò che vedreste realmente e, cosa ancora più importante,
modificando la scena istantaneamente quando cambia il punto di
osservazione”.
20
In un articolo Jean-Louis Wessberg
21
evidenzia come la prerogativa del
Virtuale sia quella di essere una simulazione prodotta dalla fantasia della
mente umana, simulazione che però è operativa giacchè autonoma e
separata dalla mente che l’ ha generata e dallo stesso modello/oggetto
che simula. Per questo può essere attivata da altri, in un’ulteriore
combinazione “attiva/trasformativa”.
19
Ibi., p. 24.
20
Negroponte, N. Essere digitali, op.cit., p.118.
21
Wessberg, J.L. (1992), Réel et virtuel, in “Futur antérieur”, 11.
15
Lo scrittore Bernard Jolivalt
22
sottolinea che “la Realtà Virtuale è un “non-
luogo” e invita ad un viaggio verso nessuna parte”. Essa si sviluppa in un
ambiente “creato dall’interazione di un partecipante umano con il mondo
generato dal computer. Produce informazioni d’ordine visivo, auditivo,
cinestetico (inclusi i contraccolpi tattili e di sforzo) ”.
Myron Krueger,
23
altro pioniere della RV, la intende come strumento di
riappropriazione di quelle facoltà sensoriali che sono sacrificate al potere
della rappresentazione audiovisuale.
Fra i teorici, Derrick de Kerckhove la considera importante per processi
collettivi di conoscenza, nonché via d’uscita dalla prigionia dell’alfabeto
occidentale e test della Realtà “reale”.
Philippe Quéau vi vede un universo intermediario fra il mondo delle idee e
quello della materia, una grande risorsa in numerosi campi d’applicazione
e, dal punto di vista cognitivo, la possibilità di attuare potenzialità psico-
percettive inusitate.
Tomàs Maldonado pur individuando nella RV gli estremi per uno
straniamento reale, tuttavia riconosce in essa un indubbio valore
conoscitivo e notevoli opportunità d’impiego.
Elémire Zolla la ritiene un mezzo per espandere la coscienza, per accedere
ad una visione allargata dell’universo.
22
Jolivalt, B. La realtà virtuale, op.cit., p. 7.
23
Cappucci, P. L. Il sogno del virtuale, in Rheingold, H. (1992), Virtual reality, (tr.it., La realtà
virtuale, Baskerville, Bologna 1993), pp. 531-534.