6
Tale tema ha suscitato negli ultimi anni grande attenzione da
parte dell’opinione pubblica e dei mezzi di informazione. Di
omosessualità si parla non di rado in termini corretti, o
quantomeno informati, nei talk show televisivi, nei varietà in
prima serata, in pubblici dibattiti. In alcuni ambienti giovanili,
nel mondo delle discoteche e dello spettacolo, alcuni aspetti della
cultura gay sono entrati a far parte di modelli e gerghi condivisi e
considerati alla moda e quindi di tendenza, segno che parte di
quei pregiudizi, di quei luoghi comuni, di quelle chiusure
mentali, insomma, di quelle stereotipizzazioni del fenomeno,
sono state superate.
Tuttavia la condizione delle persone omosessuali in Italia è
ancora fonte di pregiudizi e diffuse discriminazioni sociali che
mettono a dura prova la possibilità di un’effettiva esplicazione
dei propri diritti di cittadinanza da parte di una componente della
popolazione che, secondo i dati forniti dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, supera il 5% della popolazione.
Le sfide che incontrano le persone omosessuali in questa società
sono molteplici: crescono in un contesto che ha insegnato loro
che rappresentano l’insulto più pronunciato ma anche il più
temibile.
Le persone omosessuali non sono una categoria omogenea e sono
molto diversi i percorsi, le storie di ciascuno nel confrontarsi con
l’ambiente esterno.
Per tali motivi, in questo mio lavoro, ho “osato” raccontare chi
sono gli omosessuali oggi, ma anche chi erano gli omosessuali
7
“ieri”, come vivevano, come vivono oggi e verso quale futuro si
muovono. Tutto questo, analizzando, volta per volta, non solo il
vissuto psicologico interiore che in una realtà così “intima” non
deve mai essere tralasciato, ma contemporaneamente guardando
anche al fenomeno con gli occhi della società di ieri, di oggi, e
provando talvolta a immaginare quella di domani.
Differentemente dal passato, in cui sembrava di poterli
“catturare” tutti in una sola definizione, oggi se ne parla per
sottolineare l’impossibilità di ridurre la loro esistenza nella
“solita” rappresentazione sociale.
Vengono definiti gay quando si vuole uniformarli, omosessuali
quando si cerca di rispettarli, ma per tutti rimangono quel popolo
molto colorato e spesso troppo appariscente che sfila una volta
l’anno nelle parate dei “Gay Pride”.
Ma quanto c’è in tale visione, di realistico e quanto di
pregiudizievole o, almeno, di preformato?
È proprio sull’origine delle rappresentazioni sociali e sul loro
sviluppo che verte la prima parte del Primo capitolo.
Successivamente, ho cercato di verificare quanto le
rappresentazioni sociali rappresentino la realtà effettiva e quanto
una realtà di comodo, trattando proprio dell’omosessualità come
fenomeno societario.
Nel Secondo capitolo è stato ho dato ampio spazio alla storia
attraverso un excursus che abbraccia tutte le epoche e si sposta in
vari luoghi. In questo modo, ricordando i roghi dei sodomiti, le
condanne dei pederasta, la persecuzione dei “triangoli rosa”,
8
sono arrivata a parlare dei Gay Pride e di come oggi, questo
fenomeno, faccia parte del nostro “pane quotidiano”, grazie ai
mass-media.
Nel Terzo capitolo ho voluto soffermarmi sulla dimensione
psicologica dell’argomento riflettendo su come siano svariati i
modi di vivere la propria omosessualità dando giustamente
credito a quanti affermano che gli omosessuali hanno in comune
tra loro solo la scelta del medesimo oggetto d’amore.
Nel Quarto capitolo invece, dopo la dimensione psicologica,
sono passata agli aspetti sociali del fenomeno; come cioè,
l’omosessualità è vissuta a partire dalla famiglia, dalla rete
amicale, passando per l’ambito lavorativo, fino al dibattito sulle
unioni civili e le adozioni.
La ricerca che ho svolto in prima persona, e che presta il titolo
alla mia tesi, è riassunta e presentata nel capitolo conclusivo
attraverso un’ampia e dettagliata esposizione delle modalità in
cui la ricerca stessa è stata condotta e dei risultati che ha
prodotto.
9
I CAPITOLO
LA RAPPRESENTAZIONE SOCIALE E
L’OMOSESSUALITA’
1.1 Cos’è la Rappresentazione Sociale
" La rappresentazione sociale di un fenomeno è la costruzione di
un legame tra le immagini collettive di quel fenomeno, i giudizi
(o il giudizio) e i valori che a quelle immagini sono associati.
Le rappresentazioni sociali costituiscono una realtà sociale sui
generis; esse sono entità sociali dotate di vita propria. Circolano,
si fondono, si attraggono e si respingono l'un l'altra".1
E’ con queste parole che Serge Moscovici definisce, nel 1984 le
rappresentazioni sociali (RS).
Una rappresentazione sociale è una specifica visione che un
determinato gruppo di individui ha di un dato oggetto sociale ed
è influenzata dalla dimensione storica, culturale e sociale in cui
vive il gruppo stesso; ogni società possiede una propria visione
del mondo, per cui l’appartenenza ad un gruppo piuttosto che ad
un altro diventa principio di verità e di realtà; la
Rappresentazione Sociale è dunque un’interpretazione della
realtà: ciò con cui gli individui si rapportano è ciò che è stato da
loro interpretato e a cui è stato attribuito un significato in base al
proprio bagaglio di esperienze e alla propria cultura di
riferimento.
1
Moscovici S. , The Phenomenon of Social Representations, in Farr R.M. and Moscovici S.
(edited), Social Representations, Cambridge University Press, Cambridge, 1984.
10
Possiamo affermare che le Rappresentazioni Sociali rendono
interpretabili e riconoscibili gli oggetti sociali sconosciuti e i
nuovi blocchi di conoscenza estranei alla società d’appartenenza,
trasformandoli e riconducendoli nel tessuto di significati della
vita quotidiana. Si ricodifica dunque, il non familiare nel nostro
universo di significati, facendo quadrare l’”estraneo” in una
categoria conosciuta.
Esse sono generate contemporaneamente dagli individui
dominati dai propri vissuti e dalla propria storia, dal sistema
sociale e culturale in cui questi sono inseriti, e infine, dalla natura
dei rapporti che le persone creano con il sistema stesso in una
relazione di reciproca influenza.
La Rappresentazione Sociale svolge una funzione guida riguardo
ai comportamenti che l’individuo adotta nei confronti di uno
specifico fenomeno sociale, perché racchiude dentro di sè il
valore che ognuno, condizionato dall’appartenenza ad un gruppo,
dà al fenomeno determinandone l’atteggiamento. Il gruppo, a sua
volta, grazie alle Rappresentazioni Sociali condivise, difende la
propria esistenza alimentando tipici atteggiamenti e specifiche
teorie della realtà che comportano una differenziazione dagli altri
gruppi garantendo così la propria unicità.
11
1.2. Nascita e sviluppo della Teoria delle
Rappresentazioni Sociali
Intorno alla metà del secolo scorso iniziava a manifestarsi,
soprattutto in Europa una crescente insofferenza nei confronti
dell’involuzione che soprattutto la psicologia sociale statunitense
stava vivendo a partire dagli anni ’50-’60, sotto la spinta del
comportamentismo2, del sempre più dominante paradigma
“personologico” (alla perenne ricerca dei “tratti di personalità”
capaci di spiegare le “differenze inter-individuali”) e,
successivamente, del “cognitivismo riduzionista”3 basato sulla
metafora dello HUMAN INFORMATION PROCESS (HIP)
prodotto dalla “rivoluzione cognitiva” degli anni ’70.
In contrapposizione a questo tipo di psicologia, Moscovici fonda
la sua teoria delle Rappresentazioni Sociali, ricollegandosi da un
lato alla tradizione sociologica francese di Durkheim, e dall’altro
all’interazionismo simbolico.
In primo luogo, Durkheim4, già a partire dal 1898, aveva parlato
di “rappresentazioni collettive” definendole come “trama” della
vita sociale, che “scaturisce dalle relazioni tra gli individui […] o
2
Il comportamentismo (o Behaviourismo) è un approccio alla psicologia, sviluppato da
John Watson agli inizi del Novecento, basato sulla considerazione che il comportamento
esplicito è l'unica unità di analisi scientificamente studiabile della psicologia. La mente
viene quindi considerata una sorta di black box, una scatola nera il cui funzionamento
interno è inconoscibile e, per certi aspetti, irrilevante: quello che importa veramente per i
comportamentisti è giungere ad un'approfondita comprensione empirica e sperimentale
delle relazioni tra certi tipi di stimoli (ambientali) e certi tipi di risposte (comportamentali)
3
Il Cognitivismo nasce con Jerome Bruner verso la fine degli anni ’50; studia il
funzionamento della mente, terzo elemento autonomo tra il comportamento e l'attività
cerebrale (puramente neurofisiologica). L'operatività della mente è assimilata a quella di un
software che processa di continuo informazioni (input) provenienti dall'esterno producendo
informazioni (output) che si traducono in rappresentazioni delle conoscenze dotate di
significato, tra loro organizzate in reti proposizionali e cognitive.
4
E. Durkheim, 1898,Rapresèntations individuelles et reprèsentantions collectives.
12
tra i gruppi […] che si interpongono tra l’individuo e la società
totale”5.
Il termine rappresentazione collettiva, nasce in opposizione a
quello di rappresentazione individuale, in uso alla psicologia, per
spiegare i fenomeni sociali. Queste rappresentazioni, rilevate
nelle società arcaiche e primitive, sono un insieme di conoscenze
statiche, che condivise omogeneamente da tutti i gruppi presenti,
ne uniformano i pensieri.
Moscovici, rielaborando tale costrutto, pur riconoscendo il suo
debito verso Durkheim, ne prende le distanze, rifiutando il
carattere di stabilità e staticità, e mostrando come queste
rappresentazioni collettive fossero adatte a società primitive,
semplici e omogenee (le definisce infatti “entità… irriducibili ad
ogni analisi ulteriore”6), ma assolutamente inadeguate a
descrivere le società moderne instabili e dinamiche. Infatti, a
differenza delle Rappresentazioni Collettive che sono condivise
omogeneamente da tutta la società e date staticamente a priori, le
Rappresentazioni Sociali riflettono il carattere di complessità e
dinamicità della nostra società odierna per la loro pluralità e
diversità all’interno di un gruppo.
In secondo luogo, l’interazionismo simbolico ha come punto
centrale e nevralgico, lo studio delle modalità di sviluppo dell'
individuo anche a livello sociale, nella sua partecipazione alla
vita di gruppo. Secondo tale prospettiva, la forma che
l'interazione assume emerge dalla particolare situazione
5
Durkheim, E. (1898), L’individualisme et les intellectuels in “Revue Blue”, X
6
Moscovici, 1984
13
contingente; tali influenze gli permettono, così, di riportare
l’ambito dei contenuti dei processi mentali – i significati – al
centro degli stessi processi considerati, in quanto “ciò che le
persone pensano determina il modo in cui lo pensano”7.
E’ in questa ottica che nel 1961, in un periodo ricco di eventi per
la psicologia sociale ma povero dal punto di vista teoretico, Serge
Moscovici ha pubblicato un lavoro che, sotto il titolo di La
psychanalise, son image, son public, era in realtà assai più di una
semplice ricerca sulla diffusione delle idee psicanalitiche nella
società francese dell’epoca; unico tentativo sistematico e globale
esistente tutt’ oggi. È qui che prende corpo la nozione di
rappresentazioni sociali, come sistemi di idee, “sistemi
cognitivi”, “teorie di conoscenza” costruiti nell’interazione
sociale quotidiana8.
Egli considera la rappresentazione sociale come “il prodotto e il
processo di un’attività mentale tramite la quale un individuo o
un gruppo di individui ricostituisce il reale che gli sta davanti e
gli attribuisce un significato specifico” (Moscovici, 1961).
La rappresentazione è definita, quindi, come una forma di sapere
pratico che lega un soggetto ad un oggetto.
Per la ricerca serviva uno strumento concettuale capace di
esprimere l’interscambio tra livello individuale e livello
collettivo in termini teoricamente più forti e in modo meno
frammentario di quanto non facessero costrutti quali quelli di
“opinione”, o di “atteggiamento” e simili. Questo strumento
7
Moscovici S.(a cura di) ,1984, Rappresentazioni Sociali
8
Moscovici 1982; 1984; 1986
14
doveva essere in grado di dar conto delle proprietà dell’oggetto
studiato, dell’elaborazione operata dal sistema di percezioni e
dall’attività cognitiva dei soggetti. Poiché questi soggetti vivono
in un mondo di relazioni e di comunicazioni sociali che
contribuiscono a formarne le opinioni, gli atteggiamenti, le
conoscenze (le idee in senso lato), occorreva che lo strumento
fosse capace sia di dar conto della rielaborazione cognitivo-
sociale, (di quanto proviene dal mondo ideologico, professionale
ecc…) sia di aiutare a comprendere le caratteristiche di quei
nuclei di idee che, formatisi nella comunicazione tra le persone,
agiscono nella società contemporanea.
Le rappresentazioni sociali che gli individui elaborano,
dipendono dalle pratiche del rispettivo gruppo di riferimento e
dai loro valori; il che comporta che il processo di
rappresentazione non si svolga nel vuoto sociale.
Quando una teoria si trasforma nella sua rappresentazione, tale
passaggio si struttura tramite due funzioni: la selezione da parte
del soggetto di informazioni che ricava dal contesto e la
concretizzazione di queste ultime. Da questo Moscovici desume
che la rappresentazione sociale è di ordine cognitivo: essa infatti
articola le informazioni sull’oggetto della rappresentazione e gli
atteggiamenti del soggetto riguardo ad esso.
“...Ma la nozione di rappresentazione sociale supera il ristretto
ambito cognitivista nel senso che non è soltanto un filtro
interpretativo, ma un’attività molto più complessa di
ristrutturazione completa della realtà, in cui le dimensioni
15
psicologiche, sociali e ideologiche hanno un ruolo
determinante.”9
La rappresentazione sociale investe una triplice dimensione: il
soggetto pensante, l’oggetto della rappresentazione (oggetto
pensato) e l’ambiente sociale in cui s’inscrive il soggetto e
all’interno del quale s’instaurano le relazioni soggetto/oggetto. In
altre parole, la rappresentazione dipende dai meccanismi
cognitivi, dalle caratteristiche individuali del soggetto e dalla
realtà sociale.
Il soggetto svolge un ruolo attivo e riproduce o ricostruisce la
realtà partendo da procedure e posizioni che gli sono proprie.
La rappresentazione sociale è in tal senso un’elaborazione
cognitiva che reca l’impronta dell’individuo che la fa propria: un
atto di ricostruzione della realtà, che permette un apporto
creativo.
Ma se è certo che la rappresentazione dipende da meccanismi
cognitivi individuali, è altrettanto certo che l’individuo “isolato
cognitivamente” non esiste. L’individuo è inevitabilmente
immerso nella sfera sociale, in un ambiente collettivo all’interno
del quale apporta contributi specifici.
Le rappresentazioni sociali non sono le stesse in tutti i gruppi
sociali ma all’interno di ogni gruppo godono di un consenso
generale, o, per dirla con le parole di Moscovici: “si è d’accordo
sulle cose più di quanto non lo si dimostri”10. Il consenso, infatti
rappresenta un’adesione collettiva a valori, norme reali o
9
S. Moscovici , 1961, La psychanalise, son image, son public
10
Ibidem
16
implicite, e contribuisce a stabilire e a rafforzare il legame
sociale tra i membri di un gruppo. In tal modo le rappresentazioni
sociali nascono nella collettività e dalla collettività creando
forme di solidarietà.
In altre parole la rappresentazione è sociale quando l’oggetto
della rappresentazione è abbastanza importante da portare il
gruppo sociale a concretizzarlo attraverso giudizi e opinioni.
Durkheim pose tali rappresentazioni sociali all’interno della sua
teoria, contribuendo ad un capitolo importante della sociologia
della conoscenza: a proposito delle categorie conoscitive, gli
strumenti mentali attraverso cui gli uomini conoscono, egli si
pose come terzo rispetto agli aprioristi che sostenevano che le
categorie sono date all’uomo prima dell’esperienza empirica, e
rispetto agli empiristi i quali, al contrario, fanno derivare le
categorie dall’esperienza sensibile. Secondo il sociologo francese
invece, le categorie sono sì vincolanti per l’individuo, ma hanno
origine sociale, tanto che variano da società a società: sono le
rappresentazioni collettive, che comprendono tutte le forme
intellettuali come la religione, la morale, il diritto, la scienza e
così via. Tali fenomeni non possono essere studiati dalla
psicologia, ma dalla sociologia, così come dettava la separazione
indicata da Wundt11 fra la psicologia individuale e quella sociale
(Volkerpsychologie).
11
La fondazione della Psicologia Scientifica Contemporanea (P.S.C.) viene fatta risalire al
1878 allorchè Wundt , a Lipsia, istituì un laboratorio di psicologia sperimentale. Egli infatti
configurava la psicologia come una “scienza di laboratorio”, con specifici problemi e
metodi sperimentali, assai diversi da quelli della tradizionale psicologia di derivazione
filosofica (connessi generalmente a speculazioni astratte).
Il testo che ha fondato scientificamente questa disciplina è Psicologia fisiologica ,1874.
17
Le rappresentazioni sociali sono l’elaborazione di un oggetto
sociale da parte di una comunità; tale elaborazione permette ai
suoi membri di comportarsi e di comunicare in modo
comprensibile: non sono semplicemente “opinioni su…”,
“immagini di…” o “atteggiamenti nei confronti di…”, ma teorie
o branche di conoscenze vere e proprie, utili per la scoperta e
l’organizzazione della realtà.
Dal momento che “trattano” un evento singolare o materiale
simbolico già esistente, le rappresentazioni sociali sono prima di
tutto nodi di ri-costruzione sociale della realtà. Si parla di ri-
costruzione e non di costruzione della realtà sociale, come
sostengono Berger e Luckmann12, perché per elaborare una
rappresentazione sociale, si parte sempre da un fenomeno
percepito come rilevante o da una struttura materiale o
intellettuale già esistente.
La teoria delle Rappresentazioni Sociali di Moscovici ha come
fine ultimo quello di superare la dicotomia tra individuo
totalmente autonomo da un lato e la società trascendente
dall’altro; tra razionalità delle cognizioni individuali da un lato, e
l’eventuale irrazionalità delle credenze collettive dall’altro.
La P.S.C. è nata per stabilire il rapporto tra uno stimolo fisico e l’impressione psichica
sensoriale che se ne riceve. Questo rapporto può essere verificato non sono
sperimentalmente (in laboratorio), ma anche nisurato e formulato addirittura
matematicamente.
12
Berger, Luckmann, 1976, La realtà come costruzione sociale.
18
1.3. I processi di formazione della Rappresentazione
Sociale
Le Rappresentazioni Sociali possiedono una struttura gerarchica
nella quale è possibile individuare un nucleo gerarchico13 ed una
periferia(o nucleo periferico14) dinamica.
Il Nucleo Centrale costituisce l’elemento più stabile delle
Rappresentazioni garantendone la durata.
Esso svolge due funzioni: una creativa e l’altra organizzativa.
Con la prima vi è un cambiamento o un’acquisizione, mentre con
la seconda vi è una stabilità e una coerenza interna alla struttura.
Il sistema perifericoè invece, quello che si organizza intorno al
Nucleo Centrale e che costituisce la parte essenziale e più
accessibile delle Rappresentazioni. Il sistema periferico permette
ad ogni individuo di integrare nelle Rappresentazioni Sociali
delle variazioni individuali, senza cambiare il significato centrale
facendo adattare i soggetti a situazioni differenti.
I processi fondamentali delle Rappresentazioni Sociali sono
l’ancoraggio e l’oggettivazione. Tra i due processi vi è una
stretta relazione; l’ancoraggio è visto come un prolungamento
dell’oggettivazione.
13
Nella definizione di Abric,2000, il nucleo centrale è definito così: “The central core is
determinated by the nature of object represented, by the type of relations that gruop
maintains with this object, and, finally, also by the system of values and social normas that
constitutes the ideological environmental of he moment and of the group..”
14
Nella definizione di Abric , 2000, il sistema periferico è così definito: “Around the
central core, peripheral elements are organized. They constitute the essence of the context
of the representation: its most accessible part, but also the most lively and concrete. They
respond to three primordial functions- concretization, adaptation, and defense”.
19
Essi conferiscono un carattere processuale alla rappresentazione,
permettendo una maggiore interpretazione dell’oggetto,
attribuendo ad esso un certo grado di realismo e una specifica
funzionalità e suscitando nuovi sistemi di interpretazione del
sociale.
Questi due processi trasformano le informazioni, che circolano
attraverso la comunicazione di massa e gli scambi interpersonali,
e le rendono intelligibili e familiari agli individui. La
trasformazione in questione può però assumere forme diverse, in
base al gruppo in cui l’informazione è diffusa, dando così origine
a differenti risultati. Gli individui, per analizzare aspetti non
familiari, fanno riferimento a regole normative basate su idee,
valori e credenze del proprio gruppo, e ciò evidenzia il carattere
sociale di questi processi.
In particolare, l’ancoraggio permette agli oggetti e agli eventi
considerati “estranei” e poveri di significato nella realtà
quotidiana, sono integrati nel nostro sistema di categorie.
Questo insieme di credenze, norme, valori caratteristici di una
società, agisce da “principio organizzatore” del pensiero, che
condiziona e regola l’assunzione di un atteggiamento nei
confronti dell’oggetto piuttosto che un altro, e influenza il modo
di interpretare la realtà, dando origine ad una rappresentazione
piuttosto che un’altra.
Il processo di oggettivazione, invece, permette alla realtà
percepibile, concreta e figurata di entrare nei concetti e nei
fenomeni che non sono familiari.