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suoi cittadini non è andata di pari passo, generando una frattura tra
costruzione comunitaria ed opinione pubblica. Sono infatti numerosi i
cittadini che, interpellati dai sondaggi periodici di Eurobarometro (lo
strumento di rilevazione dell’opinione pubblica nell’Unione), affermano di
conoscere poco l’UE e di sentirsi poco o per nulla influenti all’interno dei
suoi processi decisionali. Il no referendario franco-olandese del 2005 alla
ratifica della Costituzione e la recente (giugno 2008) bocciatura irlandese
del trattato di Lisbona, oltre ad aver segnato l’impasse del processo di
rilancio europeo, sono l’evidente spia di un diffuso sentimento di disagio
serpeggiante anche in alcuni degli stati fondatori. Il clima d’opinione,
attualmente, appare quindi sfavorevole nei confronti dell’Unione, dopo
essere stato ampiamente positivo fino agli inizi degli anni ’90. Tale
orientamento è consolidato inoltre dai dati sull’affluenza alle urne: un
costante calo di partecipazione si è registrato nelle ultime tornate per
l’elezione dei rappresentanti europei. Pur avendo incrementato negli ultimi
anni la mole di informazione diretta alla popolazione, l’Unione pare essersi
troppo concentrata sulla spiegazione delle proprie attività, a discapito
dell’ascolto delle richieste e delle proposte provenienti “dal basso”. Alcune
pratiche di consultazione sono divenute uno standard (l’elezione del
Parlamento di Strasburgo avviene con regolarità quinquennale a partire dal
1979 ad esempio), ma sono rimaste comunque confinate a specifiche
iniziative politiche, dando ai cittadini l’impressione dell’inaccessibilità e della
limitatezza dei canali che permettono la partecipazione. Ma una corretta
democrazia prevede che la popolazione sappia cosa stia succedendo e
possa parteciparvi attivamente: in questo senso, il “deficit partecipativo” che
accompagna gli sviluppi istituzionali europei è anche attribuibile ad un
“deficit d’informazione”, fattore che pone in evidenza l’argomento centrale di
questo lavoro, ossia il delicato ruolo svolto dai media (la televisione in
particolar modo) nella creazione di una sfera pubblica comunitaria.
La fondamentale rilevanza del sistema mediatico nella nostra società non
rappresenta certo una novità: i mezzi di comunicazione di massa
costituiscono per la stragrande maggioranza dei cittadini la fonte principale
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d’informazione, il veicolo tramite il quale formarsi un’opinione. E ciò è
ancora più vero per quegli aspetti del mondo non direttamente
sperimentabili: la realtà che impariamo a conoscere è, quindi, per ampie
porzioni “mediata” dal sistema giornalistico. Lo stesso sociologo Denis
McQuail sottolinea come “pochi di noi possono ricordare un caso in cui si
sono formati un’opinione o hanno ottenuto un’informazione importante
senza i media” [Mini 2005, 1]. Va in oltre rilevato come questi non si limitino
a riportare delle informazioni, ma giochino un ruolo centrale nella
costruzione della realtà nell’immaginario del pubblico: il modo in cui il
messaggio viene “incorniciato”, unito ad un certo tipo di rappresentazione
del mondo, contribuisce ad influire sulle percezioni del destinatario. Walter
Lippmann, nel suo celebre Public opinion del 1922, enfatizza questo
aspetto, illustrando la necessità/inevitabilità dell’intervento dei media
nell’operazione di lettura di eventi provenienti da realtà inaccessibili ai più,
al fine di pervenire alla costruzione di “stereotipi” o frames di riferimento.
Risulta quindi fondamentale comprendere come, nel nostro caso, la
televisione rappresenti la realtà europea, perché l’immagine che ne ha il
pubblico dipende in larga misura da essa. Del suo potere si è discusso a
lungo e probabilmente si continuerà a farlo; la sua pervasività, la capacità di
associare parole ed immagini e la sua diffusione ne fanno il medium
principe del sistema dell’informazione. La piazza elettronica diviene lo
specchio della realtà, se non addirittura la realtà stessa: tramite il suo
occhio gli individui organizzano il loro sistema di conoscenze, attribuendo
maggiore priorità alle tematiche da essa più enfatizzate (il cosiddetto effetto
di agenda setting). Ciò che non appare sul piccolo schermo per molti
cittadini “non esiste”: pertanto, forte o debole che sia, l’influenza della tv non
può essere trascurata. Ciò pone il problema della coerenza tra i “fatti reali”
e la “realtà mediata”: l’evidenza che il medium televisivo abbia i propri criteri
specifici di newsmaking e le proprie peculiari esigenze narrative porta a
significativi riflessi sulla copertura delle notizie, tra cui ovviamente anche
quelle inerenti l’Unione Europea. L’occhio della tv osserva il mondo,
decidendo di quali eventi e di quali persone si debba parlare, cercando di
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fornire un prodotto appetibile e “consumabile” dagli spettatori. Essa elabora
un proprio linguaggio, che ne fa un “medium pieno”, capace cioè di
costruire eventi al proprio interno, di creare e trasmettere un proprio
contenuto (“il medium è il messaggio”, McLuhan, 1964). La tv, come tutti gli
altri mezzi di comunicazione di massa, sopperisce alla limitatezza
dell’esperienza diretta, vissuta in prima persona, proponendo la
conoscenza di un mondo mediato, in cui la maggior parte delle realtà
geografiche e socioculturali entrano nel bagaglio conoscitivo degli individui
tramite la sua fruizione. La “logica mediale” spinge il piccolo schermo alla
copertura del singolo accadimento, alla ricerca della notiziabilità
spettacolare, alla trattazione sommaria ed intermittente dei temi: la tv pare
accendere i propri riflettori sulle problematiche europee senza regolarità,
privilegiando analisi legate al breve periodo, collocando gli avvenimenti
nell’immediata quotidianità, dimostrandosi poco incline ad esplorare i
retroscena degli eventi e a tematizzarli. La dimensione comunitaria appare,
inoltre, strettamente legata a quella nazionale: spesso le tematiche sono
inquadrate in una prospettiva che fa riferimento alla situazione del singolo
paese e le notizie relative all’Unione Europea costituiscono un semplice
prolungamento e corollario di quanto avviene nello Stato membro.
Tutti questi fattori sembrano ripercuotersi sulla situazione italiana e sulla
percezione/conoscenza dei cittadini riguardo la composizione ed il
funzionamento del consesso comunitario. I dati elaborati
dall’Eurobarometro numero 68 del 2007 mostrano una netta flessione di
coloro che dicono di aver almeno sentito parlare dei vari organismi da cui è
composta l’Unione Europea. Le istituzioni più conosciute restano
Europarlamento, Commissione, Banca Centrale e Consiglio UE, con tassi di
conoscenza che arrivano all’83% nel caso del Parlamento. Sotto il 50%
invece la percentuale di intervistati che si è detta a conoscenza della Corte
di Giustizia e della Corte dei Conti. Inferiori al 30% coloro che dichiarano di
conoscere il Comitato delle Regioni, il Comitato Economico e Sociale e il
Mediatore Europeo. La limitata conoscenza diviene in molti casi ignoranza:
ad una serie di quesiti elementari circa il funzionamento delle istituzioni, gli
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italiani registrano una delle percentuali più basse di risposte corrette (32%).
Solo i britannici riescono a fare peggio, con il 30%, a fronte di una media
europea del 42%. Romania e Bulgaria, gli ultimi paesi ad aver aderito
all’Unione, e stati in via d’adesione come Croazia e Macedonia registrano
percentuali di risposte corrette superiori a quelle rilevate nel nostro Paese.
La maggior parte degli italiani non conosce, ad esempio, il numero esatto
degli Stati membri e questa lacuna appare decisamente più marcata
rispetto agli altri Paesi. Detto ciò, non stupisce che il 62% di loro dichiari di
non comprendere il funzionamento della macchina comunitaria, percentuale
in crescita rispetto al 53% della precedente rilevazione dell’Eurobarometro.
Va notato, però, come a fronte di una tale situazione il 77% degli intervistati
ritiene che i media non informino sufficientemente circa gli affari europei,
mentre solo il 18% considera adeguato il volume di notizie a loro
disposizione. Questi dati ricalcano la tendenza presente negli altri Stati,
dove è crescente l’idea che i mass media non parlino a sufficienza delle
questioni comunitarie. Sono quindi sotto accusa i mezzi di comunicazione
nazionali: una porzione importante degli italiani intervistati (59%) ritiene che
televisione e radio non coprano a sufficienza le tematiche europee. Ad una
richiesta di maggiore informazione si associa inoltre l’esigenza di una
maggiore obiettività da parte dei media quando affrontano questioni
comunitarie: cresce il dato di coloro che ritengono televisione, stampa e
radio non abbastanza neutrali nei loro resoconti. Un tale panorama, in cui
deficit informativo e deficit di partecipazione vanno di pari passo e
sembrano l’uno la causa dell’altro, non può che avere ricadute sulla fiducia
che gli italiani nutrono nei confronti dell’Unione: il malcontento generale
verso la politica colpisce anche l’Europa, il cui funzionamento democratico
registra un calo di approvazione al 48%, accompagnato da una quota
crescente di critici che si attesta al 38% degli intervistati.
Consapevole di tale situazione, la Commissione Europea ha cominciato ad
interrogarsi sulle modalità e sulle prospettive della promozione dell’azione
comunitaria: risale infatti al febbraio 2006 la promulgazione del “libro
bianco” sulla politica di comunicazione UE. Margot Wallstrom, attuale
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vicepresidente della Commissione, ha dichiarato: "La comunicazione è
anzitutto e soprattutto una questione di democrazia: i cittadini hanno il diritto
di sapere quello che fa l'Unione e perché. E hanno il diritto di partecipare
pienamente al progetto europeo. L'Unione si è sviluppata come un progetto
politico, ma non ha trovato un posto nei cuori e nelle menti dei cittadini. Il
libro bianco è la proposta della Commissione per affrontare tale sfida e
porre le basi di una politica di comunicazione dell'Unione Europea". Il
progetto propone cinque settori d’azione: definizione di principi comuni per
le autorità di comunicazione su tematiche comunitarie, coinvolgimento dei
cittadini, comprensione dell'opinione pubblica, cooperazione, collaborazione
con i media e ricorso a nuove tecnologie.
A questo proposito, l’UE ha messo in campo anche un progetto di tv
europea, al fine di promuovere un’immagine di sé più popolare e per
cercare di risolvere i problemi di carenza informativa sopra menzionati: un
progetto di consorzio di reti nazionali, finanziato con un primo investimento
di 40 milioni di euro, per promuovere una nuova strategia di comunicazione:
un’Europa meno burocratica, che fornisca informazioni capillari sull’attività
delle sue istituzioni e che sottolinei le decisioni che favoriscono i cittadini
nelle loro azioni quotidiane. L’idea nasce in seguito ad alcune rilevazioni
demoscopiche che hanno ribadito la percezione di lontananza dell’Unione
rispetto alle routine giornaliere dei suoi cittadini. Ma questa è decisamente
un’altra questione, progettuale e lontana dallo scopo di questo lavoro, che
si pone, piuttosto, di verificare quanto e in che modo i telespettatori italiani
siano messi al corrente delle questioni comunitarie e come queste vengano
costruite tramite il processo di newsmaking televisivo. La notizia è infatti un
prodotto, una realizzazione compiuta dall’uomo: non tutto ciò che accade è
notizia e ciò che lo è avviene secondo un determinato processo che
comprende le influenze del sistema di produzione culturale e del processo
tecnico sottostante alla produzione dell’informazione. I telegiornali, in
particolar modo, sono il luogo principe dove avvengono tali processi,
nonché per numerosi italiani la principale (se non addirittura la sola) finestra
sul mondo. Indagare quindi come questi rappresentino l’Unione Europea
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risulta cruciale circa l’immagine che la popolazione ha di essa. Tramite
questo lavoro cercheremo quindi di capire se l’impreparazione dei cittadini
riguardo ai temi comunitari sia effettivamente imputabile ad una copertura
non soddisfacente da parte dell’informazione televisiva. Spingendoci più in
là con l’analisi, prenderemo poi in considerazione anche alcuni spetti meno
quantitativi, che risulteranno utili per comprendere meglio il profilo mediatico
del consesso europeo.
Lo scritto che ci accingiamo a prendere in considerazione si compone di tre
parti: la prima si propone di fornire uno sguardo d’insieme sulle notizie
inerenti l’Unione che sono state oggetto d’attenzione durante il periodo
settembre-novembre 2008. Verranno pertanto analizzati aspetti quali lo
spazio ad esse dedicate, le tipologie di temi affrontati e i soggetti
protagonisti della narrazione. Nella seconda ci concentreremo su alcuni
eventi particolarmente salienti che hanno interessato la rappresentazione
televisiva dell’azione comunitaria. Nella terza, infine, si avrà una breve
panoramica relativa agli argomenti trascurati e a quelli oggetto di un
interesse “mordi e fuggi”.
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1. L’Unione Europea nei telegiornali: quanto, chi e come.
Uno sguardo d’insieme
Questo capitolo mira a fornire una panoramica generale riguardo la visibilità
dell’Unione Europea nei telegiornali analizzati, nonché ad indagare le
modalità attraverso cui le sue vicende vengono narrate. I dati che sono qui
presentati delineano quindi una prima “immagine” dell’Europa comunitaria,
così come questa traspare dal mezzo televisivo. Se, in prima istanza, è
fondamentale capire quanta attenzione questo argomento riceve,
successivamente risulta determinante comprendere anche come viene
costruito il discorso intorno ad esso. La scelta delle notizie e le cornici di
senso tramite cui sono costruite, i soggetti al centro dell’attenzione e le
eventuali differenze tra le testate giornalistiche nel trattare l’argomento
costituiscono un buon punto di partenza per dare uno sguardo d’insieme
all’oggetto di questo lavoro.
1.1 Lo spazio dedicato alle notizie europee nel trimestre di
analisi
Il primo dato fondamentale riguarda l’attenzione complessiva dedicata alle
tematiche comunitarie durante il periodo di analisi. Come spiegato
nell’allegato metodologico, il campione è costituito dalle edizioni principali
dei telegiornali di nove emittenti (Rai, Mediaset, La7, Sky Tg24 e Rai News
24). Le due edizioni principali giornaliere di ogni rete sono state analizzate
per un arco di tre mesi (novantuno giorni), ottenendo così una base di 1638
notiziari. Il dato che balza all’occhio è significativo: su un totale di 819 ore di
programmazione considerate, le notizie che coinvolgono l’Unione Europea
(sia centralmente, sia marginalmente) occupano uno spazio risibile, pari a
45 ore 44 minuti e 18 secondi, corrispondente al 5,5% del tempo totale.
Una prima certezza è quindi data dal fatto che l’argomento non sembra
trovare grande spazio all’interno dell’informazione. Inoltre va ricordato come
spesso l’UE o i suoi rappresentanti, anche se menzionati nella notizia, non
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costituiscano il soggetto principale della stessa: capita molto
frequentemente che il servizio sia incentrato su altre tematiche e che i
soggetti comunitari vengano chiamati in causa marginalmente, a corollario
dell’evento descritto. L’Europa diviene in questo caso una sorta di
prolungamento del discorso giornalistico e inevitabilmente perde forza
all’interno dello stesso. Viene così ulteriormente svilito il dato relativo alla
sua notiziabilità, poiché si riduce ulteriormente ed in modo drastico
l’attenzione per i temi “puramente” comunitari, ossia quelli interamente
incentrati sull’azione dei suoi organismi e dei suoi rappresentanti.
Grafico 1 Spazio complessivo dedicato all’Unione Europea
Grafico 2 Centralità dell’Unione Europea all’interno delle notizie
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L’attenzione a problematiche, temi e soggetti comunitari appare quindi
ristretta sotto tutti i punti di vista. Il dato è confermato anche dall’analisi
svolta sulle singole reti, come mostra il grafico sottostante.
Grafico 3 Centralità dell’Unione Europea per rete
Tutte, infatti, tendono a collocare l’Unione Europea in posizione marginale
all’interno della notizia, ponendola in secondo piano o come seguito
dell’evento principale. Un’attenzione che si rivela spesso superficiale e non
legata alla volontà di informare esaustivamente il pubblico riguardo i fatti e
le decisioni comunitarie. Il 60-70% circa del tempo dedicato all’UE da
ciascuna testata giornalistica (ad eccezione di Sky Tg24 e Rai News 24,
che registrano un perfetto equilibrio) rientra in questa tipologia, che relega
le questioni inerenti il consesso europeo ad un ruolo secondario all’interno
degli avvenimenti analizzati. In particolar modo Rai Due e Canale 5 portano
agli estremi questa tendenza generale: nel primo caso, circa i due terzi
delle notizie che chiamano in causa l’UE lo fanno da una prospettiva
secondaria, mentre nel secondo il dato cresce addirittura a tre quarti.
Questo aspetto risulta significativo per comprendere l’orientamento di fondo
che regola l’approccio televisivo nei confronti delle vicende comunitarie, che