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INTRODUZIONE
La presente tesi ripercorre la storia della rappresentazione cinematografica del
Risorgimento, seguendo gli intrecci con il contesto politico e culturale italiano.
L‟elaborato sviluppa il discorso intorno alla messa in scena risorgimentale, in
rapporto alle dinamiche storiche e sociali, secondo le differenti percezioni e
interpretazioni, che si sono succedute del Risorgimento. Attraverso la lente
cinematografica, si ripercorre infatti la storia del cinema a tema risorgimentale, a
partire dal 1905 fino al 2010, indagando le diverse versioni che i film
ripropongono del Risorgimento a seconda del contesto di produzione,
distinguendo convenzionalmente il periodo giolittiano, il periodo fascista, il
Dopoguerra, gli anni Sessanta, fino ai nostri giorni. La tematica risorgimentale
resta costante sin dalle origini del cinema italiano, tra picchi produttivi e numeri
più esigui di titoli, prestandosi di volta in volta alle diverse esigenze ideologiche
delle forze governative. Il Risorgimento, infatti, accumula nel corso dei decenni,
lungo 150 anni di Storia, cliché e luoghi comuni, divenendo spesso la proiezione
di problemi politici e sociali dei contesti temporali successivi, aggiornandosi
sempre ai mutamenti e alle ideologie posteriori. In riferimento alla filmografia
risorgimentale, si può rilevare un‟ampia varietà di analisi per quanto riguarda la
messa in scena e gli argomenti trattati, soprattutto in relazione ai cambiamenti di
interpretazione del Risorgimento e dei suoi protagonisti, legati al concetto di
patria e di nazione. In generale, il Risorgimento è stato strumentalizzato già a
partire dall‟Ottocento, come forma di divulgazione ideologica, secondo una
retorica patriottarda e nazionalista. Si tratta di un duraturo conformismo, del quale
la tradizione ha per decenni esaltato le imprese leggendarie, assoldate ben presto
come inattaccabili e sacre. Oggi il Risorgimento non viene più considerato come
un fenomeno esaustivo e totalmente positivo, ma viene rivisitato nelle sue
problematiche sociali, culturali, politiche ed economiche, fornendo una visione di
insieme più critica ed analitica, che mette in discussione quell‟immagine solida di
periodo epico e di fondazione mitologica della nazione.
Fin dalle origini, il cinema italiano si è occupato del Risorgimento, anche se
spesso ha dimostrato di essere in ritardo riguardo una visione più critica dei fatti
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storici ufficiali, per cui sono stati rari i lavori di approfondimento, molto più
numerosi invece i film di ambientazione risorgimentale o che comunque
proponessero una versione episodica ufficiale. Del Risorgimento, inoltre ci si è
serviti in termini propagandistici e patriottici, in chiave melodrammatica: infatti
molte delle opere realizzate sono state tratte da testi letterari, che hanno risentito
del clima romantico, fortemente ispirato a valori come il sacrificio per la patria, la
libertà dallo straniero, le speranze dei patrioti. Si è trattato nella maggior parte dei
casi di lavori caratterizzati da un eccesso di retorica celebrativa, rendendo
necessaria una contestualizzazione con il clima storico e politico. Durante il
periodo giolittiano, domina una visione deamicisiana e celebrativa delle gesta
ottocentesche; mentre si segnala l‟utilizzo propagandistico a favore
dell‟interventismo bellico prima della Grande Guerra. Della filmografia
risorgimentale dell‟epoca del muto, si può rilevare innanzitutto la forte vocazione
propagandistica e pedagogica, di fatto i film diventano strumenti di divulgazione
di valori morali e culturali, utilizzati dalle stesse istituzioni con scopi didattici.
Il filone risorgimentale è congeniale anche alle politiche del regime fascista per la
sua portata retorica e patriottarda: l‟enfasi melodrammatica della messa in scena e
della recitazione teatrale contribuisce a diffondere l‟immagine di una nazione
“unita” e a rafforzare il legame di discendenza tra le camicie rosse garibaldine e
quelle nere di regime. Il Partito si accredita infatti come naturale discendente dei
mitici antenati, eroi dei periodi gloriosi del passato italiano, di cui Mussolini
diventa l‟impersonificazione per tutti gli italiani. Con queste intenzioni, il PNF
investe nella realizzazione di pellicole ambientate nel passato celebrativo e auto
glorificante, riscrivendo la storia ufficiale del paese. Si traccia infatti un percorso
diretto dal Regno d‟Italia alla Rivoluzione fascista, la quale risponde alla missione
di salvare la Patria dal pericolo straniero e dalle cospirazioni internazionali.
Nel Dopoguerra invece si elabora un parallelo tra Risorgimento e Resistenza, per
sfruttare un senso di appartenenza e di valori morali dopo la tragedia della guerra
e dell‟esperienza fascista. Si assiste all‟ennesima manipolazione del periodo
risorgimentale da parte dei diversi partiti di massa, che si accreditano come eredi
degli eroi ottocenteschi, confermando una visione conciliatoria e retorica.
Parallelamente alla disputa politica, consumata in previsione del Centenario del
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1960, si sviluppano interpretazioni anticonvenzionali del Risorgimento,
fortemente influenzate dagli scritti postumi di Gramsci, di cui risente anche il
cinema. Il Risorgimento viene concepito come rivoluzione tradita e mancata,
dando il via ad una produzione innovativa rispetto alla tradizione. A partire dal
Dopoguerra, il Risorgimento diviene il transfert storico per affrontare questioni
coeve, come l‟esperienza della Resistenza, fino al disincanto post sessantottino.
Risente inoltre dei mutamenti produttivi del sistema-audiovisivo, divenendo
soggetto di molti sceneggiati televisivi, perdendo, a partire dagli anni Ottanta di
interesse, riattualizzato solo in concomitanza di celebrazioni o anniversari, fino al
coevo Centocinquantenario. La storiografia più recente ha riconsiderato la
questione assai complessa e sfaccettata dell‟ “epopea” risorgimentale,
storicamente esaltata nelle sole componenti di gesta eroiche e battaglie gloriose,
tralasciando spesso elementi controversi come il brigantaggio e la questione
meridionale. In particolare, la tesi si concentra su un insieme di film, presi come
“emblematici” per il periodo storico in cui sono stati realizzati, pur riportando in
modo più o meno esaustivo, i titoli a tematica risorgimentale prodotti dal 1905 al
2010, tenendo conto di quelli che sono gli elementi ricorrenti o i motivi che
vengono a mancare in base al periodo di riferimento. La filmografia a cui si fa
riferimento nel presente lavoro riguarda: La presa di Roma per l‟epoca giolittiana,
insieme al Piccolo garibaldino; La cavalcata ardente e 1860, per il periodo
fascista; il filone più innovativo rappresentato da Senso, La pattuglia sperduta,
Camicie rosse, Il brigante di Tacca del lupo, per il decennio degli anni Cinquanta;
Viva l‟Italia e Il Gattopardo per gli anni Sessanta; Bronte:cronaca di un massacro
che i libri di scuola non raccontano, San Michele aveva un gallo e Allonsanfàn
per gli anni Settanta, le opere di Magni, E li chiamarono…briganti, fino a Noi
credevamo. Dalla varietà dei film prodotti sul Risorgimento, viene confermato il
fascino che ha esercitato sui cineasti, che lo hanno affrontato in modo didattico,
critico o di esaltazione, ribadendo la complessità di tale periodo storico.
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CAPITOLO UNO
Premesse storiche del Risorgimento
1.1 Contesto storico del Risorgimento
Il Risorgimento è uno dei periodi più controversi e contestati della Storia italiana,
sia per quanto concerne la politica, sia la storiografia. Sin da subito, inaugura un
dibattito sulla propria eredità, conteso infatti sia dalla Destra che dalla Sinistra, in
quanto soggetto a differenti interpretazioni, subordinate alle visioni ideologiche
del contesto storico. “Risorgimento” deriva da risorgere, risollevarsi: a partire
dall‟Ottocento, tale termine ha iniziato ad indicare il processo storico che portò
l‟Italia ad essere una nazione moderna. Durante l‟Ottocento, i liberali e i
democratici si richiamavano ad una retorica patriottarda per denigrare i governi
imposti dalla Restaurazione, facendo appello alla causa “nazionale”, quindi
all‟invasione straniera da cui doversi liberare. Questa retorica si è poi consolidata,
mutando in base ai contesti politici e risentendo di ideali e forme di nazionalismo,
sviluppatesi nel corso del Novecento. Con l‟Unità ottocentesca, diventano chiare
le diversità regionali, lontane dall‟immagine di compattezza auspicata dai patrioti:
una volta sconfitto il malgoverno borbonico non si arrivò alla tanto declamata
unità, di fatto la realtà postunitaria non corrispondeva alla poesia decantata dai
testi letterari. La concezione unitaria e patriottica del Risorgimento è stata poi
contestata dagli stessi fautori: i repubblicani non accettavano che la rivoluzione
avesse portato ad una monarchia e ad un parlamento rappresentato da un elite di
aristocratici. I liberali al governo, quindi, si impegnarono per restituire
un‟immagine di nazione unita, ignorando invece le continue tensioni sociali che il
processo di unificazione comportò, attraverso nuovi statuti e leggi imposti alle
diverse realtà provinciali. Il nazionalismo risorgimentale si richiamò sin da subito
al processo di unificazione, mirando ad un comune quanto glorioso passato, che il
neonato popolo italiano poteva condividere, secondo la definizione di un‟identità
linguistica e culturale uniforme. Il nazionalismo italiano durante il Risorgimento
nasce in relazione all‟esperienza di occupazione e di dominazione straniera,
affondando le proprie radici nella tradizione letteraria e artistica, legato inoltre ad
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una serie di giornali e riviste che influenzarono molto la percezione del concetto
di “nazione”. Tra i principali sostenitori del nazionalismo vi è Mazzini, di forte
matrice romantica e filosofica, nonché di derivazione religiosa: l‟Italia era stata
scelta da Dio per poter divenire una Repubblica democratica, rispettosa
dell‟uguaglianza e delle libertà individuali, i cui princìpi avrebbero poi ispirato le
altre nazioni moderne. L‟aspetto innovativo del nazionalismo mazziniano fu la
concezione romantica e ideale dei valori nazionali, inneggianti alla vitalità
giovanile e all‟attivismo rivoluzionario e sovversivo. Il momento di
attualizzazione del progetto democratico si ha nel brevissimo periodo della
Repubblica romana del 1849, che però non contrasta il declino sempre più
irrefrenabile dei democratici, per la serie numerosa dei loro insuccessi. Ciò non
impedisce la mitizzazione di alcuni episodi come le Cinque giornate di Milano, le
spedizioni di Pisacane o dei fratelli Bandiera, la conquista di Roma, la risalita dei
garibaldini per appoggiare l‟insurrezione veneziana, tutti sfruttati
cinematograficamente. Si può far risalire il sentimento di nazionalismo al
Settecento napoleonico, periodo durante il quale si ha coscienza di un senso di
appartenenza, -rafforzato dalla condivisione di simboli come la bandiera italiana-
ampiamente sentito e divulgato attraverso la stampa e le arti. Il nazionalismo
riscosse nel corso degli anni di un crescente successo, da attribuire, però, in
particolare agli ambienti urbani, animati da intellettuali, economisti e borghesi
colti, ampliando il contrasto con le realtà rurali. Inoltre l‟acceso anticlericalismo
aveva causato forti reazioni di avversione da parte della Chiesa, che gestiva il
sistema di assistenza e di educazione soprattutto nelle campagne, per cui la sua
influenza era molto potente. In realtà, il concetto stesso di “nazionalismo” è da
ricondursi a diversi gruppi sociali, mossi da aspirazioni, ideali ed interessi assai
contrastanti. All‟unificazione politica ed economica del Nord contro il dominio
austriaco, si oppone l‟unità linguistica e culturale dei romantici idealisti, alla
sovranità popolare della repubblica mazziniana si oppongono gli interessi della
Chiesa, a cui si aggiungono i monarchici, le elite aristocratiche e borghesi. Il
processo di unità rappresentò sin da subito una totale disillusione per molti che vi
avevano partecipato, dimostrando tra l‟altro di essere stato incapace di sostituire i
vecchi sistemi feudali della Resurrezione con un governo unitario e rispettoso
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delle diverse realtà regionali. Gli anni successivi all‟Unità, vedono l‟esplodere del
fenomeno del brigantaggio meridionale, di ulteriori tensioni sociali e di un diffuso
senso di delusione. Le generazioni successive però hanno guardato al
Risorgimento come ad un insieme di eventi gloriosi, che hanno portato alla
nascita di uno stato unito, anche se con il passare degli anni è stata sempre più
evidente l‟insostenibilità di tali tesi. Di conseguenza, dai primi del Novecento fino
alla Seconda Guerra Mondiale, ha dominato una visione glorificante del
Risorgimento, esaltato nei suoi aspetti romantici e ideali, simbolo di progresso e
di laicità moderna, “manipolato” a seconda dei contesti storici di riferimento.
1.2 Il revisionismo del Risorgimento
Il revisionismo del Risorgimento riprende in esame i fatti storici relativi al
processo di unificazione e le sue conseguenze, concentrando l‟attenzione
soprattutto sulla seconda metà dell‟Ottocento. L‟approccio revisionista parte
dall‟assunto che la storiografia ufficiale non abbia trattato nel corso dei decenni le
ragioni di coloro hanno subìto il processo di unificazione, ossia i vinti, quali
repubblicani, mazziniani, borbonici e clericali, accusando inoltre il fatto che abbia
omesso alcuni eventi rilevanti. Secondo tale prospettiva, personaggi gloriosi e
accreditati come Cavour e Vittorio Emanuele , verrebbero rivalutati in accezione
negativa, insieme allo stesso Garibaldi. I revisionisti rivaluterebbero, infatti, le
cause della questione meridionale, vista alla luce del processo di unificazione
come colonizzazione da parte dei Savoia e il loro esercito, i quali avrebbero
impoverito e sfruttato il Sud Italia. Sono posizioni che emergono già nel corso
dell‟Ottocento, all‟indomani della proclamazione del Regno d‟Italia, individuando
in Giuseppe Mazzini uno dei principali sostenitori. Mazzini infatti accusò il
governo di Cavour di non essere interessato ai valori della patria e all‟unità, ma
solo ad ampliare il dominio di Casa Savoia, definendolo immorale e corrotto.
Le posizioni di Mazzini, anticipano il dibattito storiografico sul revisionismo, che
parte dalla fine dell‟Ottocento, esponendo riflessioni alternative rispetto alle
posizioni della Storia ufficiale. Tra questi si segnala l‟opera La lotta politica in
Italia di Alfredo Oriani che già nel 1892 denunciava il processo di unificazione
come conquista regia. A questi seguirono nei primi del Novecento, Francesco
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Saverio Nitti, il liberale Piero Gobetti che nel 1926 definì il Risorgimento opera di
una minoranza elitaria, incurante del valore della rivoluzione sociale ed
economica, fino alle pubblicazioni postume di Gramsci negli anni Quaranta. Il
revisionismo conosce una ripresa a partire proprio dagli anni Cinquanta, dopo il
crollo della monarchia sabauda, mito inattaccabile dell‟Ottocento. Il mutato
contesto politico e culturale del Dopoguerra, porta ad un ridimensionamento del
ruolo storico dei Savoia, considerato la causa dell‟arretratezza del Meridione. Tra
i principali sostenitori di tali posizioni, Carlo Alianello, che pone come punto di
vista privilegiato nella sua analisi quello dei vinti, coloro che subirono
negativamente il processo di unificazione, attaccato duramente, pur non
disconoscendo il valore ideale dell‟Unità. Alianello inizia ad affrontare la
questione già durante il Fascismo, rischiando il confino, per poter poi riprendere
le sue pubblicazioni nel Dopoguerra. Secondo Alianello, le azioni compiute dai
Savoia sarebbero state spinte dagli interessi economici, a tutto vantaggio della
massoneria italiana e di alcune potenze straniere, tra cui l‟Inghilterra. Con il
passare degli anni e delle mutate condizioni storiche e sociali, il revisionismo ha
incontrato nuovi sostenitori e studiosi, a partire dagli storici, giornalisti, scrittori,
registi, che si interessano alle nuove interpretazioni sul Risorgimento, tra cui
Michele Topa, Nicola Zitara, via via fino ai più recenti Lorenzo Del Boca, Gigi Di
Fiore, Francesco Agnoli, Pino Aprile.
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La visione nuova che emerge del
Risorgimento è il processo di unificazione e di tutte le conseguenze che ne sono
derivate, come una conquista militare da parte dei piemontesi. A livello
accademico si segnalano i contributi di Mack Smith, che attraverso una serie di
saggi che partono dagli anni Cinquanta, ha analizzato le principali figure del
Risorgimento, restituendole in un‟accezione anticonvenzionale e non oleografica,
a partire da Cavour e Garibaldi, fino ai Savoia. Smith denuncia la pratica
d‟occultamento in cui i vari governi incorrono per manipolare i fatti storici e
restituirne una versione consona alle proprie strategie ideologiche e politiche,
come accaduto per il Risorgimento italiano. Il suo allievo, Christopher Duggan,
riporta nella sua ricostruzione della Storia d‟Italia, che già dai carteggi dei vari
personaggi dell‟Ottocento, si definiva la situazione nel Mezzogiorno come una
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http://it.wikipedia.org/wiki/Revisionismo_del_Risorgimento
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guerra civile. Su tale situazione, si sarebbe sorvolato per non fomentare sentimenti
antipatriottici, che avrebbero indebolito la nazione, così come le violenze
consumate nel Sud sarebbero state ufficialmente causate solo dalle bande di
briganti. In tempi più recenti, si segnalano anche i contributi di Martin Clark e
Lucy Riall, che forniscono ulteriori analisi sul processo risorgimentale.
In generale, tutte queste ricerche hanno concentrato l‟attenzione sul Risorgimento
come fenomeno complesso e controverso, articolato secondo processi ed eventi
connessi alle diverse realtà economiche, tradizionali e sociali delle regioni e città
italiane, sviluppate in modo differente. Si tratta quindi di giudizi nettamente
contrastanti con l‟immagine oleografica e apologetica, veicolata dalla Storia
ufficiale durante l‟età giolittiana e fascista, via via fino al Centocinquantenario.
Si sono sviluppate anche posizioni antirevisioniste, che mettono in discussione le
analisi sostenute dai vari studiosi e storici, aumentando perciò il livello di
complessità riguardo il processo risorgimentale. Il revisionismo in tutti i suoi
approfondimenti, spesso anche convergenti tra loro, ha quindi posto attenzione su
questioni come l‟arretratezza del Mezzogiorno; il processo di unificazione come
piemontesissazione; il complottismo internazionale per sconfiggere il Regno delle
Due Sicilie; la questione dello zolfo siciliano e della produzione di grano e olio; il
brigantaggio; la guerra civile nel Meridione; la demistificazione delle principali
figure storiche, in primis Cavour e Garibaldi; il tradimento degli ufficiali
borbonici ai danni del Regno delle Due Sicilie; i rapporti con la criminalità
organizzata durante il processo di liberazione; le deportazioni dei borbonici dopo
la caduta del Regno delle Due Sicilie; gli eccidi e i massacri ad opera delle truppe
italiane nel Sud; le teorie lombrosiane sulla “razza” meridionale; la visione di
arretratezza del Sud; la mancata riforma agraria dei garibaldini. Il Risorgimento è
ricco dunque di elementi che lo rendono un interessante oggetto di studio e un
periodo affascinante e controverso allo stesso tempo. L‟immagine del
Risorgimento richiama anche il sentito patriottismo di giovanissimi, che hanno
sacrificato la vita, spesso in imprese incoscienti e votate al suicidio, perché
credevano nella causa italiana, animati dai principi della Rivoluzione francese per
l‟uguaglianza e la libertà. Inevitabilmente il Risorgimento è stato fonte di opere
letterarie e cinematografiche, proprio per il fascino che traduce, diviso tra la
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complessità del suo processo e dal romanticismo che ha ispirato i suoi ideali. Di
conseguenza, il cinema non poteva mancare nel rappresentarlo, seppur servendosi
nella maggior parte dei casi dell‟immagine di comodo e apologetica, in particolare
nelle produzioni che vanno dal 1905 al Dopoguerra, per subire un approccio
revisionista a partire dagli anni Cinquanta, alternando produzioni che risentono sia
delle interpretazioni convenzionali, sia più revisioniste.
1.3 L’influenza del concetto di patria e di nazione nel cinema risorgimentale
La complessità del Risorgimento, alla luce delle interpretazioni “ufficiali” e
revisioniste, è stata tradotta a livello cinematografico in una variante di film, che
hanno da una parte risentito dell‟ideologia dominante, dall‟altra delle posizioni
revisioniste, seppur tenendo conto dei diversi approfondimenti effettuati nei
diversi periodi storici. La rappresentazione cinematografica del Risorgimento è
infatti sempre stata connessa al concetto di “patria”, soprattutto per quanto
riguarda la produzione dei primi decenni del Novecento.
Il mito della patria è stato negli anni celebrato in occasione degli anniversari,
soprattutto nel cinquantesimo anno dell‟Unità nel 1911, nel centenario del 1961 e
in questo 2011. Nel primo cinquantenario, il giubileo è stato dedicato ai miti del
Risorgimento, in forma di epopea, attraverso cui divulgare un senso di identità
nazionale e di orgoglio comune per i cittadini, per la raggiunta unità politica dopo
secoli di domini stranieri. Questa concezione viene di fatto ripresa poi dai governi
che si susseguono nel corso del Novecento, per attivare il risveglio della nazione,
soprattutto durante i periodi di guerra. L‟Italia sconta una sorta di complesso
d‟inferiorità nei confronti delle altre potenze europee, per cui facendo leva sul
primato storico che le è appartenuto nei secoli precedenti, dalla Romanità fino al
Rinascimento, sviluppa un forte senso di appartenenza nazionale, sfruttato
dall‟Ottocento in poi. Nasce, infatti, durante i tumulti di metà Ottocento il mito
della grande nazione, investita dalla volontà divina del ruolo di stato-guida nel
processo di civilizzazione e di sviluppo artistico e culturale. L‟Italia inoltre è la
sede della Chiesa Cattolica, per cui le compete per diritto geografico il primato
assoluto tra le altre nazioni, oltre che artistico e morale. E‟ da queste riflessioni
che deriva il concetto di patria, come stato unitario e libero, che influenza i