3
3
Anche la nozione di pubblico impiego
2
è complessa ed esige precisazioni.
Vi sono, infatti interi settori del pubblico impiego soggetti a leggi speciali
3
,
non contrattualizzati
4
: ad essi la nozione di rappresentatività o non si
applica o si applica con certi adattamenti che saranno solo accennati.
Della rappresentatività si coglie solo il nesso con l’attività negoziale,
tralasciandone la rilevanza ai fini dell’esercizio dei diritti sindacali (ad
esempio aspettative e permessi), al fine di circoscrivere una materia
2
Il pubblico impiego è una galassia estremamente variegata. Le normative organiche sul personale
pubblico che si sono succedute nel tempo hanno posto diversi “confini”. Il TU n.3/57 (emanato su delega
del parlamento contenuta nella L. 20 dicembre 1954 n. 1181) si applicava agli impiegati dello Stato con
esclusione di alcune categorie: magistratura e personale giudiziario, avvocati e procuratori dello Stato,
personale degli affari esteri, personale della scuola, personale militare, quello delle ferrovie, delle poste,
dei monopoli di Stato, telefoni ecc. (cfr M. RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna 1978 pag
173 sgg.). La legge-quadro sul pubblico impiego n.93/83 a sua volta disciplinava tutto il pubblico
impiego, con esclusione del personale militare e quello della carriera diplomatica e della polizia di Stato,
dei magistrati, avvocati e procuratori dello Stato, dei dirigenti (art 26). Il personale era suddiviso dal
punto di vista contrattuale in comparti (art 5), ciascuno dei quali provvedeva alla stipulazione di un
accordo. Il DPR n. 68/86, che determinava la composizione dei comparti, ne individuava otto (art 1):
Ministeri, Enti pubblici non economici, Regioni ed Enti locali, Aziende dello Stato, Sanità, Enti di
ricerca, Scuola, Università). Il Decreto è stato oggetto di diverse impugnative da parte di alcuni sindacati
di settore, che lamentavano l’inclusione in comparti non omogenei: in particolare, le Camere di
commercio e l’ENEA erano inseriti nel comparto Enti pubblici non economici anziché, rispettivamente,
in quello degli Enti locali e di Ricerca (cfr sentenze del TAR del Lazio n. 1097 20 maggio 1987 e n.
1217 24 giugno 1987 e , in “Il Foro Italiano”, 1988 pagg 529 sgg.). I comparti contrattuali sono stati
successivamente oggetto di un nuovo Regolamento, emanato in attuazione del Dlgs n.29/93 (D.P.C.M.
30 dicembre 1993 n. 593 in G.U. 18.2.1994), ricettivo di un accordo intercompartimentale stipulato tra
Ministri F.P. e sindacati maggiormente rappresentativi sul piano nazionale (CGIL,CISL,UIL, CIDA,
CONFSAL, CISAL, CISNAL e CONFEDIR), il quale ne ha lasciato sostanzialmente immutato numero
e composizione. Ha solo aggiunto due separate Aree di contrattazione per dirigenti e medici. La
normativa è stata delegificata per effetto del Dlgs n. 396/97 e fatta oggetto di apposito CCNQ del 2
giugno 1998 tra ARAN ed OO.SS., a sua volta modificato in data 20 luglio e 14 novembre 2000,
accordi che hanno preso atto delle novità nel frattempo emerse. Ha subito in particolare profonde
modifiche il comparto delle Aziende, a seguito del processo di dismissione di attività (c.d.
privatizzazione) da parte della P.A.: l’Amministrazione postale, l’azienda per i servizi telefonici
(ASST) e l’azienda delle strade (ANAS), sono state infatti trasformate in enti pubblici economici. Ai
tradizionali otto comparti se ne sono recentemente aggiunti tre: comparto personale Presidenza del
Consiglio e comparto personale Agenzie fiscali (accordo 9 agosto 2000), ed infine comparto Accademie
e Conservatori musivcali (accordo 14 novembre 2000). Questi ultimi comparti saranno disciplinati con
contratto dal prossimo quadriennio 2002/2005.
3
La legislazione speciale concerne i settori esclusi dalla contrattazione pubblica fin dal varo della
L.93/83: militari, magistrati, polizia, carriera diplomatica e prefettizia (vedi cap III par. 4).
4
“Vi è quindi un’area, non numerosissima sul piano quantitativo, ma estremamente rilevante sul piano
qualitativo, di perdurante sussistenza di rapporti di pubblico impiego, per la quale continueranno a valere,
e comunque ad essere applicabili, concetti (o preconcetti) tradizionali” (S. CENTOFANTI, Profili della
privatizzazione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in “Il Diritto del
lavoro, maggio 1993 pag 267.
4
4
vastissima.
1. 2. La tesi si articola in cinque capitoli; il primo capitolo ha carattere
introduttivo: si incentra dapprima sulle origini della contrattazione
collettiva nel pubblico impiego e della nozione di sindacato maggiormente
rappresentativo, ne segue l’evoluzione dall‘art 8 del D.P.R. 395/88 all’ art.
47 del Dlgs 29/93 ed affronta quindi i vari tentativi di superamento della
nozione per via contrattuale con le elezioni delle RSU nel 1994, per via
parlamentare ed, infine, per via referendaria, fino all’abrogazione nel 1995
dell’art 47 Dlgs 29/93.
Il secondo capitolo affronta il dibattito del post-referendum ed esamina le
tematiche de iure condito, dalla delega contenuta nell’art 11 L. 59/97 ai
decreti delegati 396/97 e 80/98.
Il terzo ed il quarto capitolo sviluppano il nuovo concetto di
rappresentatività negoziale del sindacato nel pubblico impiego illustrando
rispettivamente le deleghe alle OO.SS. e le elezioni delle RSU.
Il quinto ed ultimo capitolo rende conto de iure condendo dello stato dei
lavori parlamentari aventi ad oggetto la rappresentatività sindacale
5
e
conclude la tesi mettendo a confronto le due visioni - sindacato-
associazione e sindacato- movimento - che ispirano i diversi modi di
intendere la rappresentatività sindacale.
5
Atto Camera C 136 ed abbinati.
5
5
1.3. Le fonti della tesi sono anzitutto quelle legislative e contrattuali: la
produzione normativa è vastissima e copre un arco di tempo trentennale
(1968-1998), dai primi approcci alla sistemazione almeno provvisoria della
materia con i Dlgs 396/97 e 80/98
6
.
In secondo luogo, dottrina e giurisprudenza: sono stati consultati i
tradizionali manuali di diritto sindacale, i repertori disponibili,
7
riviste
specializzate di diritto sindacale (con qualche escursione nel diritto
amministrativo e costituzionale
8
) nonché, last but not the least, le fonti di
provenienza sindacale
9
.
La materia ha un indubbio carattere interdisciplinare, ma, come ha messo in
evidenza Massimo D’ANTONA, che tanto si è speso nella materia, “vi è
una precisa responsabilità della dottrina giuslavoristica nella sistemazione
teorica delle figure nuove che emergono nell’intreccio tra pubblico e
privato”
10
.
6
Un’ampia silloge di atti normativi e contrattuali sul pubblico nella fase precedente il Dlgs n.29/93 si
trova in A. DI FAZIO, La contrattazione sindacale nel pubblico impiego, Bologna 1991.
7
“Il Repertorio del Foro Italiano”, il “Repertorio di Giurisprudenza Italiana” e “Il Repertorio di
Giurisprudenza del lavoro”. Utile per le reperimento delle fonti anche il volumetto di G.PASCUZZI,
Cercare il diritto. Libro e CD interattivo, Bologna, 1998, nonché F.BRUGALETTA, Internet per giuristi.
La prima guida italiana alle informazioni giuridiche on line, Caserta 1998.
8
Le varie leggi che si sono succedute sulla rappresentatività negoziale del sindacato nel pubblico impiego
sono state discusse dai costituzionalisti e fatte oggetto di giudizio dalla giurisprudenza sotto il profilo
della compatibilità con gli artt 39 e 97 della Costituzione.
9
Il quotidiano “Conquiste del Lavoro” e la casa editrice “Edizioni Lavoro” (CISL), la casa editrice
“Ediesse” ed il settimanale “Rassegna sindacale” (CGIL).
10
M.D’ANTONA, Autonomia negoziale, discrezionalità e vincolo di scopo nella contrattazione collettiva
delle pubbliche amministrazioni, in “Argomenti di diritto del lavoro”, 1997 p. 73. D’Antona ha dedicato
fin dagli anni ’80 svariati contributi dottrinali al tema della rappresentatività del sindacato (cfr Relazione
allo “schema di ddl sulla valutazione della rappresentatività dei sindacati ai fini della partecipazione ad
organi collegiali della p.a.” predisposto dalla Commissione di studio istituita nel 1988 presso il Ministero
del lavoro, in “Il Foro Italiano”, 1989 pagg 2717-2724).
6
6
CAPITOLO I-
IL SINDACATO MAGGIORMENTE RAPPRESENTATIVO
1.1 Origini della nozione.
Nel corso degli anni sessanta il pubblico impiego, acquisito in modo quasi
generalizzato il diritto di associazione sindacale
11
e di sciopero
12
, conquista
11
Un caso emblematico di limitazione della libertà sindacale era costituito dal D.L. Lgt 24 aprile 1945 n.
205 che vietava espressamente- pena la revoca dall’ufficio- al personale civile e militare della pubblica
sicurezza di “appartenere a partiti politici o ad associazioni sindacali , anche se a carattere apolitico”. La
norma, concepita nell’imminenza dell’insurrezione nazionale a garanzia della disciplina delle forze di
p.s., rimase in vigore anche nei decenni successivi. La limitazione, se era comprensibile con riferimento
al personale militare, lo era meno se riguardava gli impiegati. Il Consiglio di Stato, investito della
questione di legittimità della norma, la rigettò in Ad Plen., con sentenza 4 febbraio 1966 n.5. Il ricorso
era stato presentato da un segretario di polizia in servizio presso la Questura di Trieste (assunto ai sensi
della L. 20 febbraio 1958 n. 98) , avverso la diffida del Ministero dell’Interno a cessare l’attività inerente
il “sindacato nazionale autonomo dipendenti civile Amministrazione p.s.”, costituito in data 31 ottobre
1993 (cfr B. ARMATO, Sul divieto, per alcune categorie, di appartenere ad associazioni sindacali, n
“Montecitorio- Rivista studi parlamentari”, n.10, 1966 pag 27 sgg). Precedentemente il Ministero aveva
vietato la partecipazione del personale dell’amministrazione della p.s. anche ad un convegno nazionale
dei dipendenti del Ministero dell’Interno, indetto dalla CISL per il 31 marzo 1962 a Roma. Il Cons. Stato
partiva, nella sentenza in esame, da una premessa di carattere politologico: “E’ pura constatazione ci un
dato di comune esperienza che le organizzazioni sindacali ‘più rappresentative’ (come oggi si esprimono
numerose norme di legge) aderiscono a varie confederazioni – CGIL, CISL, UIL, CISNAL- ciascuna
delle quali esprime nel settore dei rapporti di lavoro, l’indirizzo d’uno o talvolta di più partiti politici.
L’azione sindacale risulta oggi pertanto strettamente politicizzata, e si può considerare, anzi, uno dei
mezzi più energici, più efficienti e più penetranti con cui i partiti fanno sentire la propria influenza sulle
strutture economiche e sociali del paese, talchè diviene praticamente impossibile scindere l’indirizzo
‘sindacale’ delle dette organizzazioni dall’indirizzo ‘politico’ del partito che le domina”. Poste queste
premesse, il parametro costituzionale di riferimento non è più l’art 39 della Cost., ma l’art 98, che limita
la libertà d’iscrizione dei pubblici impiegati ai partiti politici. Dilatando l’ambito di applicazione della
norma, il Cons. Stato affermava che “l’esigenza vera è che il dipendente non sia vincolato nel quadro
d’una organizzazione politica operante. Ora, tali di regola appaiono, al momento attuale, le associazioni
sindacali”. Il divieto in realtà riguarda agenti e funzionari di p.s.. ma il Consiglio di stato estende il
divieto al personale amministrativo (categoria cui apparteneva il ricorrente). La polizia- argomenta il
Cons. Stato- “si appoggia su tutta un’organizzazione (uffici, archivi, schedari, gabinetti, laboratori, ecc.)
che per essere meramente interna non è meno essenziale, costituendo il supporto dell’organizzazione
operativa”. Quindi, conclude la sentenza, il divieto sancito dalla norma nei riguardi del personale civile
della p.s. è, allo stato attuale, pienamente compatibile con la Costituzione. (la sentenza è pubblicata in “Il
Consiglio di Stato” 1966 pagg 185 sgg ; la si trova anche in “Rivista di diritto del lavoro 1966, II, pagg 62
sgg con nota critica di G.BRANCA e in F. DI CERBO, Il sindacato nella giurisprudenza, Milano, 1990
pagg 70 sgg).Preso atto della decisione del Consiglio di Stato, il Parlamento varò una legge che trasferiva
il personale civile della p.s. nelle Prefetture, consentendo così loro il pieno esercizio delle libertà sindacali
(L. 20 dicembre 1966 n. 1116, pubblicato insieme alla relazione al ddl in M. MININNI, Codice di polizia,
Padova, 1967 pagg 225 sgg ). La norma verrà poi superata definitivamente dalla Legge n..121/81, che
consentirà anche al personale di polizia di costituire propri sindacati (vedi capitolo terzo).
12
Il diritto di sciopero è sancito dall’art 40 Cost ma di fatto nel dopoguerra restano in vigore fattispecie
penali che a vario titolo considerano delittuosa l’astensione collettiva dal lavoro (cfr Giugni, Diritto
sindacale, Bari 1997 pagg 241 sgg,; G.GHEZZI-U.ROMAGNOLI, Il diritto sindacale, Bologna 1997 4.
ed, pagg 191 sgg). Gradualmente la Corte Costituzionale smantella l’apparato repressivo (cfr A.
7
7
gradualmente anche il diritto a stipulare contratti collettivi di lavoro
13
,
superando la fase storica in cui il rapporto di lavoro pubblico era
disciplinato per legge
14
e la partecipazione dei dipendenti era possibile solo
con azione di “lobby” parlamentare
15
o tramite i rappresentanti in seno ai
Consigli di Amministrazione, dapprima cooptati
16
, quindi designati dalle
OO.SS.
17
ed infine eletti
18
.
FANTETTI, Contributo allo studio del diritto di sciopero, Milano, 1984). Il riconoscimento definitivo
del diritto di sciopero avverrà però solo con L. n. 146/90.
13
Una sintesi della fase “pionieristica “ del sindacalismo nel pubblico impiego si può rintracciare in
molteplici contributi: fra tutti cfr Relazione al ddl Camera n. 678 sulla legge-quadro nel pubblico
impiego, presentato alla Camera l’8.10.1979 (L. GIAMPAOLINO, La legge-quadro sul pubblico
impiego, Milano 1984 p. 446 sgg.), nonché A.FALCONE, In tema di diritti soggettivi delle
organizzazioni sindacali nel pubblico impiego, in “Il Foro Italiano”, 1991 p. 2007.
14
Il rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici è storicamente retto da norme pubblicistiche: la prima in
normativa organica risale al giolittiano t.u. 22 novembre 1909 n. 693 (che ha coordinato la L. 25.6.1908
n. 290, di carattere generale, con le norme parziali previgenti). Segue nel ventennio fascista il R.D. 11
novembre 1923 n. 2395 e il R.D. 30 dicembre 1923 n. 2960, sostituiti in epoca repubblicana dal t.u.
emanato con DPR n.3/57.
15
Negli anni cinquanta e parte degli anni sessanta “l’azione rivendicativa delle organizzazioni dei
dipendenti pubblici (…) si esprime solitamente in forme di pressione- sui vertici burocratici, sul Governo,
sullo stesso Parlamento- per la conquista di vantaggi economici e di carriera a favore delle singole
categorie rappresentate (…). Si assiste allora al proliferare delle c.d. ‘leggine’, cioè provvedimenti
legislativi di interesse ‘microsezionale’, con i quali si risponde alle richieste che salgono dai vari settori
degli apparati pubblici” (M.RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, cit pag 166 sgg).
16
L’art 146 comma 1 del DPR n.3/57, nella sua formulazione originaria, prevedeva la presenza
all’interno del Consiglio di Amministrazione di ciascun Ministero o amministrazione centrale di “due
rappresentanti del personale scelti dagli altri membri del Consiglio d’amministrazione e nominati con
decreto del ministro all’inizio di ogni biennio”. Trattasi di una innovazione rispetto alla precedente
normativa (art 11 del R.D. 30 dicembre 1923 n.2960).
17
L’art 7 della Legge n.249/68 modificò l’art 146 riportato nella nota precedente nel senso che i
rappresentanti predetti sono designati, su richiesta del ministro, dalle organizzazioni sindacali a carattere
nazionale maggiormente rappresentative che a tale scopo indicheranno ciascuno tre nominativi di
dipendenti dell’amministrazione; alla scelta degli stessi nell’ambito della terna il Ministro procede previa
consultazione della organizzazione sindacale che ha proposto la terna stessa”. La scelta è dunque
affidata alla stessa amministrazione, che nomina con atti motivati i rappresentanti del personale: “per
effetto della circ. della Presidenza del Consiglio dei Ministri n. 13158/9207 del 19 luglio 1968, ai fini
della nomina dei rappresentanti del personale, “mentre la consistenza numerica delle varie organizzazioni
sindacali chiamate a formulare terne di nominativi può essere assunta nella sua obiettività, gli altri
elementi di valutazione del grado di rappresentatività ,quali l’ampiezza e la diffusione delle strutture
organizzative, nonché la consistenza dell’apporto dato alla soluzione dei problemi interessanti
l’amministrazione, sono affidati indubbiamente al discrezionale apprezzamento del ministero e,
nell’ambito dei criteri d’autolimitazione stabili dalla circolare predetta, abbisognano di congrua
motivazione” (sent n. 224 Cons. Stato Sez IV- 21 marzo 1978 Pres Aru- Est Schinaia, in “Il Foro
amministrativo” Parte I 1978 pag 435).
18
L’art. 7 della L. 28 ottobre 1970 n. 775 ha ulteriormente modificato il testo, prevedendo che i
rappresentanti del personale siano “eletti direttamente da tutto il personale secondo un regolamento che
sarà emanato sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori”. Il Regolamento verrà emanato con
D.P.R. 22 luglio 1977 n. 721, modificato con D.P.R. 6 febbraio 1979 n. 41.
8
8
L’anno “zero” del diritto sindacale nel pubblico impiego è il 1968: in
quell’anno entra in vigore la riforma degli enti ospedalieri e si afferma per
la prima volta il principio che “il rapporto di lavoro, per quanto riguarda il
trattamento e gli istituti normativi di carattere economico, è stabilito, previ
accordi nazionali tra i sindacati e le associazioni rappresentanti gli enti
ospedalieri, dai singoli enti ospedalieri con delibere soggette ai controlli di
legge”
19
.
Dopo il “primo timido precedente del settore ospedaliero”
20
con le leggi
n.65770 e 382/75 è riconosciuta la contrattazione collettiva ai dipendenti
degli enti pubblici non economici (cd parastato) e dei ministeri.
Le organizzazioni sindacali dei dipendenti pubblici ottengono,
contestualmente, i connessi diritti sindacali di assemblea, contribuzione,
permessi e aspettative, che consentono l’agibilità negli uffici e supportano
l’attività contrattuale.
Negli anni settanta, quindi, l’azione sindacale all’interno della pubblica
amministrazione si affranca dall’”origine semiclandestina o addirittura
contra legem”
21
.
19
art 40 L. 12.2.1968 n.132 concernente gli enti ospedalieri e l’assistenza ospedaliera. Il principio è
ribadito dall’art 33 del DPR 27.3.1969 n. 130, concernente lo stato giuridico dei dipendenti degli enti
ospedalieri, secondo il quale “il trattamento economico (… ) e gli istituti normativi di carattere
economico, sono stabiliti, previ accordi nazionali fra i sindacati e le associazioni rappresentanti gli enti
ospedalieri, dalle singole amministrazioni con deliberazioni soggette ai controlli di legge”.
20
C.D’ORTA, Il pubblico impiego, Roma, 1989 pag 20.
21
U.ROMAGNOLI, La cornice legislativa, in ISAP, “Le relazioni fra Amministrazione e sindacati”,
Milano, vol. 1, 1987 p. 28.
9
9
“In sostanza può affermarsi che nell’intera area del lavoro pubblico- con
l’eccezione dell’alta dirigenza e di alcune particolari categorie (come corpi
militari e militarizzati, magistrati ecc.)- la contrattazione sindacale è uscita
da una fase per così dire ‘pregiuridica’ per trovare riconoscimento sul piano
normativo”.
22
Ciò poneva l’esigenza di selezionare i soggetti abilitati a negoziare con il
Governo.-
Mentre la legge sugli enti ospedalieri consentiva l’accesso alla
contrattazione alle “associazioni” genericamente intese, ancorché la
giurisprudenza
23
abbia interpretato poi la norma in senso restrittivo, le
leggi sul parastato e sui ministeri introducevano un filtro selettivo,
individuando il soggetto negoziale nelle “organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative su base nazionale”
24
, formula utilizzata
anche per l’accesso a taluni diritti sindacali.
Il linguaggio normativo è quindi variegato: vi è un uso promiscuo delle
formule “organizzazione sindacale a carattere nazionale maggiormente
rappresentativo”, “organizzazione sindacale lavoratori”, uso “che fa
sorgere i problemi di coordinamento”
25
. La conseguenza è che “non si
riesce quasi mai ad individuare, con chiarezza, in quelle leggi, il soggetto
22
M.RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, Bologna, 178 p 200.
23
Sent Cons. Stato, 10 luglio 1973 n. 607, in Cons. Stato 1973, I, pag 1067.
24
Art 28 legge 20 marzo 1975 n.70 (Enti pubblici non economici) ed art 9 della L. 22 luglio 1975 n. 382
(Ministeri).
25
M.RUSCIANO, L’impiego pubblico in Italia, 1978 p 192.
10
10
titolare della contrattazione collettiva”
26
.
L’uniformità linguistica e giuridica sarà sostanzialmente realizzata con il
varo della legge-quadro sul pubblico impiego che consacra la nozione di
sindacato “maggiormente rappresentativo”
27
.
La legge-quadro- frutto di un dibattito politico-parlamentare
28
lungo e
complesso - disegna una struttura contrattuale a tre livelli, a ciascuno dei
quali corrisponde una diversa tipologia di soggetto negoziale:
confederazioni maggiormente rappresentative su base nazionale (artt. 5 e
12), organizzazioni nazionali maggiormente rappresentative nell’ambito di
ciascun comparto (art. 6 comma 4), organizzazioni sindacali
maggiormente rappresentative nel settore (art. 14 comma 2).
Il tratto comune è costituito dalla nozione di sindacato maggiormente
rappresentativo, formula “utilizzata in modo ricorrente e quasi
‘ossessivo’”
29
, destinata a resistere per molti anni (fino alla sua
abrogazione per effetto del referendum del 1995).
La dottrina, anche se riconosce lo sforzo del legislatore di armonizzare il
trattamento giuridico ed economico del pubblico impiego, ritiene
concordemente che la nozione di sindacato maggiormente rappresentativo
26
M.RUSCIANO, ivi p. 192.
27
La legge n.93/83 “utilizza ampiamente il ricorso al criterio della maggiore rappresentatività per
individuare i soggetti legittimati a partecipare ai procedimenti di contrattazione” (L.ZOPPOLI,
Contrattazione e delegificazione nel pubblico impiego, Napoli 1986 p 121.
28
Per una ampia disamina degli eventi che condussero al varo della legge-quadro, dalla Commissione
Coppo (istituita con L. 625/75) al noto Rapporto Giannini, cfr L. GIAMPAOLINO, La legge-quadro sul
P.I., Milano, 1984.
29
L.ZOPPOLI, Contrattazione e delegificazione nel pubblico impiego, Napoli 2 ed. 1990 p 163.
11
11
sia “oscura, incerta, contraddittoria”
30
, “soltanto richiamata”
31
, priva di una
sua propria “fisionomia legale”
32
.
Il suo impiego massiccio viene inquadrato dalla dottrina nel contesto
sociale e politico di quegli anni, caratterizzati dal predominio indiscusso
delle confederazioni sindacali CGIL, CISL e UIL, considerate appunto le
organizzazioni maggiormente rappresentative per antonomasia.
La ratio intrinseca della nozione risiede, quindi nella volontà governativa
di attribuire “un ruolo preponderante”
33
alle OO.SS. confederali , o, più
esplicitamente, “un chiaro privilegio”
34
a CGIL-CISL-UIL.
Essa “introduce nel sistema un additivo legale orwellianamente diretto a far
sì che, fermo restando il principio tendenziale della parità di trattamento tra
sindacati, ve ne siano alcuni ‘più eguali’ di altri”
35
.
“D’altro canto, rileva GIUGNI, la selezione dei sindacati sulla base della
loro qualificazione come maggiormente rappresentativi, naturalmente non è
neutra: ben al contrario, con essa il legislatore ha perseguito una propria
politica di favore verso alcune forme organizzative del sindacato, quelle di
tipo confederale ancor oggi prevalenti nel sistema delle relazioni
industriali nelle quali vengono maggiormente tutelati i valori di solidarietà
30
A. ORSI BATTAGLINI, Note critiche sulla selezione eteronoma dei soggetti sindacali, in “Politica del
diritto” n.3 settembre 1985 pag 388.
31
U. ROMAGNOLI, La cornice legislativa, cit. pag 39.
32
B. VENEZIANI, Il sindacato dalla rappresentanza alla rappresentatività, in “Giornale del diritto del
lavoro e delle relazioni industriali” n. 43, 1989, 3 p 388. “La legge, ancora una volta- commenta l’autore-
non definisce ma introduce, non qualifica ma accredita”.
33
P. GRECO, La rappresentatività sindacale, Torino, 1998 pag 32.
34
G.D’ORTA, Il pubblico impiego, cit. pag 89.
35
U. ROMAGNOLI, La cornice legislativa, in ISAP, Le relazioni fra amministrazone e sindacati, Milano,
1987 pag 40.
12
12
anche in contrasto con più ristretti egoismi di gruppo”
36
. Il disegno di
“capovolgere le precedenti dinamiche rivendicative”, dando un ruolo di
primo piano alle confederazioni storiche, incontra, in realtà, “grandissimi
ostacoli”
37
.
I sindacati autonomi “mettono in atto tutti i mezzi utili per conseguire
anch’essi la qualificazione e i privilegi della confederazione maggiormente
rappresentativa”
38
. Questi sindacati di fatto “non sono esclusi dalla gara”
39
.
La prima tornata contrattuale che si svolge dopo la legge-quadro vede,
infatti, anche i sindacati autonomi al tavolo delle trattative accanto ai
confederali
40
.
Solo alcuni sindacati minori sono dissenzienti e non partecipano, salvo
presentare memorie scritte o aderire poi successivamente
41
.
36
G.GIUGNI, Diritto sindacale, Bari 197 p 93.
37
P.GRECO, La rappresentatività sindacale, cit. 26.
38
P. GRECO, ivi, p 26.
39
U. ROMAGNOLI, La cornice legislativa, cit. p 38.
40
Il primo accordo intercompartimentale, stipulato in applicazione dell’art 12 della l.q. e recepito in
D.P.R. 1.2.1986 n.13), è firmato, oltre che da CGIL-CISL-UIL, anche da CIDA, CISAL, CONFSAL,
CONFEDIR, CISAS E USPPI, con la clausola che la sottoscrizione di tale ultima confederazione è
subordinata all’esito finale di un giudizio pendente circa la sua legittimazione come agente contrattuale.
Le stesse delegazioni compaiono nei contratti di Comparto: il 7 gennaio 1987 è firmato il contratto dei
Ministeri, l’8 aprile 197 quelli delle Aziende e della sanità: a questi tavoli si aggiungono anche le
delegazioni delle Federazioni affiliate alle Confederazioni.Il secondo accordo intercompartimentale per la
determinazione dei comparti di contrattazione, sottoscritto in data 21.12.1984 e recepito in DPR n. 68/86,
è firmato anch’esso da CGIL-CISL-UIL e da CIDA, CISAL e CISNAL (poi UGL)
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Il fenomeno dell’adesione successiva dei sindacati non partecipanti alla trattativa si verifica in vari
contratti: ad esempio nel contratto intercompartimentale per la determinazione e composizione dei
comparti di contrattazione aderiscono successivamente CONFSAL, CISAS, CONFEDIR e CONFAIL,
nel contratto del Comparto Ministeri (DPR n. 266/87) firmano dopo CONFILL e CILDI, nel Comparto
Enti locali (DPR n. 268/87) CONFILL, CILDI, CONSAL, CASIL, nel Comparto Aziende (DPR n.
269/87) CILDI, CONSAL CASIL, nel Comparto Sanità (DPR n. 270/87) CILDI. Nel preambolo dei
decreti il Governo dà notizia della deliberazione del Consiglio dei Ministri con la quale sono state
“respinte o ritenute inammissibili le osservazioni formulate dalle organizzazioni sindacali dissenzienti o
che abbiano dichiarato di non partecipare alla trattativa”.
Non sussiste alcun obbligo di motivazione in ordine alle ragioni che inducono il governo a respingere o
ritenere inammissibili le osservazioni trasmesse (in tal senso Cons. Stato n.305 7 aprile 1988, in Cons.
Stato 1988 p 394, anche se, per la verità, si riferisce a fattispecie antecedente alla l.q., in quanto oggetto
di censura era il contratto dipendenti ospedalieri recepito con DPR n. 348/83).