4
Arrivati a questo punto si sono dovuti fare ulteriori passaggi
per inquadrare bene la situazione nella quale ci troviamo a
vivere ed a tal fine abbiamo scomposto la democrazia
rappresentativa in due modelli fondamentali: la democrazia
maggioritaria e la democrazia consensuale. Seguendo Arend
Lijphart abbiamo determinato quali sono le caratteristiche
dell’uno e dell’altro modello di democrazia rappresentativa,
potendo così nel seguito dell’analisi <<determinare>> quale dei
due modelli meglio si adatta al reale essere della nostra società.
Dopodiché si è compiuto un breve excursus sui partiti politici, e
da tale percorso abbiamo potuto individuare quello che
riteniamo uno dei difetti più importanti della nostra
democrazia: la chiusura del sistema dei partiti nei confronti
delle istanze provenienti dal basso. I cittadini possono solo in
rari casi arrivare a <<contare>> nell’ambito dei partiti politici, i
quali, seppure abbiano statuti che prevedono formalmente ogni
tipo di possibilità per l’emersione del dissenso, finiscono per
gestire le loro posizioni di potere come una chiusa oligarchia
inattaccabile da istanze estranee alla cerchia dei <<potenti>>.
Nel resto del lavoro è proprio su questo punto che ci siamo
maggiormente soffermati, in quanto abbiamo ritenuto tale
problematica molto più reale rispetto ad altre che trovano oggi
più spazio nel dibattito.
Si è, quindi, affrontata la questione dei gruppi di interesse e di
pressione cercando di individuare i punti salienti della materia
attraverso le opere dei più affermati studiosi. Su questa base
5
abbiamo cercato di individuare, seguendo Robert A. Dahl, delle
possibili vie per giungere anche in questo campo ad una
maggiore democraticità.
Fatta questa necessaria e doverosa analisi preliminare, siamo
poi passati a trattare con maggiore profondità la
rappresentanza politica, per la quale abbiamo dovuto compiere
una distinzione cardine. Questa distinzione è fra la
rappresentanza politica: nel parlamentarismo rappresentativo
tradizionale e nello Stato dei Partiti. In ragione del <<luogo>>
dove va ad esistere, la rappresentanza politica potrà avere un
significato ed un modo di operare completamente differente.
Fatta questa puntualizzazione ci siamo, però, resi conto che
nella odierne istituzioni convivono in conflitto fra di loro
posizioni tipiche del parlamentarismo rappresentativo
tradizionale, come, ad esempio, il divieto di mandato
imperativo, ed altre posizioni caratteristiche, invece, della
rappresentanza politica nello Stato dei partiti, come, il disposto
dell’art. 49 della nostra Carta Costituzionale che afferma “Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente per concorrere
con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.
Conflitti del genere sono, a nostro parere, da sopprimere
altrimenti si delimita il funzionamento delle istituzioni, che non
potrà mai essere completamente efficace e si svuota sia l’uno sia
l’altro modo di essere della rappresentanza.
6
Proseguendo nel nostro lavoro, abbiamo visto la posizione del
Parlamento nello Stato dei partiti e dei rappresentanti
giungendo alla conclusione che sia il primo sia i secondi
vengono a dipendere completamente dalle segreterie di partito,
dove tuttora vengono prese, da ristrette oligarchie, tutte le
decisioni. Fatta questa constatazione, è nuovamente balzata
sotto i nostri occhi quella che è una deficienza troppo forte degli
odierni partiti e che mai viene toccata nel dibattito sulle riforme
da porre in essere: la mancanza di democrazia nei partiti.
Crediamo sia questo un punto sul quale andare ad operare,
altrimenti non si continuerà a far altro che cambiare formula
alchemica non accorgendosi dell’impossibilità di trarre oro dal
piombo.
Seppure influenzati da questo pessimismo di fondo, abbiamo
proseguito la nostra analisi riallacciandoci all’odierno dibattito
sulle riforme e andando a toccare la problematica dei sistemi
elettorali. Di questi si è individuata, attraverso gli scritti di
Giovanni Sartori, l’importanza, e si è compiuta una distinzione,
che partendo dalla primaria dicotomia tra sistema elettorale
proporzionale e uninominale maggioritario, si è poi allargata
toccando tutte e cinque le dimensioni che formano un sistema
elettorale: la formula, la grandezza del collegio, i seggi
supplementari, le soglie elettorali e la struttura dello scrutinio.
Fatta questa classificazione analitica siamo, poi, dovuti scendere
nella realtà del dibattito politico sul sistema elettorale ed
abbiamo dovuto constatare che quanto finora si è fatto è stato
7
frutto di scelte contingenti per cui è venuta meno la possibilità
di risolvere problemi così impegnativi. Abbiamo cercato di far
notare come la <<voglia>> di bipartitismo non possa trovare
fondamento su di una realtà complessa come quella italiana,
soprattutto, crediamo di aver chiarito l’impossibilità di arrivare
al bipartitismo attraverso la sola modifica della legge elettorale.
Sulla base di tutto quanto abbiamo trattato nelle prime due
parti del lavoro ci siamo spinti, infine, in un’analisi più
approfondita delle deformazioni della rappresentanza. Da
questo punto di vista, ci ha colpito, soprattutto, “la tentata
subordinazione del potere politico al potere economico […]
[che] costituisce una pericolosa deroga costitutiva alla politica
democratica intesa come sistema di regole specifiche che
garantiscono la competizione fra concorrenti posti su posizioni
di partenza non dissimili e la partecipazione e l’influenza
politica del cittadini”
1
.
Il persistere della <<chiusura>> dei partiti e l’influenza sempre
maggiore dei potentati economici nelle decisioni politiche
costituiscono gli ostacoli da sormontare se si vuole arrivare a
definire una distinzione tra rappresentanza politica e
rappresentanza degli interessi.
1
G. PASQUINO, La democrazia esigente, Bologna, Il Mulino, 1997, p. 48
8
Se la transizione italiana non si muoverà su questa strada,
l’aspirazione del sistema politico ad essere responsivo non
potrà realizzarsi e ciò rafforzerà i fenomeni di indifferenza alla
politica o di accesa lotta contro il sistema da parte di coloro che
non si riconosceranno più nelle sue leggi.
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CAPITOLO I
CHI E’ IL SOVRANO?
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CHI E’ IL SOVRANO
Il concetto di rappresentanza politica è legato a doppio filo con
quello di sovranità, in primo luogo dobbiamo quindi
individuare chi è il sovrano, che “per essere tale (vale a dire per
costituire la fonte ed il vertice di tutto l’ordinamento che ne
dipende ed al quale dà certezza), deve essere originario: ciò
significa che nessuno può creare il <<sovrano>>, perché, se ciò
accadesse, vorrebbe dire che chi crea il sovrano è al di sopra di
lui, e quindi è il vero sovrano. Il <<sovrano>> può essere
quindi soltanto riconosciuto, da coloro i quali si subordinano.
Dal carattere originario della sovranità dipende (corollario della
massima importanza) che essa non può mai essere alienata; il
titolare del potere <<sovrano>>, in altre parole, non ha la
facoltà di spogliarsi di esso, né di cederlo, né di vincolarlo
(tutto o in parte): può soltanto delegarlo, ma in forma limitata
quanto al tempo ed all’oggetto, e sopra tutto in modo che la
delega possa in ogni modo essere agevolmente revocata”
2
.
2
G. MIGLIO, Chi è il sovrano in una Costituzione ‘democratica’, GRUPPO DI
MILANO, Verso una nuova costituzione, Milano, 1983, t. I, pp. 98-99
11
Alla domanda <<chi è il sovrano?>>. Noi rispondiamo: il
popolo. Affermare questo, però, non significa ricercare in tutti i
modi quella soluzione per la quale sia il sovrano stesso nella
sua totalità a gestire il potere. Una forma di governo in tal
modo intesa sarebbe di impossibile attuazione e destinata a
rimanere solo nelle idee come viene affermato da Robert A.
Dahl. Dobbiamo, invece, ricercare un modo di gestire il potere
in cui il popolo sovrano possa trovare espressa la sua volontà,
senza il bisogno di trasformare l’intera comunità in cittadini
totali avvinti dalla loro funzione politica e, quindi, non più in
grado di portare avanti la loro vita. Inoltre, a causa della
complessità sempre maggiore delle decisioni politiche da
adottare nelle odierne società pluraliste, tutti i cittadini
dovrebbero possedere un bagaglio di conoscenze umanamente
impossibile. Dunque ciò che ricerchiamo non è una novella
democrazia diretta che alcuni, assai incautamente, sbandierano
come fonte per la risoluzione di tutti i mali, ma, rimanendo
nell’area della democrazia rappresentativa, vogliamo mettere in
evidenza le forti discrepanze che vengono ad aversi anche fra il
modello di tale democrazia e la realtà, ovvero, tra una idealità
12
attuabile e la realtà. In tale ottica vedremo quelle che Norberto
Bobbio definisce le promesse non mantenute della democrazia e
ciò che Robert A. Dahl vede come un problema fra l’autonomia ed il
controllo che i gruppi di interesse debbono avere ma anche
subire.
In definitiva ciò che più ci interessa è porre sotto il nostro
sguardo i problemi che attanagliano la democrazia
rappresentativa negli Stati a democrazia pluralista, ovvero, in
quegli Stati che parte degli scienziati politici definiscono
poliarchie. Dovremo ricercare i dilemmi della democrazia
pluralista individuando, limitatamente alle nostre capacità,
possibili vie di sbocco o quanto meno degli accorgimenti in
grado di migliorare la qualità delle vita democratica, per non
veder ridotta la politica al mero scontro tra fazioni
meschinamente duellanti nella difesa dei loro interessi.
Sartori ci offre una definizione di massima del termine
democrazia, dicendoci che con essa alludiamo “grosso modo,
ad una società libera, non oppressa da un potere politico
discrezionale e incontrollato, né dominata da una oligarchia
chiusa e ristretta, nella quale i governanti <<rispondono>> ai
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governati. In tanto c’è democrazia, in quanto si abbia una
società aperta nella quale il rapporto fra governanti e governati
è pregiudizialmente inteso nel senso che lo Stato è al servizio
dei cittadini e non i cittadini dello Stato, che il governo esiste
per il popolo e non viceversa”
3
. Aggiungiamo noi che in tanto
c’è democrazia, in quanto sussista la possibilità di un adeguato
controllo del popolo sui suoi rappresentanti e questi non siano,
invece, controllati da ben altri soggetti.
Vista tale definizione non possiamo che trovarci nello stesso
ordine di idee con Domenico Fisichella quando afferma che
“solo la rappresentanza elettiva è rappresentanza
democratica, nel senso che in essa si realizza il processo
partecipativo”
4
sempre che il processo che porta alla
rappresentanza, ossia, le elezioni siano libere, infatti: “elezioni e
rappresentanza sono sì il corredo strumentale senza il quale la
democrazia non si realizza; ma ne sono al tempo stesso il
tallone di Achille: le elezioni non sono necessariamente libere, e
perciò la rappresentanza non è necessariamente genuina”
5
.
3
G. SARTORI, Democrazia cosa E’, Milano, Rizzoli, p. 31
4
D. FISICHELLA, Sul concetto di rappresentanza politica, in D.F. (a cura di), La
rappresentanza politica, Milano, Giuffrè, 1984, p. 14
5
G. SARTORI, Democrazia cosa, cit., p. 29
14
Riordinando le idee, il tipo di rappresentanza che andremo a
studiare è l’unica rappresentanza che in un sistema che si
voglia definire democratico possa esistere con piena
legittimità: la rappresentanza elettiva, frutto di una libera ed
egualitaria competizione e non figlia di oscuri legami
sotterranei.
15
1. QUALE DEMOCRAZIA?
Una distinzione obbligata da fare partendo dal genus
democrazia è quella fra democrazia diretta e democrazia
rappresentativa, come di recente è stato ribadito da un acuto
filosofo della politica: “Parto da una constatazione su cui
possiamo essere tutti d’accordo: la richiesta [...] di maggiore
democrazia si esprime nella richiesta che la democrazia
rappresentativa venga affiancata o addirittura sostituita dalla
democrazia diretta. La richiesta non è nuova: l’aveva già fatta
[…] il padre della democrazia moderna, Jean-Jacques Rousseau,
quando aveva detto che ‘la sovranità non può essere
rappresentata’ e pertanto ‘il popolo inglese crede di essere
libero, ma si sbaglia di grosso; lo è soltanto durante l’elezione
dei membri del Parlamento; appena questi sono eletti, esso
torna schiavo, non è più niente’
6
.
Però Rousseau era anche convinto che ‘una vera democrazia
non è mai esistita né mai esisterà’, perché richiede molte
condizioni difficili da mettere insieme, in primo luogo uno
6
J.J. ROUSSEAU, Contratto sociale, in N. BOBBIO, Il futuro della democrazia –
Una difesa delle regole del gioco, Torino, Einaudi, 1985, p. 29
16
Stato molto piccolo, ‘in cui al popolo sia facile riunirsi, e ogni
cittadino possa facilmente conoscere tutti gli altri’; in secondo
luogo ‘una grande eguaglianza di condizioni e di fortune’; […]
Ricordate la conclusione: ‘Se ci fosse un popolo di dèi, si
governerebbe democraticamente. Ma un governo così perfetto
non è fatto per gli uomini’
7
. Per quanto siano trascorsi più di
due secoli […] dèi non siamo diventati. Siamo rimasti uomini.
Gli Stati son diventati sempre più grandi e sempre più
popolosi, onde nessun cittadino è in grado di conoscere tutti gli
altri, i costumi non sono diventati più semplici, sicché gli affari
si sono moltiplicati e le discussioni si fanno di giorno in giorno
più spinose, le diseguaglianze delle fortune non solo non sono
diminuite ma sono diventate, negli Stati che si proclamano
democratici, se pur non nel senso rousseauiano della parola,
sempre più grandi, […] il lusso che secondo Rousseau
‘corrompe allo stesso tempo il ricco e il povero, il primo col
possesso, il secondo con la cupidigia’
8
non è scomparso (tanto è
vero che fra le richieste intenzionalmente provocatorie di alcuni
gruppi eversivi vi è anche quella del diritto al lusso).
7
ibidem, p. 29
8
ibidem, p. 30