2
iudicia imperio continentia , in quest’ ultimo caso entro la decadenza dall’ ufficio
del magistrato incaricato e la Lex Julia iudiciaria, a sua volta, aveva fissato in
diciotto mesi la conclusione
5
. Anche nei sistemi processuali che non conoscevano
scansioni temporali, il decorso del tempo era equiparato alla reiterazione di un
determinato atto, ad esempio la convocazione ripetuta per tre volte.
Occorre precisare che non ogni ritardo configura un’ ipotesi di denegata giustizia,
ma solo quando il mancato rispetto dei termini lede i diritti e le aspettative delle
parti o anche di una sola; non vi rientra il ritardo voluto da entrambe le parti come
nell’ ipotesi prevista dal nostro codice di rito all’ art. 820, comma 4, in materia di
arbitrato (proroga del termine per pronuncia del lodo, stabilita d’ intesa fra le parti).
Per comprendere quanto risalente sia il problema della durata del processo è utile
compiere una panoramica sull’ andamento delle controversie, prendendo come
fascia temporale di riferimento il periodo che va dal 1880 al 1974
6
. Per semplificare
l’ analisi di natura statistica
7
è necessario suddividere tale arco temporale in tre fasi:
prima delle guerre mondiali, tra i due conflitti, dopo la seconda guerra mondiale; la
funzionalità della divisione si riscontra nello stretto collegamento tra il momento
storico ed il ricorso alla giustizia.
Partendo ad analizzare il primo grado di giustizia e ricordando che, in relazione all’
epoca esaminata, lo stesso si articola in Uffici di conciliazione, Preture e Tribunali,
il quadro è il seguente: nella prima fase presso il Tribunale, dai 122 gg. del 1880
5
TALAMANCA, ‘voce’ “Processo civile (diritto romano)” in “EdD” del 1987, pg.1 ss. ;
6
CECCHI P., “Analisi statistica dei procedimenti ordinari di cognizione”, Bari, 1975;
7
Cfr. BENINI, “Principi di statistica”, UTET, Torino, 1932, p.120ss.;
3
(contro i 72 nelle Preture e i 3 nella Conciliazione) si scende agli 83-84 gg. degli
anni 1886-90 ( 38-40 nelle Preture, 9-10 nella Conciliazione), per poi salire ai 284
gg. del 1915 ( 113 nelle Preture e 33 nella Conciliazione); nel periodo fra i due
conflitti mondiali il fenomeno si presenta prima in diminuzione (dai 287 gg. del
1918 la durata scende ai 144 del 1934) per poi riprendere ad aumentare (fino a 237
gg. del 1941, presso i Tribunali); nel periodo posteriore alla seconda guerra
mondiale la durata dei procedimenti tende ad allungarsi in maniera notevole,
considerato che nel 1947 la durata presso i Tribunali è di 450 gg. e sale fino a 904
gg. nel 1974
8
.
Da tale sintetico quadro emergono due regolarità : la diversa lunghezza media nelle
tre fasi, in particolare, costante nelle prime due ed in forte aumento nella terza; la
durata dei procedimenti aumenta notevolmente quando dagli Uffici di conciliazione
si passa alle Preture e, da queste, ai Tribunali
9
.
Passando agli altri gradi di giudizio la situazione non sembra migliorare poiché la
parabola ascendente che ci porta sino al 1974 fornisce tali numeri: 753 gg. innanzi
alla Corte d’ Appello e 1107 gg. in Cassazione.
Tale analisi statistica prende in considerazione tutti i procedimenti, senza
distinzione tra quelli conclusi con sentenza e quelli cancellati dal ruolo ad un certo
8
In tal senso CECCHI, “…negli successivi alle guerre mondiali, durate medie non solo più elevate degli anni
antecedenti alle guerre….Evidentemente tale maggiore durata è conseguenza del carico di lavoro accumulatosi negli
anni di guerra …”, op. cit., p.85;
9
Cfr. CECCHI, “La durata dei procedimenti civili in Italia”, in “Atti della XXVII Riunione Scientifica” della
Società Italiana di Statistica, Palermo, 29-31 maggio 1972, p.771;
4
stadio della procedura. Se si volesse tener conto solo dei procedimenti di
cognizione di primo grado decisi con sentenza definitiva (id est: non suscettibile di
impugnazione mediante i mezzi ordinari), i criteri per determinare la durata media
sarebbero la materia ed il valore della domanda
10
. Le controversie più lunghe sono
quelle in materia di successioni ( più di quattro anni e mezzo), alle quali seguono le
materie di proprietà ( 2 anni e 3 mesi circa) e quelle di persone e famiglia, la durata
delle quali è la più breve, 576 gg.. Riguardo al secondo criterio sussiste una
relazione direttamente proporzionale tra il valore della domanda e l’ aumento della
durata del processo (dai 752 gg. per le domande fino a 50 mila lire, ai 1.073 gg. per
quelle ricompresse tra i 5 e i 10 milioni).
Considerata la limitata competenza per valore del conciliatore
11
, allora si capisce
come mai le durate processuali vadano ad aumentare passando alle Preture e ai
Tribunali.
A questo punto vale una considerazione: poiché l’ analisi statistica si colloca in un
contesto anteriore alla novella n. 353/1990, solo la sentenza di appello è dotata di
efficacia esecutiva e, dunque, è necessario attendere molto tempo prima che possa
in concreto rendersi il riconoscimento di un diritto. Una volta accertate simili durate
dei procedimenti, dovrà considerarsi la convenienza economica di una lite
giudiziaria, in quanto la durata è una componente rilevante della controversia
12
.
10
Cfr. “Annuari di statistiche giudiziarie” ISTAT, 1967;
11
Cfr. PICARDI, “Il giudice conciliatore. Costruzione e crisi di un modello”, in Giust. Civ., 1980, II, pp. 69-71;
12
Cfr. TOMASINI L., « Sulla convenienza economica della lite giudiziaria”, in “Rivista internazionale di scienze
economiche e commerciali”, anno XVI, n.4, 1969, p. 89 e ss.;
5
Sulle durate processuali incide ovviamente anche la distribuzione territoriale degli
uffici giudiziari, in particolare dei distretti della Corte d’ Appello
13
. I risultati più
deludenti sono ascrivibili all’ Italia meridionale ed insulare, ove nel 1972 le durate
superano, in media, i 1.100 gg., rispetto ai 248 gg. di Milano o ai 374 di Torino; il
distretto di Roma occupa una posizione intermedia: 618 gg. . Tra le variabili
considerate per delineare tale graduatoria rilevano: il numero di procedimenti di
cognizione a carico ( in prima istanza ed in appello), il numero dei funzionari di
cancelleria e di cancellieri in servizio, il numero di magistrati in servizio e persino il
numero dei dattilografi. Dunque, all’ ingiustizia delle eccessive durate si aggiunge
la notevole disparità nelle varie zone d’ Italia.
Considerata l’ antichità delle problematiche legate alle durate processuali,
considerato che i dati tutt’ oggi risultano allarmanti, non resta che descrivere gli
interventi legislativi che hanno cercato di risolvere le patologie legate alle carenze
del sistema giudiziario italiano, soprattutto considerando che l’ Italia è Stato
membro dell’ Unione Europea e, in quanto tale, il nostro legislatore è tenuto a
rispettare gli standard minimi di efficienza fissati dalle Istituzioni Comunitarie e
perseguiti dagli altri Stati membri.
13
Cfr. CECCHI, op. cit., p. 127 ss.;
6
II. La presa di coscienza del legislatore italiano
1. Cenni storici essenziali sulla durata del processo in Italia e la
figura del conciliatore
Il primo dei codici di rito risale al 1865, data dell’ unificazione del Regno
d’ Italia, ma già in precedenza, in particolare nel Regno delle due Sicilie, la
legislazione ferdinandea ( il codice di procedura del Regno) prevedeva la
figura di un giudice onorario, chiamato conciliatore, stabilizzato in ogni
Comune, nonché in ogni quartiere nelle città di Napoli, Palermo, Messina e
Catania, il quale era sottoposto alla vigilanza del regio procuratore della
provincia
14
. Tutte le disposizioni dedicate al Conciliatore erano contenute
nel primo libro del codice di procedura civile, le quali prevedevano un
processo semplificato per la giustizia minore ed una competenza limitata
alle cause civili di scarso valore
15
.
Il conciliatore dell’ epoca borbonica ha prodotto buoni risultati sullo
smaltimento del contenzioso, in quanto ha risolto controversie minori che,
altrimenti, avrebbero inceppato la cd. macchina giudiziaria
16
e proprio per
14
Cfr. PICARDI, “Il giudice conciliatore. Costruzione e crisi di un modello”, in Giust. civ., 1980, II, p. 59 ss.;
15
Cfr. art. 70 del c.p.c. napoletano: “quando la verità dei fatti non fosse abbastanza provata, il Conciliatore più che
pronunziare da giudice, arbitrerà da amichevole compositore”; art. 67 dello stesso codice, “il conciliatore non è
giudice della propria competenza e deve rimettere la relativa questione al Tribunale”; cfr. art. 12, 2° comma, della
legge organica del 1817, “il giudizio è inappellabile”;
16
In tal senso la “Relazione ‘Pisanelli’ della Commissione della Camera dei deputati sul progetto di legge per
l’unificazione legislativa”, 8 febbraio 1865, I, n.4; in senso contrario MORTARA, “la vivace fantasia meridionale ed
i voli retorici….avrebbero accreditato la gratuita opinione intorno alla buona prova fatta nel Mezzogiorno”,in
FERRARI-ZUMBINI, op. cit. p.128;
7
tale funzionalità viene trapiantato nella legislazione unitaria del codice di
procedura del 1865.
Rispetto alla legislazione napoletana, lo schema processuale delle
controversie devolute al conciliatore non è più un tutto organico contenuto
nel libro primo, ma viene costruito attraverso un doppio rinvio
17
. Il
processo avanti al conciliatore ha le sue disposizioni speciali
18
, ma è poi
inserita una norma di chiusura che, per tutto ciò che non è espressamente
regolato, rinvia al processo pretorile
19
.
L’ intervento massimo del conciliatore viene richiesto nel corso del 1900,
quando le conciliature registrarono una sopravvenienza di circa due milioni
di procedimenti
20
.
Sempre agli inizi del secolo (1905-1906) si pone la battaglia di Chiovenda
per la riforma del codice del 1865, basata sul recepimento dei principi di
oralità, concentrazione ed immediatezza del processo
21
. Il Chiovenda
fondò il sistema sulle due nozioni di azione (diritto potestativo della parte
di agire in giudizio) e di rapporto processuale (nel quale si fa consistere il
processo): in seguito all’ esercizio del potere di azione sorge il dovere del
17
Cfr. PICARDI, op. cit. , p. 61;
18
Artt. 448 e ss. c.p.c. del 1865;
19
Art. 464 c.p.c. del 1865;
20
Cfr. PICARDI-GIULIANI, “Il conciliatore, in l’ Ordinamento giudiziario,III (Materiali per una riforma)”, Rimini,
1985, pp. 93-156; cfr. PELLEGRINI, “La litigiosità in Italia”,Giuffré, Milano 1987,p. 284;
21
In tal senso CHIOVENDA, “L’ oralità per se stessa non richiede un considerevole aumento nell’ ingerenza
direttiva del magistrato”in “Le forme nella difesa giudiziale del diritto” (1901), in “Saggi di diritto processuale
civile” a cura di Proto Pisani, I, Giuffré, Milano 1993, p. 372; cfr. CHIOVENDA “.Se il giudice ripugna di sentirsi
chiuso nei cancelli della volontà dominatrice delle parti, egli deve accettare almeno i vincoli di una considerazione
pratica, cioè che le parti sono i migliori giudici della loro difesa e che nessuno può conoscere meglio di loro quali
fatti allegare e quali no”, in “Identificazione delle azioni. Sulla regola “ne eat iudex ultra petita partium”, in
op.cit., pp. 175-177;
8
giudice di pronunciare e, quindi, il rapporto giuridico processuale, di cui
quel dovere è componente essenziale
22
.
In una società dinamica e non basata più solo sull’ attività agricola, la
celerità del processo diviene un elemento essenziale di una effettiva tutela
giurisdizionale ed i principi sanciti dall’ illustre Dottrina sono valori
storicamente pregnanti e finalizzati a rendere il processo uno strumento
effettivo di tutela
23
.
Il successivo codice del 1942, nel suo testo originario, risulta essere il frutto
di tale orientamento dottrinario, in quanto manifesto di valori politici
basilari: pubblicizzazione del processo, collaborazione del giudice con le
parti nella determinazione dei punti controversi
24
(id est, bisognosi di
prova), prevalenza dell’ elemento volitivo su quello logico, concentrazione-
oralità-immediatezza, libero apprezzamento da parte del giudice delle prove
proposte dalle parti
25
.
Un’ inversione di tendenza si ebbe con la legge 14 luglio 1950, n. 581 e il
D.P. del 17 ottobre 1950, n. 857, in quanto il valore della celerità del
22
Cfr. in senso critico MARENGO, “Ne risultò una costruzione concettuale insufficiente a dar conto della realtà
complessa fornita dall’ ordinamento, rimanendo nell’ ombra la valutazione normativa degli atti che fanno capo ai
soggetti, e la serie di posizioni giuridiche soggettive che vi corrisponde, così venendo a mancare la consapevolezza
del processo visto dal lato dei soggetti” , in “La discrezionalità del giudice civile”, Giappichelli, Torino, 1996, p.46;
23
In tal senso PROTO PISANI, “Concentrazione-immediatezza –oralità non sono eidola dei processualisti civili, non
sono concetti creati dalla astratta fantasia di Giuseppe Chiovenda…”, in “Il processo civile di cognizione a
trent’anni dal codice (un bilancio e una proposta)”, Riv. dir. proc. 1972, p. 37 ss.;
24
In tal senso CALAMANDREI, “..dal potere che hanno le parti di disporre del diritto sostanziale, non deriva come
logica conseguenza il potere di trascinare i litigi dinanzi al giudice e di ingombrare le aule giudiziarie per un tempo
più lungo di quello che il giudice ritiene sufficiente”, in “Istituzioni di diritto processuale civile”, I, CEDAM, Padova
1941, p.239;
25
Cfr. CALAMANDREI, “Il nuovo processo civile e la scienza giuridica”, Riv. dir. proc., 1941, I, p. 53 e ss.; cfr.
CARNELUTTI, “Carattere del nuovo processo civile italiano”, Riv. dir. proc., 1941, I, p. 35 ss.; in senso contrario
cfr. CIPRIANI, “In realtà, quel codice deriva direttamente dai due progetti varati tra il 1937 e il 1939 da Arrigo
Solmi, il guardasigilli che nel 1938 firmò le leggi razziali” in “Il processo civile italiano tra efficienza e
garanzie”,Riv. trim. proc., 2002, p. 1243 ss.;
9
procedimento, finalizzato alla pronta tutela dell’ individuo, venne meno
poiché la novella ha modificato il regime dell’ introduzione della causa
avanti al tribunale, eliminato le preclusioni ricollegate dagli artt. 183 e 184
c.p.c. alla prima udienza di trattazione, introdotto l’ istituto del reclamo
immediato al collegio e inciso sulla disciplina dell’ estinzione del
processo
26
.
La dottrina ritiene che la novella del 1950 abbia dato luogo ad un’
antinomia
27
, poiché da un lato conserva la figura del giudice istruttore e
dall’ altro ne limita fortemente i poteri; in particolare, da un lato abbiamo le
pregnanti modifiche sulla fase introduttiva e di trattazione della causa,
mediante abolizione del sistema di preclusioni previste dall’ art. 184 c.p.c.,
dall’ altro si mantengono alcune preclusioni legate non solo alla fase di
trattazione ( vedi art. 296 c.p.c., istituto che ha ragion d’ essere in un
processo la cui funzione di freno e di acceleratore è attribuita al giudice e
non alle parti) e si attribuiscono al giudice istruttore una serie amplissima di
poteri-doveri ( ex. artt. 175-103, 2° comma-180-187…etc.).
Bisogna precisare che anteriormente alla novella del 1950 era entrata in
vigore la Costituzione della Repubblica (1948), le cui norme contengono
corposi giudizi di valore sulla funzione del processo ( ad esempio l’
26
In tal senso cfr. ANDRIOLI, “…non risolve il problema del giudice, lo pone”, in “Sulle modificazioni e aggiunte
al cod. di proc. civ.”, Foro it. , 1951, IV,p. 21 ss.;
27
Cfr. SATTA, “…il processo è oramai nel pieno dominio delle parti ed il giudice è ridotto a fare la parte del terzo
incomodo o, se si vuole, scomodato…con il risultato di ridurre l’ udienza di trattazione ad un relitto storico ad una
invereconda commedia”, in “Le nuove disposizioni sul processo civile”, CEDAM, Padova 1951, p. 166 ss.;
10
esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost.), giudizi che assumono un
ruolo centrale nell’ interpretazione delle disposizioni ordinarie del codice di
rito in quanto fonti subordinate al testo costituzionale
28
.
In base alla nuova regolamentazione, il processo perde la sua aspirazione di
celerità e diventa estremamente lungo, quindi inefficiente ed insufficiente
ad apprestare tutela
29
.
Vi è stato anche chi ha sostenuto che la celerità del processo non può
considerarsi a priori un bene
30
, facendo leva sulle innumerevoli motivazioni
che possono portare alla notifica dell’ atto di citazione. Tale
argomentazione non può trovare avallo dopo l’ ingresso della Costituzione
e dei suoi principi, i quali riaffermano il carattere pubblicistico della
giurisdizione
31
.
Allo scopo di accelerare lo svolgimento del processo civile si è anche tenuto
conto dell’ esperienza della Repubblica federale tedesca, la quale ha
affrontato il problema della lungaggine del processo attraverso un’
28
Cfr. ANDRIOLI, “…il valore che in sede di interpretazione della legge processuale possono esercitare talune
vaghe norme costituzionali”, in “La tutela giurisdizionale dei diritti nella Costituzione della Repubblica italiana”, in
“Nuova rivista di diritto commerciale, Diritto dell’ economia, Diritto sociale”, 1954, p. 312 ss.;
29
In tal senso “Relazione del CSM” aprile 1970, “l’ enorme lungaggine del processo provoca un progressivo
decadimento del sentimento del diritto……..è anche in contrasto con l’ art. 24, 1°comma della costituzione , che deve
essere inteso come avente un contenuto reale ed effettivo, nel senso cioè che esso mira ad assicurare a tutti la
possibilità di tutela giudiziaria e l’ efficace ripristino delle posizioni giuridiche lese, e non già come una mera
affermazione generica ed astratta che possa tollerare l’ inefficienza di quella tutela o la mera teoricità degli
strumenti che dovrebbero garantirla” ; cfr. FRANCHI, “La Giustizia italiana secondo il Consiglio superiore della
magistratura”, Riv. dir. proc., 1971, p. 53 ss.;
30
In tal senso RUISI, “…l’iniziativa della citazione può essere determinata dai più svariati motivi: dalla necessità di
interrompere dei termini perentori, alla opportunità di una presa di posizione”, in “Il rinvio dell’ udienza
istruttoria”, in “Atti dell’ incontro sul giudice istruttore”, Milano 1955, p. 146-147;
31
In tal senso, MICHELI, “…la natura pubblicistica della giurisdizione esclude che se le parti ritengono di rivolgersi
ad un organo dello stato per avere la decisione della controversia, le parti stesse possano utilizzare l’ attività di tale
organo, in sostanza un sevizio pubblico essenziale, così da intralciare l’ uso che gli altri cittadini intendono fare del
medesimo servizio”, in “Problemi attuali del processo civile in Italia”, in Giur.it., 1969, IV,p. 81 ss.;
11
esperienza limitata: l’ applicazione di una procedura più rapida presso
alcune sezioni del Tribunale di Stoccarda, al fine di consentire la
definizione del giudizio nel corso di una sola udienza o al massimo due o
tre, realizzando quei principi di concentrazione-immediatezza-oralità che
anche in Germania si erano perduti
32
.
Condivisibile appare l’ argomentazione di chi attribuisce la causa prima dei
ritardi nella risoluzione delle controversie alla mancanza di personale
destinato alle sezioni civili dei tribunali e di attrezzature adeguate per lo
svolgimento del servizio
33
. Ciò è ancor più vero se si considera la crisi
affrontata dalla giustizia minore , in particolare dal conciliatore, il cui
operato ha subito un’ imponente involuzione.
A partire dagli anni ’30 l’ operato di tale ufficio si dimezza , tant’è che i
procedimenti sopravvenuti discendono ad un milione
34
, ma continua
sempre a smaltire il 65% del contenzioso civile, consentendo a pretori e
tribunali di rendere giustizia più o meno rapidamente e senza troppa fatica.
Con il codice del ’40 la competenza per valore del conciliatore fu portata a
mille lire, ma a seguito della svalutazione successiva alle guerre mondiali,
ciò che valeva 1.000, nel 1947 valeva 50.000, mentre il legislatore aveva
indicizzato la competenza del giudice onorario alla fase pre-conflitti
35
.
32
Cfr. GRUNSKY, “Il cosiddetto <modello di Stoccarda> e l’ accelerazione del processo civile tedesco”, in Riv.
dir. proc., 1971, p. 354 ss.;
33
In tal senso, PROTO PISANI, “L’ insufficienza di personale e di attrezzature costituisce la causa principale della
lungaggine del processo civile e ricorre si può dire in tutti in tutti i discorsi inaugurali dell’ anno giudiziario ed in
tutte le relazioni congressuali”, op. cit.,p.55;
34
Cfr. DENTI, “Giudice onorario e giudice unico”, in Riv. dir. proc. 1978, p. 609 ss.;
35
Cfr. CIPRIANI, “Il processo civile italiano tra efficienza e garanzie”,in Riv. trim. proc., 2002, p.1251 ss.;
12
Conseguenza diretta di tale incongruenza fu l’ intasamento delle preture e
dei tribunali, per lo meno fino alla legge 25 luglio 1966, n. 571 che portò la
competenza dei conciliatori a 50.000. Tale intervento normativo non servì a
risollevare le sorti del giudice onorario, in quanto negli anni settanta davanti
ad esso pendevano circa 10.025 procedimenti, la durata dei quali aveva
raggiunto i 419gg., quasi come innanzi al pretore. La crisi del giudice laico
raggiunse i livelli massimi nel corso degli anni ’80
36
; nonostante la legge
del ’78 sull’ equo canone ampliasse la competenza del conciliatore ormai le
percentuali di distribuzione del contenzioso erano completamente invertite
in favore dei giudici professionali: 6.29% al conciliatore, 58.94% al pretore,
34.77% al tribunale.
Dal passaggio della mole di controversie ai giudici togati consegue l’
ulteriore intasamento delle medesime Corti e l’ esigenza di correre ai ripari
mediante una riforma del codice di rito che introduca strumenti volti ad
accelerare le procedure ed a smaltire il contenzioso anche in via
stragiudiziale.
36
BOVARINI, “Ricerca sulle cause della diminuzione della litigiosità nei giudizi avanti i conciliatori”, in Sociol.
Dir., 1981, p.37 ss.;
13
2. La novella n. 353 del 1990
Il 1° gennaio 1993 entra in vigore la legge 26 novembre 1990 n. 353,
concernente “Provvedimenti urgenti per il processo civile”, quale rimedio
contingente e provvisorio indispensabile a far fronte alla situazione di
progressivo degrado in cui versa il processo civile
37
.
La riforma è stata preparata da una serie di proposte, risalenti al periodo
immediatamente successivo all’ approvazione della legge sul rito del lavoro
e che si sono intensificate negli ultimi anni , proprio per l ‘aggravarsi dello
stato di salute della giustizia civile. L’ iter risale all’ approvazione del d.d.l.
1288/S/X
38
, presentato dal governo nel 1988. Tale disegno ha subito incisive
modifiche in sede di prima approvazione del Senato, quale l’ introduzione
del procedimento cautelare uniforme
39
e aggiustamenti di minore importanza
in sede di approvazione alla Camera.
Gli scopi principali che la novella intende perseguire possono
sinteticamente, individuarsi così: accelerazione del processo civile,
deflazione del numero delle controversie, introduzione di un’organica e
37
Cfr. MAIORANO, “Ritengo che possa essere ritenuto un vero e proprio intervento riformatore inserito in un
disegno strategico più vasto, del quale fanno parte la recente legge che ha istituito le preture circondariali e quella
ultima sul giudice di pace: una incisiva, radicale e razionale riforma di alcuni aspetti del processo civile e,
soprattutto, della composizione dell’ organo giudicante”, in “Aspetti della riforma del processo civile”, Giuffré,
Milano 1992, p. 1;
38
Cfr. COMMISSIONE DI GIUSTIZIA DEL SENATO, “Il processo civile è ormai divenuto strumento per
allontanare nel tempo la realizzazione dei diritti, consentendo una sorta di radicamento dell’ingiustizia”, in “Delega
legeslitiva al Governo della Repubblica per l’emanazione del nuovo codice di procedura civile”, Riv. trim dir..proc.
civ., 1986, p.318 ss.;
39
Cfr. CONSOLO-LUISO-SASSANI, “La riforma del processo civile”, commentario, Giuffrè, Milano 1991;
14
concreta disciplina del procedimento cautelare, attribuzione generalizzata
della provvisoria esecutività ex-lege alla sentenza di primo grado
40
.
Prima di compiere un’ analisi sistematica dei singoli interventi occorre fare
una premessa: l’ effettività della giustizia civile significa senza dubbio
celerità del processo, ma non celerità a tutti i costi, bensì soltanto nel pieno
rispetto delle esigenze di difesa dell’ attore e del convenuto.
2.1. La nuova struttura del processo di cognizione in primo grado
Il legislatore della riforma, conscio che uno dei motivi di crisi del processo
ordinario di cognizione era l’ eccessiva durata dello stesso ( la durata media
dei procedimenti di cognizione innanzi ai Tribunali era 1136 gg.)
41
, è
intervenuto incisivamente sulla fase introduttiva del processo ed ha
ristabilito una serie di preclusioni relative a domande ed eccezioni,
perseguendo una palese finalità acceleratoria.
40
In senso critico, cfr. PAJARDI, “Purtroppo, come tutte le riforme di questo periodo storico, specialmente quelle
incidenti sul processo, risente anch’ essa di un vizio d’origine: è stata varata senza un piano di fattibilità
…..pretendere che il processo civile duri meno, molto meno che in passato o che nel presente, solo modificando
alcune regole ma senza provvedere ad una ristrutturazione degli organici umani, giudiziari e amministrativi, e senza
provvidenze strumentali e materiali, è veramente il sogno di una notte di mezza estate”, in tal senso cfr. anche
TARZIA, “E’ un vecchio idolum della nostra dottrina processual civilistica quello do considerare al centro dei
problemi della riforma esclusivamente la legislazione sul processo”, in “Aspetti della riforma del processo
civile”, Giuffré, Milano, 1992;
41
Cfr. Relazione del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione per l’ inaugurazione dell’ anno giudiziario
1989; cfr. FABBRINI, “….durata deforme, slabbrata, casuale, inconcludente, nella quale annega certo il valore
finale della tutela sostanziale di chi ha ragione….e più ancora il corretto rapporto dialettico tra i poteri di tutti i
soggetti”, in “Per un progetto di riforme urgenti”, Riv. trim. dir. proc. civ. 1987, p. 1055;
15
Tale intervento è stato pienamente condiviso dal CSM, il quale, in una
risoluzione ha sottolineato che “le preclusioni servono non soltanto a fare
presto, ma a fare bene”
42
.
Per quanto riguarda l’ atto di citazione, l’ art. 163 ha previsto come requisito
essenziale dello stesso a pena di nullità, l’ invito al convenuto a costituirsi
tempestivamente e a comparire all’ udienza, e l’ avvertimento che la
mancata tempestiva costituzione comporta le decadenze di cui all’ art. 167
c.p.c.. L’ art. 163-bis, a sua volta, ha unificato i termini di comparizione : tra
la data di notifica della citazione e l’ udienza di comparizione intercorrono
sessanta giorni liberi
43
. Si impone, a pena di decadenza, che l’ esercizio della
facoltà di proporre eccezioni (non rilevabili d’ ufficio) e/o la domanda
riconvenzionale avvengano nella comparsa di risposta (art. 11 della
novella)
44
.
Passando agli interventi sulla fase preparatoria, la novità di maggior rilievo
è la re-introduzione del principio di eventualità, grazie al quale il processo
risulta diviso in fasi distinte (trattazione in senso stretto, istruzione
probatoria, decisione), le quali non consentono il compimento nella fase
successiva delle attività proprie della fase precedente.
42
Risoluzione CSM, “Misure per l’accelerazione dei tempi della giustizia civile”, in Foro it. 1988, V, c.249 e ss. ; in
senso contrario TARZIA, “…rimane in me la convinzione , del resto diffusa, che l’ articolazione della fase
preparatoria, in particolare con la preclusione- in ogni causa e non solo in quelle, supposte semplici, di lavoro- delle
eccezioni in senso stretto non dedotte nella comparsa di risposta , non realizzi adeguatamente la tutela del
convenuto, e frustri, per gran parte, lo stesso intervento del giudice nella fase preparatoria…”, in op. cit. , p.30;
43
Cfr, CONSOLO-LUISO-SASSANI, op.cit., p.XIII;
44
In tal senso cfr. FAZZALARI, “Come da noi tutti avvertito, in alcuni punti del processo occorreva ricolocare
delle preclusioni, con termini fissati dalla legge e non dal giudice. La novella vi ha adeguatamente provveduto”, in
“Luci e ombre della riforma del processo civile”, Riv. dir. proc., 1991, p. 622 ss.;