2
con lo scopo di giungere al minor dispendio di risorse possibile.
E se l’efficacia esecutiva dell’uomo è stata raggiunta attraverso
la teorizzazione di scienze appositamente dedicate ai contesti
economici di riferimento, il raggiungimento dell’efficienza è
direttamente collegato all’utilizzo di concetti base relativi a
discipline quali l’economia aziendale, il marketing e la
comunicazione d’azienda, per mezzo delle quali la gestione
delle risorse diventa ottimizzante in virtù di una loro più
coerente collocazione sia dal punto di vista operativo, quindi
all’interno dell’organizzazione, sia dal punto di vista strategico
nei confronti dell’ambiente esterno. Questo intero processo di
soddisfacimento dei bisogni dell’uomo, organizzatosi nel tempo
secondo precise forme di economia d’impresa, ha interessato
ogni tipologia di domanda di beni e servizi, il cui utilizzo e la
cui fruizione hanno consentito al generico individuo di
allontanarsi da una iniziale condizione di indigenza,
contraddistinta dal perseguimento di interessi di natura
esclusivamente materiale, per indurlo a ricercare risposte
soprattutto di ordine psicologico e sociale alla sua domanda di
immaterialità. Proprio la ricerca di autostima e di
autorealizzazione, nonché del senso di appartenenza da parte
dell’individuo, ha permesso la formazione e la crescita della
domanda di beni di pubblica utilità o beni sociali, domanda
strettamente legata alla condizione dell’uomo come soggetto
sociale, che gli permette quindi di sentirsi parte integrante
della società a cui appartiene e protagonista attivo nella
risoluzione dei problemi altrui o collettivi. Vista la crescente
domanda di tali beni all’interno di un contesto economico-
3
sociale fino ad ora rappresentato unicamente da forme di
offerta statali, accentrate sia a livello di gestione che di
finanziamento, la cui maggiore sfida per la sopravvivenza
economica era rappresentata dalla risoluzione di un
comportamento tanto diffuso quanto dannoso come il free-
riding, si è ritenuto opportuno, secondo la logica della
razionalità economica, avvalersi di un impianto organizzativo
più rispettoso del vincolo economico della gestione e situato a
metà strada tra un localismo riguardante le necessità
individuali e collettive da soddisfare, e un sempre più
crescente globalismo per quelli che sono i mercati o i pubblici
dai quali attingere risorse. Queste condizioni ambientali ed
aziendali hanno sancito la nascita delle aziende non profit
come particolare tipologia d’impresa, ritenute da più parti quali
soggetti più idonei a soddisfare l’ampia classe dei beni di
welfare, che vanno dai bisogni primari insoddisfatti di
particolari classi di individui alla diffusione di idee sociali e dei
relativi comportamenti di tutela, dall’integrazione sociale e
lavorativa all’aggregazione collettiva. L’idoneità di tali aziende
non profit ad assumere il ruolo di principale interlocutore nei
confronti della domanda di beni di welfare è da ricercare nel
sistema di raccolta delle risorse che esse adottano per evitare
ogni tipo di comportamento opportunistico da parte dei loro
“clienti”. In quest’ottica non sono chiamati a partecipare alle
spese di gestione tutti i fruitori indistintamente considerati,
come accadeva per il Welfare State, ma solo coloro che
ritengono che le risorse da essi destinate alle aziende non
profit acquistino una utilità maggiore per coloro che ne
4
saranno i fruitori. Questo atteggiamento volontario, e non
coercitivo, per quanto riguarda la raccolta delle risorse
economiche, materiali ed umane rivolte alle aziende non profit,
elimina i potenziali free-riders e, per mezzo di una gestione più
efficiente, aumenta il grado di soddisfazione dei destinatari
delle loro attività. Da ciò emerge come la funzione più
importante delle aziende non profit sia quella di creazione del
valore, ovvero di rivalutazione positiva di tutte quelle risorse
che, giunte dal donatore e veicolate verso il beneficiario,
acquistano per mezzo delle aziende non profit una utilità
superiore al loro valore intrinseco, e che consentono loro di
soddisfare il finalismo per le quali si vengono a costituire: una
redistribuzione più equa delle risorse. Strumento
indispensabile per garantire questo processo di creazione e di
distribuzione del valore è il fund raising, ovvero la raccolta
delle risorse che le aziende non profit attuano nei confronti di
pubblici ben determinati, i quali acquisiscono nel particolare
caso la denominazione di stakeholders in virtù degli interessi
che nutrono nei confronti di tali aziende e del loro agire.
Affinchè tali individui interagiscano attivamente con le aziende
non profit deve verificarsi una convergenza degli interessi
reciproci come base di uno scambio vicendevolmente
profittevole, che porta gli individui a trarre il più delle volte
benefici metaeconomici, come l’autostima e l’autorealizzazione
di cui sopra, e le aziende non profit ad avviare il procedimento
di soddisfacimento di idee e bisogni sociali. Necessario a tutto
ciò è la fondamentale costruzione di una meritevolezza e di un
consenso sociale basati sulla diffusione dell’idea di giusta
5
causa come legittimazione sia a svolgere un’azione sociale
secondo dettami aziendali, sia a chiedere risorse tra i pubblici
di riferimento. La diffusione della meritorietà dell’azione svolta,
la crescente internazionalizzazione nella ricerca delle fonti di
approvvigionamento, l’esigenza da parte delle aziende non
profit di stabilire rapporti di interessi con individui od
organizzazioni potenzialmente interessate, l’incontro
domanda-offerta generatrice di scambi motivati da una giusta
causa, sono tutti aspetti che per essere gestiti secondo una
dimensione economica d’impresa inducono la generica azienda
non profit ad avvalersi di strumenti di marketing e di
comunicazione d’azienda. Per mezzo dei primi l’obiettivo è di
effettuare un’analisi chiara e approfondita della realtà al fine di
implementare correttamente azioni strategiche la cui
importanza e i cui effetti si riscontrino anche nel lungo
periodo; attraverso i secondi lo scopo è dare trasparenza alla
destinazione delle risorse raccolte e al modo con cui si sono
raggiunti i risultati così da fidelizzare il rapporto con gli attuali
stakeholder, oltrechè raggiungere nuovi pubblici sfruttando un
posizionamento della propria offerta all’interno del mercato
che trovi coerenza nella mission originaria.
6
CAPITOLO I
NON PROFIT E PRINCIPI ECONOMICI D’IMPRESA
1.1 Introduzione
I paesi più moderni ed evoluti sono sempre stati
organizzati secondo due tipologie di economie, ognuna delle
quali incentrata su specifiche strutture, governata da precise
regole di funzionamento e sottostante a determinati vincoli di
economicità
1
: si tratta dell’economia di Stato, e dell’economia
di mercato.
Si potrebbe altresì affermare che questi due differenti
approcci alla realtà economica, complementari per quanto
riguarda i settori di intervento
2
, si distinguono, uno nei
confronti dell’altro, principalmente per il principio di
legittimazione delle decisioni economiche
3
e per ciò che
concerne il risultato che perseguono attraverso l’attività
economica di erogazione di servizi, ovvero di produzione di
beni: legittimazione del consenso politico
4
, attraverso il
1
Condizione che garantisce, ad ogni classe di azienda, la permanenza nel lungo periodo
all’interno del settore di riferimento.
2
Lo Stato produce bene collettivi che per loro natura non hanno un valore di scambio (e
quindi di mercato) oppure beni individuali sottratti al processo di allocazione di mercato.
3
In un contesto economico di Stato tale principio si fonda sul diritto di cittadinanza, mentre
nel mercato deriva dal potere d’acquisto di ogni singolo individuo.
4
“Per le agenzie pubbliche, l’obiettivo è portare avanti i programmi così come stabiliti dagli
amministratori eletti, nel rispetto della volontà degli elettori”, V.MELANDRI, “Il problema
formativo nel settore non profit”, in Non Profit, n° 2, 1996.
7
soddisfacimento dei bisogni dell’elettore medio
5
, per lo Stato;
conseguimento di profitti, redistribuiti tra coloro che
conferiscono il capitale di rischio, per il mercato.
Negli ultimi decenni, però, sono state molteplici le cause
che hanno favorito la nascita e il consolidamento di quello che
è stato definito terzo settore
6,7
, il quale, pur facendo proprie
alcune caratteristiche sia funzionali che organizzative degli
apparati economici di cui si è detto sopra, come la finalità di
interesse collettivo delle attività statali e l’utilizzo di principi e
tecniche dell’efficienza gestionale ed economica proprie degli
istituti di mercato, prende le distanze dagli stessi attraverso il
rifiuto, o l’impossibilità di:
- perseguire interessi di tipo generale o comune, in ogni
caso interessi altrui, mediante l’esercizio di un potere
sovraordinato rispetto ad altri soggetti, fisici e giuridici,
5
“L’elettore medio rappresenta il desiderio della maggioranza”, in Non per profitto, a cura di
M.C.BASSANINI, P.RANCI, Fondazione A.Olivetti, Milano, 1991. P.MILANESE (Non-profit
marketing e valore sociale, Egea, 1998) prende spunto dalla disciplina economica delle scelte
pubbliche per affermare che, siccome le procedure decisionali pubbliche sono regolate dal voto
a maggioranza, il profilo d’intervento statale che ne risulta potrà soddisfare in modo completo
soltanto la maggioranza stessa, incarnata dalla figura del cosiddetto “elettore medio”.
6
Il termine “Terzo Settore” ha valenza storica e principalmente europea, poiché è stato
coniato all’interno del rapporto Delors “Un progetto per l’Europa”, redatto nel 1978 in sede
comunitaria. La sua diffusione è dovuta più che altro alla brevità del termine, nonché alla sua
carica distintiva che lo differenzia rispetto agli altri due settori, il mercato e lo Stato. Ma anche
se il suo utilizzo è entrato nella consuetudine popolare e dottrinale, esistono una serie di
studiosi che ne contestano il significato. Primo tra tutti Stefano Zamagni (“Dal non profit
all’economia civile”, in AA. VV., Le aziende non profit tra Stato e mercato, atti del convegno
AIDEA, Roma 1995) secondo il quale esiste un doppio fondamento teorico errato
nell’espressione “Terzo Settore”: il primo è che pure il mercato e lo Stato, che dovrebbero
essere gli altri due, non sono settori, perché non rappresentano degli insiemi di attività
sufficientemente omogenee tra loro; il secondo, legato alla natura residuale di tale
espressione, afferma che le definizioni in negativo, per essere accettabili, presuppongono la
conoscenza dell’insieme universo. Egli suggerisce di utilizzare il termine “Economia Civile”,
partendo dalla considerazione che elemento di novità è la produzione di ricchezza come
strumento per l’esercizio della virtù.
Altri sinonimi in uso in letteratura sono settore non profit, privato sociale ed economia sociale.
7
Partendo dal presupposto che attività che perseguono scopi socialmente rilevanti esistono da
sempre, il neo-nato terzo settore, di natura privatistica, ha la novità di essere gestito secondo
modelli di impresa.
8
presenti nella società, per quanto riguarda il rapporto tra
Stato e terzo settore;
- considerare come motivazione primaria del proprio agire
economico la mera massimizzazione di un valore
economico residuale, per ciò che concerne il rapporto tra
mercato e terzo settore.
Se il precipuo obiettivo di quello che può anche essere
chiamato settore non profit
8
è quello di soddisfare le necessità
e i bisogni degli individui lasciati incompiuti da Stato e
mercato, promuovendo attività socialmente rilevanti di natura
privata e realizzando una allocazione più equa delle risorse, tra
le cause più visibili del suo sviluppo ci sono sicuramente i
mutamenti intervenuti nel contesto sociale e culturale di
riferimento.
Infatti sono proprio i cambiamenti cui la società sta
andando incontro che favoriscono l’insorgere di nuovi o più
particolareggiati bisogni, non soddisfatti dall’agire di Stato e
mercato.
Esempi, non solo per l’Italia, potrebbero essere il
progressivo invecchiamento della popolazione, una sempre
più crescente eterogeneità culturale all’interno della società,
l’insorgere di nuove e inquietanti malattie e, in sostanza, ogni
altra situazione che possa provocare un cambiamento nella
8
Il termine non profit, efficace crasi dell’originario not for profit di stampo americano, intende
evocare la natura della motivazione originaria e fondante per cui si dà avvio e si svolge una
determinata attività umana rispetto alla strumentalità che le deriva dall’essere organizzata in
forma di azienda. E.BORGONOVI, “Aziende non profit: problemi teorici, profili giuridici e
politiche di indirizzo”, in AA. VV., Le aziende non profit tra Stato e mercato, atti convegno
AIDEA, Roma, 1995.
9
scala dei bisogni
9
e dei valori che gli individui, rispettivamente,
necessitano di vedere soddisfatti e in virtù dei quali finalizzano
le proprie azioni, individuali o collettive che siano.
Se di tali bisogni si vuole effettuare una generica
concettualizzazione, è possibile individuare tre caratteristiche
fondamentali ad essi proprie, ovvero la loro ampia diffusione, il
loro forte legame con la condizione umana, ed infine la loro
identificazione con quelli di singoli o di gruppi di persone che
devono dare voce alla propria condizione per essere visibili.
E’ possibile che un sistema economico polarizzato sui
due tradizionali fornitori di beni e servizi, lo Stato, o pubblica
amministrazione da un lato, e il libero mercato dall’altro, lasci
in posizione sub-ottimale la soddisfazione di gruppi significativi
di consumatori, quelli più esigenti o quelli con bisogni
altamente specifici. Ciò può accadere per la scarsità dei mezzi
attivati dalla pubblica amministrazione, per la sua incapacità di
creare agli occhi del mercato un appeal, soprattutto
sottoforma di convenienza economica, legato a tali attività,
ovvero per l’egoismo degli stessi protagonisti di mercato, che
in mancanza di tale convenienza rifiutano ogni tipo di impegno
diretto.
In sostanza, il contesto economico-sociale di ogni paese
sviluppato ha la necessità di trovare una soluzione al riguardo,
e il punto di partenza sarebbe la maturazione della
consapevolezza di dover trovare una condotta più equa ed
efficace dal punto di vista sociale.
9
Secondo la piramide dei bisogni di Maslow un bisogno diventa motivante solo se sono
soddisfatti i bisogni che si trovano alla base di tale piramide. A.MASLOW, Motivazione e
Personalità, Arnaldo Editore, Roma 1974.
10
1.2 Dal welfare state al privato sociale
Un altro tipo di causa sottostante alla nascita del settore
non profit, o del privato sociale, è il processo di revisione cui è
stato sottoposto il sistema politico occidentale. Negli anni
passati era molto ben consolidato l’impianto politico del
welfare state
10
, il quale prevedeva che lo Stato si assumesse
piena responsabilità nella protezione sociale, ovvero, nella
creazione e nell’erogazione ai cittadini di servizi di pubblica
utilità. Ma proprio la mancanza, da parte dello Stato, di una
organizzazione strutturata e di una continuità di erogazione, e
soprattutto di una gestione economicamente efficiente, ha
dato il via al superamento di questa centralizzazione statale a
favore di una nuova era di privatizzazione
11
nei servizi di
protezione sociale e nel soddisfacimento dei bisogni di pubblica
utilità.
Per incominciare è opportuno definire il sistema di
welfare, ricordando che esso svolge, con diversa modalità a
seconda dei paesi, almeno tre funzioni: redistributiva,
assicurativa e produttiva, o di sostegno alla produzione.
10
Secondo una definizione di Ferrera il Welfare State rappresenta “una forma
istituzionalizzata di solidarietà”. M.FERRERA, Il Welfare State in Italia, Bologna, Il Mulino,
1984.
11
Si utilizza il concetto “privatizzazione” per definire tutte quelle situazioni in cui le modifiche
del sistema di welfare determinano un affidamento di funzioni a soggetti privati, pur
lasciando, in alcuni casi, l’opera di finanziamento all’intervento pubblico.
11
La funzione redistributiva, che si concretizza soprattutto
in trasferimenti monetari e in erogazione di servizi
12
a favore
dei gruppi di cittadini
13
maggiormente indigenti, è finalizzata a
fare fronte alle difficoltà del mercato a garantire
simultaneamente efficienza ed equità. Obiettivo dell’azione
redistributiva è la riduzione delle disuguaglianze nella
distribuzione del reddito, attraverso il sostegno del livello dei
consumi delle fasce di popolazione più povere.
La funzione assicurativa ricomprende le azioni pubbliche
volte a garantire i cittadini contro alcuni rischi: la possibilità di
perdere il posto di lavoro (i sussidi di disoccupazione), la
malattia (l’assicurazione sanitaria), e la possibilità che il
reddito accumulato durante la vita lavorativa non sia
sufficiente a garantire adeguati livelli di consumo dopo il ritiro
dal lavoro (i sistemi pensionistici).
La funzione produttiva ricomprende la produzione
pubblica diretta e gli interventi di sostegno
14
alla produzione
privata di determinati beni e servizi. Anche in questo caso, la
giustificazione della presenza dello Stato risiede nell’incapacità
del mercato di produrre una quantità adeguata di beni pubblici
12
In questo caso, perché l’intervento abbia carattere redistributivo è necessario che la
fornitura di servizi sia esclusivamente rivolta ai gruppi svantaggiati o sia garantita agli stessi a
condizioni migliori di quelle praticate agli altri gruppi.
13
E’ opportuno sottolineare come, in contesti di economia di Stato, il destinatario dell’attività
(economica) dell’istituto di riferimento, generalmente della pubblica amministrazione, non sia
il consumatore ma il cittadino, o l’elettore medio, il quale possiede il diritto a fruire dei beni
collettivi che lo Stato produce solo in virtù del possesso della cittadinanza.
14
L’intervento a sostegno della produzione può assumere le forme del contributo diretto alle
unità di offerta private, del sostegno ai consumi o della regolamentazione dell’attività di
produttori e consumatori.
12
e di beni meritori
15
, cioè di beni caratterizzati da elevate
esternalità.
Ogni sistema di welfare è il risultato combinato delle
funzioni svolte, dell’intensità di impegno in ogni singola
funzione e del tipo di strumenti
16
utilizzati. E’ comunque
possibile, seguendo una distinzione ampiamente condivisa
17
,
distinguere due modelli di welfare, uno universalistico e l’altro
residuale.
Si ha un welfare universalistico quando i servizi
assicurativi e quelli sociali sono rivolti a tutti i cittadini,
indipendentemente dal livello del reddito, individuale o
familiare. La produzione di questi beni e servizi può essere
affidata a unità di offerta pubbliche in grado di garantire una
qualità omogenea dei servizi, e quindi l’uguaglianza delle
opportunità tra consumatori, ovvero delegata a unità di offerta
private
18
interamente finanziate dallo Stato attraverso contratti
stipulati con le aziende produttrici, oppure finanziando i
consumi.
Si ha invece un sistema di welfare residuale quando esso
si propone come una rete di sicurezza per i soli cittadini poveri
o in condizioni di svantaggio strutturale, mentre coloro che
15
“I beni sono detti meritori se vengono distribuiti in una comunità sulla base di
considerazioni normative del decisore pubblico, il cui criterio deriva dall’equilibrio politico che
presiede alla definizione delle decisioni collettive, e non prodotti sulla base delle preferenze
liberamente espresse dai diversi consumatori”, in Non profit e sistemi di welfare, a cura di
C.BORZAGA, G.FIORENTINI, A.MATACENA, Roma, Nis, 1984.
16
Gli strumenti principali a disposizione della pubblica amministrazione, come già evidenziato,
sono: la regolamentazione, la produzione pubblica diretta, i sussidi alla produzione o al
consumo di beni pubblici, i trasferimenti di reddito.
17
C.BORZAGA, G.FIORENTINI, A.MATACENA, Non profit e sistemi di welfare, Roma, Nis,
1984.
18
La produzione privata è giudicata meno costosa e meglio in grado di differenziare l’offerta a
fronte di mutamenti delle preferenze dei consumatori.
13
non sono in condizioni di povertà devono rivolgersi all’offerta
privata.
Tenuto conto che questi sistemi di welfare si sono
consolidati sempre di più all’interno dei paesi di riferimento, è
soprattutto la crescita del bacino d’utenza dei destinatari delle
attività che lo Stato si era impegnato a servire, ad aver
provocato iniziali problemi che hanno poi richiesto un
necessario processo di riforma, di cui la privatizzazione nella
creazione e distribuzione dei servizi è solo una delle possibili
azioni perseguibili.
Se i fattori alla base della crisi del sistema di welfare
sono riconducibili alla crescita dei costi dovuti ai limitati
incrementi di produttività, fenomeno conosciuto come “la
malattia dei costi”
19
; all’inefficienza dovuta sia all’assenza di
competizione, sia alle difficoltà a controllare i comportamenti
opportunistici e la crescita delle retribuzioni degli addetti;
all’applicazione generalizzata e senza adeguati correttivi del
principio dell’uguaglianza di trattamento; alla bassa qualità e
alla limitata diversificazione dei servizi; allora gli obiettivi che
una azione di riforma dovrebbe perseguire potrebbero essere i
seguenti: ridurre il livello della spesa pubblica, o almeno dei
tassi di incremento, e i conseguenti livelli di tassazione
mediante la diminuzione dei possibili comportamenti
opportunistici da parte di operatori e beneficiari; aumentare le
possibilità di scelta dei consumatori, soprattutto attraverso
una diversificazione delle unità di offerta e una maggiore
19
L.FAZZI, Il welfare mix in Italia: primi passi, Franco Angeli, Milano, 1998.
14
autonomia delle stesse; aumentare l’efficacia e la qualità dei
servizi attraverso l’introduzione di incentivi che premino le
unità di offerta più attente alla soddisfazione dei consumatori.
Il processo di privatizzazione che ne deriva, e che non si
traduce in un semplice trasferimento di proprietà bensì
rappresenta una direzione di cambiamento verso un minor
peso dello Stato e una maggiore responsabilità individuale e
comunitaria, segue le tre strategie seguenti: revisione del
sistema di incentivi che è all’origine dei comportamenti sia dei
soggetti beneficiari sia di coloro che gestiscono il sistema di
welfare nelle sue diverse componenti; aumento della
flessibilità e dell’autonomia delle unità di offerta che, grazie
anche all’operare di meccanismi concorrenziali, ne stimoli
l’attenzione verso le esigenze della domanda; aumento delle
risorse private destinate alla produzione di servizi di welfare
20
che permetta la progressiva riduzione dell’intervento pubblico,
senza che ciò determini una riduzione del benessere.
Questo processo di privatizzazione, date le funzioni dei
sistemi di welfare, gli strumenti di cui gli stessi dispongono e
gli obiettivi perseguiti attraverso la riforma, può essere
articolato secondo tre diverse formule: 1) privatizzazione
esplicita, realizzata attraverso la riduzione dell’intervento
pubblico rispetto a una o più delle funzioni precedentemente
svolte
21
; 2) privatizzazione implicita, ottenuta attraverso il
20
Per definire l’ampiezza della categoria di servizi e prodotti di welfare, o più generalmente
beni di welfare, occorre considerare tutte quelle opportunità, non solo economiche, offerte ai
cittadini che consentono di accrescere il loro benessere. P.MILANESE, Non-profit marketing e
valore sociale, Egea, 1998.
21
In tale situazione lo Stato smette di garantire la fornitura di un bene o servizio, ovvero
interrompe o ridimensiona un determinato flusso monetario, provocando, in alcune situazioni,
il passaggio da un sistema di welfare universalistico ad uno selettivo, o residuale.
15
blocco, totale o parziale, all’ulteriore espansione dell’intervento
pubblico rispetto a una o più delle funzioni individuate, pur in
presenza di una domanda insoddisfatta
22
; 3) privatizzazione
parziale, perseguita attraverso la modifica del mix di strumenti
utilizzati e in particolare attraverso la sostituzione dell’offerta
pubblica di beni, soprattutto meritori, con nuove
regolamentazioni del comportamento degli agenti o con la
separazione tra finanziamento e produzione pubblica di beni e
servizi, mantenendo altresì il finanziamento, totale o parziale,
a carico dello Stato e affidando la produzione a unità private.
Da tale processo è emersa quindi, come necessità di
soddisfare bisogni di utilità sociale, l’importanza di individuare
un apparato economico in grado sia di garantire la
diversificazione dell’offerta, in un contesto definibile dunque
concorrenziale
23
, e la presenza in essa di standard qualitativi
ritenuti minimi per impedire la riduzione del livello di
benessere dei cittadini-consumatori, sia di eliminare
comportamenti opportunistici fondati su di un uso distorto
delle informazioni cui sono in possesso le unità di offerta del
privato profit, indotte a creare una tipologia di beni di welfare
non tanto in linea con le richieste della domanda, quanto
rispondenti, primariamente, ad un obiettivo organizzativo
interno: la corsa al profitto.
22
“Questo processo è stato anche definito come demand-driven privatization, poiché non è
frutto di una decisione esplicita dello Stato, ma è la conseguenza della libera scelta di individui
e imprese che, per soddisfare bisogni che lo Stato non è in grado o non vuole soddisfare, si
rivolgono all’offerta privata”, in L.FAZZI, Il welfare mix in Italia: primi passi, Franco Angeli,
Milano, 1998.
23
La concorrenza di cui si parla è inquadrabile o nel welfare mix, condizione per la quale
pubbliche amministrazioni, aziende profit e non-profit concorrono al soddisfacimento del
medesimo bisogno di utilità sociale, ovvero nel solo settore non profit.