IX
dimensioni. I processi di ristrutturazione della grande impresa che
hanno portato ad un incremento di produttività hanno comportato un
recupero del ruolo della grande impresa in termini competitivi. Di
fronte a uno scenario più complesso rispetto al passato per la
crescente globalizzazione, per la concreta realizzazione dell’Unione
Monetaria Europea e per il conseguente aumento della concorrenza,
le imprese di non grandi dimensioni devono pianificare il
finanziamento dello sviluppo senza appesantire la propria struttura
finanziaria. Il reperimento di capitali freschi diviene, dunque, un
problema di estrema rilevanza, soprattutto se si considerano le
difficoltà che le imprese di minori dimensioni incontrano nel
raccogliere fondi con elevato grado di stabilità. Nei Paesi dove i
sistemi finanziari sono più evoluti, il mercato mobiliare costituisce
uno dei più importanti canali di finanziamento delle imprese e il
collocamento presso il pubblico dei titoli azionari, favorito
dall’ammissione alla quotazione degli stessi, rappresenta la modalità
più interessante.
In tale contesto di rinnovata attenzione verso i mercati
borsistici, il nostro lavoro si prefigge l’obiettivo di disegnare un
percorso di approccio e valutazione del «progetto quotazione» ben
strutturato e il più possibile completo.
Cercheremo di dimostrare come la quotazione rappresenti la
scelta ottimale per finanziare i progetti di crescita e di sviluppo della
media impresa familiare italiana che rappresenta una componente
essenziale del sistema economico-produttivo del nostro Paese e che
per troppo tempo ha guardato con diffidenza al mercato borsistico.
Tenteremo di determinare se la quotazione alle Borse Valori Italiana
X
ed estere sia una strada realmente praticabile per tale categoria di
imprese e con quali procedure, requisiti, tempi, costi e soprattutto
vantaggi possa realizzarsi.
Il nostro lavoro si muove seguendo principalmente queste
direttrici, indicando la strada per valorizzare l’impresa attraverso la
quotazione.
Ci preme, infine, sottolineare come l’analisi sia stata svolta
prestando una particolare attenzione a quegli elementi che
presentano una particolare valenza agli occhi del gruppo di controllo
di una media impresa familiare e come tutti i valori monetari siano
stati espressi in euro, a dimostrazione del nostro entusiasmo e del
nostro convincimento per l’adozione della nuova moneta unica
europea.
CAPITOLO PRIMO
IMPRESA, CAPITALE DI RISCHIO, INDEBITAMENTO
E
CAPITALE PER LO SVILUPPO
§ 1.1 Premessa
L’impresa vive necessariamente in un mercato dei
finanziamenti. Per reperire risorse finanziarie, essa, interagisce con
l’ambiente esterno e, in particolare, con il mercato finanziario.
L’azienda, selezionando i canali di finanziamento cui
accedere, deve poter realizzare un mix di condizioni opportune
(capitali a breve e a medio-lungo termine, capitali di debito e
capitali di rischio) e deve altresì creare le condizioni per remunerare
i capitali reperiti. Tale scelta, inoltre, deve consentire, in un’ottica di
lungo periodo, il raggiungimento del maggior valore possibile
dell’impresa.
L’unità economica, per poter ottimizzare i rapporti con i
finanziatori effettivi e potenziali, deve fornire una corretta
conoscenza della propria situazione economico-reddituale e dei
propri progetti di sviluppo, offrendo condizioni di remunerazione
soddisfacenti. In tal senso, condizione base è che l’impresa generi
profitto in modo da poter soddisfare le attese di chi presta capitale a
vario titolo e ciò dipende da tutta una serie di variabili che
riguardano la strategia e la gestione aziendale nel suo complesso.
2
§ 1.2 Nuovi scenari
Il risvolto finanziario della gestione aziendale ha assunto in
questi ultimi anni, soprattutto per le imprese industriali,
un’importanza assolutamente rilevante a seguito di radicali
cambiamenti avvenuti nell’ambiente in cui l’impresa opera e vive
1
.
Un primo cambiamento è dovuto ad una accentuata tendenza
all’accrescimento delle dimensioni aziendali. Il fenomeno è
imputabile, anzitutto, all’incremento generalizzato delle dimensioni
delle economie in cui le imprese lavorano e producono. L’aumento
delle dimensioni comporta nuove e maggiori problematiche in
termini di reperimento dei fondi e nello stesso tempo più difficili
strutture di controllo del loro utilizzo e del loro razionale
sfruttamento.
Il maggior peso degli investimenti non immediatamente
produttivi nel settore della ricerca rappresenta un secondo elemento
di difficoltà per la soluzione di problemi finanziari delle imprese
industriali
2
. L’ampliarsi dei mercati e il verificarsi di una
concorrenza sempre più accentuata fanno sì che nessuna impresa
possa permettersi di “essere la seconda” in termini di sviluppo
tecnologico del proprio prodotto.
Si è accresciuta la diversificazione dei prodotti e dei mercati e
correlativamente è diminuito il tempo di vita media dei prodotti.
1
GIOVANNI ALBERTI, Il capitale proprio nelle imprese industriali (Giuffré, 1982),
pag.5
2
Cfr. CHIARA DELLA BELLA, Titoli azionari e natura del capitale di rischio (EGEA,
1996).
3
Sono dunque aumentati sia il ritmo dell’investimento, che la
difficoltà di prevedere il rendimento dello stesso.
Per quanto osservato sin qui, si intuisce l’esistenza di una
forte spinta verso l’espansione aziendale e quindi dell’aumento del
fabbisogno di capitali. Tale esigenza come si vedrà
successivamente potrà essere sempre meno coperta
dall’autofinanziamento
3
e quindi si farà sempre più pressante, per il
dirigente finanziario, l’esigenza di apprestare quei mezzi di outside
finance che possono dar vita e supporto all’espansione in atto. La
progressiva globalizzazione dei mercati di riferimento dà, poi, una
dimensione internazionale alla gestione dell’impresa, ponendola di
fronte a problemi nuovi. In sostanza, non si presenta più solo il
problema se fare l’investimento, ma dove fare l’investimento e con
quali capitali.
Come ultima conseguenza di tali cambiamenti, si tendono ad
elidere i margini di utile, in quanto le imprese rivolte al massimo
della loro espansione raggiungono progressivamente il top della
capacità produttiva e quindi quei livelli di saturazione in cui i
profitti marginali decrescono. Ciò induce a ricercare nuovi sbocchi
produttivi e nuove combinazioni strutturali, attraverso scorpori,
fusioni e ricerca di nuove tecnologie
4
.
3
Cfr. ALBERTO DESSY-JODY VENDER, Capitale di rischio e sviluppo dell’impresa
(EGEA, 1996) e UGO FAVA, Metodologie e tecniche di finanziamento delle aziende
(Giappichelli, 1995)
4
GIOVANNI ALBERTI, Il capitale proprio nelle..., op. cit.
4
Infatti, se la risposta a tali minacce è stata rappresentata fino
alla fine degli anni settanta da strategie di crescita interna, perciò
con connotati tecnico-produttivi, all’inizio degli anni ottanta le
imprese optano per una “nuova” strategia di crescita aziendale: la
crescita esterna. Quest’ultima rappresenta, dunque, uno strumento
per:
• superare il rischioso aumento della capacità produttiva, di
fronte alle variabili esigenze della domanda;
• innescare efficaci programmi di integrazione,
diversificazione, internalizzazione e difesa delle posizioni
competitive raggiunte;
• ridurre i problemi organizzativi;
• cogliere maggiori e qualificate opportunità economiche,
nel mercato nazionale e internazionale.
Tuttavia, per raggiungere tali obiettivi, la crescita esterna
esige risorse finanziare di qualità particolare.
5
§ 1.3 Obiettivi di impresa e decisioni di sviluppo
La teoria del valore sostiene che la finalità dell’impresa è
creare valore e diffonderlo. Il valore è una misura razionale del
capitale economico di una impresa. Tale misura sintetizza una realtà
produttiva complessa per mezzo di un dato monetario che si presta
ad essere calcolato attraverso una pluralità di metodi. In altri
termini, la teoria del valore presenta una portata generale perché, da
5
LUIGI GUATRI, Trattato di economia delle aziende industriali, (EGEA, 1988)
5
un lato, consente di superare le differenziate teorie su finalità
aziendali e modelli d’impresa (solitamente basate sulla
massimizzazione del profitto o di altre quantità aziendali), dall’altro,
assume una valenza che vale per la quasi totalità delle imprese e dei
suoi stakeholders
6
.
Il concetto di valore, grazie anche al ruolo sempre più centrale
assunto dalla finanza nella gestione d’impresa, ha messo d’accordo
sia gli operatori che i teorici sul tema degli obiettivi di impresa.
7
Tale teoria, infatti, afferma che finalità dell’impresa è creare valore e
diffonderlo: accrescere la dimensione del capitale economico, cioè il
valore dell’impresa come investimento.
Ai tradizionali obiettivi di impresa si sostituisce, in quanto più
proficuo per l’impresa e per la società tutta, quello della
massimizzazione del valore di capitale dell’impresa. Ciascuna
impresa può operare solo creando valore economico; e solo per tale
via si assicura possibilità di successo e di lunga vita. Di
conseguenza gli obiettivi che perseguirà l’impresa sono: la continua
ricerca di una crescente capacità reddituale; il costante controllo dei
rischi, l’attenzione verso la continuità gestionale. In tale quadro,
risulta evidente come le principali decisioni che incidono su tutti
questi aspetti sono in materia di investimenti.
In estrema sintesi, ciò che risulta prioritario sono le decisioni
di sviluppo: se l’impresa persegue in modo sistematico e continuo la
6
Per una corretta definizione di stakeholder si rinvia a GIANCARLO DI STEFANO, Il
sistema delle comunicazioni economico-finanziarie nella realtà aziendale moderna,
(Giuffrè, 1990)
7
FRANCESCO PERRINI, Capitale di rischio e mercati per PMI, (EGEA, 1998)
6
ricerca di una crescente capacità reddituale, il contenimento del
rischio e il perpetuarsi dell’attività deve assicurare in ogni momento
nuova linfa tramite la selezione dei migliori investimenti.
A fronte delle decisioni di sviluppo, imprescindibili per
assicurare la continuità del successo e la possibilità di
sopravvivenza nel lungo periodo, vi è la formazione di un
fabbisogno finanziario da coprire attraverso l’autofinanziamento e la
raccolta di nuovi capitali. La raccolta di risorse finanziarie ha spesso
rappresentato per le imprese italiane una seria difficoltà nella
realizzazione del fine ultimo dell’azienda stessa: la creazione e
diffusione del suo valore.
§ 1.4 Il fabbisogno finanziario delle imprese
Non vi può essere sviluppo d’impresa se non vi sono mezzi
finanziari adeguati, indipendentemente dalla loro natura. Per
massimizzare gli effetti positivi della leva finanziaria e per evitare di
irrigidire eccessivamente la struttura finanziaria, aumentando il
grado di rischio legato ad un elevato quoziente di indebitamento, va
scelto un adeguato mix di strumenti. Tale mix varia da azienda ad
azienda e da situazione a situazione, data la mutevolezza del sistema
impresa, da un lato, e del sistema ambiente, dall’altro.
Per quanto attiene la genesi del fabbisogno finanziario, esso è
legato al programma di sviluppo e, quindi, alle opportunità di
investimento. Il fabbisogno finanziario si può quindi ricondurre
essenzialmente a tre esigenze:
7
1. la copertura degli assets in place;
2. il finanziamento del capitale circolante;
3. il finanziamento dello sviluppo.
8
In altri termini, lo sviluppo dimensionale dell’impresa,
necessario per seguire l’evoluzione tuttora in corso in termini di
mercato e tecnologia nonché per garantire la sopravvivenza
duratura, determina l’emergere di un fabbisogno finanziario. La
pianificazione finanziaria di azienda si concretizza nella previsione
dei flussi monetari in entrata e in uscita che si presentano a seguito
di un programma di crescita per un orizzonte temporale prestabilito.
Ciò vuol dire, che il fabbisogno finanziario collegato allo sviluppo
trae origine da:
• incremento delle attività (nuovi investimenti);
• decremento delle passività.
Sotto il primo profilo, è evidente che il pagamento di qualsiasi
nuovo investimento, sia esso fisso, intangibile, o in capitale
circolante, determina un fabbisogno finanziario. L’acquisto di nuovi
impianti o macchinari, il sostenimento di costi pluriennali finalizzati
ad esempio all’innovazione tecnologica, o ancora l’incremento del
magazzino o del credito concesso alla clientela implicano, quindi, il
8
Per un maggior approfondimento sulla differenza fra finanziamento degli assets in
place e finanziamento dello sviluppo, si veda: CHIARA DELLA BELLA, Titoli azionari e
natura del capitale di rischio, op. cit.
8
sorgere di un’esigenza di copertura finanziaria che va in qualche
modo soddisfatta.
Sotto il secondo profilo, un decremento del capitale netto a
seguito di perdite o di distribuzione di utili o il semplice rimborso di
finanziamenti determinano un impiego di risorse che deve trovare
adeguata copertura.
Il fabbisogno finanziario lordo derivante dagli eventi sopra
descritti può essere soddisfatto in diversi modi: attraverso
l’autofinanziamento, mediante disinvestimenti, incrementando il
patrimonio netto (aumenti di capitale) oppure aumentando il debito.
Il rendiconto finanziario (tabella 1) rappresenta lo strumento
di sintesi per illustrare quanto può avvenire in merito alla dinamica
finanziaria d’azienda sia in via consuntiva (per meglio comprendere
l’evoluzione della dinamica finanziaria in un periodo trascorso), che
in via preventiva (al fine di individuare a priori le possibilità di
sviluppo dell’azienda e di svolgere la propria attività conservando
l’equilibrio finanziario).
9
Tabella 1. Rendiconto finanziario
(+) Reddito operativo
(-) Imposte di competenza
(+) Ammortamenti
= Flusso circolante della gestione corrente
(+/-) Aumento/riduzione dei crediti commerciali
(+/-) Aumento/riduzione del magazzino
(+/-) Aumento/riduzione dei debiti di fornitura
(+/-) Aumento riduzione di altri debiti/crediti correnti
= Flusso monetario della gestione corrente
(-) Nuovi investimenti
(+) Disinvestimenti (al netto delle eventuali imposte sulle plusvalenze)
(-) Rimborsi debiti non correnti
(+/-) Aumento/riduzione debiti bancari
(-) Interessi passivi lordi
(+) Credito di imposta su interessi passivi lordi
(-) Dividendi
(+) Aumento di capitale
= Saldo monetario di esercizio
Fonte: FRANCESCO PERRINI
Secondo tale semplificazione, il flusso di circolante della
gestione corrente indica l’entità delle risorse generate dalla attività
tipica (o caratteristica) di acquisto/produzione/vendita svolta
dall’azienda. Tali risorse verranno integrate dai disinvestimenti e dai
nuovi finanziamenti e saranno investite in parte ancora in capitale
circolante (che è direttamente correlato allo sviluppo di impresa).
L’eventuale saldo monetario di esercizio, se sarà positivo, costituirà
una liquidità residua che l’azienda potrà impiegare per crescere; se
sarà negativo, indicherà che l’azienda non è in grado di sostenere
finanziariamente l’attività prevista e dovrà, pertanto, intervenire su
10
qualcuna delle voci riportate nel prospetto per raggiungere
l’equilibrio tra fonti e impieghi, o ricorrere a nuovi finanziamenti.
9
Un modo certamente più semplicistico e meno preciso, ma
anche di più immediata comprensione, per identificare le principali
variabili che influenzano la dinamica finanziaria, è costituito
dall’equazione volta a individuare il tasso di sviluppo
autonomamente sostenibile dall’impresa. Secondo tale impostazione
la dinamica finanziaria aziendale può essere così riassunta:
CI
V
*TSV TAV
>
<
CI = capitale investito netto dell’azienda, cioè il totale delle
attività al netto dei fondi di ammortamento e dei
debiti di fornitura;
V = fatturato dell’azienda, relativo allo stesso periodo cui
si riferisce CI;
TSV = tasso di sviluppo delle vendite previsto per il periodo
oggetto di analisi;
CI/V = intensità di capitale
10
(indica l’entità del capitale che
l’azienda deve impiegare per conseguire una lira di
fatturato).
11
9
Sul tema si veda, fra gli altri: UGO FAVA, Metodologie.., op. cit., pagg. 19 e ss.
10
Il concetto di intensità del capitale risulta particolarmente delicato nell’analisi in
questione. In primo luogo, la misura dell’intensità del capitale tratta dal bilancio non è
sempre significativa, in quanto, come è noto, molte attività vengono iscritte in bilancio
a valori storici e non attuali. In secondo luogo, la misura dell’intensità di capitale è
influenzata non solo dal settore, ma anche dalle scelte strategiche operate dalle
aziende. L’attività di produzione e vendita di n prodotti l’anno, ad esempio, può essere
11
Il primo membro dell’equazione (CI/V*TSV) può essere
definito come «tasso di fabbisogno finanziario», il secondo (TAV)
come «tasso di copertura finanziaria». Il primo trae origine dalla
congiunzione di due caratteristiche dell’impresa: il suo tasso di
sviluppo e l’intensità di capitale che le è tipico. Il secondo nasce
dalla ricchezza autogenerata dall’azienda e non distribuita agli
azionisti sotto forma di dividendi, quindi, risulta evidente che, in
condizioni normali, il tasso di fabbisogno è positivo solo in presenza
di crescita dell’impresa e che, in tal caso, esso sarà tanto più alto
quanto più elevati sono, da un lato, il tasso di sviluppo e, dall’altro,
l’intensità di capitale.
Ciò premesso, risulta evidente che, nel caso in cui i due
membri dell’equazione (tasso di fabbisogno e tasso di copertura)
coincidano, l’azienda non avrà problemi di natura finanziaria: essa,
infatti, potrà sostenere il proprio tasso di sviluppo e mantenere la
sua tipica intensità di capitale, senza ricorrere a forme di outside
finance, ma contando sul solo autofinanziamento. Se, invece, il
secondo membro dell’equazione fosse superiore al primo,
l’autofinanziamento aziendale risulterebbe più che sufficiente a
soddisfare il proprio tasso di fabbisogno: l’unico problema di natura
impostata in modi differenti. A un estremo si può collocare un’azienda che sceglie di
svolgere al proprio interno ogni attività, compresa la produzione di tutti i componenti;
all’altro estremo si può invece individuare l’azienda che svolge al proprio interno solo
le attività di progettazione e collaudo, decentrando presso altre imprese la produzione
di componenti e magari lo stesso assemblaggio. Appare evidente che questa seconda
azienda sarà caratterizzata da una intensità di capitale ben più modesta rispetto alla
prima, dal momento che, per ottenere lo stesso fatturato, potrà basarsi su una struttura
più ridotta e, pertanto, dovrà sostenere una minor mole di investimenti.
11
FRANCESCO PERRINI, Capitale di rischio e mercati per PMI (EGEA, 1998), pag. 27.
12
finanziaria che l’azienda dovrà fronteggiare, pertanto, sarà quello di
impiegare al meglio la liquidità residua. E’ bene evidenziare che in
tal caso l’azienda potrebbe essere portata: a forzare il proprio
sviluppo anche attraverso la diversificazione, e/o a incrementare
l’intensità di capitale internalizzando alcune attività prima delegate
all’esterno, e/o a incrementare i dividendi corrisposti ai propri
azionisti.
Se, infine, il tasso di fabbisogno si rivelasse superiore al tasso
di copertura, l’azienda non sarebbe in grado di sostenere lo sviluppo
con le sole risorse generate al suo interno. In tali casi la soluzione va
ricercata tra le seguenti:
a) compressione del tasso di sviluppo programmato;
b) riduzione dell’intensità di capitale (per esempio, attraverso
l’esternalizzazione di alcune operazioni);
c) incremento del tasso di copertura;
d) reperimento di mezzi finanziari aggiuntivi, a titolo di
capitale di rischio o di credito.
In base alla soluzione prospettata al punto d), quando
l’autofinanziamento non basta da solo a garantire la copertura del
fabbisogno finanziario aziendale, è necessario prendere in esame la
possibilità di far ricorso a fonti esterne. In questi casi la scelta
fondamentale e prioritaria da operare è tra capitale di rischio e
capitale di debito.