Introduzione
2
Il secondo capitolo è la parte più importante della tesi. Inizia con
un esposizione della situazione finanziaria del campionato italiano
attraverso delle tabelle che presentano dettagliatamente il bilancio
aggregato della Serie A. Successivamente le tre società italiane quotate
vengono analizzate minuziosamente secondo uno schema analogo. Tale
schema prevede: storia e momenti importanti della quotazione, risultati
in borsa, tabelle di confronto con i risultati del campo, confronto con la
borsa italiana, motivazioni alla base delle dieci migliori/peggiori
performance di borsa ed infine una panoramica del bilancio per
comprendere meglio le motivazioni di una crisi borsistica oltre che
economica. Il capitolo si chiude con uno studio molto interessante
sull’incidenza della vittoria del campionato sui risultati di borsa e con un
approfondimento di grande attualità sul Decreto Salvacalcio approvato
nella primavera del 2003 dal governo Italiano ma attualmente sotto il
giudizio della Commissione Europea.
Il terzo capitolo è forse il più interessante poiché osserva i risultati
di borsa ottenuti dalle compagini europee. Naturalmente grande
attenzione viene riservata al Regno Unito dove troviamo ben 18 club sui
principali listini londinesi, di queste società sono analizzati i principali
eventi sportivi e non avvenuti negli anni della quotazione con le relative
performance. In particolare è approfondita la situazione del Manchester
United, evidenziando la composizione dei ricavi del club, considerato un
modello da seguire per i brillanti risultati ottenuti dal punto di vista
sportivo finanziario e borsistico. In seguito è analizzata la situazione in
Danimarca con uno studio sul rapporto tra valore in borsa del titolo e
posizione in campionato delle sei (cinque da qualche mese) squadre
quotate sul mercato di Copenaghen.
Introduzione
3
Infine l’attenzione è rivolta al resto d’Europa: esaminando prima
l’evoluzione dei titoli di Ajax, Borussia tmund Porto, Sporting Lisbona,
Besiktas e Galatasaray in rapporto alla vittoria dello scudetto e alle
variazioni dei rispettivi mercati nazionali, e poi cercando di capire i motivi
che non hanno reso sinora possibile la quotazione di club calcistici in
Francia e Spagna.
4
Società di calcio
e borsa
5
1.1 Società calcistiche: storia e sviluppo di un’ azienda
“anomala”.
1.1.1 Fenomeno sociale del gioco del calcio
Difficile, se non impossibile, delineare i confini dell’immenso
mercato che alimenta il calcio.
Qualche numero può aiutare a capire come il fenomeno, che a
metà ottocento prese piede in Inghilterra, sia diventato lo sport più
diffuso e popolare dell’intero globo.
Sono almeno 242 milioni le persone che praticano calcio (tra livello
agonistico e amatoriale), delle quali quasi il 9% donne, 305.000 sono i
club affiliati alle 240 federazioni che compongono la Fifa.
1
I numeri aumentano vertiginosamente in proporzione se limitiamo
l’attenzione al nostro paese: 42 milioni di italiani sono interessati al calcio
e 30 milioni di questi dichiarano di avere una squadra del cuore
2
;9 milioni
di essi frequentano abitualmente gli stadi
3
; 4 milioni tra professionisti
dilettanti ed amatori lo praticano regolarmente
4
. Quasi 1 milione sono le
partite ufficiali disputate all’anno.
5
Esaminando i giornali sportivi si scopre che l’Italia è l’unico paese in
Europa ad avere tre quotidiani che trattano al 70% di calcio con 5,7
milioni di cittadini che in media ogni giorno li acquistano
6
.L’Auditel ha
1
Fonte: www.datasport.it
2
Fonte Nielsen (Rapporto Lega Calcio) pubblicato sul sito www.lega-calcio.it
3
Fonte Abacus (Rapporto Lega Calcio) pubblicato sul sito www.lega-calcio.it
4
Fonte:Fifa 2000 (Rapporto Lega Calcio) pubblicato sul sito www.lega-calcio.it
5
Fonte: CIRM EUROTOP. (Rapporto Lega Calcio) pubblicato sul sito www.lega-calcio.it
6
Fonte:Audipress; www.lega-calcio.it
6
rilevato che i 25 eventi più seguiti nella storia della TV sono tutti incontri
di calcio.
Naturalmente un movimento così consistente non poteva non
coinvolgere altri settori direttamente o indirettamente collegati: una delle
maggiori società di telecomunicazione italiana (Tim), sponsorizza l’intero
campionato di serie A, colossi dell’abbigliamento sportivo (Nike, Adidas),
con ingenti investimenti si contendono i giocatori più rappresentativi,
magnati delle televisioni che acquistano le esclusive per trasmettere le
partite in diretta con il sistema pay-per-view.
Senza dimenticare il consistente volume di affari che ruota intorno
alle scommesse sportive, tra agenzie ippiche, totogol, totocalcio e totosei
circa 550 milioni di euro al netto delle vincite finiscono ogni anno nelle
casse del Coni
7
.
Le sole due squadre milanesi garantiscono un indotto di 109milioni
8
di euro l’anno tra abbigliamento e gadgets da stadio e trasporto e cibo
per la partita.
Negli ultimi anni, in particolare, il calcio ha conosciuto un
eccezionale tasso di sviluppo, probabilmente secondo solo a due settori
dell’economia italiana (telefonia ed internet), che ha portato “fiumi di
denaro” nelle casse societarie. Tuttavia i dirigenti non sono stati in grado
di utilizzare al meglio queste risorse “piovute dal cielo” e trascinati dalla
passione sportiva hanno dimenticato le più elementari regole di bilancio
portando le proprie squadre sull’orlo della bancarotta.
7
Fonte: Centro studi Lega Calcio
8
Fonte: «Il Sole 24 ore», 3 ottobre 2003, pag. 17.
7
1.1.2 Dallo scopo mutualistico alla società per azioni
Come accade ancor oggi per molte associazioni sportive anche le
società calcistiche erano nate per consentire la pratica agonistica dei
propri membri.
9
In quanto enti associativi con scopi ricreativi rientravano
tra le associazioni qualificate in dottrina come mutualistiche.
Spese ed oneri erano quindi contenuti mentre le entrate erano
rappresentate in larga parte da contributi volontari dei soci; il fine di lucro
naturalmente mancava. I motivi di questa regolamentazione legislativa
vanno ricercati nella necessità di dotare gli associati di grande libertà
contrattuale nella definizione di criteri e modalità dell’attività.
Tuttavia negli anni ’60 il sistema cominciò a mostrar tutte le sue
lacune in corrispondenza della crescente importanza finanziaria ed
economica che i club calcistici andavano rivestendo e sostanzialmente in
quel diverso contesto (sociale, politico, culturale e tecnologico) si
produssero due effetti:
ξ l’impossibilità di far fronte a tutte le spese senza poter
ricorrere ad ulteriori introiti economici che potevano esser costituiti per
esempio da accordi di sponsorizzazione. Quindi la società acquisiva
gradualmente un carattere imprenditoriale;
ξ la scomparsa della figura del praticante associato a favore
dell’atleta professionista retribuito in proporzione alle prestazioni
corrisposte.
La svolta avvenne a partir dal campionato 1966-67 dove condizione
necessaria per ottenere l’iscrizione era l’esistenza di personalità giuridica
della società. Il CONI infatti con la delibera del 16 settembre 1966
stabiliva lo scioglimento delle vecchie associazioni a favore di società
9
Fattispecie giuridica adottata era costituita da art. 36-37-38 del Libro 1 del codice civile
8
commerciali dotate di personalità giuridica. Così facendo il Consiglio
Federale otteneva diversi risultati
10
:
ξ imponeva il rispetto di omogenee direttive di gestione;
ξ faceva rispettare le disposizioni in materia societaria e fiscale;
ξ definiva le responsabilità dei rappresentanti legali;
ξ sanava le precedenti posizioni debitorie delle associazioni.
Senza tralasciar che tale provvedimento mirava soprattutto al
risanamento dei bilanci delle associazioni per l’erogazione del mutuo
sportivo e di agevolazioni tributarie.
Limite non da poco della riforma del ’66 era però che si era venuto
a configurare un tipo di s.p.a anomalo: mancava, infatti, l’elemento
principale che remunera il rischio d’impresa: la finalità lucrativa concessa
solo in senso oggettivo. Le società potevano solo conseguire un utile di
bilancio non distribuibile tra i soci.
Col passar del tempo si è assistito ad un naturale intensificarsi di
rapporti tra operatori economici e club di calcio; ancora una volta le
disposizioni normative si sono rivelate lacunose e si è dovuti intervenire
con la legge del 23 Marzo 1981 n.91.
Una norma che, nelle intenzioni del legislatore, avrebbe dovuto
risolvere definitivamente le difficoltà gestionali e di bilancio incontrate dai
club calcistici nell’esercizio della loro attività; sintetizzandola si possono
ottenere quattro capisaldi:
1. si definisce la figura dello sportivo professionista
delineandone il rapporto con la società;
2. si stabiliscono requisiti per la costituzione, il controllo della
gestione e la liquidazione della società oltre a fissar le competenze della
federazione;
10
Anna Tanzi “Le società calcistiche” cap.3 paragrafo 2.
9
3. vengono regolamentati i riflessi fiscali del lavoro sportivo
riguardanti sia l’atleta professionista sia la società che ha stipulato
regolare contratto;
4. viene abolito il vincolo sportivo.
Il principale merito della legge n.91 era costituito dal fatto che
rappresentava un primo tentativo di regolamentazione legislativa del
mondo sportivo, un possibile punto di riferimento per una futura
ristrutturazione del settore.
Tuttavia era un provvedimento settoriale destinato esclusivamente
al mondo del calcio che mostrava la sua principale contraddizione nel
voler ritenere compatibili la struttura di società per azioni con lo scopo
non utilitaristico.
Nel 1995 la vicenda di un semisconosciuto calciatore belga, meglio
nota come sentenza Bosman, fece mutare totalmente il quadro delineato
14 anni prima e accelerò ulteriormente la riforma societaria che portò
l’anno seguente all’abbattimento del divieto del fine lucrativo.
Difatti la Corte d’Appello di Liegi aveva sancito due principi
11
:
ξ divieto per una società calcistica di pretendere e percepire il
pagamento di denaro per il passaggio a fine contratto di un proprio
calciatore ad un altro club;
ξ divieto di limitazione di giocatori comunitari nei campionati
nazionali.
Oltre agli effetti in campo sportivo, le ripercussioni della sentenza
Bosman furono devastanti in tema di bilanci. Era stata infatti abolita
l’indennità di promozione e partecipazione di fine contratto, meglio nota
come parametro, spettante alle società proprietarie del cartellino quando
un giocatore in scadenza di contratto cambiava squadra.
11
Fonte: www.soccerage.com (archivio notizie)
10
Questo indennizzo economico da parte della società acquirente che
dipendeva da alcuni valori come l’età del calciatore, o l’ammontare
dell’ingaggio veniva, nonostante il parere contrario della Covisoc,
utilizzato dalle società nel calcolare il valore dei giocatori in stato
patrimoniale per così risparmiare sugli ammortamenti.
Diverse squadre, anche molto importanti, non avrebbero potuto
regger ulteriori perdite in bilancio in un periodo a metà anni ‘90 di grave
crisi per il mondo del calcio. Così chiesero aiuto al mondo politico che nel
settembre del ‘96 varò un decreto legge fondamentale per il calcio
moderno: legge 20 Settembre 1996.
11
1.1.3 Decreto legge 20 Settembre 1996
Sia per ribadire quanto affermato dalla corte di giustizia, sia per
colmare le lacune della legge del 1981, si rese improrogabile un nuovo
intervento legislativo: dopo un travagliato iter che aveva portato già due
decadimenti per mancata approvazione, il c.d. decreto “spalma perdite”
del 20 Settembre 1996 fu novellato nella legge n. 586 del 18 11/ 1996.
Con l’introduzione di tre nuovi commi si cercò di risolvere in
maniera non drastica il problema della componente attiva non
contabilizzata relativa ai crediti della stagione 1995-96. Fu consentito alle
società sportive professionistiche di poter iscrivere in un apposito conto
l’importo pari al valore dell’indennizzo maturato (certificato dalla FIGC) e
di poter diluire in tre esercizi le minusvalenze maturate , a decorrere dal
15 maggio 1996.
In tal modo, quindi, scomparivano gradualmente in contabilità
quegli indennizzi che sparivano immediatamente nella realtà.
Si può sottolineare l’importanza del provvedimento, facendo notare
che la vicenda Bosman aveva fatto emergere che società di serie A e di B
non avevano effettuato ammortamenti per ben 200 miliardi applicando il
principio del presunto valore di realizzo del giocatore, seguendo le tabelle
ufficiali degli indennizzi.
In seguito a proteste, il decreto “spalmaperdite” è stato esteso
anche alle società che avevano seguito le direttive sugli ammortamenti
della FIGC (per queste società si può parlare di mancati ricavi più che di
perdite). La logica che ha portato ad equiparare tutti i club davanti alla
legge era che una società poteva non spendere la cifra indicata in bilancio
se avesse saputo di non recuperare l’indennizzo; in realtà si è voluto
metter tutti sullo stesso piano e non effettuare disparità di trattamento.
12
La novità più importante della legge del 1996 fu tuttavia un’altra:
equiparare definitivamente le società sportive alle società di capitali
concedendo loro la possibilità di ottenere un reddito e distribuirlo tra i
soci.
L’obiettivo della finalità lucrativa, che esaudiva le richieste di molte
società, era di introdurre criteri imprenditoriali e manageriali nella
gestione dei grandi club, grandi club che da questo momento in poi
saranno costretti a diventar molto più responsabili, mettendo in ordine
bilanci troppo spesso falsati, investendo nello sviluppo del settore
giovanile e garantendo un perfetto funzionamento del collegio sindacale.
Solo in questo modo riusciranno a produrre quei redditi necessari a
render appetibile il calcio italiano agli investitori di borsa. Due mondi il
calcio e la borsa, completamente diversi ma oramai alla luce dei fatti del
1996 pronti ad unirsi.
13
1.1.4 Natura economica dei club calcistici
Con l’introduzione del fine di lucro poteva finalmente esser
rispettata una delle leggi cardine dell’economia aziendale, cioè quella che
definisce elemento di economicità di un impresa la produzione di
remunerazioni monetarie per le persone componenti il soggetto
economico.
12
Da questo momento in poi le società dovranno esser gestite con
efficienza ed intelligenza per ottenere situazioni patrimoniali finanziarie e
reddituali soddisfacenti seguendo il razionale utilizzo delle risorse
disponibili.
Il principio di economicità è la regola di condotta da seguire per
rispettare i caratteri di durabilità e autonomia dell’azienda, le condizioni
poste per raggiungere tale obiettivo sono le seguenti
13
:
ξ equilibrio reddituale (componenti positive di reddito =
componenti negativi di reddito) in relazione al tempo e all’oggetto;
ξ livello accettabile di efficienza e di flessibilità;
ξ congruità dei prezzi-costi e dei prezzi ricavo, in particolare
delle retribuzioni ai prestatori di lavoro e delle remunerazioni ai conferenti
capitale-risparmio;
ξ equilibrio monetario, con una gestione finanziaria compatibile
con l’equilibrio reddituale.
Il passaggio dai dilettanti al professionismo comporta diverse nuove
realtà per una società di calcio: i giocatori diventano fattori di produzione,
il club è il datore di lavoro, gli spettatori sono i clienti e le partite
diventano il bene offerto sul mercato. La società diventa dunque un
sistema destinato alla produzione di beni per la collettività in uno strano
12
Fonte: Airoldi-Brunetti-Coda “L’economia aziendale” pag 105
13
Fonte: Airoldi-Brunetti-Coda “L’economia aziendale” pag 188
14
meccanismo dove l’ottenimento di un reddito positivo non è quasi mai
l’obiettivo principale, costituito bensì dalla vittoria di uno scudetto o di
una coppa europea. Per raggiungere questi ultimi il club non esita ad
indebitarsi e a mascherare perdite di bilancio con plusvalenze derivanti da
vendita calciatori.
Se ne ricava una situazione contraddittoria dove il risvolto più
concreto è costituito dal fatto che le società di calcio sono in perenne
dissesto finanziario per la cronica disparità negativa tra ricavi e costi ma
tuttavia sempre ai vertici di popolarità e prestigio, oltre al costante
sostegno delle istituzioni. È insomma un’azienda anomala nella quale i
vertici societari sono apprezzati più per i risultati sportivi che per i meriti
manageriali.