INTRODUZIONE
Andrew Carnegie
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“…L’unico capitale insostituibile che un’organizzazione possiede è il sapere e la capacità
dei suoi membri. La produttività di questo capitale dipende dall’efficienza con cui i membri
condividono le loro competenze con coloro che possono usarle…”
Come testimoniato dalle parole sovra citate, la ricchezza, la crescita e lo
sviluppo dell’economia di oggi dipendono soprattutto dalle risorse
intangibili, e in particolare dal capitale umano e dalle competenze
professionali e intellettuali che gli appartengono. Il presente lavoro di tesi
vuole essere una testimonianza di come, in alcuni tipi di società, gli
intangibili riescano ad avere un peso ancora più preponderante che in altre,
nella scalata al successo, e di come risultino l’unica chiave per affermarsi in
un mercato economico globale così vasto e competitivo.
Nel Capitolo 1 abbiamo mostrato la composizione del capitale intellettuale,
passando velocemente in rassegna i primi studi e le prime definizioni
sull’argomento, fino a giungere alle metodologie di calcolo di tali risorse.
Il Capitolo 2 si apre con la descrizione del tipo di società che abbiamo
deciso di analizzare, società di investimento e in particolare società di
gestione del risparmio, fondamentalmente caratterizzate dall’assenza di una
qualsiasi produzione, e quindi dall’attività di “vendita”. Si è cercato di porre
un confronto con gli altri settori economici, passando poi all’introduzione
alla psicologia degli investimenti e al rapporto con la clientela, solido punto
di forza di questo tipo di società. Questo ultimo aspetto in particolare è
quello che ci siamo prefissati di approfondire nei due capitoli successivi,
1
Cfr. “The Empire of business”, 1902.
2
cercando una giustificazione alle quotazioni di borsa così importanti di
strutture così snelle e lineari.
Il Capitolo 3 è il cuore della nostra analisi: è stato creato un paniere di
società ed è stato osservato il loro andamento d’insieme e la posizione da
loro assunta all’interno dei mercati regolamentati, concentrando la nostra
attenzione sul calcolo e sulla valorizzazione del capitale umano, e in
particolare sul peso che esso assume nelle valutazioni delle medesime
società da parte degli analisti, vero obiettivo del nostro lavoro.
Infine, nel Capitolo 4, è stato sviluppato un caso empirico, avente ad oggetto
la società torinese TipSpa, osservandone la crescita dell’ultimo biennio e la
posizione assunta nei confronti delle altre società appartenenti al campione.
Anche per Tip lo studio più attento è stato riservato al capitale umano di cui
la società dispone, cercando di valutare l’importanza che esso ha assunto
nelle operazioni per la quotazione, e la fondamentale posizione che continua
ad occupare per il successo già ottenuto e quello che ancora si vuole
conquistare.
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Capitolo 1
VALUTAZIONE D’AZIENDA E INTANGIBILI DI IMPRESA
1.1 COMPETITIVITÀ E RISORSE DI IMPRESA
Quando si parla di risorse all’interno di un’organizzazione si pensa subito a
quei beni il cui utilizzo comporta la produzione di determinati prodotti o
servizi in grado di generare un profitto per l’impresa stessa. Tali risorse
rivestono un’importanza tanto più grande quanto più permettono un’elevata
competitività dell’impresa, competitività che si trova perciò legata alla sua
efficienza funzionale e all’efficienza del sistema interaziendale di cui si
trova a far parte. Le teorie economiche insegnano che più l’impresa è in
grado di competere, maggiori sono le sue possibilità di sopravvivere
all’interno del mercato. Per conservare il vantaggio competitivo essa deve
innovare, deve cioè avere buona attitudine a concepire e realizzare
proficuamente il cambiamento, diretto a creare il vantaggio competitivo.
Tale capacità può essere intesa in 2 modi: come abilità a creare delle routine
(comportamenti codificati) per standardizzare le procedure operative; e
come sapere o apprendimento in grado di produrre il cambiamento. Secondo
la teoria delle capacità dinamiche
2
le imprese devono quindi fondare il loro
successo sulle caratteristiche organizzative, piuttosto sul possesso di
tecnologie avanzate o sullo sfruttamento di una particolare innovazione. La
2
La teoria delle capacità dinamiche rappresenta un approccio integrativo alla Resource-based View, risalente agli anni
Ottanta, quando l’idea di strategie fondate meramente sullo sfruttamento di risorse e capacità strategiche esistenti,
inserita in una dimensione spazio-temporale turbolenta e complessa, si rivelò insufficiente (Teece, Pisano, Shoen,
1997). L’approccio diviene apprezzabile per aver identificato quali dimensioni delle capacità specifiche aziendali
possono divenire fonti autentiche di vantaggi competitivi sostenibili e per aver illustrato le modalità di svolgimento del
processo che conduce alla combinazione di risorse e competenze aziendali. Gli autori giungono in particolare a
sostenere come le capacità dinamiche, in quanto abilità di realizzare le nuove forme di vantaggio competitivo, debbano
venire comprese facendo riferimento non alle categorie di valori tradizionalmente contemplate nei bilanci aziendali,
bensì in termini di processi organizzativi e manageriali, che sottendono l’attività caratteristica d’impresa. Dalla teoria
delle capacità dinamiche si evince come i processi organizzativi e manageriali che prendono forma entro
l’organizzazione possano infatti venire concepiti come molteplici “flussi di attività” svolte all’interno dell’impresa.
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vera forza è quella dell’organizzazione che riesce ad esprimere delle
potenzialità dinamiche, in grado di generare e trarre sistematico vantaggio
dalle innovazioni. Sono dunque le risorse che contribuiscono a creare le
protezioni più solide della posizione competitiva. Esse portano alla
creazione di vere e proprie barriere che separano le imprese all’interno del
medesimo settore, con un ruolo ben diverso, quindi, dalle tradizionali
barriere all’entrata che costituiscono una protezione di tutte le aziende
appartenenti al settore rispetto ai nuovi entranti. La teoria del management
basato sulle risorse
3
spinge, in prima istanza, a ricercare le fonti del
vantaggio competitivo all’interno dell’azienda: “La strategia aziendale
dovrebbe essere considerata meno come una ricerca di rendita da
monopolio (derivanti dal potere di mercato) e più come una ricerca di
rendite ricardiane (derivanti dalle risorse che conferiscono un vantaggio
competitivo nettamente eccedente i costi reali di tali risorse)”.(GRANT)
4
.
Le risorse non sono semplici fattori produttivi, ma attività e processi interni
all’impresa, quali:
capacità di coordinamento esterno;
competenze tecnologiche sedimentate e potenziate dallo svolgimento
quotidiano;
capacità nella gestione delle relazioni con clienti e fornitori;
conoscenze tecnologiche e operative consolidate attraverso investimenti in
R&S;
capacità di integrare le proprie conoscenze con quelle di partner
complementari.
La creazione di valore non può dunque dirsi più esclusivamente connessa
alle caratteristiche fisiche del prodotto. Difatti, dall’epoca del capitalismo
mercantile (in cui il valore confluiva interamente nei prodotti ottenuti e
scambiati sul mercato) si sono manifestate altre 2 forme di creazione del
valore. Dapprima, con il passaggio alla produzione di massa, un valore di
3
La prospettiva resource-based (Wernerfelt, 1984; Barney, 1986) rappresenta il primo paradigma di studi di impresa
proveniente a tutti gli effetti dallo strategic management field. Secondo tale prospettiva, le risorse interne all’impresa
rappresentano una fonte di vantaggio competitivo non osservabile separatamente dal contesto di azione, né separabile
dal medesimo contesto (a differenza, ad esempio, del contenuto di un brevetto), quindi non cedibili dall’impresa stessa.
Le risorse non sono semplici fattori produttivi, ma attività e processi interni all’impresa, quali capacità di
coordinamento interno; capacità di gestione delle relazioni con clienti e fornitori; conoscenze e competenze
tecnologiche.
4
Cfr. “Analisi del vantaggio competitivo basato sulle risorse”, 1992.
5
processo. E questo quando l’accumulo di competenze ed esperienze
fondamentali per la conduzione efficiente della produzione ha trasceso,
almeno in parte, i prodotti e si è localizzato nei reparti sottoforma di
conoscenze. Poi, con l’orientamento al mercato, un valore di mercato. Nel
momento in cui l’azienda ha dovuto valorizzare il prodotto in termini di
immagine per fruire di un effetto di moltiplicazione nella soddisfazione dei
propri clienti, la sintonia con il mercato è diventata di per sé valore
autonomo e il suo grado di raggiungimento è stato rappresentato dalla
solidità delle relazioni esterne. Conoscenze e relazioni sono dunque
espressione della creazione di valore immateriale, un surplus economico che
si affianca al valore materiale del prodotto. L’“immaterialità” in chiave
aziendale può essere quindi vista come l’intelligenza che muove il
funzionamento dei fattori materiali e crea le condizioni per l’ottimale
sfruttamento della combinazione produttiva. Essa si forma per
l’aggregazione dell’insieme di conoscenze localizzate lungo il processo
produttivo con il complesso delle relazioni instaurate con l’ambiente. Il
processo di selezione delle risorse evidenzia dunque la predominanza di
quelle immateriali rispetto a tutte le altre. In una parola: intangibili di
impresa, fattori del tutto invisibili che possono avere un’influenza
formidabile sui risultati e quindi avere di fatto un “peso”, che si traduce
anche in fattori tangibili, come i risultati economici, la capacità di
produzione, gli investimenti.
Le componenti immateriali, o beni intangibili, o invisibile assets, hanno
dunque a pieno diritto conquistato un ruolo di primo piano tra le risorse
aziendali ove con tale termine non si fa più riferimento solo alle persone, ai
beni e ai capitali, ma anche alle informazioni di cui l’impresa dispone per il
raggiungimento dei propri obiettivi a breve e a lungo termine, alla fiducia
dei consumatori, all’immagine aziendale, al brand, alla capacità del
management.
Ciò è tanto più evidente quanto più si guarda alle valorizzazioni espresse
dalle contrattazioni dei titoli azionari nei mercati finanziari, in cui le
imprese sono valutate tre, quattro, dieci volte più del valore contabile del
6
loro patrimonio, dando origine ad una differenza che GUATRI
5
definisce “il
differenziale fantasma”.
Tabella 1.1: Classifica dei primi 10 brand al mondo per valore stimato (dati in
miliardi di dollari).
Capitalizzazione di borsa Book value P/BV
Coca Cola 104,8 11,8 8,88
Microsoft 264,9 55,8 4,75
IBM 138,2 22,8 6,05
G. Electrics 277,4 63,9 4,34
Intel 112,3 35,3 3,18
Nokia 71,1 15,4 4,62
Disney 37,2 23,7 1,57
McDonald’s 19,9 10,3 1,94
Marlboro 64 19,4 3,3
Mercedes 32,2 37,4 0,86
Fonte: (Business Week, Milano Finanza, 2003).
Il motivo per cui molte imprese hanno quotazioni di borsa così superiori
rispetto al valore patrimoniale dei beni posseduti e delle performance
realizzate, e le ragioni che rendono il titolo di certe aziende così rilevante
sui mercati finanziari, risiedono nel fatto che queste detengono un
patrimonio che non viene riportato nei libri contabili (e quindi non fa parte
del cosiddetto book value), ma è chiaramente riconosciuto dai mercati,
venendo a costituire la principale fonte di valore, il loro più specifico market
value. Il capitale intangibile sta diventando dunque sempre più importante
perché è la fonte principale del vantaggio competitivo dell’impresa. Il che
equivale a dire
6
, che l’impresa che dispone delle maggiori risorse
5
Cfr. “La teoria di creazione del valore”, 1991.
6
Cfr. Cravera, Maglione, Ruggeri, “La valutazione del capitale intellettuale”, il sole24ore, 2001.
7
immateriali è quella che ha maggiore probabilità di successo. Il
riconoscimento dell’importanza delle risorse immateriali non è un fatto
recente nella letteratura economica. Già nel 1959 E.T. PENROSE aveva
osservato che non sono mai le risorse immateriali a costituire i fattori del
processo di produzione e di trasformazione, ma i “servizi” che tali risorse
sono in grado di approntare e rendere disponibili; evidenziare l’importanza
dei “servizi” non significa altro che riconoscere il ruolo fondamentale della
dimensione intangibile (comunque superiore per importanza a quella
tangibile) nell’organizzazione e nella gestione d’impresa. E’ solo però a
partire dagli anni Ottanta che, seguendo itinerari diversi, si riconosce agli
invisible assets una posizione di assoluta centralità nello spiegare il successo
di un’impresa. In questa prospettiva l’impresa non è tanto un sistema
organizzato che acquisisce degli input, li trasforma e li trasferisce al mercato
avendo in essi incorporato un certo livello di valore aggiunto. Accettare
l’ipotesi concettuale da cui si sviluppa il resource based management
significa considerare l’impresa come un luogo in cui fondamentalmente
vengono generate risorse: il processo di trasformazione diviene quindi utile
allo sviluppo e al successo dell’impresa se le risorse che esso acquisisce dal
mercato (genericamente dai fornitori) vengono trasformate in altre risorse di
valore superiore. Tali risorse risultano aggregate intorno a due grandi poli:
le risorse di conoscenza e le risorse di fiducia. Uno dei primi economisti
dopo Penrose a parlare di Risorse Invisibili è stato, nel 1987, HIROYUKI
ITAMI. Egli definisce gli Invisible assets come “le risorse basate
sull’informazione o che la incorporano”. Il concetto di informazione qui
comprende tutte quelle di cui l’impresa può disporre, sia come risorse
possedute al suo interno (ad esempio il know-how tecnologico o di
marketing), sia come risorse “prodotte” dall’impresa e sedimentate presso
gli attori con i quali essa interagisce (come ad esempio la stima, la
credibilità, la reputazione, la marca, la fiducia…). Secondo tale approccio vi
è una stretta collaborazione tra flussi informativi e risorse immateriali. Sono
in particolare tre le tipologie di informazioni e di correlati invisible assets:
1. informazioni ambientali, rappresentate dai flussi informativi che muovono
dall’ambiente verso l’impresa e che generano risorse invisibili collegate
all’ambiente (competenze produttive,informazioni sul consumatore e canali
8
per acquisire informazioni: scienze naturali, ingegneria, ricerca e sviluppo,
marketing);
2. informazioni aziendali, che fluiscono dall’azienda all’ambiente e che da
quest’ultimo sono immagazzinate (reputazione dell’azienda, immagine della
marca e immagine aziendale);
3. informazioni interne, ovvero quei flussi informativi che si originano e si
esauriscono all’interno dell’impresa (cultura aziendale, stato d’animo dei
lavoratori, impegno del management).
Siamo di fronte a quello che viene chiamato Patrimonio Intangibile. Questi
termini sembrerebbero semanticamente contrapposti: un concetto, materiale
e concreto, come quello di patrimonio, che indica qualcosa che può essere
posseduto, controllato o valutato sotto il profilo monetario, associato ad un
aggettivo così astratto qual è appunto intangibile. Se si è arrivati
all’abbinamento di concetti tanto distanti, è perché a queste risorse si
assegna un’importanza strategica proprio dal punto di vista economico e
finanziario. BARUCH LEV (2003), infatti, descrive gli intangibili come
“fonti non fisiche di valore (generatrici di reddito futuro) create
dall’innovazione (scoperte), da strutture organizzative originali o da
operazioni nel campo delle risorse umane. I beni intangibili si trovano
spesso a interagire con quelli tangibili e con quelli finanziari per generare
valore per l’azienda e crescita economica”.
Differente è l’impostazione elaborata più di recente da FERRANDO
7
e
condivisa da FONTANA
8
. Essi definiscono le risorse immateriali come
“componenti del patrimonio allargato delle risorse organizzate dell’impresa,
il quale sta all’origine, ma ne è altresì il frutto, del funzionamento del
sistema aziendale e costituisce l’insieme dinamico delle capacità potenziali
a disposizione dell’impresa per realizzare la sua funzione distintiva,
dall’utilizzo del quale discendono i caratteri che definiscono l’identità,i
livelli di economicità e i percorsi evolutivi dell’impresa stessa”. Assumendo
come chiave interpretativa la natura e l’appartenenza delle risorse
immateriali all’impresa, i due autori classificano le risorse immateriali in:
A) risorse delle persone;
7
Cfr. “Risorse e risorse immateriali. Natura e implicazioni”, Giappichelli, 1999.
8
Cfr. “La rappresentazione delle risorse immateriali negli strumenti di comunicazione economico-finanziaria”, AF
Analisi Finanziaria, 2002.
9
B) risorse dell’impresa.
Le prime sono rappresentate dall’insieme delle conoscenze, competenze e
individual skills apportate dai membri dell’azienda: si tratta di know-how
individuale, non appartenente all’impresa e, quindi, particolarmente volatile,
ma di cui essa ha la disponibilità e su cui può investire e che dovrà cercare
di proteggere tramite adeguate politiche di gestione del personale.
Le seconde, a loro volta, possono essere ulteriormente distinte in:
1) risorse che rappresentano capacità di sistema non formalizzate;
2) risorse che costituiscono veri e propri beni immateriali.
Le capacità di sistema non formalizzate sono costituite dall’insieme delle
competenze, conoscenze ed abilità oggettivamente strutturate nell’impresa;
rappresentano fattori distintivi dell’azienda e sono in grado di
caratterizzarne il comportamento e determinarne i risultati. Sono risorse cioè
che possono essere oggetto di specifici investimenti o che possono generarsi
spontaneamente nello svolgersi dei processi organizzativi. Infine i beni
immateriali veri e propri si distinguono in:
1) beni immateriali protetti di fatto;
2) beni immateriali protetti legalmente.
Nel primo caso ci si riferisce all’insieme delle conoscenze e delle
informazioni raccolte, organizzate sistematicamente e codificate in modo da
renderle accessibili all’interno dell’impresa e, soprattutto, autonomamente
separabili da essa. Costituiscono in altre parole un reale capitale conoscitivo
formato da know-how di sistema formalizzato in procedure, data-base,
software e simili: sono beni immateriali prodotti all’interno dell’azienda o
acquistati da terzi. Il fatto però di non essere tutelati dal punto di vista
legale, e pur essendone comunque garantita la riservatezza anche in fase di
trasferimento, non li mette al riparo da eventuali imitazioni della
concorrenza nel caso in cui il sistema di protezione dovesse rivelarsi
inefficace. Nel secondo caso, invece, si tratta dell’insieme dei beni
immateriali tradizionali come marchi, brevetti, copyright, licenze,
concessioni, autorizzazioni e simili. La tutela legale che li caratterizza rende
il loro contenuto conoscibile all’esterno ma non imitabile da parte dei terzi.
Per richiamare invece la definizione che a partire dal gennaio 2005 è stata
presa come punto di riferimento da tutte le società quotate in borsa e da
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quelle che vorranno comunque predisporre il bilancio anche secondo i
criteri e le modalità enunciate nei principi contabili internazionali, l’IASC
(International Acconting Standard Committee)
9
afferma che i beni
intangibili sono “beni identificabili, non monetari, senza consistenza
fisica”, che:
sono controllati da un’impresa per essere usati nella produzione o nella
fornitura di beni o servizi, per essere affittati a terzi, o per scopi
amministrativi;
sono risultati da decisioni o fatti passati;
sono beni da cui ci si attende benefici economici futuri.
2.1. CARATTERISTICHE DEGLI INTANGIBILI
Se il patrimonio intangibile si può definire come “l’insieme delle risorse
immateriali che l’impresa è riuscita a generare ed alimentare nel tempo e
delle quali dispone”, e se per definire la capacità di redditività dell’azienda è
necessario valutare il potenziale di tale patrimonio, diviene indispensabile
conoscere i caratteri prevalenti degli elementi che lo compongono, quei
caratteri cioè, che di solito contraddistinguono le risorse in base al
contenuto di immaterialità. Le caratteristiche comuni dei beni immateriali
che sono state colte sono dunque così elencabili:
Sedimentabilità: seppure immateriali, le risorse possono essere
immagazzinate all’interno o all’esterno dell’impresa ed utilizzate nel
momento più opportuno. La sedimentazione può essere interna, se la sede di
conservazione è il personale dell’impresa o la “memoria organizzativa”, o
esterna, se il patrimonio immateriale viene condiviso in forma di partnership
con clienti, fornitori o rappresentanti. Appartengono al primo tipo le risorse
9
L’ IASC è l’organismo che si occupa della redazione dei nuovi principi contabili. Ultima versione dello IAS 38,
risalente al settembre 1998.