PREMESSA
Il nostro Paese è un “essere economico” la cui colonna vertebrale è rappresentata da
numerose imprese piccole e medie (se ne contano circa 3 milioni di cui solo lo 0,5%
ha un numero di addetti compreso tra 50 e 249). Garantire lo sviluppo e la crescita di
queste unità significa favorire lo sviluppo del territorio nazionale.
Sin dal passato le PMI sono caratterizzate da una struttura chiusa. Lo testimonia il
fatto che la maggior parte delle imprese si finanzia attraverso il canale
dell’autofinanziamento e bancario.
Il punto è che nel mondo odierno un ruolo centrale è rivestito dai Mercati Finanziari.
Il crescente sviluppo del mondo finanziario è prova tangibile del bisogno delle
imprese di poter trovare vie alternative di finanziamento, di poter essere orientati su
un’ottica internazionale e, a livello più generale, di creare nuove opportunità di
partnership e godere di nuove fonti di beneficio.
Quello che si cerca di raggiungere è il passaggio da un sistema bank oriented ad uno
market oriented. Il perché quotarsi è l’interrogativo che ci poniamo e a cui cerchiamo
di rispondere.
Il problema non è nuovo ma è allo stesso tempo molto attuale. Lo testimonia il
continuo interesse nel ricercare metodi e strumenti per agevolare l’ingresso delle
PMI nel mercato mobiliare. Cardia (2011), presidente Consob, afferma che ''portare
le imprese italiane, soprattutto le piccole e medie, sul mercato azionario significa
promuovere lo sviluppo e al contempo favorire la trasparenza del sistema
economico''. Nella stessa occasione, Cardia fa il punto della situazione portando in
evidenza molti aspetti negativi che sono causa dello scarso ruolo rivestito dalle PMI
italiane nel panorama mobiliare: dalla scarsa cultura finanziaria degli imprenditori,
conseguenza di un sistema d’impresa tradizionalmente chiuso, ad una scarsa
attenzione rivolta alle PMI e all’esigenza di una riforma fiscale che permetta di
escludere l’alto costo della quotazione come causa della mancata quotazione. Questi
sono i punti su cui si deve far leva non solo secondo Cardia ma anche secondo molti
1
altri esponenti ed esperti del settore, tra i quali possiamo citare Mario Draghi,
Governatore della Banca d’Italia, Luigi Abete, il presidente di Assonime e Bnl e,
Luca Peyrano, responsabile del primary market di Borsa Italiana.
Non bisogna dimenticare che il problema sussiste anche sul fronte degli investitori
che spesso sono restii o poco informati sui rendimenti dei titoli delle PMI.
Lo scarso ruolo e la misera presenza di PMI è testimoniata dal fatto che in Italia il
numero di imprese quotate è lo stesso da circa 10 anni mentre nei restanti Paesi
europei cresce di anno in anno.
Ad oggi i mercati dedicati alle PMI sono l’Alternative Investment Market Italia (AIM
Italia), il Mercato Alternativo del Capitale (MAC) i cui listini sono composti
rispettivamente da 11 e 14 imprese. Il confronto non regge con Paesi come la Francia
che conta 100 imprese quotate o la Gran Bretagna che ne conta addirittura 2500.
Cento attività sono pronte ad un eventuale quotazione. Quante di queste
sopravviveranno e saranno protagoniste del rilancio delle PMI in Borsa?
Per cercare ed attuare una soluzione del problema è stato istituito un advisory board
di 15 membri esponenti del mondo finanziario e delle imprese, capeggiato dal
presidente di Piccola Industria di Confindustria, Vincenzo Boccia. Obiettivo della
collaborazione è “favorire la nascita di un ecosistema adeguato alla quotazione delle
imprese a più bassa capitalizzazione”. In questo modo, auspica Peyrano, responsabile
del primary market di Borsa Italiana, arriveranno buone imprese sul mercato che
attrarranno importanti investitori, risolvendo perciò il problema sui due fronti.
Ogni giorno il mondo si evolve e cambia, allo stesso modo, da una parte, le imprese
devono avere il coraggio di aprirsi a nuove esperienze e, dall’altra, le istituzioni del
mondo finanziario devono ricercare strategie e strutture che possano attrarle.
L’obiettivo da raggiungere è favorire e realizzare lo sviluppo e la competitività delle
imprese.
2
CAPITOLO 1
IL PUNTO DI PARTENZA DEL PROBLEMA: PERCHÉ
QUOTARSI?
La quotazione è una grande opportunità per la crescita delle PMI italiane. Ma il
primo interrogativo che l’imprenditore e i suoi collaboratori si pongono è: perché
farlo?
L’importanza di questo scelta è sostenuta a molti livelli; la stessa UE nella Direttiva
C194/3 del 2006 (Orientamenti comunitari sugli Aiuti di Stato destinati a
promuovere gli investimenti in capitale di rischio nelle piccole e medie imprese)
pone al centro dell’attenzione la necessita di mettere il ricorso al capitale di rischio
delle PMI come obiettivo comunitario.
Rispetto alle grandi imprese, le piccole imprese normalmente non sono in grado di
ricorrere al mercato dei capitali per le loro esigenze di finanziamento, ma dipendono
maggiormente dal sistema bancario. Date le loro caratteristiche di maggior opacità
dal punto di vista informativo e di rischio relativamente più elevato di fallimento,
trovano maggiormente costoso finanziare i loro progetti ricorrendo ad intermediari
non bancari o direttamente sul mercato, rispetto al credito bancario. Quest’ultimo
costituisce dunque la fonte privilegiata di finanziamento per questa classe di imprese.
Resta il punto che la quotazione è un trampolino di lancio, un inizio per le imprese
che vogliono accrescere il proprio valore. Molto dipende dalla volontà dell’impresa
stessa e dagli strumenti che l’ambiente offre per spianare e rendere agevole questa
strada. Il risultato è tanto più positivo quanto più l’impresa è sana e il mercato
efficiente. L’obiettivo della quotazione è la creazione e la diffusione di valore.
SUCCESSO
QUOTAZIONE
IMPRESA
SANA
MERCATO
EFFICIENTE
3
1. Un quadro degli strumenti di finanziamento
1
L’esigenza principale e concreta di un’impresa è quella di individuare le migliori
fonti di finanziamento. Di fronte al bisogno di fondi le opportunità che si pongono
sono tante. Questa matrice ci esplicita in modo semplice i vari canali utilizzabili:
Tabella 1 - Schema delle possibilità di copertura del fabbisogno finanziario dell'impresa.
SOGGETTO
Attuali soci Terzi
FORMA
Capitale di
rischio
1
Autofinanziamento
Aumento Cap. Sociale
2
Private Equity
Personal Venture Capital
Quotazione
Debito
3
Obbligazioni
Leverage buy out
Altri finanziamenti
4
Obbligazioni
Mutuo/Sconto
Fiananz. agev. pubblici
Leverage buy out
Altri finanziamenti
Fonte: La gestione della Quotazione per valorizzare le PMI, Perrini F., Egea 2000.
La prima distinzione che si effettua è quella tra debt ed equity, cioè tra capitale di
rischio e capitale di debito.
Il quadrante numero 1 fa riferimento a fonti di capitale utilizzate da un’attività che
persegue una politica di autosufficienza finanziaria e che non permetterebbe al
business di vivere né tantomeno di evolversi.
Questa rappresenta la via utilizzata nelle prime fasi di vita, ed è intrapresa attraverso
politiche di bilancio o è frutto di una scelta forzata quando si è già raggiunta la soglia
limite di indebitamento e il momento congiunturale non permette investimenti
alternativi o, ancora, derivare da una riduzione degli investimenti dell’impresa con
conseguente perdita di valore dell’azienda nel medio/lungo periodo.
Anche se si tratterebbe di misure molto utili per una politica di capitalizzazione
dell’impresa, il limite fondamentale sta nella limitatezza dei fondi che possono essere
1
Perrini, F., 2000, “La gestione della quotazione per valorizzare le PMI: STAR, il nuovo segmento di
Borsa, e il Nuovo Mercato”, Egea, Milano, pp. 7-13.
4
impiegati nell’operazione: si tratta, infatti, di fondi che provengono dal patrimonio
degli attuali soci, cioè dalla famiglia, dall’imprenditore.
Nel quadrante numero 4 è stilata una lista di strumenti legati al canale bancario.
Strumento molto utilizzato è il mutuo. Nonostante la sua grande diffusione, spesso le
piccole imprese sono scoraggiate al suo utilizzo perché devono offrire elevate
garanzie reali e personali ed aspettare per un lungo periodo di tempo prima del via
libera al rilascio del flusso finanziario. I tassi sul mutuo, negli ultimi due anni, sono
stati molto favorevoli, ma la Banca centrale europea ha deciso, all’inizio del mese si
aprile, di alzare di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo all’1,25 per
cento e scoraggiando i mutui a tasso variabile. D’altro canto quelli fissi restano
piuttosto elevati ed in crescita. In ogni caso il costo del mutuo resta elevato a causa di
tutta una serie di costi da sostenere per l’ottenimento del finanziamento e al grado di
rischiosità dell’attività che si va a finanziare e che determina un aumento del tasso
del finanziamento.
In un sistema bancocentrico come quello italiano, sono individuabili dei fattori che
scoraggiano l’utilizzo di questo canale. In base al VI Rapporto di Unicredit sulle
Piccole Imprese 2009/2010 si rileva che solo il 12% ritiene semplice l’iter da seguire
per ottenere una linea di credito. Rispetto al 2008 scende di 4 punti proseguendo il
calo dei punti percentuali registrato negli ultimi anni.
Altro svantaggio legato all’utilizzo del canale bancario si trova nella capacità di
valutare il merito creditizio. Sempre secondo il Rapporto citato prima, al 14% si
attesta la quota di chi è soddisfatto delle procedure utilizzate contro il 12% del 2008.
Questo risultato può essere disaggregato in base ai richiedenti: la percentuale di
insoddisfatti è del 40% tra i laureati, 41% tra le società di capitale e 40% tra le
società con fatturato superiore a 250 mila euro.
Forme un po’ più snelle sono le obbligazioni che evitano, a volte, l’intervento di
istituzioni finanziari, riducendo i costi e ottenendo risorse a medio/lungo periodo
senza garanzie reali (tranne per le obbligazioni ipotecarie). L’obiettivo è quello di far
coincidere i periodi di liquidità con le uscite monetarie relative al pagamento degli
interessi e al rimborso a scadenza. Lo svantaggio di questa fonte risiede nei lunghi
tempi per la pianificazione e l’attuazione del finanziamento. Tra le obbligazioni, una
5
particolare categoria è quella delle obbligazioni convertibili che combinano
l’esigenza di flussi finanziari alla possibilità di accrescere il capitale di rischio. Con
esse si dà la facoltà di trasformare, secondo particolari criteri, la natura
dell’investimento potendo convertire l’obbligazione in azioni della società emittente
o di un’altra società.
Il leasing è una delle forme più flessibili e di facile ottenimento. In breve, questo
contratto prevede la cessione di un bene dal locatore al locatario dietro pagamento di
canoni periodici. Il locatario può decidere, al termine del contratto, se diventarne
proprietario tramite il pagamento di un prezzo di riscatto. Però anche in questo caso
la sua convenienza negli ultimi anni si è ridotta dal punto di vista del benefici fiscali
e dalla riduzione della forbice dei tassi sul leasing rispetto ai quelli applicati ai
finanziamenti bancari tradizionali.
Le leverage buy out (Lbo) sono ancora poco utilizzate. Letteralmente Lbo significa
“acquisizione attraverso il debito”, ed infatti, consiste in una complessa serie di
operazioni finanziarie preordinate all’acquisto di una società, attraverso il ricorso alla
capacità d'indebitamento della stessa. Si tratta di operazioni che mirano a sfruttare al
massimo i benefici della leva finanziaria per facilitare le operazioni di acquisizioni,
ristrutturazioni aziendali e sviluppo.
Nel quadrante numero 2 sono elencati i canali di investimento istituzionale che
garantiscono una maggiore solidità, essendo strumenti che mirano ad apportare
capitale di rischio, quindi, mezzi finanziari senza obblighi di restituzione ed in un
ottica di medio/lungo periodo. L’obiettivo è quello di realizzare guadagni in conto
capitale sostenendo l’impresa.
Il venture capital fa riferimento al finanziamento nelle fasi iniziali (early stage) delle
nuove imprese non quotate, quali la sperimentazione della business idea (seed
financing) o la fase di primo sviluppo delle imprese (start-up financing).
Il private equity riguarda le operazioni di investimento di imprese non quotate, in
particolari fasi della vita aziendale, come nel caso di espansione dell’attività
(expansion financing), ridisegno della struttura aziendale per sostituire l’azionariato
non interessato (replacement capital), rilancio in caso di crisi aziendale (turnaround
6
financing), o, infine, in fase di ricambio della proprietà a causa della crescita del
capitale (bridge financing).
Ad aprile 2010 è stato firmato l’Accordo tra il Ministero dello Sviluppo Economico e
l’AIFI (Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital) volto a favorire
l’avvicinamento delle piccole e medie imprese al “capitale di rischio”, con l’obiettivo
di organizzare, con il coinvolgimento delle Associazioni di impresa e delle Camere
di Commercio, incontri formativi/informativi sul territorio, con particolare attenzione
alle regioni del Mezzogiorno. Questi incontri sono stati finalizzati, prevalentemente,
a diffondere la cultura del venture capital e a far conoscere questo strumento ancora
scarsamente utilizzato dalle nostre imprese, soprattutto nel Mezzogiorno (solamente
il 4% delle imprese meridionali avrebbe fatto ricorso al venture capital in questi
ultimi anni).
Nel momento di uscita dalle scene dell’investitore istituzionale, le modalità
perseguite sono diverse: dalla cessione a terzi o all’imprenditore della quota o alla
vendita sul mercato dopo la quotazione.
I vantaggi di queste operazioni sono evidenti poiché, come detto, fornire capitale di
rischio in un’ottica di medio lungo termine evidenzia una migliore stabilità
dell’impresa soprattutto nei confronti di terzi finanziatori (migliore standing, cioè
migliore reputazione in termini di solidità finanziaria e di liquidità).
Inoltre, l’entrata di investitori istituzionali nella gestione attiva dell’impresa permette
di abbandonare gradualmente il sistema chiuso della PMI tradizionale. Quest’ultima
beneficerà di una consulenza e di una assistenza continua, e di attrarre forze
manageriali competenti. A ciò si aggiunga un miglioramento dell’immagine
dell’impresa e la creazione di un network di contatti formali e non.
L’apertura al mercato mobiliare dovrebbe essere il passo successivo al private equity
o al venture capital. In ogni caso il ricorso al public equity (cioè al mercato dei
risparmiatori), permette un più facile reperimento di risorse finanziarie. A differenza
del canale interbancario, in cui la possibilità di investire in un’idea dipende dalle
garanzie che l’impresa può offrire (spesso limitate o inesistenti date le piccole
dimensioni), il mercato mobiliare (come anche il venture capital o il private equity)
offre risorse sulla base della redditività e delle opportunità future.
7
Purtroppo dagli ultimi dati AIFI (2009) risulta che negli ultimi 10 anni solo il 34%
del numero totale di investimenti da parte degli operatori di private equity in Italia si
è rivolto alle micro e piccole imprese. Per capire se esiste realmente un problema di
offerta per le micro e piccole imprese occorre tener presente che esse sono
tipicamente familiari e pertanto difficilmente disposte a mutare gli assetti proprietari
a favore di investitori esterni. È necessario inoltre verificare se sussistono
effettivamente le condizioni necessarie per la partecipazione al capitale di rischio
delle piccole imprese.
Nel Rapporto Unicredit già preso in considerazione in precedenza, è stata svolta
un’indagine che mira ad analizzare l’interesse delle PMI nei confronti del capitale di
rischio. Si propone l’apertura del capitale di rischio ad un soggetto finanziario come
la banca.
L’interesse alla partecipazione della banca al capitale di rischio è molto alta (44%),
con un dato stabile tra il 2008 e il 2009. Analogamente è abbastanza unanime il
parere degli intervistati circa la fase in cui è utile che la banca compia questa
operazione, ossia la fase di crescita dell’attività (46,6%, in aumento di oltre 4 punti
percentuali rispetto al 2008). Per quanto riguarda le altre risposte, nel 2009
diminuisce l’incidenza della fase di avvio e di quella iniziale, mentre aumenta
l’interesse per il private equity nel momento della crescita dell’attività d’impresa e in
occasione della riorganizzazione e ristrutturazione.
Sebbene in calo, circa metà dei rispondenti si dichiara in linea di principio
disponibile ad avere una banca quale socio d’affari, salvaguardando il potere
decisionale dell’imprenditore (46,7% nel 2009 contro il 52,4% del 2008). Due le
principali motivazioni alla base: una maggiore solidità patrimoniale (in calo dal
42,6% al 38,1% tra il 2008 e il 2009) e un miglioramento delle prospettive di crescita
(in crescita dal 41,5% al 45,2% tra il 2008 e il 2009). La gestione d’impresa è
d’altronde una questione cruciale: tra coloro che non sono favorevoli alla banca
come socio d’affari, la maggioranza rivela una indisponibilità a rinunciare alla
propria autonomia decisionale (in crescita dal 52,8% al 58,8%dal 2008 al 2009).
8