Introduzione
Forse mai nella plurimillenaria storia dell’umanità
1
un così piccolo
fazzoletto di terra, quale è la Palestina, è apparso carico di valori e di
simboli, fonte di tensioni e conflitti, teatro di pellegrinaggi e di guerre,
oggetto di aspirazioni e nostalgie struggenti
2
. Qui è uno dei principali e
tumultuosi crocevia delle vicende storico-politiche e del confronto fra popoli
e imperi, qui è la culla delle tre grandi religioni monoteistiche: ebraismo,
cristianesimo e islam. Dunque, questo piccolo fazzoletto di terra rappresenta
il punto di riferimento per quasi tre miliardi di esseri umani.
Guardando solo ai tempi più recenti il conflitto per la Palestina rappresenta
un filo costante che ha attraversato tutto il Novecento e che ha segnato in
modo drammatico l’inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio. Appena
ventisei chilometri quadrati , ma ogni zona è intrisa di storia di ideali e di
sangue, ne è una riprova la pluralità stessa dei nomi con cui questa terra è
indicata: Palestina per gli arabi e più in generale per i musulmani, oltre che
per la geografia moderna; Eretz Israel, cioè Terra di Israele o Terra promessa
per gli ebrei; Terra di Canaan e Terra del latte e del miele per la narrazione
biblica.
Storicamente il nome di “ Palestina” venne usato per la prima volta accertata
dallo storico greco Erodoto, nel V secolo a.C.: “ Palaistine”, nel testo
erodoteo, voleva dire terra dei Filistei ed era l’equivalente del termine arabo
“Filastin”; la regione ha, dunque, preso la sua denominazione da uno di quei
“popoli del mare” che si stabilirono sulla costa mediterranea dell’odierna
Palestina nell’ultima parte del II millennio a. C.. Il termine divenne di uso
4
1
Con storia dell’umanità ci si riferisce alla storia conosciuta, documentata dai tesnull e dalle ricerche
archeologiche.
2
Termini unulllizzanull nel testo di G. Lannunull “ Storia della Palesnullna ”.Roma, 2001.
corrente con il dominio romano: chiamata dapprima “ Iudaea”, dal nome
dell’antecedente regno di Giuda, fu poi ribattezzata dall’Imperatore Adriano
“Syria Palestina”. Nell’accezione moderna si intende per Palestina il
territorio affidato nel 1920 dalla Società delle Nazioni al Mandato della Gran
Bretagna, da cui il termine corrente di “Palestina del Mandato”; ed è in
questo contesto geopolitico che è nata e si è poi sviluppata lungo tutto il XX
secolo la “questione palestinese”, come noi oggi la conosciamo. I paesi
confinanti hanno assunto e assumono ancora oggi un ruolo importantissimo
nella questione mediorientale, per questo motivo bisogna sapere che il
territorio palestinese confina a nord con il Libano e la Siria, a est con la
Giordania, all’estremo sud con il Golfo di Aqaba, a sud/sud-ovest con il
Sinai egiziano ed è bagnato ad ovest dal Mediterraneo. Attualmente il 78%
dei territori costituisce lo Stato di Israele, mentre il restante 22% comprende
la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, con Gerusalemme est, occupate
dall’esercito israeliano nel giugno del 1967. Su questi ultimi territori, a
norma delle risoluzioni dell’Onu, dovrebbe insediarsi il costituendo Stato
indipendente di Palestina; attualmente parte di essi, ossia i due terzi della
Striscia di Gaza e poco più del 20% della Cisgiordania, è amministrata
dall’Autorità nazionale palestinese, mentre Gerusalemme est è stata
illegalmente annessa da Israele nel 1980.
Analizzando la situazione palestinese, emerge chiaramente come uno degli
elementi che, negli ultimi decenni, ha pesato di più è l’ignoranza di gran
parte dell’opinione pubblica occidentale riguardo la realtà di questa regione.
Questo deficit conoscitivo è, a mio avviso, il frutto di diversi fattori. Primo
tra tutti è stato ed è la costante manipolazione dei dati di base inerenti a
questa regione e che trovano spazio nel senso di colpa del mondo
occidentale nei confronti degli ebrei, senso di colpa ampiamente giustificato
dalle persecuzioni antisemite durate quasi dieci secoli e culminate nello
sterminio hitleriano. Sentendo di “ dovere qualcosa” agli ebrei, l’assoluta
5
maggioranza degli europei e degli americani ha pensato di potersi
“scaricare” la coscienza, prima aiutando il movimento sionista a realizzare
un progressivo insediamento in Palestina e poi fornendo alla politica
espansionistica di Israele i mezzi materiali e la “copertura morale” necessari
per realizzarla. In tal modo è avvenuto un “ trasferimento di colpevolezza”,
di cui parlano da molti anni gli intellettuali arabi. Vale a dire un
trasferimento sia della colpa che dell’obbligo di un risarcimento , dalla
civiltà occidentale-cristiana a quella arabo-musulmana.
La prima e fondamentale falsificazione è stata quella di presentare la
Palestina come “terra senza popolo”, da assegnare ad un “popolo senza
terra”, quando, invece, nel momento in cui il nascente movimento sionista
coniava questo slogan, la striscia di terra che dal Giordano si estende fino al
Mediterraneo era già una delle più popolate tra quelle non europee.
La situazione potrebbe mutare se si arrivasse a vederla in termini diversi. Se
si valutasse, cioè, a pieno la tragedia di un popolo che, certamente senza
propria colpa, ma a causa di una eccezionale congiuntura internazionale e
culturale, ha perduto la propria terra. Ma a questo punto ci si chiede se
esporre i veri termini del conflitto mediorientale, parlare apertamente della
sopraffazione subita dai Palestinesi non significa “ delegittimare” Israele,
ossia metterne in discussione l’esistenza stessa. Personalmente ritengo che a
questa possibile domanda debba essere data assolutamente una risposta
negativa, in quanto una volta che qualcosa, sia pure nella sofferenza e nel
sangue, è nato ed ha messo le radici, ancora più violento sarebbe, in nome di
un astratta giustizia, provare a disfarlo. E una prova di questo si ha
nell’atteggiamento della maggior parte dei Palestinesi, che ormai si
dichiarano pronti a convivere con Israele. La “giustizia” che questi
Palestinesi chiedono è, innanzitutto, quella umana ed intellettuale che è stata
loro tante volte negata: la comprensione della loro sorte spietata e la
“compassione” per le loro lunghe sofferenze.
6
Ciò che può nascere da una migliore conoscenza di tutto quanto è avvenuto
nelle terre del Mediterraneo orientale durante questo secolo è quindi un
invito, non a nuove distruzioni, ma ad una pace di compromesso, che
potrebbe rappresentare, oggi, un miglioramento della situazione attuale.
Questa tesi ha ad oggetto gli accordi che hanno caratterizzato la questione
palestinese dalla Road Map ad Annapolis, con uno sguardo approfondito su
ciò che è avvenuto antecedentemente alla Road Map. Questi accordi hanno
avuto il merito di cercare un compromesso tra le parti, ma non si sono
dimostrati efficaci nella loro attuazione. In ogni caso, è importante
conoscerli ed analizzarli per poter avere una visione più completa della
questione palestinese, dato che consentono di ricostruire le linee di una
possibile soluzione del problema.
7
Capitolo I
Le funzioni dell’Onu e la questione
palestinese
Il contributo che ha dato e dà l’Onu all’interno della questione palestinese è
sicuramente rilevante, data la molteplicità di risoluzioni che sono state
emanate a tal proposito. Per questo motivo, appare necessario analizzare il
lavoro svolto dalle Nazioni Unite.
Considerando i compiti affidati all’Onu, ci si rende conto del rilievo che, in
questo ambito, deve essere dato ai problemi dell’autodeterminazione e del
divieto dell’uso della forza, problemi entrambe al centro della questione
palestinese.
Data l’ampiezza dei compiti affidati, appare più semplice individuare le
materie di cui l’Organizzazione non può occuparsi che quelle oggetto delle
sue competenze; un importante rilievo assume, a tal riguardo, la norma
dell’art.2, par.7, della Carta delle Nazioni Unite, in cui viene evidenziato
come tale Organizzazione non debba intervenire in questioni che
appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato.
L’indeterminatezza dei fini, che conferisce all’Onu la natura di ente politico,
emerge dall’art. 1 della Carta delle Nazioni Unite, dove vengono elencati i
compiti dell’Organizzazione: il mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale; lo sviluppo di relazioni amichevoli fra gli Stati, fondate sul
rispetto del principio dell’uguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione
dei popoli; il conseguimento della collaborazione internazionale in campo
economico, sociale, culturale ed umanitario; la diffusione della tutela dei
8
diritti e delle libertà fondamentali dell’uomo senza distinzione di razza, di
sesso, di lingua, e di religione. Tra i problemi che hanno più coinvolto l’Onu,
negli anni immediatamente successivi alla nascita dell’Organizzazione,
hanno assunto un rilievo prevalente quelli relativi al mantenimento della
pace. Tra il 1950 e il 1960 l’attenzione dell’Onu si è concentrata soprattutto
sulla decolonizzazione, nel quadro del principio di autodeterminazione dei
popoli. Negli anni ’70 particolare rilievo è stato dato alla collaborazione in
campo economico, sociale, culturale ed umanitario, nella speranza ( che
purtroppo ancora oggi resta tale) di eliminare o almeno attenuare le gravi
disuguaglianze esistenti fra gli Stati e, quindi, di assicurare a tutti gli uomini
pari dignità ed un avvenire migliore
1
.
In relazione al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale,
bisogna evidenziare il ruolo svolto dal Consiglio di Sicurezza, che ha il
compito di tutelare la pace, attuando una serie di misure idonee a ristabilirla.
La funzione conciliativa espressa dall’articolo VI della Carta ha per oggetto
questioni solo potenzialmente idonee a turbare la pace, esplicandosi in
ordine alle controversie “la cui continuazione sia suscettibile di mettere in
pericolo la pace e la sicurezza internazionale”
2
. Il capitolo VII, invece, ha ad
oggetto crisi internazionali in atto e, precisamente, ha ad oggetto l’esistenza
“ di una minaccia alla pace, di una violazione della pace, o di un atto di
aggressione”
3
. La diversa gravità della situazione da fronteggiare si riflette
nei diversi strumenti che il Consiglio di Sicurezza ha a disposizione in base
all’uno o all’altro capitolo. L’atto tipico attraverso il quale si esplica la
funzione conciliativa, in base al capitolo VI, è, infatti, la raccomandazione,
che è priva di forza vincolante. Il capitolo VII, invece, oltre a prevedere la
possibilità di adottare raccomandazioni, stabilisce il potere del Consiglio di
9
1
Si veda a tal proposito il testo di B. Confornull “ Le Nazioni Unite ” . Padova, 2000.
2
A tal proposito si veda il capitolo VI art 33, 36, 37 della Carta delle Nazioni Unite.
3
Definizione espressa dall’art.39 capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
emanare sia decisioni
4
, cioè atti che vincolino gli Stati cui si indirizzano , sia
risoluzioni di carattere operativo
5
, cioè atti con i quali il Consiglio di
Sicurezza non si indirizza agli Stati, ma delibera di intraprendere esso stesso
determinate azioni.
Tali risoluzioni sono state adottate anche riguardo alla questione palestinese,
in particolare sono stati adottati atti di varia natura. Sono state, infatti,
adottate le misure previste dall’ art. 39, capitolo VII della Carta delle Nazioni
Unite, nel quale rientrano anche quelle risoluzioni che, nell’indicare
procedimenti o termini di regolamento, adottano contemporaneamente una
delle altre misure previste dal capitolo VII, come le misure provvisorie ex
art. 40 o le misure implicanti o non implicanti l’uso della forza ex art.41 e
42. Esempi di queste risoluzioni combinate ad altre misure previste dal
capitolo VII, sono, in relazione alla problematica mediorientale, le
risoluzioni n. 50 del 1948 e n. 338 del 1973 che, occupandosi di conflitti
armati tra Israele e Stati arabi, invitavano le parti a cessare il fuoco e
ricorrere alla mediazione .
Una crisi internazionale qualificabile come minaccia o violazione della pace
o atto di aggressione può svilupparsi su lunghi periodi e con fasi alterne,
come nel caso della questione palestinese, tali da richiedere, di volta in
volta, interventi di intensità diversa . Così, il Consiglio di Sicurezza è stato
costretto sia ad adottare contemporaneamente più misure, sia a riprendere
misure provvisorie anche dopo aver adottato altre risoluzioni in base al
capitolo VII, ad esempio dopo aver raccomandato procedure di regolamento
in base all’articolo 39 o dopo aver deliberato misure non implicanti, o
addirittura implicanti, l’uso della forza
6
. L’elenco delle misure non
implicanti l’uso della forza, previste dall’articolo 41 della Carta, non è
10
4
Art. 41 del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
5
Art. 42 del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.
6
Si veda a tal proposito B. Confornull “ Le Nazioni Unite ”, Padova, 2000, p. 187.
tassativo, in quanto una qualsiasi decisione o raccomandazione del Consiglio
di Sicurezza che chieda agli Stati membri , esplicitamente o implicitamente,
di tenere contegni, i quali suonino come sanzioni nei confronti di un
determinato Stato, sono inquadrabili sotto l’articolo 41. Un esempio
potrebbe essere quel genere di risoluzione cui il Consiglio ricorre spesso e
che consiste nel dichiarare invalidi certi atti statali interni. E’ il caso della
risoluzione n. 252 del 1968, adottata contro Israele e ribadita in delibere
successive
7
, nella quale si legge che il Consiglio “considera che tutte le
norme e gli atti legislativi e amministrativi adottati da Israele, incluse le
espropriazioni di terre, diretti a modificare lo status di Gerusalemme, sono
invalidi …”
8
.
11
7
Come ad esempio la risoluzione del 20.08.1980 n. 478.
8
A tal proposito si veda il testo della risoluzione n. 252 del 21.05.1968
Le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza : la n.
242 del 1967 e la n. 338 del 1973
Considerando le risoluzioni adottate dall’Onu all’interno della questione
palestinese, non si può prescindere dall’analizzare due risoluzioni
estremamente importanti, adottate dal Consiglio di Sicurezza: la n.242 del
1967 e la n. 338 del 1973. Queste due risoluzioni sono state richiamate da
molti accordi di pace, quali, ad esempio gli Accordi di Oslo e il
Memorandum di Wye River, così come vedremo successivamente.
Nella risoluzione n. 242 del 1967 il Consiglio di Sicurezza, esprimendo la
propria preoccupazione per la grave situazione in Medio Oriente, e,
mettendo in evidenza l’inammissibilità dell’acquisizione di territorio per
mezzo della guerra e la necessità di lavorare per una pace equa e duratura,
nella quale ogni Stato dell’area possa vivere in sicurezza, afferma che il
rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite richiede la creazione di
una pace equa e duratura in Medio Oriente, che dovrebbe includere
l’applicazione dei due seguenti principi: il ritiro delle forze armate israeliane
dai territori occupati nel recente conflitto e il rispetto della sovranità,
dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica di ogni Stato nell’area e
del diritto di vivere in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti, liberi
da ogni minaccia o atto di forza. Il Consiglio di Sicurezza richiede, inoltre, al
Segretario Generale di nominare un rappresentante speciale in Medio
Oriente, al fine di creare e mantenere contatti con i paesi interessati, per
promuovere un accordo e per incentivare gli sforzi di assistenza per
12
raggiungere una sistemazione pacifica e accettata, in conformità con le
clausole e i principi della presente risoluzione
9
.
Una volta analizzato il contenuto della risoluzione è importante capire
dinanzi a quale tipo di risoluzione ci troviamo, se siamo di fronte ad una
risoluzione organizzativa o di fronte ad una risoluzione operativa. Partiamo
dal presupposto che una risoluzione organizzativa è la risoluzione che
istituisce organi o provvede ad eleggerne i membri ed è caratterizzata dal
fatto che gli effetti immediati non sono configurabili come obblighi degli
Stati membri, in quanto tali risoluzioni creano un diritto obbiettivo che è
difficile tradurre in termini di rapporti giuridici, in termini di diritti ed
obblighi. Le risoluzioni operative, invece, sono quelle che prevedono
un’azione condotta dall’Organizzazione, per azione dell’Onu si intende
un’azione direttamente condotta dall’Organizzazione
10
. Questa distinzione
(tra risoluzioni organizzative e risoluzioni operative) non deve essere
necessariamente intesa in maniera netta, in quanto una stessa risoluzione
può avere al contempo carattere organizzativo ed operativo, allorquando,
anziché prevedere che una certa azione sia svolta da un organo preesistente,
istituisca un organo sussidiario ad hoc, qual è appunto il caso della
risoluzione n.242 del 1967. In questa risoluzione, infatti, come abbiamo già
avuto modo di verificare , viene istituito un organo sussidiario ad hoc, che, in
questo specifico caso, è un rappresentante speciale in Medio Oriente, che ha
il compito di creare e mantenere contatti con i paesi interessati per
promuovere un accordo e per raggiungere una sistemazione pacifica. Nello
stesso tempo, però, la risoluzione n.242 del 1967 rappresenta una decisione
vincolante del Consiglio di Sicurezza, in quanto ha ad oggetto decisioni a
13
9
A tal proposito si veda il testo di C. Enderlin “ Storia del fallimento della pace tra Israele e Palesnullna. La
ricostruzione dei negozianull di pace, ufficiali e segrenull, a parnullre dall’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 fino
alla seconda innullfada”, Roma, 2003, p.288.
10
La differenza tra risoluzioni organizzanullve ed operanullve è analizzata nel testo di B. Confornull “ Le Nazioni
Unite ” Padova, 2000, pp.288-‐290.
tutela della pace non implicanti l’uso della forza ex articolo 41 della Carta.
Esaminando le disposizioni del capitolo VI e VII della Carta, infatti, si
evince che il Consiglio ha normalmente potere di mera raccomandazione, ma
può ricorrere a decisioni vincolanti solo nel quadro dell’articolo 41 della
Carta, cioè quando ritenga di trovarsi in presenza di crisi così gravi da
richiedere misure sanzionatorie
11
.
Sulla scia della risoluzione n. 242 del 1967, il Consiglio di Sicurezza,
considerato il mancato miglioramento della situazione, ha adottato, il 22
ottobre del 1973, la risoluzione n. 338. In essa il Consiglio richiede a tutte le
parti partecipanti al conflitto di cessare il fuoco e di terminare
immediatamente tutte le attività militari, dando, in questo modo, inizio
all’implementazione della risoluzione 242 del 1967. Stabilisce, inoltre, la
necessità di iniziare i negoziati fra le parti interessate, volti a ristabilire ed
equilibrare la situazione mediorientale. Una possibile domanda da porsi è,
allora, se sussiste, in questo caso, un obbligo di negoziazione per gli Stati. In
realtà, poiché, in questo caso, ci troviamo dinanzi ad una risoluzione
vincolante del Consiglio di Sicurezza, visto e considerato il contenuto della
risoluzione stessa, alla luce della quale devono essere adottate delle misure
che non implicano l’uso della forza ex art.41 capitolo VII della Carta, vi è un
obbligo di negoziazione da parte degli Stati, che , attraverso lo strumento
dell’accordo, devono pervenire ad una situazione che tuteli la pace e
garantisca l’applicazione dei diritti fondamentali a tutti gli uomini.
14
11
A tal proposito B. Confornull “ Le Nazioni Unite ”. Padova,2000, p.287.
Il ruolo dell’Assemblea generale
Secondo l’articolo 24 della Carta delle Nazioni Unite, il Consiglio ha la
responsabilità principale del mantenimento della pace. Ciò comporta che,
durante l’esercizio da parte del Consiglio di Sicurezza delle funzioni
assegnategli dalla Carta nei riguardi di una controversia o nei riguardi di una
situazione qualsiasi, l’Assemblea generale non deve fare alcuna
raccomandazione riguardo a tale controversia o situazione, a meno che non
sia richiesta dal Consiglio di Sicurezza
12
. In realtà, si è tanto discusso in
passato sulla competenza dell’Assemblea ad intraprendere azioni a tutela
della pace e, più specificatamente, a deliberare misure del tipo di quelle
previste dal capitolo VII della Carta. Tale competenza è stata sostenuta da
taluni alla luce della stessa Carta, da molti in base a norme che si sarebbero
formate per consuetudine
13
. Presupponendo l’incompetenza piena ed
assoluta dell’Assemblea a ricorrere a misure che implichino l’uso della
forza, ci si chiede se l’Assemblea possa decretare misure del tipo previsto
dall’articolo 41, ossia quelle che non implicano l’uso della forza. E, poiché
l’Assemblea non ha poteri vincolanti in tema di tutela della pace, l’unico
problema sarebbe quello di chiedersi se possa raccomandare misure del
genere. Un’interpretazione obiettiva della Carta fa propendere per
l’affermazione dell’incompetenza dell’Assemblea , sempre che non si tratti
di risoluzioni che si limitino a ribadire sanzioni già decise o raccomandate
dal Consiglio di Sicurezza, invitando gli Stati ad applicarle, come è avvenuto
15
12
A tal proposito si veda l’arnullcolo 12 della Carta delle Nazioni Unite.
13
Tale tema cosnulltuì l’oggenullo di accanite dispute donullrinali tra il 1950 e il 1960, epoca in cui l’Assemblea,
sonullo la spinta degli Stanull Uninull, manifestò la tendenza a sosnulltuirsi al Consiglio di Sicurezza nella funzione di
mantenimento della pace, una volta constatata la paralisi di quell’organo per l’esercizio del dirinullo di veto.
Successivamente l’importanza del tema è andata anullenuandosi data l’incapacità dell’ Assemblea a
proseguire nella strada intrapresa come conseguenza dell’enorme aumento del numero di membri e della
rilunullanza delle Grandi Potenze a consennullre azioni efficaci da parte di un organo così allargato e sempre
meno da loro controllabile.
in relazione al disconoscimento degli atti di governo di Israele nei territori
arabi occupati.
Per quanto riguarda le Dichiarazioni di princìpi dell’Assemblea generale,
queste sono indirizzate agli Stati e concernono non solo rapporti
internazionali, ma anche e soprattutto rapporti interni alle varie comunità
statali. Deve essere evidenziato come tali Dichiarazioni non abbiano
carattere obbligatorio. Alla luce della Carta, infatti, esse appaiono come mere
raccomandazioni , di carattere generale e solenne, a cui gli Stati restano
liberi di conformarsi. Ciò nonostante, esse svolgono un ruolo assai
importante ai fini dello sviluppo del diritto internazionale e del suo
adeguamento alle esigenze di solidarietà e di indipendenza.
La risoluzione n.194 dell’11 dicembre del
1948 adottata dall’Assemblea generale
Approfondendo il tema delle risoluzioni dell’Assemblea generale, bisogna
ricordare la risoluzione n. 194 dell’11 dicembre del 1948, nella quale
l’Assemblea generale, avendo considerato la situazione in Palestina, ha
espresso il suo profondo apprezzamento per i progressi raggiunti attraverso i
buoni uffici del Mediatore delle Nazioni Unite nel promuovere una
regolazione pacifica della situazione futura della Palestina. Viene creata una
Commissione di conciliazione costituita da tre Stati membri delle Nazioni
Unite e vengono invitati i governi e le autorità interessati ad ampliare lo
scopo delle negoziazioni a cercare un accordo tramite negoziati, condotti
con la Commissione di conciliazione. L’Assemblea, in questa occasione, ha
16
disposto la protezione dei luoghi sacri, degli edifici religiosi e dei siti in
Palestina e la garanzia del libero accesso ad essi, in conformità con i diritti
esistenti e con la prassi storica. Inoltre, ha stabilito che, visto il
collegamento con tre religioni di diffusione mondiale, all’area di
Gerusalemme deve essere accordato un trattamento speciale, separato dal
resto della Palestina e quest’area deve essere posta sotto l’effettivo controllo
delle Nazioni Unite, tutto ciò viene disposto, richiedendo al Consiglio di
Sicurezza di compiere degli sforzi per assicurare la smilitarizzazione di
Gerusalemme nel più breve tempo possibile.
Importante è ora capire quali compiti siano stati dati alla Commissione di
conciliazione, creata attraverso questa risoluzione e formata da tre stati: la
Francia, la Turchia e gli Stati Uniti. Prima di tutto è esplicato il compito
della Commissione di assumere , se ritenuto necessario, la funzione data al
Mediatore delle Nazioni Unite sulla Palestina; viene evidenziato il compito
di mettere in atto le funzioni e le direttive specifiche affidategli dalla
presente risoluzione e viene, infine, affidato alla Commissione il compito di
assumere, su richiesta del Consiglio di Sicurezza, tutte le funzioni ora
assegnate al Mediatore delle Nazioni Unite sulla Palestina o alla
Commissione di tregua delle Nazioni Unite dalle risoluzioni del Consiglio di
Sicurezza
14
.
17
14
Si veda a tal proposito il testo di C. Enderlin “ Storia del fallimento della pace tra Israele e Palesnullna. La
ricostruzione dei negozianull di pace, ufficiali e segrenull, a parnullre dall’assassinio di Yitzhak Rabin nel 1995 fino
alla seconda innullfada” , Roma, 2003,p.285.