6
INTRODUZIONE
Il presente elaborato affronta uno studio sul tema del riconoscimento dei
diritti delle popolazioni indigene, cercando di ricostruire le modalità di
approccio che il contesto giuridico internazionale ha avuto a riguardo.
Nel primo capitolo si andranno ad analizzare i documenti redatti durante il
periodo iniziale della Conquista delle terre americane da parte delle potenze
europee e i dibattiti che ne seguirono. Questi vertevano sulla legittimità del
possesso delle “nuove terre” nonché sulla problematica riguardo l’incontro
con “l’altro”, l’indigeno. Si vedrà come la dottrina si divise su tale
argomento, tra chi da una parte vedeva l’indigeno essere inferiore e dunque
adatto a venire schiavizzato, e chi invece lottò per il rispetto e l’integrità di
questo.
I dibattiti dell’epoca non misero mai in discussione però la presenza europea
in America, tesa a civilizzare ed evangelizzare le genti del “Nuovo Mondo”.
Fu così possibile instaurare una dinamica di dominio che si estese insieme
con il prosieguo delle scoperte geografiche e scientifiche, di cui godette solo
una minima parte della popolazione mondiale. Con la scoperta dell’emisfero
occidentale si comincia infatti a pensare il mondo attraverso “linee globali”
dando vita ai germi del processo di globalizzazione.
Il secondo capitolo analizzerà questo processo tanto dibattuto e controverso,
del quale si cercherà di studiare le origini storiche e le conseguenze con
impatto negativo nei riguardi delle realtà più emarginate ed esposte ai rischi
del globalismo, che per Beck si sostanzia in quella “dittatura neoliberista del
mercato che, in particolare nel terzo mondo, toglie le basi, comunque
precarie, dell’autosviluppo democratico”.
Il globalismo si realizza nella possibilità che hanno gli attori del mercato
globale, le multinazionali, le lobby ed i governi di entrare nei Paesi in via di
7
sviluppo cercando investimenti altamente remunerativi senza tener conto
delle conseguenze che la loro iniziativa potrebbe causare nei contesti in cui
si realizza. Numerosi sono i casi di sfruttamento delle risorse naturali e di
danni irreparabili all’ambiente che vanno ad inficiare sulla intera esistenza
dei gruppi autoctoni stanziati in quei territori. In tal proposito verrà
presentato la situazione del popolo africano degli ogoni, emblematico caso di
distruzione ecologica ed etnica portato avanti dalle multinazionali del
petrolio sul delta del Niger.
Verrà infine fatto riferimento alle nuove proposte derivanti dalle popolazioni
indigene del sud del mondo, che stanno tentando di riconquistare lo spazio
politico attraverso l’azione della società civile, dando vita a dei veri e propri
“conflitti ecologici”.
Il terzo capitolo è dedicato alla comunità internazionale ed al suo impegno
nei riguardi del riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene. Questo
diviene punto centrale nel presente lavoro poiché vengono messi in luce gli
aspetti paradossali del processo di globalizzazione analizzato
precedentemente. Gli interventi delle organizzazioni internazionali possono
esser visti come espressione di un mondo in cui gli Stati vivono le relazioni
reciproche in un’ottica sempre più interdipendente e globalizzata. Se in
precedenza si è parlato di globalizzazione economica nella sua accezione
negativa di globalismo, che ha sempre considerato marginali le tematiche
inerenti allo sviluppo umano e sociale, qui viene presentato un altro aspetto
legato a tale processo, quello che vede la globalizzazione come strumento
efficace per l’affermazione dei diritti umani su scala globale. Prima l’OIL, in
seguito l’ONU e poi una vasta gamma di organizzazioni continentali hanno
dato sostegno alle rivendicazioni indigene che mirano alla conquista di uno
spazio politico e sociale nei Paesi in cui vivono, che si sostanzia nel
riconoscimento del diritto all’autodeterminazione.
Mondo globale dunque inteso come abbattimento delle barriere e delle
regole del mercato, che ha visto spesse volte l’intervento delle multinazionali
sui territori ancestrali dei popoli indigeni senza tener conto del contesto
culturale e dell’impatto ambientale; ma anche mondo globale inteso come
8
maggior comunicazione e scambio di idee, accesso facilitato alle
informazioni, mezzo per comprendere l’interdipendenza delle problematiche
mondiali e la conseguente relazione in cui si trovano gli attori chiamati a
combattere tali problemi.
Il quarto capitolo verterà sullo studio delle Costituzioni di Ecuador e Bolivia,
realizzate a seguito dell’approvazione della Dichiarazione dell’ONU sui
diritti dei popoli indigeni, e che risentono fortemente dell’influenza dei
principi da questa enunciati.
Le popolazioni indigene di questi due Stati, da sempre vittime del giogo
coloniale continuato nel corso dei secoli attraverso l’azione dei gruppi
transfrontalieri, sono riuscite ad essere finalmente protagoniste di un
processo di globalizzazione che le ha viste sempre come soggetti perdenti ed
esclusi. Hanno saputo utilizzare gli strumenti messi a disposizione dalla
globalizzazione dei diritti e delle comunicazioni, e attraverso questi prendere
coscienza della possibilità di un “cambio” all’interno delle società in cui
vivono, che trova attualmente riscontro concreto nei testi costituzionali.
Queste Costituzioni appaiono “rivoluzionarie” poiché riconoscono il “buen
vivir” come nuovo regime di sviluppo caratterizzato dalla effettiva sovranità
popolare, l’equità, l’eguaglianza, la giustizia e il rispetto dei diritti della
natura. Gli indigeni si riappropriano dello Stato partendo da una realtà
sociale che li ha visti sempre presenti senza però essere mai considerati.
L’ultimo capitolo, che ripercorre le tappe che hanno portato a questo storico
“cambio” in Bolivia, è utile per comprendere le dinamiche nate “dal basso”
che hanno consentito alla popolazione originaria di destabilizzare il potere
conservatore proponendo un’alternativa più democratica e partecipativa.
Mi sono concentrato sul caso boliviano poiché ho avuto la fortuna di
realizzare un periodo di studio in questo Paese, dove il tessuto sociale è
estremamente variegato ed instabile, partendo dal fatto che vi sono presenti
trentasei etnie indigene riconosciute, tutte con sistemi culturali differenti
l’uno con l’altro, che convivono con una alta percentuale di popolazione di
discendenza europea, la quale non accetta i cambiamenti volti a
rivalorizzare l’apporto dei popoli indigeni nella gestione dello Stato.
9
Durante la mia esperienza ho potuto comprendere l’importanza delle culture
ancestrali per le popolazioni originarie e i conseguenti motivi che hanno
spinto queste a battersi lungo il corso della storia per poter salvaguardare i
propri sistemi: la rilevanza che riveste la natura alla quale tutti appartengono
(Pachamama), l’utilizzo della tanto demonizzata foglia di coca, la necessità
di creare spazi di partecipazione democratica in cui tutti abbiano la facoltà di
esprimersi e le reazioni alle politiche neoliberiste tese alla privatizzazione
delle risorse del Paese rientrano. Queste sono solo alcune delle ragioni che
hanno portato gli indigeni boliviani a creare un nuovo “poder constituyente”
che sta ampliando gli orizzonti partecipativi e mettendo in discussione un
regime di sviluppo economicamente dipendente, socialmente ingiusto,
depredatore nei confronti dell’ambiente e, essenzialmente, antidemocratico.
10
CAPITOLO PRIMO
IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA CONQUISTA:
VERSO UNA VISIONE EUROCENTRICA DEL MONDO
1.1 La Conquista: evento eccezionale
“Nel presente anno millequattrocentonovantadue, dopo che le Vostre Altezze
han vinto la guerra contro i Mori che regnavano in Europa, (…) nel
medesimo mese (…) le Vostre Altezze (…) pensarono di mandare me,
Cristoforo Colombo, nelle suddette regioni dell’India.”
In questo passo, tratto dal giornale di bordo di Colombo e risalente al giorno
della sua partenza da Palos de la Frontera, l’esploratore genovese ci parla di
due eventi quasi contemporanei, che apparentemente poco c’entrano l’uno
con l’altro, ma che simbolicamente sembrerebbero legati in maniera
paradossale: la sconfitta dei Mori da parte della corona spagnola e il viaggio
verso l’India (almeno così credeva), anch’esso finanziato dai reali iberici.
Il 1492 infatti simboleggia per la Spagna un doppio movimento
1
: in
quell’anno viene ripudiato l’altro interno, con la sconfitta dei Mori e la
cacciata degli Ebrei dal regno; e viene anche scoperto l’altro esterno, l’indio,
incarnazione di una vastità di differenti culture e abitante di un territorio
immenso e “nuovo”.
Todorov definisce la scoperta dell’America, e in particolare quella degli
americani, “l’incontro più straordinario della nostra storia” poiché a
differenza di questo continente “gli europei non avevano mai del tutto
ignorato l’esistenza dell’Africa, dell’India, o della Cina; il ricordo di esse fu
sempre presente, fin dalle origini”
2
.
1
T.Todorov, La conquista dell’America, il problema dell’altro, Einaudi,Torino, 1992, p.60
2
T.Todorov, La conquista dell’America, cit., p.7
11
Simile opinione viene espressa da Adam Smith, che definsce la scoperta
dell’America e quella del passaggio del Capo di Buona Speranza “i due più
grandi avvenimenti ricordati nella storia dell’umanità.”
3
. Anche François
Raynal, scrittore francese del ‘700, parla di “evento di portata storica” che
provocò la “trasformazione complessiva nel commercio, nella potenza
nazionale, nei costumi, nell’industria e nel governo di tutti i popoli.”
4
A partire dal 1492 “il mondo è piccolo”, come scrive Colombo nella lettera
rarissima datata 7 luglio 1503, ad indicare la consapevolezza della scoperta
della totalità del globo e che porterà l’umanità “in questo nostro tempo così
nuovo e così diverso da ogni altro”
5
.
Questo evento sconvolse tutti i settori della società, a livello economico,
politico e sociale.
Fu chiamata in causa la dottrina giuridica dell’epoca, contribuendo non poco
nella produzione letteraria e giurisprudenziale, senza dimenticare l’apporto
degli interventi vaticani tesi a giustificare la legittimità delle conquiste.
E’ risaputo, inoltre, che la conquista del continente americano ebbe
ripercussioni catastrofiche sulle popolazioni che vivevano in questo
territorio. La storiografia e la letteratura sono ricche di ricostruzioni su come
i conquistadores si comportarono nei confronti dei popoli indigeni e molti
furono anche gli autori che si espressero, a favore o meno, delle brutalità
utilizzate dalle genti della Vecchia Europa.
In particolar modo, alcuni membri del clero furono protagonisti di un acceso
dibattito su tale argomento, basti pensare alla diatriba tra Sepulveda e Las
Casas o alle ampie riflessioni del domenicano Francisco de Vitoria.
I primi testi che verranno analizzati e che tesero a conferire legittimità al
possesso delle terre scoperte sono le Bolle emesse dal Vaticano che, come
vedremo, rivestono grande importanza oltre che dal punto di vista giuridico,
anche per il fatto di considerare per la prima volta il mondo nella sua
3
A.Smith, La ricchezza delle Nazioni, Il sole 24 ore Editore, 2010, p. 522
4
F.Marcelli, Diritto internazionale, movimenti globali e cooperazione fra comunità, Franco
Angeli, 2007, p. 42
5
B. de Las Casas, Breve Relazione sulla distruzione delle Indie, Datanews, 2006, p. 88
12
globalità, attraverso il tentativo di universalizzare i valori cristiani (e con essi
un’impostazione culturale che per semplificazione definiamo europeo-
occidentale) sino ai territori americani, all’epoca pressoché sconosciuti.
Come afferma Carl Schmitt “il diritto internazionale europeo-continentale, lo
jus publicum Europaeum, fu essenzialmente, dal secolo delle grandi scoperte
in poi, un diritto interstatale tra sovrani europei e determinò, partendo da
questo nucleo europeo, il nomos del resto della terra”
6
.
Un’Europa dunque che, oltre a conquistare materialmente quei territori,
impone alle popolazioni che vi abitano usi, costumi, leggi che questi non
conoscono e che saranno però costretti a far propri, pena la loro soggezione a
violenze ed atrocità alle quali non poterono rispondere in maniera efficace a
causa dell’immensa disparità di strumenti e tecniche belliche.
Citando ancora una volta il fondamentale contributo di Todorov: “A partire
dall’epoca della conquista, […], l’Europa occidentale ha cercato di
assimilare l’altro, di far scomparire l’alterità esteriore, e in gran parte ci è
riuscita. Il suo modo di vita e i suoi valori si sono diffusi in tutto il mondo;
come voleva Colombo, i colonizzati hanno adottato le nostre usanze e si
sono vestiti.”
7
1.2 I documenti che giustificano la Conquista
1.2.1 La Bolla Inter Caetera e la nascita del pensiero per linee
globali
Il primo documento rilevante ai fini del discorso è la bolla papale Inter
Caetera, redatta a seguito del rientro di Colombo nella penisola iberica dopo
la sua prima spedizione, che suscitò il riemergere di un contenzioso che
durava già da diversi anni tra Spagna e Portogallo.
6
C.Schmitt, Il nomos della terra, Adelphi, Milano, 1991, p. 14
7
T.Todorov, La conquista dell’America, cit., p. 294
13
Quando nel marzo 1493 egli fu costretto a sbarcare in Portogallo, il re di
quel paese, Giovanni II (1455-1495), lo redarguì severamente per quello che
egli considerava come un'interferenza nei diritti a lui conferiti dal Trattato di
Alcaçovas, stipulato (senza mediazione pontificia) nel 1479 tra Spagna e
Portogallo (in virtù del quale la Spagna si assicurava solo le Canarie).
Secondo il re Giovanni II, dunque, le terre scoperte da Colombo rientravano
nel monopolio delle nuove terre garantite al Portogallo dal succitato trattato,
e confermato più tardi da altri decreti papali. I reali di Spagna, Ferdinando di
Castiglia ed Isabella di Aragona, allarmati dalle pretese del re del Portogallo,
spedirono immediatamente alla Curia papale un rapporto completo del
viaggio, chiedendo la conferma papale dei diritti sulle terre appena scoperte.
Il Papa Alessandro VI (Alessandro Borgia), che occupava in quel tempo il
trono pontificio, proveniva da una nobile famiglia spagnola ed era amico di
Ferdinando; egli non rifiutò di dare la sua conferma e nei giorni 3 e 4 maggio
1493 furono promulgate tre Bolle con le quali venivano accolte le richieste
della Spagna. Di queste tre Bolle due incominciano con le stesse parole Inter
Caetera Divinae. La seconda, datata 4 maggio, è la più importante.
Essa risolveva le difficoltà, lasciando tuttavia l’amaro in bocca al re del
Portogallo, segnando una linea immaginaria che andava da un polo all’altro
passando a cento leghe di distanza ad ovest (e a sud) delle Isole Azzorre e
del Capo Verde, e stabilendo che qualsiasi terra ad occidente di questa linea
doveva appartenere alla Spagna, a meno che non si potesse provare che
qualche territorio situato in quella zona era stato occupato in precedenza da
un’altra potenza cristiana.
Il criterio delle cento leghe si spiega giuridicamente poiché i maggiori
giuristi dell’epoca avevano fissato la zona delle acque territoriali in base a
due giornate di viaggio
8
.
Interessante risulta la parte introduttiva del documento, in cui vengono
elencati gli scopi che legittimavano l’appropriazione di quei territori, ossia
“che la fede cattolica e la religione cristiana siano innalzate”. Alessandro VI,
8
C. Schmitt, Il nomos della terra, cit., p. 86
14
richiamando la sua discendenza pontificia da San Pietro, afferma che il
progetto di evangelizzazione è voluto da Dio stesso e per questo motivo
rende dono ai sovrani spagnoli di quelle terre scoperte “allo scopo di istruire
i suddetti abitanti e residenti (riferito alle genti americane) nella fede
cattolica e di educarli nella buona morale.”
L’importanza della linea immaginaria segnata con questo documento viene
rilevata dall’analisi di Schmitt, che ne fa coincidere la nascita con quella del
pensiero per linee globali.
Con questa definizione il giurista e filoso tedesco si riferisce ad un modo di
pensare che segna un capitolo preciso nello sviluppo storico della coscienza
umana dello spazio, che si andrà evolvendo di pari passo con il progresso
delle carte geografiche e della conoscenza teorica del globo.
A tal proposito Dean afferma che “the establishent of the European system
of states and International public law has implications for the nomos of the
rest of the Earth and gave rise to what Schmitt calls «global linear
thinking»”. The establishment of this European legal order had among its
conditions the discovery of the New World and the beginning of the
European land appropriations of the Americas. Schmitt demonstrates how
the cartography of the earth had specific political conditions”
9
.
La Bolla Inter Ceatera quindi può essere considerato il primo documento che
tentò di suddividere la terra sulla base di una nuova visione geografica
complessiva
10
.
1.2.2 Il Trattato di Tordesillas
La Bolla emessa da Papa Alessandro VI scontentava evidentemente il
sovrano lusitano poiché, utilizzando una vivace espressione dello storico
9
M.Dean, Nomos and the politics of world order, in Global Governmentality, governing
international spaces, Larner and Walter editions, New York, 2004, p. 51.
10
C.Schmitt, Il nomos della terra, cit., p.83
15
Villanueva, “en el lado español no se sabía lo que había, pero en el
portugués sí: agua salada y tempestades”
11
.
Giovanni II però aveva ben in mente l’entità del contingente militare del
regno spagnolo e non avrebbe mai potuto dichiarar guerra a Ferdinando, il
quale si trovava nella stessa situazione, vedendosi impegnato nel cacciare i
francesi da Napoli e dunque poco propenso nell’aprire un nuovo conflitto.
I due sovrani stabilirono allora di ridiscutere e definire una nuova linea di
demarcazione.
Le delegazioni si riunirono a Tordesillas nel giugno 1494, e cominciarono le
discussioni sulla base della Bolla papale dell’anno precedente. Dopo una
serie di trattative il delegato portoghese riuscì ad ottenere che i propri
possedimenti fossero demarcati da una linea che andava 270 leghe ad est del
limite definito dalla Bolla alessandrina
12
.
Tale accordo, ratificato da Giulio II, fu denominato anche “particion del mar
océano” e, seguendo l’analisi che ne fa Schmitt, rappresenta un altro
tentativo di definire l’ordinamento spaziale del diritto internazionale secondo
il già menzionato pensiero per linee globali.
Gli esempi più importanti delle sue numerose manifestazioni formano una
successione coerente ed unitaria, che va “dalla scoperta dell’America nel
1492 fino alle dichiarazioni americane della seconda guerra mondiale”
13
.
1.2.3 Il Requerimiento
Una volta definiti i confini territoriali dalle bolle papali sorse l’esigenza di
definire le conquiste in relazione alle popolazioni autoctone. Nel 1514 venne
redatta dal giurista Palacios Rubios, sotto incarico dei sovrani spagnoli,
un’ingiunzione indirizzata proprio agli indios, che sarebbe stata letta
direttamente dagli emissari della corona.
11
F.D.Villanueva, Nosotros, los españoles, Altera ediciones, Madrid, 2008, p. 89
12
F.D.Villanueva, Nosotros, los españoles, cit., p. 90
13
C. Schmitt, Il nomos della terra, cit., p. 87
16
Il Requerimiento, nome di tale documento, afferma che il Papa, essendo
successore di San Pietro, è anche detentore del potere conferito a questi da
Gesù, e dunque può essere considerato “padrone del mondo”. Viene così
giustificato il “dono” fatto da Alessandro VI ai sovrani iberici e lusitani
14
.
Dopo aver stabilito le ragioni giuridiche dei possedimenti nel Nuovo Mondo
il testo dell’ingiunzione si rivolge direttamente agli indiani, affermando che
nel caso in cui coloro sottomessi non avessero accettato il nuovo status di
sudditi del Papa, i soldati regi avrebbero fatto ingresso con la forza nel paese
e sottomesso i riottosi al giogo e all’obbedienza della Chiesa. In sostanza se
gli originari, dopo la lettura, si fossero mostrati convinti, non si aveva il
diritto di prenderli come schiavi; se invece essi non avessero accettato questa
interpretazione della storia, sarebbero stati severamente puniti
15
.
Sebbene taluni autori abbiano scorto nell’emanazione di questo documento il
desiderio della corona di evitare guerre ingiustificate, in verità si tratta del
primo grande inganno nei confronti di quelle popolazioni, anzi a buon conto
lo si potrebbe considerare come l’atto che va a legittimare la conquista manu
militari.
Infatti spesso il Requerimiento non veniva letto, non veniva tradotto nelle
lingue locali o veniva letto in villaggi già abbandonati al momento
dell’occupazione delle terre
16
. Ne è esempio la testimonianza dello storico
Oviedo, definito da Todorov “campione dell’ineguaglianza”, che così
racconta nella sua Historia General de las Indias: “...una volta che furono
incatenati qualcuno lesse loro il Requerimiento senza conoscere la loro
lingua e senza interpreti..”
17
.
Non è azzardato scorgere nella prassi della lettura di questo testo davanti alle
comunità originarie l’antecedente storico della totale negazione di un
principio che si è affermato solo nel secolo XX, ma che ancora stenta ad
essere messo in pratica, ossia quello della facoltà di autodeterminazione che
14
S.G.Benso, La conquista di un testo ,”Il Requerimiento”, Bulzoni, Roma ,1989, p. 78
15
T.Todorov, La conquista dell’America, cit., p. 179
16
F.Marcelli (a cura di) I diritti dei popoli indigeni, Aracne, Roma, 2009, p. 53
17
T.Todorov, La conquista dell’America, cit., p. 181
17
i popoli hanno riguardo la propria identità politica, economica, culturale e
territoriale. Le lotte messe in pratica dai popoli indigeni dai tempi della
conquista sino ad oggi, di cui noi conosciamo solo una minima parte e che
verranno più avanti approfondite, prendono origine proprio dal processo
messo in atto dalla diffusione del Requerimiento.
18
In conclusione, si può affermare che il testo mira ad imporre un’autorità sui
territori conquistati, ma ciò viene fatto in maniera piuttosto contraddittoria:
infatti, se il cristianesimo è una religione egualitaria sembrerebbe assurdo
che in suo nome gli uomini vengano ridotti in schiavitù.
Eppure in questo testo si manifesta evidentemente la disparità di condizioni
in cui si trovano i soggetti implicati; gli indiani potranno scegliere solo tra
due posizioni di inferiorità: o si sottomettono di loro volontà divenendo servi
oppure potranno essere sottomessi con la forza e ridotti in schiavitù.
Ancora Todorov spiega che “gli indiani vengono considerati fin dall’inizio
come inferiori perché sono gli spagnoli che dettano le regole del gioco”
19
.
Il domenicano Bartolomè De Las Casas, che per molti anni ricoprì il ruolo di
vescovo del Chiapas, non manca di esprimere il suo disappunto riguardo alla
pratica di leggere il Requerimiento, della “cui assurdità non si sa se ridere o
se piangere”
20
. Ecco cosa scrive riguardo a tale documento dopo aver
assistito all’utilizzo che ne fece Pedrarias Davila, all’epoca governatore della
regione in cui sorge l’attuale Nicaragua: “Come, se il figliuol di Dio, che
18
Si pensi all’incipit della Declaracion della Selva Lacandona redatta dalla Comanacia
General del EZLN nel 1993: “Somos producto de 500 anos de luchas…” L’EZLN è un
esercito formato per lo più da campesinos indios del Chiapas, che nel ’94 ha occupato
diversi dipartimenti della regione per chiedere al governo messicano che venisse attuata una
riforma agraria rispettosa delle comunità campesine della zona. Questo levantamiento ebbe
grandi ripercussioni a livello internazionale poiché oltre a rivolgersi a cambiamenti di
politica interni, si opponeva idealmente all’entrata in vigore del NAFTA, accordo di libero
scambio tra USA, Canada e Messico, che metteva a repentaglio il rispetto dell’art. 27 della
Costituzione messicana che sancisce il diritto alla proprietà collettiva. Le lotte odierne
dunque vanno ad essere il proseguimento della resistenza messa in atto già cinque secoli fa.
19
T.Todorov, La conquista dell’America., cit., p. 186
20
B. de Las Casas, Breve Relazione sulla distruzione delle Indie, Datanews, 2006, p. 42
18
morì per ciascun di loro, havesse commandato nella sua legge, quando disse
Euntes docete omnes gentes, che si facessero intimazioni agli infedeli,
pacifici, e quieti, c’hanno le loro terre proprie, e se non la ricevessero subito
senza altra predicazione, né dottrina, e se suggettassero se medesimi al
dominio di quel Re, che mai non udirono, né videro, la gente, e messi del
quale particolarmente sono tanto crudeli, tanto empij, e cosi horribili tiranni,
perdessero perciò le facoltà, e le terre, la libertà, le mogli, e i figliuoli, con
tutte le loro vite; che è cosa spropositata, e stolta, e degna d’ogni vituperio,
infamia, e inferno.”
21
Da quanto riportato è facile intuire che Las Casas fu tra coloro che si schierò
a favore della causa indigena, e passò tutta la vita a lottare affinché si
impedisse la morte delle genti americane.
I suoi scritti sono fondamentali per comprendere le atrocità perpetrate nei
confronti delle popolazioni autoctone da parte dei conquistadores, anche se
non andrà mai a mettere in discussione esplicitamente il possesso di quei
territori da parte dei sovrani europei.
Egli inoltre è uno degli esponenti, insieme a Francisco de Vitoria, della
Scuola Spagnola di Diritto Internazionale, che nasce nel XV secolo e si
sviluppa prevalentemente intorno al tema della presenza degli spagnoli in
America e della sottomissione degli indiani.
22
Di seguito verranno riportate alcune analisi sui contributi dei succitati autori
facenti capo a tale filone di pensiero giuridico.
21
B. De Las Casas, Breve Relazione sulla distruzione delle Indie, cit., p. 43
22
G.C.Marks, Indigenous people in International law, in S.J.Anaya, International law and
indigenous people, The library of essays in international law, University of Arizona, USA,
2003, p. 9