2
Italiani Slavi
3
Altri Totale
Trieste 116825 25130 36644 178599
Contea di Gorizia e Gradisca
4
81136 140676 11085 232897
Istria
5
134631 161832 17831 314294
Totale Litorale austro-illirico
6
332592 327638 65560 725790
Carniola occidentale
7
nessuno 55637 368 56005
Tarvisio nessuno 2105 5192 7297
Fiume
8
17305 9092 12558 38955
Zara e isole dalmate
9
9207 7201 1527 17935
Totale Venezia Giulia 359104 401673 85205 845982
C’ è da dire che il criterio della lingua d’ uso era contestato dagli slavi, i
quali sostenevano, con qualche ragione, che parecchi di loro dichiaravano
di utilizzare l’ italiano, parlato dalla parte più ricca e più colta della
andata alla Jugoslavia per effetto del Trattato di Roma del 1924. L’ area in questione aveva circa
un migliaio di abitanti, quasi tutti croati: cfr. C. Schiffrer, “La Venezia Giulia. Saggio di una carta
dei limiti nazionali italo-jugoslavi”, in id. (selezione di scritti a cura di F. Verani), La questione
etnica ai confini orientali d’ Italia, Trieste 1990, pp. 74-75.
Da parte sua A. Colella (a cura di), L’ esodo dalle terre adriatiche. Rilevazioni statistiche, Roma
1958, p. 27, fornisce dati lievemente differenti, ossia, senza tener conto del distretto di Tarvisio,
840531 abitanti, di cui 359104 italiani, 401454 slavi e 79973 “altri”.
3
Escludendo Fiume, tra gli slavi si registrano 114278 serbo-croati in Istria, 7201 in Dalmazia
(dove, quindi, non c’ è nemmeno uno sloveno), 451 a Trieste e 94 nella Contea di Gorizia e
Gradisca: tutti gli altri sono sloveni.
4
Comprendente i distretti di Gorizia, Gradisca, Monfalcone, Sesana e Tolmino.
5
Considerando anche i territori appartenenti alla provincia austriaca dell’ Istria che saranno
attribuiti alla Jugoslavia dal Trattato di Rapallo (ossia l’ isola di Veglia e una parte del comune di
Castua), abbiamo 136191 italiani, 190774 slavi (143057 serbo-croati e 47717 sloveni) e 18085
“altri” (di cui 7076 tedeschi e 9085 stranieri), per un totale di 345050 abitanti. Cfr. G. Perselli, I
censimenti della popolazione dell’ Istria, con Fiume e Trieste, e di alcune città della Dalmazia tra
il 1850 e il 1936, Rovigno-Trieste 1993, p. 469.
6
L’ Osterreichisch-Illyrische Kustenland (Litorale austro-illirico) era formato dalle province
austriache (kronlander) di Gorizia-Gradisca, Trieste e dell’ Istria.
7
Limitatamente ai distretti di Idria e Postumia, assegnati all’ Italia dal Trattato di Rapallo.
8
A differenza di quelli austriaci, i censimenti ungheresi si basavano sulla lingua materna,
attraverso cui venivano divisi anche i cittadini stranieri. Sciaguratamente, il censimento del 1900
si limita a indicare 7497 croati, 2842 ungheresi, 1945 tedeschi e 107 tra serbi, slovacchi, rumeni e
ruteni: tutte le altre nazionalità, in primis italiani e sloveni, assommano, senza ulteriori distinzioni,
a 26564 abitanti. Da ciò deriva che tutte le fonti concordano sul totale della popolazione presente,
ma divergono anche sensibilmente sulla proporzione dei vari gruppi etnici.
Per esempio, Perselli, op. cit., p. 429, stima 17492 italiani, 10989 sloveni e croati e 10474 tra
ungheresi, tedeschi e altre nazionalità, mentre Schiffrer, op. cit., p. 72, calcola 17492 italiani,
16197 slavi e 5266 “altri”.
9
Secondo quanto riporta Sator, op. cit., pp. 52 e 79, nelle isole dalmate cedute all’ Italia in seguito
al Trattato di Rapallo (Lagosta, Cazza, Pelagosa e altre di minore importanza) vivevano 1378 slavi
e 6 “altri”, per cui Zara e il circondario contavano 9207 italiani, 5823 slavi e 1521 “altri”.
3
popolazione, e che costituiva la lingua degli affari, delle professioni e della
buona società.
Da parte loro, gli italiani si lamentavano del fatto che tutti coloro che
erano nati al di fuori dell’ Austria (compresi i nativi dell’ Ungheria)
venissero censiti come stranieri, e quindi considerati “altri” insieme ai
tedeschi, agli ungheresi e agli appartenenti agli altri gruppi etnici del
plurinazionale impero: il problema era che mentre quasi tutti gli slavi, in
quanto originari della parte austriaca della Duplice monarchia asburgica,
venivano registrati come slavi, una buona parte degli “altri” era costituita
dai cosiddetti “regnicoli”, cioè da italiani provenienti dal Regno d’ Italia (in
particolare dal Friuli), attirati dalla grande espansione economica e urbana
di Trieste
10
.
Il conflitto che opponeva le due nazionalità era insieme etnico e sociale,
e riproponeva la tradizionale contrapposizione città-campagna: infatti gli
italiani costituivano la stragrande maggioranza della popolazione delle città
e, di conseguenza, del ceto borghese, mentre nelle campagne prevalevano
nettamente gli slavi, in gran parte contadini (ciò non toglie, naturalmente,
che ci fossero molti operai, contadini e pescatori italiani, o sloveni di
estrazione borghese)
11
. Secondo l’ accurata analisi di Carlo Schiffrer, la
popolazione della “nazione cittadina” italiana era di tipo “accentrato” e
viveva nello spazio, mentre quella della “nazione campagnola” slava era di
tipo “sparso” e viveva dello spazio: gli italiani tendevano a guadagnare in
numero, ma a perdere territorio rispetto agli slavi
12
.
10
Sator, op. cit., p. 14, e J.-B. Duroselle, Le conflit de Trieste 1943-1954, Bruxelles 1966, per il
1900 riportano, escluse Fiume (dove, contrariamente a quanto sostiene lo stesso Sator, op. cit., p.
19, erano calcolati come italiani), la Val Canale (in cui non ne viveva nessuno), e Zara, 35515
regnicoli su 65928 “altri”.
11
Secondo il censimento austriaco del 1910, tutti i comuni della regione con una popolazione
superiore ai 10000 abitanti, ad eccezione di Pisino, Idria, Pinguente e Albona, presentavano una
maggioranza italiana, che era ancora più marcata se si consideravano i centri cittadini veri e
propri; mentre da quello italiano del 1921 risulta che gli italiani costituivano l’ 80% della
popolazione urbana, ma solo il 25% di quella rurale.
12
Schiffrer, op. cit., pp. 23-25.
4
Il censimento del 1910 vide uno spettacolare incremento degli “altri”,
dovuto all’ aumento delle guarnigioni militari
13
e al fatto che, rispetto alla
precedente rilevazione, rientrarono in questa categoria anche tutte le
persone prive della cittadinanza austriaca, le quali erano molto più
numerose di quelle nate all’ estero
14
.
Il censimento in questione provocò vivaci contrasti tra le due comunità:
infatti, in seguito alle proteste degli slavi nei confronti delle
amministrazioni comunali italiane, accusate di aver manipolato i dati, i
risultati furono revisionati dalla Luogotenenza austriaca, in maniera tale da
venire rifiutati a loro volta dagli italiani, le cui critiche investirono sia la
forma che il merito della revisione luogotenenziale.
Per quanto riguarda la prima, gli italiani si lamentarono che la revisione
avesse interessato soltanto Trieste e Gorizia, senza essere estesa ai comuni
dell’ interno amministrati dagli slavi
15
: è invece esemplificativo dei criteri
che presiedettero ad essa il fatto che, rispetto all’ originaria rilevazione, nel
comune di Trieste gli slavi aumentarono da 38499 a 59319, nella città di
Gorizia da 7624 a 10868, mentre, parallelamente, gli italiani scesero da
142113 a 118959 a Trieste (che contava anche 29439 regnicoli) e da 17948
a 14812 a Gorizia (dove vivevano anche 1110 regnicoli)
16
.
Dopo la contestatissima revisione, il censimento dava
17
:
13
Tra il 1900 e il 1910 i militari stanziati nel Litorale austro-illirico passarono da 11751 (7688 in
Istria, 2216 nel comune di Trieste e 1847 nella Contea di Gorizia e Gradisca) a 24871 (17569 in
Istria, 3052 a Trieste e 4250 nel Goriziano). Cfr. Perselli, op. cit., pp. 479 e 494.
14
Sator, op. cit., p. 15.
15
Schiffrer, Sguardo storico sui rapporti fra italiani e slavi nella Venezia Giulia, Trieste 1946, p.
29, e Sator, op. cit., p. 27.
16
Sator, op. cit., pp. 27 (dove però dà per Gorizia 14720 italiani e 9819 slavi anziché,
rispettivamente, 14812 e 10868), 59 e 75, e Battara, “Etnografia della Venezia Giulia”, in Regia
società geografica italiana, Il confine orientale d’ Italia, Roma 1945-46, p. 84. Per il numero dei
regnicoli cfr. Schiffrer, “La Venezia Giulia”, cit., pp. 34 e 45. Si noti come il numero degli italiani
in meno corrisponda grosso modo a quello degli slavi in più (23154 contro 20820 a Trieste, 3136
contro 3244 a Gorizia): ciò indica una fascia di popolazione bilingue, composta da slavi in via di
assimilazione, fluttuante tra le due nazionalità, che, in virtù del criterio della lingua d’ uso, poteva
essere attribuita all’ una o all’ altra.
17
De Castro, op. cit., pp. 235-237, e Sator, op. cit., pp. 14, 41, 75 e 79: cfr. la nota 2.
Da parte sua Schiffrer, Sguardo storico, cit., riporta 378131 italiani, 479730 slavi e 120524 “altri”,
per un totale di 978385 abitanti (esclusa Zara).
I valori indicati da Duroselle, op. cit., ossia 379789 italiani, 516690 slavi e 66757 “altri”, per
963236 abitanti (escluse Zara e Tarvisio), sono invece palesemente inesatti, in quanto alcune
5
Italiani Slavi
18
Altri
19
Totale
Trieste
20
118959 59319 51232 229510
Contea di Gorizia e Gradisca 90146 154751 15852 260749
Istria
21
145803 192692 32826 371321
Totale Litorale austro-illirico 354908 406762 99910 861580
Carniola occidentale nessuno 58702 499 59201
Tarvisio nessuno 1541 6126 7667
Fiume
22
24212 15687 9907 49806
Zara e isole dalmate
23
11477 7108 2295 20880
Totale Venezia Giulia 390597 489800 118737 999134
Gli eventi bellici e la crisi economica del dopoguerra comportarono una
diminuzione della popolazione, mentre l’ annessione all’ Italia provocò la
sostituzione di funzionari e militari tedeschi, ungheresi e jugoslavi, tornati
nei loro paesi, con italiani.
Ciò spiega parzialmente il rilevante incremento degli italiani (ai quali,
oltre tutto, vennero ovviamente aggiunti i regnicoli) e il netto calo degli
slavi e degli “altri” (tra questi ultimi vennero compresi, analogamente a
decine di migliaia di “altri”, probabilmente per un errore di calcolo, sono andati ad ingrossare le
file degli slavi.
Tra le diverse cifre fornite dai vari autori (la causa principale dei dati discordanti è il fatto che i
distretti austriaci, su cui si basano i censimenti del 1900 e del 1910, non coincidono con i comuni,
sui quali ha poggiato quello italiano del 1921) abbiamo adottato quelle di De Castro e Sator, in
quanto entrambi esperti di demografia e statistica.
18
Nella Carniola e nel distretto di Tarvisio vi sono esclusivamente sloveni, in Dalmazia soltanto
serbo-croati: questi ultimi assommano a 137612 in Istria e a 187 nella Contea di Gorizia e
Gradisca.
19
Senza considerare la Val Canale, Fiume e Zara, Sator, op. cit., p. 14, dà 46838 cittadini del
Regno d’ Italia su 100409 “altri”, mentre sia Schiffrer, Sguardo storico, cit., che Duroselle, op.
cit.,fanno ammontare i regnicoli a 43313.
20
Gli slavi si dividono in 56916 sloveni e 2403 serbo-croati, mentre fra gli “altri” si contano
11856 tedeschi e 38597 stranieri (di cui 29439 regnicoli). Cfr. Perselli, op. cit., p. 430, e Schiffrer,
“La Venezia Giulia”, cit., p. 45.
21
Calcolando anche la popolazione di quella parte della provincia dell’ Istria che nel 1920 verrà
annessa alla Jugoslavia (cfr. la nota 5), si arriva a 147416 italiani, 223481 slavi (168116 serbo-
croati e 55365 sloveni) e 33412 “altri” (di cui 13279 tedeschi e 17135 stranieri), per un totale di
404309 abitanti. Tra questi sono compresi 17569 militari (5293 tedeschi, 2796 serbo-croati, 1827
sloveni, 1864 italiani, 1320 appartenenti ad altre nazionalità dell’ Austria e 4469 “stranieri” in
quanto cittadini dell’ Ungheria), concentrati per la maggior parte a Pola, e 5503 regnicoli. Cfr.
Perselli, op. cit., pp. 469 e 494, e Schiffrer, “La Venezia Giulia”, cit., p. 82.
22
I 15687 slavi di Fiume comprendono 12926 croati, 2336 sloveni e 425 serbi; i 9907 “altri” sono
composti da 6493 ungheresi, 2315 tedeschi e 1099 di altra nazionalità. Cfr. Perselli, op. cit., p.
429.
23
Secondo Sator, op. cit., pp. 52 e 79, a Zara vivevano 11469 italiani, 5705 slavi e 2289 “altri”,
nelle isole 8 italiani, 1403 slavi e 6 “altri”.
6
quanto aveva fatto l’ Austria nei confronti dei regnicoli, 17132 cittadini
jugoslavi)
24
registrato nel censimento italiano del 1921, che diede
25
:
Italiani Slavi
26
Altri Totale
Trieste
27
202382 18150 18123 238655
Contea di Gorizia e Gradisca 114463 137388 1819 253670
Istria
28
198298 137751 7352 343401
Totale Litorale austro-illirico 515143 293289 27294 835726
Carniola occidentale 1547 54811 1056 57414
Tarvisio 1207 1106 5911 8224
Fiume
29
36251 6644 2962 45857
Zara e isole dalmate
30
12283 2538 3802 18623
Totale Venezia Giulia 566431 358388 41025 965844
24
B. C. Novak, Trieste 1941-1954. La lotta politica, etnica e ideologica, Milano 1973, p. 134.
Tale cifra non comprende Fiume, che sarebbe stata annessa all’ Italia solo nel 1924. I cittadini
jugoslavi vivevano prevalentemente nelle grandi città della regione: secondo Schiffrer, “La
Venezia Giulia”, cit., pp. 34, 46-47 e 61, erano 8307 a Trieste, 1768 a Pola e 249 a Gorizia.
25
De Castro, op. cit., pp. 235-237, e Sator, op. cit., pp. 14, 39, 74 e 78: il totale è stato ottenuto
sommando ai risultati del censimento del 1921 quelli del censimento condotto a Fiume nel 1925.
Colella, op.cit., p. 27, escluse Fiume e Tarvisio, perviene a conclusioni quasi identiche: dà, infatti,
1 italiano e 100 slavi in più, sempre che non si tratti di errori di stampa, come sembrerebbe
suggerire in entrambi i casi la cifra tonda.
A sua volta, aggiungendo i dati del censimento fiumano, ma senza considerare Zara e Tarvisio,
Duroselle, op.cit., riporta 500856 italiani, 355255 slavi e 16433 “altri”, per un totale di 872544
persone, mentre Schiffrer, Sguardo storico, cit., calcola, esclusa Zara, 947221 abitanti, di cui
555592 italiani, 369519 slavi e 22110 “altri” (i cittadini jugoslavi sono stati sottratti agli “altri” e
sommati agli slavi).
26
Gli sloveni ammontano a 260618, i serbo-croati a 97770 (90262 in Istria, 4970 a Fiume e 2538
in Dalmazia).
27
Su 18123 “altri”, 8307 sono cittadini jugoslavi. Cfr. Schiffrer, “La Venezia Giulia”, cit., pp. 46-
47.
28
Perselli, op. cit., p. 469, aumenta di 1644 unità il numero degli italiani (che diventano così
199942) e diminuisce di altrettante quello degli “altri” (che scendono a 5708).
29
Censimento del 1925, in Schiffrer, “La Venezia Giulia”, cit., p. 74. Si tenga presente che nel
1924 una parte del territorio comunale, con un migliaio di abitanti, quasi esclusivamente croati, fu
assegnata alla Jugoslavia. Gli slavi si dividono tra 4970 croati e 1674 sloveni, gli “altri” tra 1397
ungheresi, 798 tedeschi e 767 di altra nazionalità.
Perselli, op. cit., p. 429, dà invece 32415 italiani, 10353 tra croati, sloveni e serbi e 3089 “altri”
(tra cui 1397 ungheresi e 655 tedeschi).
Duroselle, op. cit., anche qui inattendibile, riporta 33111 italiani, 7155 slavi e 3327 “altri”.
Si noti che il censimento predisposto dal Consiglio Nazionale della città nel 1918 aveva registrato
28911 italiani, 10927 slavi (9092 croati, 1674 sloveni, 161 serbi) e 6426 “altri” (4431 ungheresi,
1616 tedeschi, 379 di altra nazionalità) su 46264 abitanti. Cfr. Sator, op. cit., p. 19, Schiffrer, “La
Venezia Giulia”, cit., p. 74, Perselli, op. cit., p. 429, e Colella, op. cit., p. 27, una volta tanto d’
accordo tra loro.
30
Per Sator, op. cit., pp. 52 e 78, a Zara 12075 italiani, 1255 slavi e 3735 “altri”; nelle isole 208
italiani, 1283 slavi e 67 “altri”.
7
Parzialmente, appunto, ché si rinnovarono le proteste da parte degli slavi,
in qualche misura giustificate
31
: infatti, pur considerando complessivamente
valido il censimento del 1921, Carlo Schiffrer ritiene che gli italiani vi
siano leggermente sovrarappresentati, in quanto, tolta Zara, ve ne sarebbero
stati 493000 (anziché 555000) a fronte di 428000 slavi (invece di 370000).
Ciò, beninteso, nell’ ipotesi più favorevole a questi ultimi e calcolando
anche i cittadini jugoslavi
32
.
Sempre secondo Schiffrer, una volta effettuata questa correzione si
ottiene il miglior panorama possibile della naturale composizione etnica
della Venezia Giulia, perché nel 1921 erano venuti meno i fattori di
disturbo della spontanea dinamica demografica dovuti alla politica austriaca
(frenata l’ immigrazione dal Regno d’ Italia, promossa quella di sloveni e
tedeschi dalla Carniola, dalla Carinzia e dalla Stiria, spinte alla
magiarizzazione a Fiume e alla germanizzazione nel resto della regione),
ma non si erano ancora manifestati appieno quelli causati dalla
dominazione italiana
33
.
Infatti, negli anni seguenti, la politica di assimilazione e
snazionalizzazione portata avanti dal fascismo nei confronti delle
minoranze slovena e croata provocò una certa emigrazione di natura
politica, che coinvolse soprattutto gli intellettuali e il ceto borghese slavi, e
si aggiunse a quella indotta dalla crisi economica che colpì l’ Europa in
31
Sator, op. cit., pp. 16-19, ammette una certa inattendibilità dei risultati, ma ritiene che sia molto
più penalizzante per gli italiani il censimento del 1910 di quanto non lo sia per gli slavi quello del
1921, soprattutto perché molti slavi bilingui si dichiararono spontaneamente italiani.
32
Schiffrer, Sguardo strorico, cit., p. 30. Altrove sosterrà che nel 1921 gli slavi ammontavano a
426000, di cui 290000 sloveni (125000 nella provincia di Gorizia, altrettanti in quella di Trieste e
il resto in Istria) e 136000 croati: cfr. id., “Storia della società Edinost”, in La questione etnica,
cit., pp. 123-135, e id., Il confine orientale d’ Italia, “Trieste” n. 2, luglio-agosto 1954, pp. 3-6. Si
consideri che le province di Trieste e Gorizia erano molto più grandi delle attuali.
33
Schiffrer, “La Venezia Giulia”, cit., pp. 19-20. Il censimento del 1921 indica, senza contare
Fiume, 63000 nati nelle vecchie province (che continueremo a chiamare regnicoli), a fronte dei
43-47000 del 1910 (cfr. la nota 19). Dal momento che quasi un terzo dei regnicoli registrati nel
1921 è costituito da militari, è evidente che, tra i due censimenti, nella migliore delle ipotesi la
popolazione civile originaria del Regno d’ Italia si mantiene stazionaria. Cfr. Battara, op. cit., p.
99.
8
generale, e la Venezia Giulia in particolare (a causa della perdita del
tradizionale retroterra mitteleuropeo), tra le due guerre
34
.
Non pare, ad ogni modo, che tale emigrazione abbia alterato
sostanzialmente la composizione etnica della regione
35
: su di essa, casomai,
influì molto più pesantemente la sostenuta immigrazione di italiani
provenienti dalle vecchie province del Regno, ora non soltanto libera dagli
ostacoli che vi aveva frapposto l’ Austria, ma anzi favorita dal governo, che
vi vedeva una valvola di sfogo all’ eccedenza demografica (si ricordi che,
fin dall’ inizio degli anni ‘20, gli Stati Uniti avevano fortemente ridotto le
quote di immigrati dall’ Italia, e per di più il regime fascista era contrario,
per motivi di prestigio, all’ emigrazione) e, contemporaneamente, un mezzo
per italianizzare i nuovi territori
36
.
In questa sede non ci è possibile dilungarci sui forti pregiudizi
ampiamente diffusi tra i giuliani nei confronti dei nuovi arrivati,
specialmente se meridionali: basti dire che l’ esistenza di una gamma di
atteggiamenti verso i regnicoli che spaziava dalla disistima all’ ostilità è
testimoniata, o manifestata, da quasi tutti gli autori coevi, e avrà una certa
importanza nelle vicende della guerra e di tutto l’ immediato dopoguerra.
34
Secondo i dati riportati da C. Donato, P. Nodari, L’ emigrazione giuliana nel mondo. Note
introduttive, “Quaderni del Centro studi economico-politici Ezio Vanoni” (di seguito Quaderni
Vanoni) nn. 3-4, 1995, pp. 68 e sgg., tra il 1921 e il 1925 emigrarono all’ estero 27375 giuliani,
dei quali 9329 nei Balcani e 3116 in Austria e in Cecoslovacchia; nel 1926-27 gli espatriati dalla
regione furono 6233 (551 in Jugoslavia, 108 in Austria); tra il 1928 e il 1930 22370, di cui 1020 in
Jugoslavia; infine tra il 1931 e il 1936 12165.
Nel periodo 1921-1936, pertanto, espatriarono oltre 68000 abitanti della Venezia Giulia, dei quali
circa 10000 si diressero in Jugoslavia e intorno ai 3000 in Austria. Se è altamente probabile che i
primi fossero quasi esclusivamente slavi, e i secondi in larga parte tedeschi, è purtroppo
impossibile dividere i rimanenti secondo la nazionalità. A nostro avviso, comunque, tali cifre
fanno giustizia delle fantasiose asserzioni jugoslave secondo cui tra le due guerre lasciarono la
Venezia Giulia più di 100000 sloveni e croati (cfr. la nota seguente).
35
A questo riguardo Apih, Regime fascista e repressione nazionale ai confini orientali d’ Italia,
“Qualestoria” n. 1/1985, pp. 28-39, parla di oltre 70000 slavi emigrati dalla Venezia Giulia tra le
due guerre, naturalmente in stragrande maggioranza per motivi economici, mentre secondo
Schiffrer, Sguardo storico, cit., i 100000 citati dalle fonti jugoslave rappresentano più un valore
simbolico e militante che una cifra reale. In effetti, il censimento jugoslavo del 1931 registrò
54204 persone nate all’ interno dei confini italiani di allora (cfr. Battara, op. cit., p. 99).
36
Nel 1931, calcolando anche circa 30000 militari, i regnicoli sono più che raddoppiati rispetto
alla rilevazione precedente: assommano, infatti, a 132058 su 978942 abitanti (cfr. Sator, op. cit.,
pp. 20-21, Schiffrer, Sguardo storico, cit., p. 32, e la nota 33 del presente lavoro). Questi dati non
tengono conto del distretto di Tarvisio, rimasto alla provincia di Udine anche quando, nel 1927,
venne ripristinata quella di Gorizia, soppressa nel 1923 allo scopo di diluire la sua maggioranza
slava nel mare magnum dei friulani (cfr. “Trieste” n. 23, gennaio-febbraio 1958, p. 8).
9
I censimenti del 1931 e del 1936 non riportarono la distinzione tra
nazionalità: in base a quest’ ultimo la regione contava 1001719 abitanti
37
,
dei quali, secondo le stime più attendibili, 550000 italiani e 400000 slavi
38
.
Al momento della conquista jugoslava tale numero era sicuramente
minore, sia a causa degli eventi bellici sia perché si erano avute le prime
avvisaglie dell’ esodo che avrebbe pressoché svuotato di italiani l’ Istria,
Fiume e la Dalmazia
39
.
37
Sator, op. cit., p. 20, e Colella (che però inverte le cifre riguardanti la popolazione presente e
quella residente), op. cit., p. 29. Più precisamente, 357142 persone vivevano nella provincia di
Trieste; 296460 in quella di Pola; 207750 in quella di Gorizia; 115065 in quella di Fiume e, infine,
25302 in quella di Zara.
Si tenga presente che l’ estensione territoriale delle province italiane di Trieste, Gorizia e dell’
Istria (Pola) era molto diversa rispetto a quella dei corrispondenti kronlander austriaci: in
particolare, le prime due si erano spartite la Carniola occidentale (che non faceva parte del vecchio
Litorale), mentre la provincia di Pola nel 1920 aveva perso dei territori in favore della Jugoslavia,
e nel 1924 ne aveva ceduti altri alla neoistituita provincia del Carnaro (Fiume).
38
Sator, op. cit., p. 22, e A. J. Toynbee, Memorandum “The italian/yugoslav frontier”, pubblicato
in G. Valdevit, Il problema del confine orientale in un documento del Foreign Office,
“Qualestoria” n. 2/1979, pp. 11-23. L’ originale si trova in Public Record Office (di seguito PRO),
Foreign Office (di seguito FO), 371/37601/R 10195/84/92/1943.
Tali valutazioni sono sostanzialmente confermate da Schiffrer, Sguardo storico, cit., p. 32, e da T.
Sala, 1939. Un censimento riservato del governo fascista sugli “alloglotti”; proposta per l’
assimilazione degli “allogeni” nella provincia dell’ Istria, “Bollettino dell’ Istituto regionale per
la storia del movimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giulia” (di seguito Bollettino IRSML) n.
1/1973, pp. 17-19. Detto censimento, basandosi sui dati del 1936, calcola, su 1022593 abitanti
della Venezia Giulia (compresa anche la Val Canale: cfr. la nota 36), circa 400000 alloglotti , di
cui 250000 sloveni, 135000 croati e 8000 tedeschi, questi ultimi concentrati in gran parte nel
distretto di Tarvisio.
39
Colella, op. cit., pp. 19 e 29, stima 1008900 abitanti al 30 giugno 1939 e circa 16000 caduti per
cause belliche.
10
La corsa per Trieste e l’ accordo di Belgrado del 9 giugno 1945
La Venezia Giulia cadde per la prima volta nelle mani dei partigiani
jugoslavi all’ indomani dell’ 8 settembre 1943 (eccettuate le maggiori città,
che furono rapidamente conquistate dai tedeschi, e pochi altri centri, quali
Pirano, Muggia, Dignano, Fasana e Portorose)
40
. Durante la loro breve
occupazione (vennero infatti scacciati dai tedeschi dopo circa un mese), i
partigiani si affrettarono a proclamare l’ unione della Julijska Krajina
(Marca Giuliana o Regione Giulia, come è chiamata la Venezia Giulia dagli
slavi) alla Jugoslavia: i croati il 13 settembre a Pisino
41
, prendendosi Fiume,
Zara, le isole del Quarnaro e l’ Istria fino alla Dragogna, gli sloveni il 16
settembre a Novo Mesto
42
, annettendosi Trieste e il “Litorale sloveno”
(slovensko Primorje).
Tali annessioni vennero poi ratificate tra il 29 e il 30 novembre 1943
dall’ AVNOJ (Antifasisticko Vijece Narodnog Oslobodenja Jugoslavije,
Consiglio antifascista di liberazione nazionale della Jugoslavia) a Jajce, nel
corso del congresso che sancì la nomina di Tito a maresciallo di Jugoslavia
e presidente del Comitato esecutivo dell’ AVNOJ, cioè, in sostanza, capo
del governo partigiano
43
.
Ciò, naturalmente, pose il problema non solo della futura appartenenza
statale della regione, ma anche di chi l’ avrebbe occupata per primo al
momento della ritirata dei tedeschi, controllando così un’ area strategica per
i collegamenti con l’ Europa centrale. Gli inglesi, particolarmente
interessati alla questione, cercarono di venire a un accordo con Tito durante
la sua visita in Italia dell’ estate 1944, ma dai colloqui di Napoli tra
Churchill, Tito e Subasic, Primo ministro del governo jugoslavo in esilio
del re Pietro II, ottennero soltanto che Tito si impegnasse vagamente a
lasciare agli Alleati il controllo del porto di Trieste e delle vie di
40
G. La Perna, Pola-Istria-Fiume 1943-1945. La lenta agonia di un lembo d’ Italia, Milano 1993,
p. 163.
41
Ivi, p. 81.
42
Novak, op. cit., p. 103.
43
Ivi, pp. 56-57, e M. Pacor, Confine orientale. Questione nazionale e Resistenza nel Friuli-
Venezia Giulia, Milano 1964, p. 212.
11
comunicazione con l’ Austria, mentre si rifiutò nettamente di sottoporre al
GMA (Governo Militare Alleato) le autorità civili jugoslave che, a suo dire,
erano già operanti in gran parte della Venezia Giulia
44
.
Tale posizione venne precisata da Tito in un discorso radiodiffuso da
Lissa il 12 settembre 1944, in cui ribadì le pretese jugoslave sulla Venezia
Giulia e sulla Carinzia, coniando il famoso slogan “tujega nocemo-svojega
ne damo” (l’ altrui non vogliamo, ma il nostro non cediamo)
45
.
Dopo che, a Yalta, venne lasciata cadere la proposta inglese di fissare
una linea di demarcazione militare, molto simile alla futura linea Morgan,
tra jugoslavi e angloamericani nella Venezia Giulia
46
(probabilmente perché
sia gli statunitensi che i sovietici pensavano che convenisse loro lasciare la
questione impregiudicata)
47
, il 21 febbraio 1945 si tenne a Belgrado un
incontro tra Tito e il maresciallo Alexander, nel corso del quale i due
contendenti rimasero sulle rispettive posizioni: Tito si offrì di concedere
agli Alleati, oltre al porto di Trieste e alle vie di comunicazione con l’
Austria, anche l’ uso delle linee ferroviarie che passavano per Lubiana, ma
pretese il mantenimento delle amministrazioni civili jugoslave (sia pure in
subordine al GMA) nelle zone interessate e il controllo sul resto della
Venezia Giulia; mentre Alexander, secondo i termini dell’ armistizio con l’
Italia, insisteva per l’ istituzione del GMA su tutto il territorio compreso nei
confini del 1939
48
. Contrariamente a quanto sostengono diversi autori
italiani
49
, e a quanto lasciarono successivamente credere gli angloamericani
(che probabilmente fraintesero le assicurazioni di Tito, o forse erano
talmente sicuri di arrivare per primi che non si posero il problema), in quell’
occasione non fu raggiunto alcun accordo su una linea di demarcazione
44
Valdevit, La questione di Trieste 1941-1954. Politica internazionale e contesto locale, Milano
1987.
45
Duroselle, op. cit.
46
Novak, op. cit., p. 125.
47
G. Cox, La corsa per Trieste, Gorizia 1985, p. 35.
48
Valdevit, La questione, cit.
49
Per esempio, B. Coceani, Mussolini, Hitler, Tito alle porte orientali d’ Italia, Bologna 1948, p.
311.
12
militare tra jugoslavi e Alleati
50
, il che, unitamente alla lentezza e alle
indecisioni di questi ultimi, provocherà seri problemi nei mesi seguenti.
Infatti, soltanto il 28 aprile 1945 il CCS (Combined Chiefs of Staff, ossia
Stato Maggiore unificato) ordinò al recalcitrante maresciallo Alexander
(due giorni prima aveva dichiarato al CCS che intendeva occupare solo
quella parte della Venezia Giulia di vitale importanza per le operazioni
militari) di stabilire il GMA in tutta la Venezia Giulia, Zara esclusa, e anche
allora tenendo conto del parere dell’ URSS (la quale, ovviamente, sperava
che Tito realizzasse il fatto compiuto), salvo urgenti necessità militari.
Finalmente, il 30 aprile Truman autorizzava Alexander a marciare su
Trieste, pur raccomandandogli di evitare lo scontro armato con gli
jugoslavi
51
, ma era ormai troppo tardi.
La città, già insorta il 30 aprile ad opera del CVL (Corpo Volontari della
Libertà), sotto la direzione del locale CLN, e delle formazioni di Unità
Operaia/Delavska Enotnost, guidate dall’ OF (Osvobodilna Fronta, cioè
Fronte di liberazione), veniva occupata il 1° maggio da reparti del IX
Korpus partigiano e della IV Armata jugoslava, lanciati a tappe forzate su
Trieste e sulla Venezia Giulia (gli jugoslavi raggiunsero Gorizia il 1°
maggio, Fiume e Pola il 3 maggio, mentre Lubiana e Zagabria vennero
liberate solamente dopo il 7 maggio). Soltanto nel pomeriggio del 2 maggio
arrivarono a Trieste i neozelandesi al comando del generale Freyberg, cui si
affrettarono ad arrendersi gli ultimi tedeschi asserragliati nel Castello.
Malgrado le preoccupazioni di Churchill (che il 27 aprile aveva
telegrafato a Truman: “Mi sembra di vitale importanza che noi prendiamo
Trieste prima [...dei] guerriglieri di Tito. [...] Il possesso costituisce i nove
decimi del diritto.”)
52
, Tito aveva vinto la corsa per Trieste.
Dopo essere stati battuti sul tempo, gli angloamericani andarono
progressivamente irrigidendosi. Se il 1° maggio Alexander avvertiva
50
Duroselle, op. cit.
51
“Foreign Relations of the United States” (di seguito FRUS) 1945, vol. IV, pp. 1126-1128. Vedi
anche Duroselle, op. cit., e Valdevit, La questione, cit.
52
FRUS, op. cit., p. 1125. Il corsivo è mio.
13
Churchill che le sue truppe molto difficilmente avrebbero accettato di
combattere contro i loro ex alleati
53
, e il 5, dopo che Freyberg aveva
respinto con decisione le esortazioni del CLN perché assumesse i poteri di
governo
54
, il generale Harding, comandante del XIII Corpo dell’ VIII
Armata britannica, si accordava con Petar Drapsin, comandante della IV
Armata jugoslava, riconoscendogli l’ amministrazione temporanea della
Venezia Giulia, e ottenendo in cambio l’ uso del porto e delle vie di
comunicazione con l’ Austria (secondo quanto promesso da Tito ad
Alexander il 21 febbraio)
55
, già l’ 11 maggio Truman telegrafava a
Churchill: “Se i suoi metodi daranno buoni risultati nella Venezia Giulia,
pare che Tito abbia già pronte analoghe rivendicazioni sull’ Austria
meridionale [...Può] essere in gioco la stabilità dell’ Italia e il futuro
orientamento del paese nei confronti della Russia [...] Si tratta di decidere se
[...] permettere ai nostri alleati [...] di perseguire tattiche che ricordano
troppo da vicino quelle di Hitler e del Giappone”
56
. A quel punto, gli
angloamericani erano ormai decisi a scacciare gli jugoslavi da Trieste, e
iniziarono a esercitare su Tito una pressione diplomatica tale da rasentare l’
ultimatum. Dal canto suo, per preparare i soldati all’ eventualità di uno
scontro, il 19 maggio Alexander indirizzò loro un proclama in cui, per così
dire, rese pubblico il pensiero di Truman: infatti accusava Tito di “imporre
le sue rivendicazioni valendosi della forza delle armi e dell’ occupazione
militare. Azioni di questo genere ricorderebbero troppo da vicino Hitler,
Mussolini e il Giappone”
57
.
Essendogli venuto a mancare l’ appoggio di Stalin (che forse voleva
sondare tramite la Jugoslavia la resistenza degli occidentali, ma, come suo
solito, una volta constatata la loro determinazione fece rapidamente marcia
53
Novak, op. cit., pp. 189-190.
54
Coceani, op. cit., p. 314.
55
Novak, op. cit., p. 167, e Duroselle, op. cit.
56
FRUS, op. cit., pp. 1156-1157. Apih, Trieste, cit., p. 167, e De Castro, La questione di Trieste.
L’ azione politica e diplomatica italiana dal 1943 al 1954, Trieste 1981, vol. I, riportano come
data il 12 maggio.
57
Novak, op. cit., p. 190, e L. Grassi, Trieste Venezia Giulia 1943-1954, Roma 1960, p. 204.
14
indietro), Tito dovette cedere, anche se sfogò la sua delusione per il
mancato aiuto sovietico nel famoso discorso tenuto a Lubiana il 27 maggio,
in cui dichiarò che la Jugoslavia non avrebbe mai accettato di essere
oggetto di baratti o contrattazioni tra le grandi potenze
58
.
Si giunse così alla firma dell’ accordo di Belgrado del 9 giugno 1945,
che prevedeva il ritiro dell’ esercito jugoslavo a est della cosiddetta “linea
Morgan” (dal nome del Capo di Stato Maggiore di Alexander), salvo un
presidio militare di 2000 uomini posti sotto il comando del GMA.
La linea Morgan, che seguiva all’ incirca il corso dell’ Isonzo fino a
Gorizia, comprendendo quest’ ultima, Tarvisio e Caporetto, e poi
delimitava fino al mare il territorio che costituirà la futura Zona A del
Territorio libero di Trieste, veniva a dividere la Venezia Giulia in una Zona
A, affidata al GMA, e in una Zona B sottoposta all’ occupazione militare
jugoslava (molto più estese delle corrispondenti Zone A e B del TLT): Pola
e gli ancoraggi sulla costa occidentale dell’ Istria avrebbero dovuto
costituire delle enclaves alleate all’ interno della Zona B.
La Jugoslavia si impegnava a liberare i residenti nella Zona A arrestati o
deportati (purché non fossero cittadini jugoslavi), e a restituire le proprietà
confiscate o asportate: su questo punto, che gli jugoslavi consideravano,
non a torto, un’ ammissione di colpa, si poté superare lo stallo grazie a un
escamotage escogitato dall’ ambasciatore britannico a Belgrado Stevenson,
il quale suggerì al ministro degli Esteri jugoslavo Subasic di dichiarare di
non aver effettuato arresti o requisizioni “tranne che sul terreno della
sicurezza militare, e ciò solo nei confronti di persone note come fascisti di
primo piano o criminali di guerra”
59
.
Da parte loro, gli angloamericani promettevano vagamente di utilizzare
le amministrazioni civili jugoslave già poste in essere, se, a loro giudizio, si
fossero dimostrate efficienti: in effetti, la totale discrezionalità attribuita al
58
De Castro, La questione, cit, vol. I. J. Pirjevec, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1992.
Storia di una tragedia, Torino 1993, dà invece il 26 maggio.
59
FRUS, op. cit., p. 1183 e Valdevit, La questione, cit., pp. 105-106.
15
GMA permetterà a quest’ ultimo, come vedremo, di smantellare
rapidamente tutto il sistema amministrativo messo in piedi altrettanto
velocemente dagli jugoslavi.
L’ ultimo punto dell’ accordo precisava che la linea di demarcazione non
avrebbe influito sulla destinazione finale delle due zone
60
: in realtà, fin da
quando stavano studiando la linea che avrebbero poi vanamente proposto a
Yalta, gli inglesi erano ben consapevoli che il nuovo confine non si sarebbe
potuto discostare da questa in maniera rilevante. Infatti il 25 gennaio 1945
Orme Sargent, sottosegretario agli Esteri, scriveva al proprio ministro Eden:
“Sarebbe difficile allontanarsi sensibilmente da essa [la linea di
demarcazione provvisoria] in sede di sistemazione definitiva. Essa
dovrebbe perciò avvicinarsi per quanto è possibile a quella che preferiamo
sia la frontiera finale”
61
.
In effetti l’ attuale confine italiano segue a un dipresso la linea Morgan,
sia pure in maniera per noi molto più sfavorevole.
I termini dell’ accordo di Belgrado vennero perfezionati e precisati da
quello di Duino del 20 giugno, in cui le due parti si impegnarono a
conservare l’ unità socioeconomica della Venezia Giulia, e gli Alleati
rinunciarono agli ancoraggi loro attribuiti dall’ accordo precedente,
limitandosi a pretendere che fossero lasciati aperti alle loro navi
62
. A questo
proposito c’ è da dire che, al contrario, il ministro degli Esteri italiano De
Gasperi aveva insistito perché la vaga formula “ancoraggi sulla costa
occidentale dell’ Istria” fosse interpretata estensivamente, in maniera da
farvi rientrare, oltre a Parenzo, Rovigno e Capodistria, anche porti minori
quali Isola, Pirano, Umago, Cittanova, e magari qualche località dell’
interno, come Dignano o Buie
63
. Questa scelta, gravida di conseguenze per
la popolazione italiana dell’ area, fu dovuta principalmente ad Alexander,
60
Ci siamo serviti del testo completo dell’ accordo tradotto da De Castro e da lui riportato in Il
problema, cit., pp. 151-152.
61
Sargent a Eden, 25 gennaio 1945, PRO/50787/U 613/51/70, pubblicato in Valdevit, Resistenza
e alleati fra Italia e Jugoslavia, “Qualestoria” n. 1/1980, p. 8.
62
De Castro, La questione, cit., vol. I.
63
FRUS, op. cit., p. 1185.
16
che, badando soltanto all’aspetto militare e logistico della questione, voleva
fare a meno addirittura di Pola, venendone dissuaso soltanto da un fermo
richiamo di Churchill
64
.
Scrive sull’ argomento Diego De Castro: “Il 13 giugno, nelle Zone
fissate per ancoraggi nelle città costiere italiane dell’ Istria, […] le truppe
jugoslave si ritirarono. [...] Accorgendosi che gli Inglesi non occupavano le
città costiere, vi ritornarono il 14 giugno e coloro che avevano esposto
bandiere italiane subirono gravi rappresaglie”
65
.
64
Duroselle, op. cit., p. 179, e PRO, War Office (di seguito WO), 106/4060 A.
65
De Castro, Il problema, cit., p. 134.