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INTRODUZIONE
1. Femminilità e nuovi sintomi
L’idea di questo lavoro nasce dal mio incontro con la sofferenza femminile di ra-
gazze e donne affette dai cosiddetti “disturbi del comportamento alimentare”. Ho svolto
infatti il mio primo tirocinio formativo presso l’ABA: Associazione per lo studio e la
ricerca sull’anoressia, la bulimia, l’obesità e i disordini alimentari. Durante i mesi tra-
scorsi nella sede milanese dell’Associazione ho avuto modo di avere un contatto diretto
con le pazienti che accedevano alla struttura, mediante la risposta alle richieste di aiuto
che pervenivano al numero verde e accogliendo l’utenza che si recava ai colloqui con i
terapeuti. Inoltre ho potuto seguire come osservatrice i “colloqui preliminari”, primi in-
contri orientativo-conoscitivi che, posti all’inizio dell’iter di cura, precedevano
un’eventuale terapia psicoanaliticamente orientata. Ho seguito inoltre per alcuni mesi la
terapia di un gruppo di adolescenti anoressico-bulimiche. Grazie a un mio precedente
personale interesse per questo tipo di sintomi avevo già avuto modo di approfondirne la
conoscenza, che ho poi ampliato seguendo due corsi di Specializzazione, uno specifica-
tamente relativo ai disturbi alimentari, l’altro riguardante in modo più eterogeneo tutti i
“nuovi sintomi”.
La domanda che muove la mia ricerca è stata suscitata da un dato statistico, che
si dà quasi per scontato quando si parla di anoressia e bulimia. Fin dai primissimi casi
riscontrati, l’epidemiologia di questi disturbi ne ha sempre mostrato una netta prevalen-
za nel genere femminile. Le statistiche cambiano nel tempo, ma il dato che rimane co-
stante è un rapporto femmine/maschi di circa 9:1 nei paesi occidentali. Oggetto di que-
sto percorso di tesi sarà dunque interrogarmi sul perché di questo dato senza dubbio si-
gnificativo, sulle ragioni profonde sottese a tale discrepanza tra uomini e donne, non
osservabile in modo così marcato in nessuno degli altri sintomi contemporanei. Infatti,
neppure se consideriamo le tossicomanie, che al contrario si riscontrano in prevalenza
nel sesso maschile, la differenza tra i due sessi è così grande. Con questo lavoro ho cer-
cato di trovare delle risposte che andassero al di là di quelle del senso comune, che ne
6
attribuisce la causa alla comunicazione mass mediatica che, tramite la moda, imporreb-
be dei modelli estetici femminili che istigano all’anoressia.
Per rispondere al quesito ho esteso il campo della mia indagine da anoressia, bu-
limia e obesità a molte altre forme del disagio attuale che hanno però tutte come deno-
minatore comune il corpo. Il dolore psichico in una donna si esprime non di rado nel
corpo. La fenomenologia dei disturbi del rifiuto del corpo si presenta come estrema-
mente ampia e variegata, la sua classificazione oscilla dai comportamenti a rischio più
estremi a quelli più quotidiani e insidiosi. Esempi clinici significativi sono la depres-
sione (che al suo estremo porta al suicidio), le somatizzazioni, gli attacchi di panico, le
dipendenze, gli acting out autolesivi e la sessualità compulsiva. Vasta è anche la costel-
lazione di altri comportamenti non etichettati come patologici, ma ugualmente emble-
matici, quali il ricorrere alla chirurgia estetica o al lifting. Tutti questi fenomeni hanno
in comune un fattore che li origina e li mantiene: sono pratiche di rifiuto del corpo.
Tramite essi infatti il soggetto agisce una sofferenza psichica nel concreto della carne,
minacciandone l’integrità e mostrandone la caducità, il suo essere debole e mortale. Ri-
tornando perciò alla domanda iniziale, ipotizzo che sia nel corpo e, nello specifico, in
quello della donna, che vadano ricercate le ragioni di una clinica perlopiù femminile.
Cercherò di interrogarmi su queste questioni considerandole a più livelli.
L’ambito dal quale attingo è quello psicodinamico, psicoanaliticamente orientato, con
particolare riferimento al pensiero di Jacques Lacan. Considero il tema generale della
tesi da punti di vista differenti, facendo delle “deviazioni” di percorso, che ne colgono
le sfaccettature e le varie prospettive.
2. Struttura del lavoro
Il mio elaborato si articola in sei capitoli.
Nel primo affronterò il discorso sociale contemporaneo dell’Occidente capitali-
stico riguardo all’immagine del corpo, mostrando quanto esso influenzi la “scelta” del
tipo di sintomo. Introdurrò il concetto di corpo, a cui farò riferimento per tutto il corso
dell’elaborato.
Nel secondo capitolo seguirò il discorso psicoanalitico, prendendo avvio da
Freud che, nell’incontro col corpo delle isteriche, elabora alcuni tra i suoi concetti fon-
damentali, quali il sintomo e la sua funzione di metafora. Tuttavia, quando il padre del-
7
la psicoanalisi si interroga sulla femminilità lascia il suo discorso inconcluso: l’ “enig-
ma-donna” gli rimane oscuro come un “continente” inesplorato, ne lascerà l’eredità alle
psicoanaliste che seguiranno il suo insegnamento.
Nel terzo capitolo tratto il pensiero di Jacques Lacan. Egli chiarifica e amplia le
posizioni del Maestro, aggiungendo alla teoria psicoanalitica un contributo del tutto o-
riginale. Farò riferimento al Seminario XX, Ancora, nella parte che riguarda la “sessua-
zione”.
Nel capitolo quinto metto in relazione il rapporto madre-figlia e l’essere ma-
dre/essere donna con le formule della sessuazione proposte da Lacan nel Seminario XX.
Il quarto capitolo è dedicato al pensiero femminista contemporaneo, che rompe
decisamente con la psicoanalisi, alla quale rimprovera di aver elaborato una teoria sulla
femminilità in un’ottica prevalentemente fallogocentrica, basandosi cioè su un pensiero
e un metro di giudizio culturalmente maschili. Considererò in particolare il contributo
di Luce Irigaray.
Infine, nell’ultimo capitolo, traggo le mie conclusioni, riprendendo la domanda
iniziale, per mostrare come essa si sia modificata lungo il percorso.
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CAPITOLO PRIMO
IL DISCORSO SOCIALE CONTEMPORANEO
I.1 Livelli di analisi
Per analizzare qualsiasi fenomeno è necessaria la sua lettura a vari livelli, tenen-
do ben presenti le molteplici prospettive che possono originarlo e mantenerlo in vita. Se
consideriamo come fenomeno da analizzare l’emergere di una “posizione soggettiva” -
come, nel nostro caso, un sintomo di rilevanza clinica - in un certo momento della vita,
è necessario tenere conto dei due assi di un immaginario piano cartesiano che incrociati
ne danno la posizione: l’asse diacronico e quello sincronico. Il primo è quello orizzon-
tale e si riferisce all’andamento evolutivo del soggetto, in un’ottica di sequenzialità e di
sviluppo, in cui il fattore temporale ha un’importanza decisiva. L’asse sincronico inve-
ce è quello verticale, che indica quanto di un soggetto rimane in qualche modo immuta-
bile, la sua “struttura” di personalità, il suo essere particolare e irriducibile, nonostante
i cambiamenti che avvengono nell’incontro con la storia, la cultura, il linguaggio e le
relazioni con gli altri, in altre parole, con la dimensione simbolica dell’esistenza. È
nell’intreccio tra questi due assi che individuiamo la posizione di un soggetto in ognuno
dei suoi momenti di passaggio, snodi cruciali della sua esistenza. Riportando queste
considerazioni iniziali al fenomeno che sto indagando, i sintomi femminili nell’epoca
contemporanea, lascio alla parte centrale della mia tesi
1
, il compito di trattare della di-
mensione sincronica strutturale.
Voglio qui invece iniziare la mia riflessione, analizzando l’asse temporale dia-
cronico, costituito esso stesso da più livelli di indagine. Il primo è quello relativo a una
dimensione più soggettiva, costituita dalle fasi di sviluppo cruciali per l’emergere di
questi sintomi. È inoltre innegabile l’influenza dell’ambiente familiare, se considerato
come sistema di dinamiche relazionali che danno un contributo specifico alla costitu-
zione soggettiva di ogni suo membro. Tralascerò in questa sede la trattazione di questa
dimensione di sviluppo e familiare, per concentrarmi su un secondo aspetto, meno sog-
1
Rinvio pertanto ai capitoli II, III, IV del presente lavoro.
9
gettivo e più “universale”, che riguarda il discorso sociale contemporaneo, in cui ogni
soggetto è immerso dal momento in cui viene al mondo e vive in un determinato conte-
sto. Solo a partire da una sua analisi, in questa sede certamente non esaustiva ma foca-
lizzata su alcuni punti importanti, sarà possibile comprendere meglio le ragioni della
“scelta” del sintomo di cui ci stiamo occupando. L’inconscio è infatti astorico, ma è pur
vero che i sintomi esprimono sempre il disagio di una particolare epoca. Essi si “incar-
nano” sia nella persona che nel grande corpo della Storia. Un paradigma che mostra
quanto appena affermato sono le isteriche dell’epoca di Freud (l’epoca Vittoriana di fi-
ne 1800), che oggi sembra non esistano più. Questo non significa che l’isteria sia scom-
parsa come categoria diagnostica, bensì che ha assunto connotazioni molto diverse ri-
spetto al contesto in cui Freud vive e opera.
La dimensione storico-sociale è anche importante, in quanto ha un’influenza si-
gnificativa su quella familiare, se si considera il nucleo familiare quale specchio della
società, come una sorta di “micro-sistema” sociale. Basti pensare alla trasformazione
della famiglia nel corso dei secoli e a quella più recente: da famiglia nucleare tradizio-
nale all’assunzione di forme nuove, sempre più varie. È indubbiamente indispensabile
tenere conto di questi cambiamenti di famiglia e società nel trattare della clinica a esse
associata.
Prendiamo una patologia che spesso citerò come esempio clinico: l’anoressia
mentale. Uno dei luoghi più comuni intorno all’anoressia è che sia causata direttamente
dal modello estetico “imposto” dalla moda, tramite il mezzo mass mediatico. È da que-
sto “luogo comune” che voglio partire per trattare tutti gli aspetti sociali e culturali in-
siti nell’idea odierna del corpo femminile. Il mio presupposto teorico è che non si pos-
sono considerare la causa unica cui imputare l’insorgenza e l’incremento dei sintomi
contemporanei. Come già detto, il contesto in cui un soggetto si colloca nel tempo e
nello spazio riveste una considerevole influenza sulla scelta del sintomo. Non è un caso
che certi tipi di patologie si confacciano particolarmente alla nostra società, questo però
non significa che essa ne sia la responsabile. La psicoanalisi ci insegna che non si è mai
vittime del disagio di cui ci si lamenta, dunque è bene assumersi la “responsabilità” del
proprio sintomo. Rifugiarsi nell’accusa dell’altro, in questo caso dell’altro sociale, ap-
pare più una fuga, un sottrarsi alla parte che si ha nel disordine che si lamenta.
10
I.2 Quale corpo?
Prima di parlare di corpo è necessario chiarire a che cosa ci riferiamo, secondo la
prospettiva psicoanalitica che adotteremo, il pensiero di Jacques Lacan. Egli fa un passo
avanti rispetto alla concezione del corpo che ha nell’isteria la sua origine. Nell’isterica,
infatti, il corpo è un “teatro” che mette in scena un dramma soggettivo; il corpo parla
attraverso il sintomo, convertendo il disagio psichico in qualcosa di somatico. Da que-
sta accezione di corpo Freud definirà il sintomo come ritorno del rimosso, segno della
divisione soggettiva (l’S barrato di Lacan).
Il sintomo sarebbe una verità inconscia rimossa, perché sentita come una perico-
losa minaccia all’integrità dell’Io. Occultata dalla coscienza essa ritorna nell’inconscio
e parla in modo cifrato nei cosiddetti sintomi di conversione o compiacenza somatica
2
.
Le donne parlano con il corpo, perché sono più sensibili al suo ascolto, e attraverso il
corpo, che parla là dove soffre, nei sintomi, cifrature enigmatiche scritte nella carne.
Esso poi sfugge anche a ogni padronanza dell’Io
3
.
Lacan aggiorna la teoria freudiana e considera il corpo con un doppio significato:
esso è sia il corpo proprio che il luogo dell’Altro. Definisco ora più precisamente que-
ste due accezioni di corpo. Il corpo proprio non è mai del tutto coincidente con l’Io, con
il proprio essere. Mette di fronte a una verità valida per tutti: non si è il proprio corpo,
ma lo si ha. Infatti esso non lo si governa volontariamente, ma ne si percepisce sempre
una componente di alterità: dolore, malattia, morte, eccitazione sessuale e ogni reazione
fisiologica sfuggono a qualsiasi tentativo di imbrigliamento. Come spiega Massimo Re-
calcati “è invece proprio nei momenti in cui sembra che siamo in grado di liberarcene,
in cui non lo percepiamo poiché ci abbandoniamo al suo silenzio che ci sentiamo più
noi stessi, non più ingabbiati in un’alterità ingestibile”
4
. Esso subisce delle trasforma-
zioni nel corso dell’esistenza, che si intensificano e sono repentine nella pubertà. Par-
liamo in questo caso del corpo pulsionale della psicoanalisi, di cui non si può avere
controllo e si rifiuta nei sintomi, in quanto sentito come improprio, ingovernabile per-
ché mosso dalle pulsioni, che per definizione non si lasciano facilmente regolare.
Il corpo è anche, nello stesso tempo, il luogo dell’Altro
5
. Innanzitutto, dal mo-
mento in cui il “piccolo dell’uomo” viene al mondo, e ancora prima quando esiste solo
2
J. Laplanche, J-B Pontalis, Enciclopedia della psicoanalisi, pp.101-103.
3
Cfr. M. Recalcati, L’uomo senza inconscio, Cortina, Milano 2010, p.162.
4
Ivi, p.163.
5
Cfr. ivi, pp.105-108.
11
nel pensiero dei propri genitori, è immerso e plasmato dall’Altro del linguaggio. Egli è
fabbricato e costruito dalla stratificazione successiva di condizionamenti culturali da
cui è alienato, il che significa che viene prodotto dal linguaggio, dal simbolico e le leg-
gi che lo governano. Questo corpo non si sceglie, lo si abita e lo si ha, ma non lo si è.
Poiché dunque non lo si governa, può avvenire di percepirlo come improprio, sfuggen-
te, un’alterità interna indomabile, che è però la condizione dell’esistenza stessa.
Il soggetto ha il suo corpo, senza che però questo gli appartenga, senza averne il
governo. Ha un corpo ma non il governo di esso, non lo possiede davvero come suo.
Questo è indice dell’esistenza di un Altro interno, una presenza che fa esistere, ma e-
spropria. In questo senso si sostiene che l’inconscio è dalla parte del corpo
6
, e in que-
sta seconda accezione ritroviamo le caratteristiche del corpo pulsionale. I due corpi di
Lacan non sono dunque separati, ma entrambi aspetti dello stesso soggetto: sono due
punti di vista da considerare relativamente al corpo. Entrambi dunque verranno presi in
esame da qui in avanti, quando mi riferirò al corpo della donna.
I.3 Avere o essere un corpo?
La costruzione del femminile nell’epoca contemporanea
Torniamo all’argomento di questo elaborato. Il disagio femminile sceglie come
luogo elettivo di manifestazione il corpo. Indubbiamente nelle donne c’è una maggiore
affinità con esso. Freud avrebbe imputato la causa di questa affinità alla loro mancanza
di un Super Io solido, erede del complesso edipico. Le donne sarebbero dunque più por-
tate a “cedere” alla carne, anche per quanto riguarda le espressioni sintomatiche. Esse
avrebbero infatti una coscienza morale alquanto più debole dell’uomo
7
. Mi chiedo ora
se sia il corpo nella sua accezione di alterità ingovernabile, il corpo pulsionale, la ma-
trice dei sintomi femminili e se il corpo sia posseduto dalle donne o le definisca come
identità principale.
Analizzo dunque la questione del corpo che oggi bisogna avere per essere donna.
6
Ivi, p. 163.
7
Per un approfondimento di tale problematica rimando al capitolo II.
12
I.4 Corpo oggetto e corpo immagine
In questa accezione voglio parlare del corpo “moderno”, considerandolo come un
oggetto. Si può parlare di un oggetto, in quanto la società post-capitalistica offre una
scelta illimitata di prodotti di tutti i tipi, e il corpo sembra essere stato degradato a una
di queste innumerevoli merci acquistabili. Mi pare che dalla pubblicità venga mostrata e
incoraggiata alle donne l’idea che come esse sono non sia mai abbastanza. È sempre ne-
cessario un qualcosa in più, un passo verso una bellezza che appare un prototipo univer-
sale facilmente raggiungibile da tutte, a patto la si acquisti: i prodotti light, la cosmeti-
ca, assicurano di rendere più affascinanti, snellendo la silhouette oppure cancellando i
segni del tempo. Le trasformazioni del corpo della donna dalla pubertà in poi sono mol-
teplici; esso cambia molto di più di quello maschile: il menarca, la deflorazione, la gra-
vidanza, la menopausa. Una serie di eventi lo segnano,e il tentativo di rimanere “eter-
na” si fa pertanto ancora più arduo. Il rifiuto della femminilità la porta a cercare di sot-
trarsi a tutto questo, e l’anoressica è emblematica perché fa di tutto per tornare a essere
quel corpo indifferenziato che era prima della pubertà. È singolare notare che, mentre
l’immagine dell’uomo “maturo” evoca saggezza e affascina, l’invecchiamento per una
donna è sempre avvertito come una decadenza. Una donna che non è più nel fiore della
giovinezza generalmente tenta di fermare il tempo coprendo, camuffando, talvolta an-
che vergognandosi di “confessare” la sua età. Tutti sanno bene che è bene non chiedere
l’età di una signora.
L’esperienza di vita accumulata negli anni è considerata e stimata solo
nell’uomo. L’immagine dell’anziano professore, per esempio, non evoca solitamente
sentimenti di pena, non fa pensare a un uomo che sta sfiorendo ma gli dà, anzi, rispetta-
bilità e valore aggiunto. Alla donna compete invece l’apparenza, il dare di sé
un’immagine sempre impeccabile. In ogni ambiente lavorativo la donna più considerata
è spesso la più giovane e graziosa. È innegabile che le qualità femminili più apprezzate
siano quelle estetiche, solo secondariamente le facoltà intellettive. Non voglio correre il
rischio di una generalizzazione per luoghi comuni, ma reputo che vi sia al fondo di que-
sti una verità: la donna è sinonimo di bellezza (quando questa c’è), mentre non occorre
necessariamente che un uomo sia appetibile, se è in possesso di altri requisiti. Non è un
caso se nell’immaginario collettivo il “secchione”, il genio, è uomo, la “pupa”, la “bel-
loccia” è donna. Coppie stereotipate, ma reali sono il presentatore e la velina in televi-
13
sione, l’uomo ricco e famoso (e spesso anche attempato) e la ragazza giovanissima e
splendida.
Vi è sempre stato culturalmente un iperinvestimento sul corpo delle donne, come
se la loro immagine costituisse una parte fondamentale dell’identità femminile. Tutto
questo, forse, per compensare una supposta e imposta inferiorità a livello culturale da
parte di una società radicalmente maschilista, per cui la donna è stata costretta a puntare
su qualità diverse da quelle intellettuali, fino a convincersi di essere tutta identificata e
realizzata in quel ruolo, ridotta alla sua immagine, al dover mostrarsi sempre “al top”:
bella, forte e sicura, senza imperfezione alcuna. Di conseguenza non si è mai abbastan-
za magre, abbastanza carine. Si può sempre fare qualcosa, per rendersi migliori. È così
che una donna viene riconosciuta principalmente, una buona immagine è il biglietto da
visita che più conta, il resto è facoltativo. Ce ne siamo convinte, ci è stato trasmesso
implicitamente da mass media e televisione, fin da quando eravamo bambine, e ora fati-
chiamo a credere che si possa esistere anche al di là dell’immagine che diamo al mon-
do. Le donne che cercano di sottrarsi a questa logica vengono considerate come minimo
bizzarre e poco femminili.
Oltre ai personaggi dello spettacolo più o meno famosi che si esibiscono alla te-
levisione o al cinema incontriamo sempre più spesso tra la gente “comune” volti ritoc-
cati e stirati dall’arte della chirurgia estetica, ragazzine anche minorenni, che si fanno
regalare una taglia in più di seno.
Sulle passerelle delle boutique sfilano poi “scheletri”, sfila la morte: corpi ma-
scolini, androgini, che hanno perso ogni connotazione femminile. Sembra proprio che
l’unisex sia diventato il modello dominante. Secondo questa logica pari opportunità si-
gnificherebbe l’appiattimento delle differenze. L’anoressica è un esempio emblematico,
perché sembra inseguire l’ideale del corpo ridotto all’osso, un corpo mostruoso che si
difende come può dal reale della pulsione, dalla sua parte carnale, animale. Corpi a-
sciutti e sterilizzati, privi di odori, dai quali le secrezioni sono bandite; sono dunque
corpi inumani, glaciali, robotici. È come se esistesse, nell’immaginario collettivo, uno
iato tra l’interno e l’esterno del corpo femminile. Il primo è oscuro e ogni sostanza che
da esso proviene viene considerata “sporca” e si cerca di fare di tutto per avere il meno
possibile contatto con essa. Si investe invece tutto sull’involucro, sulla facciata. Lo
specchio sembra essere divenuto il nuovo partner inumano della donna.
14
Tutto questo indaffararsi, spendere denaro ed energie con sensi di colpa avviene
per un fine, che però non sembra più essere quello di piacere all’altro sesso. La donna è
sì “donna oggetto”, ma non più posseduta dall’uomo che la desidera. La donna è forse
divenuta l’oggetto di un Altro aspecifico disincarnato, il grande Altro sociale e non
dunque di un altro reale. Il “gioco della seduzione”, fatto di darsi e negarsi è ormai sto-
ria passata, dato che ora, più che piacere all’altro, basta piacere “a se stesse”. Essere
belle non serve dunque a piacere all’ Altro, ma è una sorta di contemplazione autorefe-
renziale, non richiede un riconoscimento esterno.
8
I.5 Capitalizzazione del corpo e degradazione ipermoderna della vita amorosa
9
La scienza ha oggi un’influenza significativa su molti aspetti della quotidianità,
compresi gli interventi sul corpo, sulla sua immagine esteriore ma anche il suo funzio-
namento interno. Quello che appare evidente è una tendenza universalizzante, una sorta
di globalizzazione, oltre che dei consumi anche degli strumenti con cui ci occupiamo
del nostro corpo. Gli strumenti che la scienza in continua evoluzione mette a disposi-
zione sono a beneficio di uno specifico utilizzo del corpo. Possederlo significa fare
qualcosa con esso, in particolare farne un uso di godimento. Diversi sono i modi con cui
il corpo si presta ai suoi usi: si mostra, si compra e si vende, si offre, si accetta o si ri-
fiuta. Il corpo diviene dunque strumento del capitale sociale e perciò viene trattato co-
me si fa con le macchine della produzione: diete, estetica, ginnastica, chirurgia, cure di
benessere, tutte pratiche non più solo riferite al narcisismo, ma volte a mantenere effi-
ciente e produttiva la macchina-corpo
10
.
Si può dire che la società odierna promuova la cultura dell’avere, del godimento
fallico
11
basato sull’accumulo di beni, a discapito dell’essere, su cui si basa la mancanza
dalla quale sola può nascere il desiderio e quindi l’amore
12
. È l’amore dunque a essere
sacrificato dalla logica capitalistica. I legami si basano sempre più sul calcolo pondera-
to tra il dare e il ricevere. Non ci deve essere un resto, l’offerta deve essere bilanciata
alla domanda; come nell’economia monetaria conta il guadagno e si stabiliscono regole
8
Cfr. G. Mierolo, e M. Rodriguez, Il disagio della bellezza, Angeli, Milano 2006, p.125.
9
Questo termine è usato da Recalcati in L’uomo senza inconscio, cit., p. 167.
10
Cfr. ivi, pp.167-168.
11
Spiegherò che cosa sia il godimento fallico nel terzo capitolo.
12
Tutti questi concetti verranno meglio esposti nel corso della trattazione.
15
su perdite e profitti. Ma l’economia e il calcolo razionale in amore sono una contraddi-
zione in termini, se amare è “dare quel che non si ha”
13
. Capitalizzazione del corpo e
degradazione della vita amorosa vanno dunque di pari passo.
Si può notare anche un altro fenomeno contemporaneo, quello dell’omologazione
sessuale, dell’unisex. La differenza sessuale viene coperta in nome di un’uguaglianza
uomo/donna perfettamente in linea col discorso del mercato, che ci vuole tutti attivi la-
voratori e potenziali consumatori. Da qui deriva anche il rifiuto della maternità e
dell’essere femminile.
14
Tutti questi fenomeni hanno provocato una netta trasformazione della condizione
storica della donna. Il suo godimento era un tempo confinato alla casa e alla cura di ma-
rito e figli: essere madre e moglie era il suo ruolo sociale. Poi il mercato del lavoro l’ha
emancipata, rendendola più simile all’uomo e i movimenti femministi di rivendicazione
di uguaglianza hanno ulteriormente accentuato la graduale sparizione della differenza in
favore di una democraticizzazione omologante, secondo cui la donna deve poter avere
accesso alle stesse possibilità offerte all’uomo. A tutt’oggi ritengo che formalmente
questo risultato sia stato raggiunto e non vi siano più, o quasi, settori che privilegiano il
genere maschile. Tuttavia siamo ben lontani da un’uguaglianza vera e propria di diritti.
L’impatto soggettivo di questi mutamenti di civiltà è evidente. Il godimento fal-
lico, che non ha solo a che fare con la relazione sessuale, ma entra in gioco in tutti i
rapporti con la realtà, è protagonista indiscusso e viene oggi capitalizzato come una
merce. Il suo regime è quello dell’unisex, nel senso che esso è offerto a uomini e donne
indiscriminatamente. La competizione per il successo, la carriera, tutti segni
dell’accumulo fallico, sono diffusi anche tra le donne che un tempo ne erano escluse,
relegate entro le mura domestiche. La sessuazione
15
femminile sta dunque perdendo la
sua particolarità, quella di accedere più facilmente a un godimento altro da quello falli-
co, man mano che va omologandosi alla logica fallica di un godimento circoscritto
16
.
13
J. Lacan, Appunti direttivi per un Congresso sulla sessualità femminile, in Scritti, vol II, Einaudi, To-
rino 1974, p. 731.
14
Si veda Soler, C., (2003), Quel che Lacan diceva delle donne, Angeli, Milano 2005, pp. 120-123.
15
Anche per il concetto di sessuazione si veda il terzo capitolo.
16
Si veda M. Recalcati, L’ uomo senza inconscio, cit., pp.164-166. Tratterò i concetti di sessuazione,
godimento fallico e godimento supplementare nei prossimi capitoli.
16
I.6 Il disagio della bellezza
Il concetto odierno di bellezza fa assumere il corpo come coincidente con il proprio esse-
re.
17
Ricercandola il soggetto non incontra la sua divisione, che gli dice che esso non è unitarietà,
e fa della bellezza uno dei nomi possibili della donna. Essa infatti non è determinata universal-
mente ma singolarmente, contro la logica attuale dei trattamenti del corpo uniformizzanti. Nei
nuovi sintomi l’obiettivo è essere belli per sé e non per l’Altro, non per la moda, soprattutto negli
stadi avanzati della malattia. L’autocontemplazione autarchica del corpo provoca euforia e rom-
pe il legame con l’Altro.
Lacan promuove un’idea di bellezza che nasce dal desiderio, e quindi dalla mancanza,
un’idea più etica che estetica. Adolescenza, femminilità e immagine del corpo nella clinica ano-
ressico-bulimica sono una triade importante. Con la pubertà emerge infatti la sessualità nel cor-
po, non ci si riconosce più nello specchio e per la donna la prima maschera che copre il non ave-
re fallico è proprio l’immagine allo specchio. L’immagine estetica ha un ruolo protettivo, un va-
lore fallico. Le donne investono di più sull’immagine proprio per questo, per l’assenza di un si-
gnificante che risponda all’enigma della femminilità. La bellezza è una gabbia che racchiude una
mancanza originaria
18
. Vedersi sempre grassa denota un più di vedere, quella che qualcuno
chiama dispercezione
19
, che è un godimento in eccesso localizzato nell’immagine allo specchio.
Vi sarebbe un più di godimento dell’immagine narcisistica che vela il taglio della castrazione.
L’eccesso non fa riconoscere come unità, ma angoscia, così come un doppio perturbante
20
. Non
vi è più compensazione immaginaria alla frammentazione soggettiva.
La bellezza come valore sociale giudica l’essere amabile di un donna e le provoca ango-
scia, il suo corpo le è divenuto nemico. Le donne ricercano una misura ideale e la loro angoscia è
scaturita dal toccare due dimensioni fondamentali: l’immagine del corpo e l’amore. Ci si sente
inadeguate. Non si rivendicano i valori del femminismo, ma si lotta per l’apparire. Vi è una sorta
di stress nella ricerca del canone. La bellezza è divenuta un sintomo che fa soffrire. La sua prima
funzione è dunque quella ontologica, di definire la donna, nel legame con l’Altro del linguaggio,
un renderle possibile il nominarsi, bordando la mancanza reale. Una seconda funzione è nel rap-
portarsi col desiderio maschile, orientare la pulsione sessuale con la frammentazione feticistica
del proprio corpo nella relazione amorosa. Oggi invece le forme di bellezza non considerano le
donne una per una, nella loro singolarità, ma trascendono entrambe queste due accezioni. Il cor-
17
G. Mierolo, M. Rodriguez, Il disagio della bellezza, cit.,p.153.
18
Ivi, p.139.
19
Ivi, p.140.
20
Ivi, p.141.
17
po è divenuto una merce feticizzata, al di là delle logiche amorose; non vi è più la paura di non
piacere a un uomo, non trovare un compagno, ma di essere escluse dalla società. Si deve dunque
intervenire sul reale del corpo con gli strumenti della scienza, in una spinta alla perfezione, che
impedisce di abitare in modo sereno la propria particolarità.
21
I.7 L’“ingombro fallico”
Lacan rovescia la logica freudiana dell’invidia del pene, poiché per lui non è indice di
una minorità, un’aporia. Il fallo sarebbe infatti lo strumento di un godimento “dell’idiota”, un o-
stacolo, e non invece un segno di potere.
22
Sul piano immaginario esso indica l’ avere e anche il
trattare il corpo come un fallo: svilupparne i muscoli, aumentarne le prestazioni, gonfiarlo e
pomparlo. Il fallo rappresenta inoltre un’alterità, lo si ha e non lo si è. Per questo l’esserne in-
gombrati è il rovescio della castrazione. Lo si usa come metro di godimento, limitato, organizza-
to, circoscritto all’organo e ordinato dalla funzione della castrazione. Il godimento fallico è misu-
rato, il suo modello è quello idraulico della scarica, che ha un picco orgasmico e una detume-
scenza finale, la sua modalità è compulsiva, ripetitiva, monotona e seriale. Vale per l’uomo il
fantasma del “possederle tutte”, pensiamo come esemplificazione al personaggio di Casanova.
Questo tipo di godimento ha una certa somiglianza con la coazione a ripetere. Rappresenta la
passione per l’accumulo. Ha un che di masturbatorio, è attaccato alle cose e non si cura di amore
e desiderio. Esso fa del corpo, proprio e altrui, una proprietà. La nevrosi ossessiva non a caso è
tipicamente maschile.
Il corpo femminile, invece, anche se non è escluso da questo godimento dell’organo, non
ne è inebetito come per il maschio, poiché esso non la assorbe del tutto, ma possiede qualcosa
che ne va al di là . Al posto dell’invidia del pene, c’è il “non tutto” fallico che per la donna è
un’occasione e non un handicap, non è una ferita narcisistica, ma un’apertura all’eccesso.
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La povertà fallica è povertà perché espone all’indeterminatezza e a un senso di improprie-
tà, un’ angoscia di impossibilità di governo di esso, un enigma oscuro senza confini, senza uno
specchio narcisistico. Questo tipo di posizione nei confronti del godimento può rendere la donna
più dipendente dall’amore dell’Altro, cercando e rintracciando in lui risposte alla domanda
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Ivi, p. 148.
22
Si veda M. Recalcati, L’ uomo senza inconscio, cit., p.164.
23
Ivi, p. 166.