procedere solo nel momento in cui le preferenze degli Stati sono riuscite a
convergere.
Prima di spiegare la struttura dell mio elaborato, intendo fare alcune
premesse per spiegare le complessità metodologiche che emergono nel cercare
di analizzare la politica energetica. La prima problematica è di tipo semantico,
mentre la seconda è di tipo metodologico- analitico.
A livello semantico, “politica energetica” può avere diversi significati a
seconda delle materie su cui interviene. Infatti, la stessa accezione può fare
riferimento a contesti molto differenti fra loro, ad esempio si può fare
riferimento alla politica energetica riferendosi alle politiche per stabilire gli
standard di efficienza dei frigoriferi, così come in relazione ai meccanismi
strategici legati all’approvvigionamento esterno e dunque direttamente legati
alle relazioni internazionali fra stati. Per cercare di fornire una definizione alla
politica energetica, sarebbe corretto distinguere fra official energy policy e
unofficial policies affectig the energy sector (Mc Gowan 1996, citato in
Prontera 2008). Nel primo caso si definisce la strategia, chiaramente elaborata
ed esplicitamente formulata dal governo per governare la bilancia energetica
presente e futura. Nel secondo si fa invece riferimento a tutte quelle politiche
che influenzano i settori energetici, sia intenzionalmente che accidentalmente
(Prontera 2008). Questa distinzione è particolarmente rilevante nel contesto
comunitario, poiché se da un parte è evidente che non esiste una politica
energetica ufficiale europea, dall’altra si nota come le questioni energetiche
rientrino nell’ambito di policy delle politiche legate al mercato, l’ambiente, la
politica estera, i trasporti, la ricerca(solo per citare le più significative).
Durante l’elaborato non avrò come riferimento un abito di policy definito
poiché non si riesce a rintracciare a livello europeo un regime coerente e
strutturato di regole che faccia si che si possa parlare di politica, ma prenderò
in considerazione le problematiche energetiche per come vengono trattate
nell’arena europea.
Oltre alla problematica semantica, emergono diversi problemi considerando
l’approccio teorico da adottare per proceder nell’analisi. Come ho detto
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inizialmente, l’obiettivo di questa analisi è capire sia le ragioni dell’assenza
della politica energetica, sia il processo che ne ha portato alla progressiva
messa in agenda. Tali dinamiche, anche se correlate tra loro, sono
difficilmente analizzabili usando un unico approccio teorico; questo problema
richiama il dibattito sulle teorie per l’integrazione europea(Wiener, Diez,
2004) e la questione che cerca di capire se le teorie siano in competizione fra
loro o se piuttosto i diversi approcci teorici offrano prospettive diverse e siano
fra loro complementari. Personalmente, concordo con chi sostiene che non sia
possibile utilizzare una sola teoria esplicativa. Le teorie dell’integrazione
nascono per cercare di spiegare e prevedere gli sviluppi di un fenomeno
complesso come l’integrazione europea; tuttavia possono differire fra loro a
seconda dello scopo che hanno : alcune teorie si concentrano sulle dinamiche
rilevanti e ricorrenti del processo politico istituzionale, altre sul suo
funzionamento(sugli aspetti legati alla polity), altre analizzano invece gli esiti
e gli outputs, considerando le regolarità nelle azioni e negli interventi(policy),
mentre altre ancora cercano di individuare le dinamiche politico-decisionale, il
ruolo delle istituzioni e dei gruppi di interesse(politics). Usando altre parole si
può dire che alcuni approcci teorici sono più adatti per trovare delle chiavi
esplicative mentre altri sono più adatti a descrivere e analizzare come avviene
un processo. Chiaramente, analizzare le politiche esito dell’integrazione degli
Stati membri è diverso rispetto all’analisi della formazione istituzionale
dell’Unione Europea e di conseguenza è necessario fare riferimento a delle
teorie differenti. Seguendo dunque tali ipotesi è chiaro che per analizzare sia
perché la politica energetica non è riuscita a svilupparsi e sia cercare di entrare
dentro al processo di messa in agenda, non potrò fare riferimento allo stesso
schema di analisi. Nel primo caso, la chiave di lettura dovrà ricercare un
punto di vista più macro e una teoria di tipo esplicativo(come la teoria neo-
istituzionalista o quella intergovernamentalista) per cercare di comprendere
quali siano stati gli ostacoli all’integrazione della politica energetica, nel
secondo caso dovrò invece entrare nel percorso di policy che avviene
quotidianamente per capire il processo e le variabili della messa in agenda di
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un problema. Adottando approcci di tipo differente si riesce a sviluppare
anche una visione più completa del processo d’integrazione, mettendo in
evidenza sia il ruolo dominante dei governi nazioni nel processo di
negoziazione, sia il percorso quotidiano delle politiche europee (Cram 1997).
In secondo luogo, la necessità di fare riferimento a strumenti di analisi
differenti è correlata con la complessità intrinseca alle problematiche
energetiche. Poiché la politica energetica può fare riferimento ad aspetti di
policy molto differenti fra loro, sarebbe opportuno cercare di adattare l’analisi
ad ognuno dei livelli considerati. Infatti, a seconda delle questioni considerate,
sono diversi gli attori che dominano il livello decisionale nonché la tipologia
delle decisioni che vengono prese (Peterson 1995). La politica energetica si
presta particolarmente ad un’analisi che tenga in conto dei diversi livelli
poichè è facile riconoscere sia un policy making esterno rappresentato da tutte
quelle decisioni che hanno per oggetto la sicurezza degli approvvigionamenti
ed hanno come obiettivo quello di garantire un flusso adeguato di fonti
energetiche per sostenere lo sviluppo economico e sociale di un paese,sia un
policy making interno che comprende tutte le decisioni che riguardano
l’utilizzo dell’energia all’interno del territorio nazionale (produzione,
trasporto, distribuzione, vendita, risparmio energetico) (Prontera 2008). A
seconda del policy making a cui si fa riferimento, cambiano le modalità di
interazione fra gli attori coinvolti, le distribuzione delle risorse all’interno
delle reti di policy, le logiche d‘azione che guidano le scelte dei decision-
makers, le caratteristiche delle arene all’interno dei quali si confrontano, i
processi, gli strumenti e il tipo di decisioni che vengono prese. Considerando
tale differenziazione, si deduce l’impossibilità per una singola teoria di
riuscire a spiegare la governance energetica dell’Unione Europea in tutti i
differenti livelli di analisi.
Nel momento in cui cercherò di focalizzarmi sul ruolo degli Stati nel
rifiutare l’integrazione della politica energetica o nel relazionarsi alle proposte
comunitarie, utilizzerò l’approccio liberal-intergovernamentalista sviluppato
da Moravcsik, che assume che il processo di decision making sia dominato dai
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governi nazionali. Analizzando invece il percorso che ha portato le
problematiche energetiche ad essere inserite nell’agenda decisionale diverse
aree di policy negli anni novanta, utilizzerò un approccio tipico dell’analisi
delle politiche pubbliche, riprendendo lo schema descritto nel libro di
Kingdon Agendas, Alternatives, and Public Policies(Kingdon 1996).
Nel primo capitolo del mio elaborato, cercherò di capire le ragioni
dell’insuccesso del processo d’integrazione europea nel settore energetico, nel
periodo che va dalla genesi della CECA nel 1952 fino all’adozione del
Trattato dell’Unione Europea nel 1992. L’ipotesi esplicativa è quella indicata
da Moravcsik nel libro “The Choice for Europe,Social Purpose & State
Power from Messina to Maastricht”( Moravcsik, 1998), approfondendo in
particolare tre eventi emblematici per capire il percorso della politica
energetica: il ruolo degli Stati nella formazione della CECA e dell’
EURATOM, la risposta degli stati alla strategia lanciata dalla Commissione
per promuovere una politica energetica comune all’indomani della crisi
petrolifera del 1973, il tentativo di inserire un titolo energetico durante la
negoziazione dell’Atto Unico Europeo. L’obiettivo di tale capitolo sarà capire
il ruolo che hanno avuto gli interessi dei governi nazionali nell’impedire
l’integrazione della politica energetica nel periodo che va dal 1952 al 1992.
Nel secondo capitolo cercherò di capire il processo che ha portato le
questioni energetiche ad essere inserita all’interno dell’agenda decisionale
delle altre politiche europee. In questo caso, poichè l’analisi si sofferma sul
percorso di policy quotidiano, ritengo necessario abbandonare la teoria
intergovernamentalista, più adatta ad una dimensione esplicativa, per adottare
un’analisi di tipo più analitico-descrittivo. Cercherò di capire quali sono gli
attori che dominano il processo di agenda setting e quali elementi fanno si che
in determinati momenti, alcune questioni vengano poste nell’agenda politica
prima e decisionale poi.
Infine, nel terzo capitolo, cercherò di concludere il mio elaborato
esaminando il ruolo degli Stati nel determinare il cammino delle proposte
energetiche a partire dagli anni novanta. Per fare questo, dividerò le proposte,
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considerandole nelle policy di mercato, ambiente, approvvigionamenti esterni
e in riferimento al progetto d’ inserimento di un titolo energetico nel trattato
comunitario. Tale suddivisione è necessaria, poiché riprendendo la
suddivisione d’area, si riesce ad adattare il proprio punto di vista ai differenti
livelli decisionali che coinvolgono la questione energetica. L’obiettivo finale
di questo capitolo, sarà cercare di capire quale possa essere il futuro della
politica energetica in considerazione delle proposte attualmente in discussione
ed in fase d’approvazione.
Complessivamente, spero che dalla lettura combinata dei tre diversi
capitoli, si possa capire perché la politica energetica sia rimasta sotto il
controllo esclusivo degli Stati membri, perché sia incominciata ad essere
percepita come una problematica da affrontare a livello europeo e quali siano i
possibili sviluppi futuri per la creazione di una politica energetica europea.
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CAPITOLO I
L’ASSENZA DELLA POLITICA
ENERGETICA FRA LA CECA E
MAASTRICHT
In questo capitolo cercherò di capire le ragioni dell’insuccesso del processo
d’integrazione europea nello sviluppare una politica energetica
comune(Hassan,1994) nel periodo che va dalla genesi della CECA nel 1952
fino all’adozione del Trattato dell’Unione Europea nel 1992. Alla fine di tale
periodo in nessun trattato si può trovare un riferimento esplicito alla politica
energetica e dunque, prima di cercare di comprendere le prospettive per tale
politica nel futuro, è legittimo chiedersi cosa non abbia funzionato nel passato.
La base teorica di riferimento di questo percorso d’analisi storica sarà la
teoria intergovernamentalista, seguendo lo schema proposto da Moravcsik nel
libro “The Choice for Europe”(1998). Tale teoria mi sembra, infatti,
particolarmente adatta, in quanto mette l’accento sul ruolo degli stati nel
decidere l’integrazione delle politiche comunitarie. L’interesse statale è,
infatti, facilmente individuabile in una politica dove i governi nazionali
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mantenevano il diretto controllo sulla produzione, sull’approvvigionamento,
sulla fornitura e sulla distribuzione delle fonti energetiche.
Nella prima parte del capitolo proverò a spiegare le ragioni della scelta
dell’approccio teorico, ripercorrendo i punti cardine dello schema d’analisi
liberal-intergovernamentalista proposto da Moravcsik e cercando di spiegare
come poterlo applicare nello studio della politica energetica europea. Lo
schema d’analisi sarà poi applicato per approfondire lo studio in alcune fasi
rappresentative del percorso che ha impedito l’integrazione della politica
energetica europea. L’analisi non entrerà nel dettaglio delle decisioni prese,
ma si focalizzerà sugli eventi più rilevanti per comprendere le ragioni del
mancato sviluppo della politica energetica europea. Lo scopo finale
dell’analisi sarà di verificare se effettivamente la mancata integrazione della
politica energetica possa essere imputabile alle scelte dai governi intenti a
perseguire l’interesse nazionale.
1.La teoria intergovernamentalista
Prima di procedere ritengo sia opportuno soffermarsi a spiegare lo schema
che utilizzerò per analizzare il periodo che va dal 1952 al 1992. Come ho
spiegato nell’introduzione a questo capitolo, userò come riferimento teorico la
teoria dell’integrazione intergovernamentalista e la griglia d’ analisi
riprenderà in parte quanto proposto da Moravcsik nell’introduzione del libro
“The Choice for Europe”( Moravcsik 1998).
La teoria intergovernamentalista è un approccio all’integrazione che tratta
gli stati ed in particolare i governi nazionali, come attori cardine del processo
d’integrazione. Nonostante la teoria intergovernamentalista si focalizzi sul
ruolo degli stati, essa è distinguibile da quella realista e neorealista per
l’attenzione che presta anche al ruolo delle istituzioni nella politica
internazionale e alle dinamiche che avvengono nell’arena domestica per
potere formare le preferenze nazionali(Rosamond, 2000).
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Questa teoria, nell’analizzare, il lato della domanda d’integrazione pone
alla base tre assunti che riprendono la concezione razionalista:
1) Gli attori agiscono in maniera razionale e autonoma tenendo conto
del proprio interesse.
2) I governi rappresentano gli interessi nazionali,
3) Il comportamento dello governo riflette la natura e la configurazione
degli interessi nazionali.
Poiché in tali assunti si fa riferimento al concetto di interesse nazionale,
ritengo opportuno cercare di capire cosa determini la formazione di tale
interesse secondo la teoria intergovernamentalista. Seguendo la definizione di
Stanley Hoffman le variabili determinanti nel determinare l’interesse
nazionale di uno Stato sono idee ed ideali, le esperienze passate e l’azione
delle componenti domestiche (Hoffman 1966). La razionalità degli Stati non
si basa dunque su in sistema fisso di preferenze, ma viene definita attraverso
un processo dinamico che si crea nell’arena domestica, una contesa continua
fra i gruppi che dà come esito una preferenza che il governo negozierà in
ambito internazionale “come se” tale preferenza fosse l’interesse nazionale.
Dunque diventa cruciale, per potere analizzare il comportamento degli Stati,
cercare di capire le linee fondamentali del processo che avviene nell’arena
domestica. Un importante corollario di tale definizione è che l’ interesse non è
definito in maniera definitiva, ma varia continuamente a seconda delle
dinamiche interne degli stati membri e alla loro evoluzione nel tempo.
Dopo aver analizzato il lato della domanda d’integrazione, la teoria
intergovernementalista prende in esame anche il lato dell’offerta, esaminando
le dinamiche e le pressioni nel contesto dell’Unione Europea determinate del
quadro istituzionale. Il quadro istituzionale influisce sul comportamento dello
stato che si trova a negoziare i propri interessi in maniera diversa a seconda
delle regole presenti nel livello europeo.
In generale, l’assunto chiave della teoria intergovernamentalista a cui si
farà riferimento è che l’integrazione europea deriva da una serie di scelte
razionali fatte dai governi nazionali intenti a perseguire l’interesse nazionale e
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di conseguenza è riuscita a procedere solo nel momento in cui gli interessi
degli stati in un determinato settore sono riusciti a convergere(Rosamond,
2000).
Per procedere nell’analisi utilizzerò come schema di riferimento lo studio
presente in “ The Choice of Europe”(Moravcsik 1998).
Riprendendo la teoria intergovernamentalista, Moravcsik individua tre
momenti chiave atti a spiegare il processo di integrazione:
1) La formazione delle preferenze nazionali;
2) Il processo di negoziazione che gli stati intraprendono nell’arena
internazionale per difendere in maniera ottimale i propri interessi;
3) La decisione degli stati di trasferire parte della sovranità alle
istituzioni europee.
Ognuno di questi passaggi sono analizzati da Moravcsik utilizzando diversi
strumenti di analisi.
Per spiegare il processo di formazione delle preferenze nazionali vengono
considerate due possibili origini: gli interessi geopolitici e quelli economici
degli Stati. Gli interessi geopolitici riguardano le minacce alla sovranità o al
territorio nazionale, sia militarmente che economicamente. Gli interessi
economici riflettono invece gli imperativi dell’interdipendenza commerciale e
considerano dunque le opportunità di scambi commerciali e di capitali fra le
nazioni. La domanda chiave a cui l’analisi deve cercare di rispondere riguardo
a questo punto è capire quale sia l’effettivo peso e natura degli interessi
economici e geopolitici nel determinare le preferenze degli stati nel processo
di integrazione europea.
Il secondo passaggio indaga invece il rapporto degli Stati con la Comunità
Europea per difendere le proprie preferenze nazionali nel momento in cui
vengono negoziate le proposte comunitarie; l’indagine cerca di comprendere i
rapporti di forza degli attori statali e allo stesso tempo si chiede se vi sia
un’influenza da parte degli attori sovranazionali durante il processo di
formazione degli accordi e delle proposte legislative. Per intraprendere tale
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