2
Le svariate ipotesi, riguardo la presenza ebraica in tempi precoci, in molti casi sembrano essere
giustificazioni atte a dimostrare che gli ebrei si erano stabiliti nella penisola prima dell’assassinio di
Gesù, come viene spiegato nel primo capitolo della tesi. Giustificazioni di questo tipo sono
frequenti, poiché i cristiani ritenevano che l’ebraismo fosse una minaccia alla sicurezza religiosa.
Per questa ragione, quando il cristianesimo fu legittimato, gli ecclesiastici si ostinarono nel voler
dimostrare che le altre religioni erano illecite. Il primo capitolo ha appunto come obiettivo
l’individuazione delle cause di questo scontro tra cattolicesimo ed ebraismo, gli eventuali periodi di
tregua tra le due religioni, i concili, le leggi e gli editti che si occuparono della “questione ebraica”,
la condizione degli ebrei nei diversi regni, il rapporto tra antigiudaismo e Inquisizione, l’espulsione,
gli ebrei convertiti; tutti elementi indispensabili al fine di inquadrare la posizione antigiudaica
dell’autore.
Dopo aver fornito al lettore tutte le informazioni necessarie sull’origine di determinate idee
segregazioniste diffuse in Spagna, che portarono all’espulsione di alcuni dei suoi cittadini e alla
costituzione di una società estamental, andiamo ad approfondire la condizione della Spagna del
XVII secolo, in cui l’economia, a differenza del periodo dei Re Cattolici, sta attraversando una
pesante crisi che costringe la Corona a scendere a patti con gli ebrei convertiti al fine di ottenere i
crediti in grado di ridurre lo stato di difficoltà. È così che molti borghesi convertiti si avvicinano
alla Corona e in certi casi acquistano titoli nobiliari. Il secondo capitolo è dedicato allo studio di
questi fatti e al modo in cui hanno influenzato l’opera. In questa sezione della tesi, descriviamo lo
scopo dell’autore del Pitocco di presentarci una società pan convertita, che si sta impossessando
della società spagnola diffondendosi in tutti gli ambiti sociali, dalle classi più basse a quelle più
alte.
Nel terzo capitolo, torniamo ad affrontare la tematica della società estamental spagnola al fine di
dimostrare che, secondo la scala sociale di Quevedo, sia il borghese che l’emarginato appartengono
alla classe dei picari e la sola cosa che li contraddistingue è la condizione economica, che consente
al primo di avere accesso all’acquisto di titoli nobiliari. L’inizio di questo capitolo è dedicato alle
gerarchie sociali esistenti all’interno degli estamentos spagnoli e alle modifiche che Quevedo
suggerisce di apportare a questo tipo di società. Inoltre, abbiamo svolto delle ricerche sull’uso della
forma di cortesia “Don” e l’impossibilità di assegnarla a una persona di origine popolare come
Pablos, arrivando alla conclusione che secondo Quevedo, e secondo i conservatori, le
trasformazioni preannunciate nel XVII secolo sono il biasimo di una società alla rovescia,
buffonesca, in cui è il plebeo a svolgere il ruolo migliore.
Accanto ai dati storici, sociologici ed economici, di straordinaria importanza per comprendere
determinati elementi del Pitocco, abbiamo ritenuto utile approfondire una caratteristica che fin dalle
3
prime pagine ruota attorno al romanzo ed è strettamente collegata alla tradizione popolare spagnola,
con le sue credenze e le sue pratiche superstiziose: l’associazione strega-ebrea, che per estensione
finì per designare la donna convertita. Il quarto capitolo è incentrato sulla ricerca delle origini di
questa associazione, tramite un’indagine, da noi svolta, su alcuni trattati della Chiesa Cattolica che
si occupano di demonologia e sul loro possibile influsso sulla tradizione popolare spagnola.
Abbiamo cercato di individuare i motivi che hanno determinato la deformazione del termine
Sabbath e l’influenza di questi particolari concetti su alcuni personaggi della letteratura spagnola e
nello specifico del Pitocco.
La nostra tesi consiste in un’analisi del Pitocco da tre punti di vista: storico, economico-politico e
demo-antropologico, poiché crediamo che solo tramite queste discipline sia possibile mettere a
fuoco l’atteggiamento ideologico antisemita. Abbiamo cercato quindi di evitare qualsiasi analisi
soggettiva, presentando nel modo più chiaro possibile specifici avvenimenti storici a cui
direttamente o indirettamente si allude nel romanzo attraverso certi personaggi o ambientazioni.
Il Pitocco è un’opera a ricchissimo contenuto politico-economico poiché l’autore, oltre a essere un
letterato, era un uomo politico. Per questa ragione il nostro studio ha cercato di indirizzarsi verso
discipline che più efficacemente potrebbero favorire l’individuazione dei distinti elementi serviti da
fondamento per la realizzazione dell’opera, che si rivela essere una profonda critica delle ambizioni
di ascesa sociale che nel XVII secolo alcune classi considerate meticcie lasciavano intuire.
4
Capitolo I
1 Gli ebrei in Spagna
La vita del Pitocco chiamato Pablos è un libro che rispecchia apertamente la mentalità spagnola del
XVII secolo. Francisco de Quevedo introduce nella storia del protagonista la sua interpretazione del
significato di “cristiano nuovo”. Anche se sicuramente questo libro è ricco di soggettività e di
disprezzo nei confronti della figura del convertito, non si può negare che funge da testimonianza dei
fatti avvenuti come conseguenza della conversione forzata degli ebrei di Spagna, che determinò gli
episodi di cui mordacemente si narra nella storia: il cambiamento dei due cognomi, l’arrivismo
sociale ecc.
Il fulcro del romanzo è costituito da due concetti: quello di cristiano nuovo e quello di cristiano
antico. Per riuscire a capire l’importanza di entrambi è indispensabile conoscere la storia degli ebrei
in Spagna, il rapporto tra cristianesimo ed ebraismo, il modo in cui lo spagnolo si identifica
nazionalmente con il cristiano, l’editto di espulsione degli ebrei, la condizione del convertito e gli
statuti sulla purezza di sangue; tutti aspetti che verranno affrontati in questo capitolo.
1.1 La Tradizione Sefardita e l’Antica Tarsis
La tradizione orale ebraico - spagnola fa risalire la presenza degli ebrei nella penisola Iberica a
tempi remoti. Molti sostengono che questa ipotesi è nata con lo scopo di dimostrare che gli ebrei di
Spagna non furono coinvolti nell’assassinio di Gesù. Altri ritengono che sia possibile se si prendono
in considerazione due fattori interdipendenti. Il primo riguarderebbe la presenza precoce dei fenici
nella penisola e il secondo i rapporti sussistenti tra gli israeliti e i fenici (che all’epoca avevano
instaurato relazioni commerciali nella penisola Iberica e avevano perfino fondato alcune importanti
città come Gades, l’attuale Cadice, nel 1100 a.C.).
Sono soprattutto due le credenze di questo periodo di tradizione orale che saltano agli occhi: la
prima fa risalire l’arrivo degli ebrei all’epoca salomonica, che associa la Spagna alla famosa Tarsis
citata nei libri di Isaia, Geremia, Ezechiele, nel libro dei Re e in quello di Giona. Secondo questa
credenza gli ebrei arrivarono in Spagna a bordo di alcune navi per avviare rapporti commerciali con
i fenici; in compenso la seconda credenza sostiene che l’arrivo degli ebrei risale al 587 a.C. ed è
consequenziale alla distruzione di Gerusalemme per mano di Nabucodonosor.
5
1.2 Gli ebrei nella Hispania Romana
Oltre alle leggende secondo le quali la presenza ebraica risale all’epoca salomonica, sembra molto
più credibile supporre che i primi insediamenti ebraici si siano formati dopo che Tito distrusse
Gerusalemme nel 70 d.C. (guerre ebraiche), poiché la guerra contro Roma e la scomparsa del
tempio furono la causa della diaspora ebraica lungo il Mediterraneo, che riuscì a raggiungere la
Spagna nel I secolo. Inoltre, anche se è indubbio che durante il massimo splendore dell’impero
Romano l’ebraismo fosse visto con ostilità (per determinati principi tipici della religione, come il
monoteismo, la circoncisione, il Sabbath), gli era stato riconosciuto lo status di Religio Licita
1
,
condizione che ne avrebbe permesso la diffusione. Ad ogni modo, questa considerazione sull’arrivo
degli ebrei a partire dall’epoca romana non esclude la possibilità che fossero presenti già nelle
colonie mercantili fenicie.
Per quanto riguarda la documentazione concreta, l’epoca romana è molto più credibile rispetto a
quella precedente, poiché ci sono alcune prove atte a dimostrare l’effettiva presenza ebraica nella
penisola in questa epoca, come le iscrizioni trilingui di Tarragona e Tortosa, l’anfora ebraica di
Ibiza e soprattutto un documento, molto utile al nostro studio, collocabile tra il 301 e il 324. Si tratta
del Concilio di Elvira
2
, che in Spagna è stato oggetto di studio sulla base di due distinte tradizioni:
per la tradizione cattolica è importante in quanto rappresenta il primo concilio cristiano della
penisola, mentre per gli ebrei è il primo documento comprovante la loro esclusione per mano di
quella che in seguito sarebbe diventata la Spagna cristiana vera e propria. È fondamentale per il
nostro studio perché permette di dimostrare l’insorgere degli avvenimenti che porteranno
all’istituzione degli statuti sulla purezza di sangue e al forte classismo che contraddistinse la società
spagnola.
Il Concilio di Elvira fu il primo concilio tenuto dalla chiesa cristiana nella Hispania Romana. Si
svolse nella città di Elvira, in una data imprecisa che si ritiene oscilli tra il 300 e il 324 d.C. Vale la
pena sottolineare come questo lasso di tempo lo colleghi a due episodi significativi: il primo è la
persecuzione di Diocleziano
3
, il secondo è l’Editto di Milano
4
firmato nel 313. Al concilio
parteciparono i rappresentanti cristiani più autorevoli di Spagna, tra i quali il celebre vescovo Ossio
1
Cfr. Solomon Grayzel, "The Jews and Roman Law", in Jewish Quarterly Review,1968, p. 95
2
Cfr. José Fernández Ubiña, El Concilio De Elvira Y Su Tiempo, Ediciones Miguel Sánchez, Granada, 2005, pp.27-39.
3
Cfr. Robert Andrew Barker, Compendio de la Historia Cristiana, Editorial Mundo Hispano, El Paso, 2003, p. 26.
4
Ibidem.
6
di Cordova
5
. L’obiettivo principale del concilio era gettare le basi della chiesa cristiana in Spagna.
Gli atti sono composti da ottantuno canoni, tutti di contenuto disciplinare, che affrontano svariate
tematiche quali il matrimonio, l’idolatria, il digiuno, il battesimo, la scomunica, i cimiteri, l’usura,
le vigilie, la messa, i rapporti con i pagani, gli ebrei e gli eretici. I canoni dedicati agli ebrei sono
quattro: il canone sedici riguardava il divieto di contrarre matrimoni misti con donne ebree, poiché
la conseguenza sarebbe stata cinque anni di scomunica. Il canone quarantanove vietava a ogni
cristiano di farsi benedire la casa da un ebreo. La punizione per un simile comportamento era la
scomunica a vita. Il canone cinquanta minacciava di scomunicare per cinque anni ogni cristiano che
si sedeva a mangiare alla stessa tavola di un ebreo. Il canone settantotto minacciava di scomunicare
per cinque anni qualsiasi cristiano scoperto in flagrante adulterio con una ebrea.
1.3 Gli ebrei durante il dominio dei visigoti
In un primo momento i visigoti si convertirono al cristianesimo ariano
6
, che l’imperatore di
Costantinopoli aveva imposto loro nel IV secolo per concedergli l’occupazione delle terre del
Danubio. Non avevano nessun interesse iniziale nel perseguitare gli ebrei. A dire il vero il primo
documento in cui vengono nominati gli ebrei risale all’epoca di Alarico II (484-507). Si tratta di un
corpo di legge datato 506, promulgato a Tolosa e chiamato Breviarium Alaricianum
7
. Questo
documento imponeva agli ebrei alcune restrizioni, come il divieto ai matrimoni misti, il divieto alla
costruzione di nuove sinagoghe, la proibizione di possedere schiavi cristiani, ma allo stesso tempo
concedeva loro di restaurare le sinagoghe preesistenti e di gestire i propri tribunali per risolvere le
questioni religiose e alcune questioni civili. Si ritiene che queste leggi non furono mai applicate in
modo ferreo e che la reale persecuzione degli ebrei durante il dominio dei visigoti sia iniziata con la
conversione al cattolicesimo di Recadero (586-601).
Nel 589 Re Recadero abiurò l’arianesimo e si convertì al cattolicesimo, portando a termine
l’unificazione religiosa tra visigoti e ispanoromani, unione di cui aveva bisogno per rafforzare il suo
regno. In questo modo, per tutto il VII secolo la monarchia visigota, collaborando da vicino con la
Chiesa Cattolica, assunse un atteggiamento di ostilità nei confronti delle comunità ebraiche che da
quel momento diventarono una minoranza. Nel regno di Sisebuto le leggi antigiudaiche subirono un
incremento. Il monarca cercò di impedire ogni manifestazione di proselitismo ebraico punendolo
5
Cfr. Victor Cyril De Clercq, Ossius of Cordova: A Contribution to the History of the Constantinian Period, Catholic
University of America Press, Washington, 1954, pp.87-104.
6
Cfr. José Orlandis, Historia del Reino Visigodo Español, Rialp Ediciones, Madrid, 1988, pp. 59-73.
7
Cfr. John George Phillimore, Introduction to the Study and History of the Roman Law, Elibron Classics, Londres,
1994, p.234.
7
con la condanna a morte e disponendo che i figli nati da un’unione ebraico - cristiana ricevessero
un’educazione cristiana. Inoltre, sciolse qualsiasi rapporto di dipendenza dei cristiani dagli ebrei, i
quali furono costretti a rinunciare agli schiavi e ai servitori cristiani. I provvedimenti antigiudaici di
Sisebuto ottennero l’approvazione del concilio di Toledo del 633, determinando due conseguenze
sulle comunità ebraiche: la conversione e l’esilio verso l’Africa.
La condizione dei convertiti non era affatto facile. Guardati con diffidenza per il fatto di essere
ritenuti cristiani per forza, furono oggetto di persecuzioni sotto il dominio di Sisebuto (612-621).
Nel 638, durante il regno di Chintilla (636-639), fu decretato che nel regno non potessero vivere
sudditi non professanti il cattolicesimo. Gli ebrei furono costretti a compiere un giuramento
apposito chiamato placitum, con il quale sconfessavano pubblicamente la loro antica religione. Allo
stesso modo, durante il regno di Reccesvindo fu loro imposta la condanna a morte per lapidazione o
sul rogo.
Nel 694, durante il regno di Egica (687-702), il XVII Concilio di Toledo
8
sancì la schiavitù degli
ebrei e dei convertiti che vivevano nel dominio visigoto, accusandoli di cospirazione contro il
potere:
“[…] cercarono con audacia tirannica di distruggere la patria e l’intero popolo […] Questa audacia
crudele e spaventosa va severamente punita […]; si adoperarono per usurpare il trono reale […] tramite
una cospirazione. Essendo questa assemblea venuta a conoscenza dell’efferato crimine attraverso le
confessioni da loro stessi rilasciate, si dispone che in virtù di questo nostro decreto subiscano una
punizione inappellabile, ovvero: per ordine del piissimo e religiosissimo nostro principe, Re Egica, che
illuminato dallo zelo del Signore e spinto dalla passione della santa fede, non solo desidera vendicare
l’offesa arrecata alla croce di Cristo, ma esige anche impedire con assoluto rigore la distruzione del suo
popolo e della sua patria, […] dopo essere stati privati di tutti i loro beni e di tutti i loro averi […] saranno
ovunque dispersi per tutte le provincie della Spagna, saranno resi eternamente schiavi, mettendosi al
servizio di coloro che il re ordinerà, e nessun pretesto permetterà loro di riacquisire in alcun modo la
condizione di uomini liberi, finché continueranno ostinatamente a essere infedeli […] Si dispone altresì
che per scelta del nostro principe, vengano nominati alcuni degli schiavi cristiani degli stessi ebrei […]
Per quanto riguarda i figli di ambo i sessi, si dispone che, dall’età di sette anni, non abitino sotto lo stesso
tetto dei genitori né abbiano rapporti con loro.”
9
È difficile riuscire a comprendere davvero quali poterono essere le cause di una tale repressione. Gli
ebrei non costituivano una vera minaccia per il dominio visigoto. Dal punto di vista storico non
sono attestate rivolte cappeggiate dagli ebrei, fatto salvo il discutibile (non si sa se vero o presunto)
complotto contro Egica, che il succitato XVII Concilio di Toledo utilizzò come pretesto. Forse la
8
Cfr. Marta López-Ibor Marta; Los judíos en España, Anaya, Madrid, 1990, pp. 219-232
9
Il testo è tratto dal libro di Joseph Pérez, Los Judíos en España, Marcia Pons Historia, Madrid, 2005, p. 89.
8
segregazione ebraica aveva un fondamento religioso, dato che in quell’epoca furono scritti alcuni
trattati che inculcavano questo principio, come il De Fide Catholica contra Judeos
10
o il De
nativitate Christi ex Isaiae testimoniis
11
di Isidoro de Sevilla, o Historia Wambae
12
del convertito
Julián de Toledo. Inoltre i Concili di Toledo appoggiarono i provvedimenti discriminatori
dell’autorità civile e in certi casi ne furono la fonte di ispirazione.
Malgrado i pesanti provvedimenti assunti nei loro confronti, gli ebrei riuscirono a sopravvivere,
forse per la mancanza di coesione politica da parte dei visigoti, costantemente impegnati nelle lotte
interne. Gli attacchi all’ebraismo furono la causa di una forte frattura tra le comunità ebraiche e
cristiane.
1.4 Gli ebrei in Al-Andalus
In un primo momento l’invasione musulmana fu una liberazione per gli ebrei, che secondo lo
storico Sánchez Albornoz svolsero il ruolo di quinta colonna per l’invasione
13
. In Al-Andalus fu
loro attribuito il rango di dhimmis, ovvero protetti, poiché alla pari dei cristiani venivano considerati
“gente del libro”. Il Corano riconosceva la libertà di culto ai popoli che possedevano un testo
rivelato da Dio, come nel caso degli ebrei e dei cristiani che avevano la bibbia e venivano definiti
dai musulmani “figli di Abramo”. Gli ebrei non subirono persecuzioni, considerato che era loro
concesso di praticare la propria religione contro il pagamento di particolari imposte (le dhima);
tuttavia i dhimmis erano obbligati a indossare vestiti e copricapi diversi dai musulmani, nonché a
utilizzare cavalcature differenti, ma veniva loro assicurata la vita, la libertà di culto, la proprietà dei
beni e un certo grado di autonomia, poiché potevano disporre di propri tribunali e proprie leggi. Gli
ebrei erano organizzati in Aljamas. Ogni Aljama era un ente giuridico-amministrativo dotato di una
struttura tripartita:
1. L’autorità civile, rappresentata da un Consiglio degli Anziani che gestiva gli affari interni,
la riscossione delle imposte e svolgeva una funzione di rappresentanza davanti al Gobierno
Real.
2. I Tribunali, che sentenziavano sulle richieste, i contenziosi, le denuncie, i processi penali,
le trasgressioni religiose e che erano fondati sul diritto talmudico.
3. La Sinagoga, dove aveva sede la scuola talmudica. I rabbini erano incaricati di occuparsi
dell’interpretazione della legge e dell’insegnamento ai bambini.
10
Cfr. Eloy Benito Ruano, Tópicos y Realidades de la Edad Media, Real Academia de Historia, Madrid, 2000, p. 184.
11
Ibídem.
12
Cfr. Juan García Atienza, Guía judía de España, Alletana Editores, Madrid, 1997, p.35.
13
Cfr. Claudio Sánchez-Albornoz, La España musulmana según los autores islamitas y cristianos medievales, Espasa-
Calpe, Madrid, 1978, p. 82.
9
È importante, inoltre, ricordare che ogni Aljama disponeva di un proprio cimitero che, per motivi
di salute pubblica, era situato all’esterno delle mura cittadine.
Il clima di tolleranza fu accolto positivamente dagli ebrei, che collaborarono attivamente in
diverse occasioni all’invasione musulmana. A Granada, per esempio, furono nominati custodi
della città mentre gli invasori proseguivano la loro avanzata fino a Toledo. In Al-Andalus il
potere era costituito dal Califfato. Il Califfo Abd Ar-Rahman III trasformò Cordova nella capitale
culturale dell’occidente
14
. Questo fu un periodo di forte prosperità per alcuni ebrei, che studiarono
l’arabo e crearono ricche comunità a Siviglia, Granada e Cordova. Durante il Califfato gli ebrei
potevano continuare a praticare i loro riti, a seguire le proprie tradizioni e allo stesso tempo
ricoprire posizioni importanti nell’amministrazione del Califfato. Hasday Ibn Shaprut, medico
personale e ministro del Califfo, fu l’ebreo più autorevole dell’epoca. Gli furono assegnate
missioni diplomatiche, quali la gestione dell’accoglienza di Juan de Gorze, inviato
dell’imperatore tedesco Otto I, e si occupò del negoziato dei trattati con gli ambasciatori di
Costantino VIII di Bisanzio.
La nascita dei regni di Taifas (1031-1086) coincide con la fioritura culturale degli ebrei di
Spagna
15
, che si specializzarono in ambiti correlati con le attività intellettuali, amministrative,
mercantili, poetiche e letterarie. Molti di essi facevano i consiglieri, i medici e i politici in
determinati regni, soprattutto in quello di Ibn Nagrela di Granada. Fu con l’invasione degli
almoravidi e in seguito degli almohadi che gli ebrei diventarono oggetto di persecuzione, ragione
per cui iniziarono a cercare rifugio presso i regni cristiani settentrionali (Castiglia e Aragona), in
Oriente e nel Nord Africa, determinando la fine della cosiddetta Età dell’Oro di Al-Andalus.
Riassumendo, dal punto di vista storico Al-Andalus può essere suddiviso in due fasi:
1. La prima inizia nel 756 e si conclude nel 1086. Durante questa fase la Spagna è sotto il potere
della dinastia degli Omeyas, che in un primo momento la governa ripartendola in emirati, poi
secondo la struttura del califfato e in seguito con i regni di Taifas, piccoli emirati fondati dopo
la caduta del califfato. Questo è il periodo che rappresenta per i sefarditi l’Età dell’Oro.
2. La seconda fase inizia a partire dal 1086 e si conclude nel 1232 con la riconquista di Toledo e
l’inizio delle invasioni africane. Come la fase precedente, anche questa può essere suddivisa
in periodi: il primo periodo è caratterizzato dalla presenza degli almoravidi (1086-1145),
mentre il secondo da quella degli almohadi (1146-1232). Entrambe le correnti migratorie
imposero la purezza delle usanze, dimostrandosi intolleranti con gli ebrei ed emarginandoli
come popolo di seconda classe. Gli almohadi li costrinsero a indossare indumenti di colore
blu per distinguerli dai musulmani. Questo clima di intolleranza, come già spiegato in
14
Cfr. Elías Teres, «Linajes árabes en Al-Andalus», in AI-Andalus, Madrid-Granada, XXII, 1957, p. 57.
15
Cfr. José Manuel Cuenca Toribio, Andalucía: Historia de un pueblo, Alianza, Madrid, 1984, p. 242.
10
precedenza, indusse gli ebrei a fuggire verso i regni cristiani di Castiglia e Aragona, nonché in
Egitto, Italia e Provenza.
1.5 Gli ebrei nei regni cristiani
Il destino mi ha portato in una terra in cui i miei pensieri e desideri tremano di incertezza, in mezzo a persone
dalla parlata stentorea e dalla lingua indecifrabile; nel vedere le loro facce il mio volto si intristisce […] sono
uomini selvaggi che hanno bisogno di un po’ di istruzione
16
.
Mosé ben Ezra
Il pensiero di Mosé ben Ezra ha lo scopo di dimostrare l’opinione che gli ebrei si erano fatta sui
regni cristiani, sinonimo di arretratezza sia dal punto di vista intellettuale che economico. Forse è
proprio questa opinione a spiegarci perché durante i secoli dell’Alto Medioevo le comunità
ebraiche in Catalogna e León erano quasi inesistenti, poiché iniziarono a svilupparsi solo nei
primi anni del XI secolo come risultato della ripresa economica della penisola, soprattutto lungo
il percorso del Cammino di Santiago e grazie alla conquista di Toledo. Malgrado questo, nel 974
nel fuero di Castrogeriz si trova una disposizione in base alla quale una persona che commetteva
un reato nei confronti di un ebreo sarebbe stata punita come se lo avesse commesso nei confronti
di un cristiano. Nel 1090 nel documento Inter christianos et judaeos, promulgato dal Re di
Castiglia e León Alfonso VI, agli ebrei venivano riconosciuti gli stessi diritti dei cristiani
17
.
Questa documentazione funge da testimonianza dell’esistenza, anche se in minima parte, di
cittadini ebrei nei regni cristiani. Durante la prima fase, in cui la presenza ebraica collabora
all’avanzata territoriale, la condizione giuridica degli ebrei risultò molto favorevole. I fueros
(fuero di Sepúlveda, di Cuenca, di Teruel) riconoscevano parità di diritti tra ebrei e cristiani.
L’arrivo degli almohadi coincide con l’epoca della riconquista cristiana e proprio a partire dal
1146 la presenza sefardita si percepisce più profondamente nei regni cristiani, poiché, come ben
sappiamo, durante il XII e il XIII secolo questi conquistatori, spostandosi verso sud, fecero sì che
una buona parte del popolo ebraico che viveva sotto il dominio dei musulmani si trasferisse nei
regni cristiani, ottenendo franchigie e privilegi reali. Come per i musulmani, gli ebrei si offrirono
di collaborare con i cristiani nelle attività di governo e nell’amministrazione territoriale. Molti
ebrei, è questo il caso di Joseph ben Salomón, anticiparono somme di denaro ad Alfonso VIII per
finanziare la spedizione che si sarebbe conclusa con la vittoria delle Navas di Tolosa nel 1252. La
presenza ebraica nei regni cristiani si rivelò molto utile perché questi ultimi, come dimostra la
16
Il testo è tratto dal libro di Roberto Guzmán Leal, Historia de la Cultura, Editorial Porrúa, México, 1983, p. 136.
17
Cfr. Joseph Pérez, op.cit., p. 198.