2
La Convenzione delle Nazioni Unite sullo statuto dei Rifugiati (1951) e il suo
Protocollo addizionale (1967) forniscono la definizione legale universale di
rifugiato, applicabile a chiunque:
i) si trovi all’esterno del suo Stato d’origine;
ii) abbia giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua
religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza ad un determinato gruppo
sociale o le sue opinioni politiche, determinate su base individuale;
iii) essendo apolide e trovandosi fuori del suo Stato di domicilio in seguito a
tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.
5
Da questa definizione si evince che il diritto internazionale moderno è
essenzialmente organizzato attorno alla supremazia degli Stati. Pertanto,
poichè le leggi sulla protezione internazionale dei rifugiati si insediano nel
campo della sovranità dello Stato in senso normativo, nessuna volontà
sovranazionale o meccanismo di coercizione esistono a supporto di tali leggi.
6
In altre parole, a dispetto dell’importante influenza delle norme internazionali
sulla protezione dei rifugiati, nella pratica, le amministrazioni statali sono gli
arbitri finali.
Questa debolezza del diritto internazionale è stata descritta da Andrew
Linklater, il quale sottolinea che le norme di diritto internazionale
“garantiscono agli Stati sovrani il diritto di decidere in quale misura
ossequiare alle obbligazioni morali universali: queste furono ritenute doveri
imperfetti (indeterminati e incoercibili) piuttosto che doveri perfetti (stipulati
nel diritto e resi operanti con la forza)”.
7
5
Convenzione sullo statuto dei rifugiati, Ginevra 28 Luglio 1951, art. 1.
6
RICHARD FALK, FRIEDRICH KRATOCHWIL E SAUL H. MENDLOVITZ,
“Tensions between the Individual and the State”, Boulder, CO: Westview Press 1985, p. 473.
7
ANDREW LINKLATER, “The Evolving Spheres of International Justice”, International
Affairs 1999, Vol. 75, n°2, p. 480.
3
Queste osservazioni non sono volte a rigettare o sminuire la rilevanza e
l’impatto dei principi sulla protezione dei rifugiati internazionalmente
riconosciuti, ma sono utili a mettere in luce l’atteggiamento di sfida che la
sovranità dello Stato assume nei confronti della protezione, in senso ampio,
dei suoi cittadini.
1.2 Oggetto dello studio
Lo Stato della Thailandia condivide con l’Unione di Myanmar (Birmania) un
confine che si estende per 2.401 chilometri il quale è divenuto ospite a “lungo
termine” di un crescente flusso di rifugiati provenienti dalle confinanti terre
soggette a conflitto armato.
8
In questa sede si esamineranno la natura e le cause dello sfollamento dei
rifugiati nei territori dell’Unione di Myanmar: verrà investigato in che modo la
difficile situazione dei rifugiati birmani in Thailandia trova le sue più profonde
radici nella struttura e nelle conseguenze dei conflitti all’interno dello Stato
della Birmania e allo stesso tempo, saranno analizzati i multiformi aspetti
della reazione proveniente dalle terre di frontiera thailandesi e dalla comunità
internazionale, e le complessità della politica che regola le zone di confine. Il
capitolo conclusivo sarà infine dedicato ad esplorare i confini di una
potenziale responsabilità internazionale a carico degli individui appartenenti
alla Giunta militare birmana, che per decenni si sono macchiati dei peggiori
crimini nei confronti della popolazione civile. Questa è infatti apparsa la
conclusione più logica nel considerare la questione birmana poiché,
similmente a quanto concluso dal Procuratore Robert Jackson durante il
processo di Norimbera nel 1946 nei confronti dei leaders nazisti, ignorare la
responsabilità degli individui del Governo militare birmano per la crisi
umanitaria in corso nel Paese, equivarrebbe a negare che qualsiasi atrocità o
crimine siano mai stati commessi.
9
8
HAZEL J. LANG, “The Repatriation Predicament of Burmese Refugees in Thailand: A
Preliminary Analysis”, Working Paper n° 46, Camberra: Australian National University
2001, p. 1 ss.
9
Citazione di apertura del presente lavoro, p. III.
4
Questo studio metterà il luce come lo sfollamento risultante da un conflitto
caratterizzato dalla lotta per il controllo sui moderni Stati territoriali ha
trasformato le popolazioni civili in premeditati bersagli.
1.3 Antefatto ed esposizione della questione
Il termine “rifugiati” è definito sulla scorta del pericolo che questi soggetti
fuggono e dall’asilo che essi cercano.
10
Il crescente problema dei rifugiati birmani che hanno cercato asilo lungo il
confine thailandese manifesta drammaticamente l’insicurezza umana che
domina nelle terre adiacenti.
Fin dall’indipendenza dalla Gran Bretagna, nel 1948, la Birmania è stata
tormentata da un conflitto interno che si è protratto negli anni. Dopo
nemmeno tre mesi, il Paese si ritrovava coinvolto in uno scontro multiforme
che opponeva il Governo centrale della capitale Rangoon alla pletora di ribelli
anti-governo.
11
Insurrezioni di lunga durata, condotte dal Partito Comunista della Birmania
(1948–1989) e da un esteso numero di ben armate organizzazioni
etnopolitiche hanno diffuso il terrore tra le autorità centrali durante entrambe
le ere democratiche (1948–58, 1960–62) e il lungo periodo di dominazione
militare (1962–fino ad oggi).
Sotto i successivi governi, le tatmadaw (forze armate del Paese) hanno
reagito, sforzandosi di rendere il loro contro-attaco sempre più effettivo; ciò
ha indebolito e sconfitto alcuni dei suoi opponenti solo in tempi recenti.
Nelle terre di confine, dove attacchi e contro-attacchi erano stati intrapresi,
nel corso del tempo il conflitto è penetrato in modo crescente nel mezzo delle
vite della popolazione civile.
10
Online Etimology Dictionary, <www.etymonline.com>, Data di consultazione: 20 Gennaio
2008.
11
“Human Rights Yearbook, BURMA (Myanmar)”, 2000, p. 8 ss.
5
Cosa ciò ha comportato, il modo in cui questo si è verificato e le conseguenze
generate dallo sfollamento delle popolazioni civili costituiranno i concetti
chiave in questa ricerca.
1.4 Definizioni e termini
Birmania o Myanmar? Sia l’uso di un appellativo che dell’altro genera
contrversie. È ora divenuta consuetudine apporre una nota sulla questione,
mediante una breve storia dei cambiamenti del nome.
In seguito all’acquisizione del controllo del Paese da parte del Consiglio di
Ripristino della Legge e dell’Ordine dello Stato (SLORC) nel settembre 1988, il
nome ufficiale del Paese era stato mutato dalla forma vigente dopo il 1974
“Repubblica Socialista dell’Unione della Birmania”, alla designazione originale
adoperata a seguito dell’indipendenza dalla Gran Bretagna nel gennaio 1948:
“Unione della Birmania”.
12
Successivamente, nel luglio 1989, il Consiglio assegnò un nuovo appellativo al
Paese, rinominandolo “Unione di Myanmar” o “Myanmar Naing Ngan” in
diretta traslitterazione dalla lingua del Paese. A quel punto, numerosi altri
nomi, come quelli delle grandi città e divisioni amministrative, furono
modificati.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite e molti Governi riconobbero e
accettarono i cambiamenti, anche se contemporaneamente, Paesi come
l’Australia, gli Stati Uniti e numerosi Paesi Europei utilizzano tutt’ora
l’appellativo di “Stato della Birmania”.
Il problema dei cambiamenti di nome ha assunto un peso politico. Mentre il
Consiglio di Ripristino (e successivamente il suo sostituto, Consiglio per la
Pace e lo Sviluppo dello Stato -SPDC-) dichiara di aver semplicemente
ristabilito i nomi originali per il Paese, la sua opposizione politica ritiene
illegittimi i cambiamenti operati. I gruppi dell’opposizione considerano un
12
HAZEL J. LANG, “Fear and Sanctuary: Burmese Refugees in Thailand”, South East Asia
Program, New York 2002, p. 7 ss.
6
boicottaggio l’appellativo di “Myanmar”, come una forma di protesta nei
confronti del regime di abusi dei diritti dell’uomo e mancanza di consultazione
con riferimento ai cambiamenti posti in essere dal Consiglio.
Questa caratteristica retorica del nome del Paese non può essere trascurata e a
volte conduce al fanatismo.
È infine necessaria una nota in merito a SLORC e SPDC: il Consiglio per il
Ripristino della Legge e dell’Ordine dello Stato (SLORC) è l’appellativo della
Giunta composta da ventuno membri che ha assunto il potere il 18 Settembre
1988, in seguito alla repressione militare estesa a tutto il territorio nazionale,
dell’emergente corrente democratica. Questa struttura ha conservato un ruolo
temporaneo in sé, ma la Giunta è rimasta fermamente al potere sin da quel
momento. Il Consiglio si impegnò a costruire una struttura amministrativa
diffusa con consigli di ripristino della legge e dell’ordine distribuiti a livello
statale, distrettuale, comunale e nei villaggi. Nel novembre 1997, il Consiglio
viene ufficialmente dissolto (a numerosi membri fu “permesso di rassegnare le
dimissioni”, il che significa che numerosi soggetti corroti furono radiati).
La vecchia struttura fu sostituita con un Giunta di diciannove membri
costituenti il Consiglio per la Pace e lo Sviluppo dello Stato -SPDC.
Gli originali quattro dirigenti del vecchio Consiglio mantennero la loro
posizione di supremazia nella nuova ricostituita Giunta.
In modo significativo, i diciannove membri del Consiglio sono Ufficiali
Militari Superiori che includono i comandanti militari delle venti regioni
costituenti lo Stato della Birmania.
1.5 Background storico
Fin dall’Indipendenza nel 1948, la storia dello Stato della Birmania è stata
caratterizzata da un conflitto armato che si è prolungato negli anni, tra i
Regimi Militari che si sono succeduti e i gruppi dell’opposizione, sia legali che
armati. L’instabilità politica ha da sempre avuto radici in conflitti ideologici
7
tra lo Stato socialista e la resistenza comunista (che fu vicina a prendere sotto
controllo il Paese nei tardi anni’40 e primi anni’50) e successivamente, dal
1988 tra il Regime Militare e l’opposizione Democratica.
13
Infatti, in seguito
ad una turbolenta decade di politiche Parlamentari, l’esercito birmano
(tatmadaw) assunse temporaneamente il controllo dello Stato tra il 1958 e il
1960, prima di consolidare il suo potere in seguito al colpo di Stato del 1962.
Dagli anni’60, in particolare tra il 1960 e il 1988, la politica e le relazioni tra
Stato e società sono state dominate dalle forze militari, nella forma di regime
socialista. Dal colpo di Stato militare del Settembre 1988 la situazione si è
lievemente evoluta, passando ad una forma di esercizio del potere militare
lievemente più liberale ma ancora severamente autoritaria.
Nel 1989, il Partito Comunista di Burma (CPB), in passato incredibilmente
potente, crolla, dando modo alle tatmadaw di concentrare le loro forze sulle
insorgenze etniche, che a quel tempo erano per lo più stanziate nelle zone
settentrionali ed orientali del confine.
In generale, il conflitto che si è protratto in maniera più radicale è stato tra il
Governo ed una debole coalizione di nazionalità etniche di origine non
birmana, che hanno continuato a combattere per la loro autonomia.
14
Si tratta
degli Stati di Arakan, Chin, Kachin, Karen, Karenni, Mon, Sahn e altri,
ospitanti per gran parte minoranze etniche o popolazioni indigene.
La portata del conflitto armato si è ridotta negli anni’90 grazie alla
negoziazione di diciassette accordi di cessate-il-fuoco con numerose forze
etniche nazionaliste. Mentre questi accordi hanno condotto allo stabilimento
di Regioni Speciali con un certo grado di autonomia amministrativa, profondi
rancori politici rimasero disseminati e gli abusi dei diritti umani continuarono
a protrarsi. Verso la metà degli anni’90, l’accordo di tregua tra la capitale
Rangoon e il Partito Progressista Nazionale dello Stato di Karenni (KNPP) è
durato solamente un paio di mesi; la tregua con il nuovo Partito dello Stato di
13
ASHLEY SOUTH, “Burma: the Changing Nature of Displacement Crises”, RSC Working
Paper n° 39, 2007, p. 3.
14
“Internal Displacement in Eastern Burma”, Thailand Burmese Border Consortium,
Relazione 2007, p. 10 ss.
8
Mon (NMSP’s) è stata mantenuta, ma la sua autorità è stata messa a dura
prova dalla distribuzione di truppe dell’esercito birmano nelle aree
precedentemente controllate dallo Stato di Mon. Una divisione all’interno
dell’Unione Nazionale dello Stato di Karen nel 1994 ha infine contribuito ad
un’espansione del controllo da parte dell’esercito birmano.
Nonostante la cessazione delle ostilità nelle zone etniche, il Paese rimase sotto
il controllo militare. L’appello annuale dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite per la democratizzazione, la salvaguardia dei diritti dell’uomo e il
dialogo, tripartito tra i militari, l’opposizione democratica e le rappresentanze
etniche fu ignorato. Linee guida per una nuova Costituzione furono infine
stese solo nel Settembre 2007, dalla prima auto-proclamata fase della Giunta
militare di cammino verso la Democrazia.
In ogni caso, gli emendamenti proposti dalle minoranze etniche per
promuovere la Democrazia federale furono sovvertiti. In luogo di questi, le
linee guida assicurano che il Regime Militare eserciterà controllo sui Ministri
che occupano posizioni chiave, si riserverà gran parte dei posti non assegnati
in tutti i corpi legislativi e avrà il potere di legittimare gli abusi dei diritti
dell’uomo per mezzo di immunità costituzionali.
La protesta contro il Governo birmano, scoppiata il 15 Agosto 2007, ha avuto
come causa immediata la decisione senza preavviso, da parte del Consiglio per
la Pace e lo Sviluppo dello Stato, d’interrompere le sovvenzioni sul carburante,
causando un aumento improvviso del prezzo del greggio pari al 100% e
contribuendo a peggiorare ulteriormente le prospettive di vita dei cittadini già
impoveriti.
15
Condotte inizialmente da studenti e attivisti politici
dell’opposizione, le manifestazioni furono rapidamente e aspramente
soppresse avendo come esito l’incarcerazione di dozzine di protestanti. Dal 18
Settembre le manifestazioni furono condotte da migliaia di monaci Buddisti,
fenomeno denominato “Saffron Revolution”, evolvendosi fino al punto da
indurre la Giunta a proporre un sostanziale dialogo politico finalizzato ad una
15
“Burma Leaders Double Fuel Prices”, BBC News, 15 Agosto 2007.
9
riconciliazione nazionale con l’opposizione pro-democratica e le minoranze
etniche. Questa manifestazione, repressa con la violenza, può forse apparire
drammatica nella sua evoluzione, ma ha inevitabilmente riflesso la frustazione
della popolazione nei confronti del Regime Militare e della pessima
organizzazione generale.
10
2. Situazione dei rifugiati dell’Unione di Myanmar
2.1 Classificazione dei tipi di sfollamento
Il termine “rifugiato” è di frequente utilizzato dai media, dai politici e dal
pubblico per qualificare chiunque sia stato costretto ad abbandonare il suo
usuale luogo di residenza. Normalmente, quando il vocabolo è usato in questa
accezione generale, un minimo sforzo è compiuto per distinguere tra coloro
che si sono trovati costretti ad abbandonare il Paese stesso e coloro che sono
stati sfollati rimanendo all’interno dei confini dello Stato in cui vivono.
1
Non
viene nemmeno prestata sufficiente attenzione alle cause dell’esodo: sia che le
persone fuggano dalla persecuzione, dalla violenza politica, da conflitti locali,
disastri ecologici o povertà, sono tutti considerati come rifugiati.
Tuttavia, per il diritto internazionale, come sopra esposto, il termine ha una
valenza molto più specifica: la Convenzione delle Nazioni Unite del 1951
circoscrive la categoria di “rifugiati” a coloro che hanno attraversato il confine
dello Stato presso il quale hanno la cittadinanza. Per gli sfollati che restano
all’interno del territorio, invece, non esiste una definizione legale sebbene un
Report delle Nazioni Unite li qualifica come: “persone o gruppi di persone che
sono state forzate o obbligate ad abbandonare le loro abitazioni o luoghi di
abituale residenza come risultato o al fine di evitare gli effetti di un conflitto
armato, situazioni di violenza generalizzata, violazione dei diritti dell’uomo o
disastri causati dall’uomo, e che non hanno attraversato il confine di uno Stato
internazionalmente riconosciuto”.
2
L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ha ricevuto mandato
dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale n° 428 (V) del 14 Dicembre 1950,
di “guidare e coordinare l’azione internazionale per la protezione universale
dei rifugiati e la soluzione dei problemi loro concernenti […] sotto la guida
1
“The Status of World’s Refugees”, pubblicazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni
Unite per i Rifugiati, 1998, p. 51 ss.
2
"United Nations Guiding Principles on Internal Displacement", Pubblicazione dell'Ufficio
delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, 1998, par. 2 Introduzione.
11
della Convenzione delle Nazioni Unite del 1951 relativa allo status dei rifugiati
e il suo protocollo del 1967.
3
I soggetti qualificati “rifugiati” costituiscono quindi un sottogruppo della più
ampia categoria di individui definiti “sfollati”. Alla classe dei “rifugiati”
riconosciuta in base alle norme di diritto internazionale non appartengono
coloro che sono costretti ad abbandonare le loro abitazioni a causa di
problemi ambientali, così come non sono inclusi gli sfollati che rimangono
all’interno del territorio del loro Stato di origine (definiti Internally Displaced
Persons -IDPs-).
In questa sede, tuttavia, per un’analisi più completa, verranno analizzati sia lo
sfollamento interno, sia quello esterno al territorio dell’Unione di Myanmar.
2.1.1. Lo sfollamento interno
In questa sede saranno compiuti alcuni sforzi per descrivere ciò che il
dislocamento significa per i soggetti che lo vivono in prima persona: gli effetti
che esso comporta sulla loro vita economica, politica, culturale e morale. Le
seguenti categorie non rappresentano tutte le possibili varietà di dislocamento
all’interno del territorio dell’Unione, né pretendono essere esaustive, ma sono
un’utile e semplice modalità di comparazione delle circostanze in cui si
trovano gruppi etnici e sociali coinvolti in conflitti interni.
4
Esistono quattro tipi di sfollamento all’interno dell’Unione di Myanmar:
5
1) Dislocamento forzato: gli abitanti dei villaggi sono allontanati dalle loro
abitazioni e trasferiti in luoghi posti sotto lo stretto controllo del Governo.
Generalmente gli abitanti dei villaggi trasferiti forzatamente sono costretti a
emigrare verso aree che il Consiglio di Sviluppo per la Pace dello Stato
3
“Mission Statement”, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, 24 Ottobre
2007.
4
C. MADSEN, “Caught Between Borders: Response Strategies of the Internally Displaced”,
Londra 2001, p. 140.
5
“Human Rights Yearbook, Burma (Myanmar). Violations against the Dignity, Livelihood
and Fundamental Rights of People in Burma Perpetrated by the Military Dictatorship of
Rangoon”, 2000, p. 521.
12
denomina “luoghi di dislocamento”. Questi siti sono spesso ubicati in altri
villaggi o città che si trovano nei pressi di basi militari, su strade secondarie
dove non esistono villaggi o su terreni sterili dove non esistono risorse e mezzi
di trasporto. Nei casi di reinsediamento urbano o progetti di miglioramento,
gli abitanti delle città vengono trasferiti in zone periferiche definite “città
satelliti”. Alle famiglie trasferite forzatamente spesso non è data la possibilità
di portare con sé le loro pertinenze e ciò si aggiunge alla difficoltà del nuovo
insediamento.
2) Dislocamento sociale: gli abitanti dei villaggi abbandonano le loro
abitazioni volontariamente insediandosi in luoghi in cui possono sopravvivere
grazie alle risorse di comunità pre-esistenti.
Numerosi abitanti dei villaggi soffrono di abusi derivanti dal “four-cut
Program” messo in opera dal Consiglio nei confronti dei gruppi
dell’opposizione. Il programma, introdotto nel 1974, mirava a privare i gruppi
della resistenza di cibo, fondi, reclute e informazioni e si è ripercosso nel
tempo sulle popolazioni civili. Queste ultime, nella speranza che gli abusi
sarebbero stati inferiori rispetto alle aree di conflitto, hanno scelto
spontaneamente di reinsediarsi in zone sottoposte al totale controllo del
Consiglio o in cui era loro offerto l’appoggio di familiari e amici i quali però,
nella maggior parte delle ipotesi, non erano in grado di offrire un supporto
extra in quanto anch’essi si trovavano in situazioni di estrema povertà e
sofferenza. Inoltre, poiché la maggior parte dei migranti sono agricoltori,
questi si trovano a fronteggiare enormi difficoltà quando costretti a trasferirsi
in nuove città o villaggi, a causa della scarsità di terreni coltivabili a
disposizione. Nelle grandi città, i coltivatori di terre sono spesso costretti a
cercare lavori giornalieri in cambio di salari irrisori. In aggiunta, coloro che si
trasferiscono in aree controllate dal Consiglio subiscono gli stessi abusi degli
abitanti dei villaggi adiacenti: lavori forzati, estorsione di denaro e controlli
sono pratiche comuni all’interno dello Stato birmano.
3) Dislocamento sociale in aree e campi posti sotto il controllo dei gruppi
armati dell’opposizione.
13
Gli abitanti dei villaggi che hanno deciso spontaneamente di abbandonare le
loro abitazioni e comunità per uno qualsiasi dei motivi sopra menzionati, a
volte sono in grado di cercare rifugio in zone poste sotto il controllo dei gruppi
dell’opposizione, nelle cui aree ritengono di poter ricevere un certo grado di
protezione contro gli abusi del Consiglio senza necessità di dover attraversare
i confini del loro Paese. Numerosi gruppi delle armate dell’opposizione
istituiscono campi e luoghi di reinsediamento nelle aree da loro controllate.
Tuttavia in questi luoghi, come in quelli istituiti dal Governo, infrastrutture e
servizi sono molto limitati e il rifugio offerto solamente temporaneo. La
facoltà di accesso al cibo, all’educazione, al sistema sanitario è precaria, così
come il livello di sicurezza. In alcuni campi, scuole, centri sanitari e altri
servizi sono disponibili per un numero limitato di sfollati e non esistono
opportunità d’impiego. Per queste ragioni, questi soggetti devono abituarsi a
vivere di qualsiasi mezzo di sopravvivenza che i gruppi dell’Opposizone
possono loro procurare.
4) Dislocamento nelle giungle: coloro che che vivono in remote aree rurali
cercano nascondiglio nelle giungle, nei campi e in altre aree del Paese che si
trovino al riparo dal pericolo di conflitto.
Fino all’anno 2000 si è stimata l’esistenza di circa un milione di soggetti che
hanno cercato nascondiglio nelle zone di confine alle aree in conflitto: queste
persone sono quelle con minore accesso ai minimi mezzi di sopravvivenza. Gli
abitanti di questi villaggi si sono ritrovati a doversi nascondere, malgrado il
rischio, a causa di vari fattori. Si tratta di coloro che:
▪ fuggono dalle truppe del Consiglio prima del loro arrivo;
▪ non possono sopportare ulterioremente gli abusi di cui sono vittime nei
loro villaggi;
▪ si trovano a doversi forzatamente trasferire in luoghi di reinserimento o in
altri siti, ma che si sono rifiutati di obbedire;
▪ hanno abbandonato i luoghi di reinserimento a causa delle insostenibili
condizioni di vita.
14
Gli appartenenti a questa categoria, sono considerati nemici dalle truppe del
Consiglio: questi soggetti vengono fucilati a vista o altrimenti catturati,
torturati o addirittura uccisi in qualsiasi luogo vengano sorpresi.
Con il pretesto di perlustrare le zone sotto il controllo delle forze
dell’opposizione, il Consiglio ha indetto numerose operazioni “search and
distroy”, in cui i soldati si dedicano alla ricerca di qualsiasi cosa possano
distruggere e qualsiasi persona possano sterminare.
Alcuni abitanti in fuga spesso si nascondono in aree prossime ai villaggi che
sono stati costretti ad abbandonare al fine di tentare di raccogliere le loro
colture in segreto. Questo atteggiamento è estremamente pericoloso perché
nella maggior parte dei casi conduce alla morte.
Ma il problema maggiore con cui devono confrontarsi coloro che si
nascondono sono i disturbi sanitari. La vita nei tropici senza riparo o
approvvigionamento di cibo conduce a serie malattie ed aumenta il tasso di
mortalità a causa di malnutrizione, disturbi intestinali e malaria. In completa
assenza di strutture sanitarie, le persone si affidano all’uso di erbe o cure
tradizionali: in questo modo il tasso di mortalità aumenta a ritmi allarmanti
perché anche le malattie facilmente curabili o prevenibili e le piccole ferite
diventano letali.
6
Per coloro che si nascondono nelle giungle, le scuole vengono allestite in
temporanee strutture in cui insegnanti volontari prestano il loro servizio.
Questi impianti sono privi di ogni attrezzatura e devono essere trasferiti da un
luogo ad un altro a seconda delle mosse del Consiglio.
2.1.1.1. Principali cause dello sfollamento interno
La situazione degli sfollati all’interno del territorio dell’Unione è in larga parte
conseguenza della presenza delle Armate, ed è occorsa principalmente
6
“Chronic Emergency: Health and Human Rights in Eastern Burma”, BPHWT, Settembre
2006.
15
durante i periodo in cui il Paese è stato soggetto al controllo militare.
7
Il
dislocamento causato dalle norme e politiche militari ha condotto allo
sfollamento all’interno di tutto il territorio. Dietro al pretesto di una volontà di
sviluppo regionale, terre private e piantagioni dei civili sono state confiscate
dai militari, senza alcun compenso, al fine di costruire strade e ferrovie,
insediamenti militari, aziende agricole o fattorie per allevare bestiame. Ciò ha
costretto gli abitanti a migrare verso nuove terre o nuove aree caratterizzate
da una precaria speranza di sostentamento per il futuro. Inoltre, il Regime ha
costretto numerose popolazioni urbane a trasferirsi in zone site lontano dai
centri abitati. Il Paese è stato progressivamente impoverito dalla politica
economica del Regime e dalla costante richiesta di denaro agli abitanti da
parte della corrotta Elite militare: ciò ha avuto come conseguenza lo
sfollamento di migliaia di persone per ragioni economiche. Finora i
dislocamenti più significativi si sono verificati nelle zone etniche del confine
dove il Regime Militare si è trovato in guerra con i gruppi etnici armati
dell’opposizione per oltre cinquant’anni. Degli sfollati interni, circa un milione
provengono dalla parte orientale e sud orientale del Paese, dove sono stanziati
i gruppi etnici delle regioni di Shan, Karenni, Mon e Karen e in cui i gruppi
armati dell’opposizione sono tutt’ora attivi.
Schematizzando, senza la pretesa di essere esaustivi, i principali fattori
generatori dello sfollamento interno, tutti correlati alla presenza delle forze
del Consiglio e della loro politica repressiva, sono i seguenti:
8
▪ trasferimento forzato degli abitanti dei villaggi, da parte delle truppe
armate del Governo, nell’ambito del Programma Militare “Four-Cuts”;
▪ trasferimento forzato con lo scopo di reinsediamento urbano o “progetti di
abbellimento”, spesso associati al desiderio del Consiglio di promuovere il
turismo nella Regione;
7
“Human Rights Yearbook, Burma (Myanmar). Violations against the Dignity, Livelihood
and Fundamental Rights of People in Burma Perpetrated by the Military Dictatorship of
Rangoon”, cit., p. 519 ss.
8
“Human Rights Yearbook, Burma (Myanmar). Violations against the Dignity, Livelihood
and Fundamental Rights of People in Burma Perpetrated by the Military Dictatorship of
Rangoon”, cit., p. 519 ss.