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INTRODUZIONE 
 
Obiettivo cardine di questa tesi è quello di esplorare nonché approfondire un 
tema oggi molto dibattuto e più che mai attuale: quello della costruzione e 
dell’apertura, in Italia e nel resto d’Europa, dei luoghi del culto islamico.  
La presenza musulmana in Europa è un fatto relativamente recente (con 
l’esclusione di alcune comunità storiche, stanziate, per esempio, in Bulgaria, 
Romania, Tracia e Bosnia) ed è il frutto di alcune ondate migratorie che, come 
vedremo, si sono susseguite dagli anni Sessanta in poi. È solo a partire dai due 
decenni appena trascorsi, però, che tale presenza ha iniziato a porre una serie di 
problemi giuridici, strettamente connessi al carattere di stabilità assunto dalla 
permanenza dei musulmani sul continente. Tra questi problemi rientra, senza 
dubbio, appunto, quello della costruzione/apertura di moschee, sale di preghiera 
ed, in generale, luoghi di culto islamici.  
Il diritto di avere un edificio di culto, dove i fedeli di una confessione 
religiosa possono incontrarsi al fine di praticare i loro riti e tenere riunioni, fa 
parte del più ampio diritto di libertà religiosa, garantito sia da norme contenute in 
trattati internazionali, che da disposizioni presenti in tutte le Costituzioni dei 
diversi Paesi europei. In linea teorica, quindi, non vi è nessun dubbio sul fatto che 
i musulmani debbano godere del diritto di avere moschee. Nella pratica, però, essi 
incontrano numerosi problemi e difficoltà e, nella maggior parte dei casi, risulta 
per gli appartenenti a questa confessione molto complesso valersi di tale facoltà.  
In particolare, lo scopo dell’elaborato è quello di indagare su queste 
problematiche, al fine di capire se le regole generali che vengono di norma 
applicate alla costruzione e all’apertura di un edificio di culto di una qualsiasi 
confessione religiosa, siano applicate anche nei confronti dei luoghi di preghiera 
musulmani o se, al contrario, esista per le moschee una sorta di “diritto speciale”, 
che si discosta dalla prassi comune.  
La tesi si articola in cinque capitoli: i primi due affrontano argomenti di 
carattere generale, mentre gli altri tre trattano altrettanti problemi specifici legati
6 
alla costruzione e all’apertura di moschee e sale di preghiera, riscontrabili in Italia 
ma anche in gran parte degli Stati europei. Nel corso dell’elaborato, la disciplina e 
le esperienze italiane, a causa della loro rilevanza ed, in molti casi, unicità, sono 
state trattate in paragrafi separati rispetto a quelle del resto d’Europa. 
Il primo capitolo è dedicato ad una panoramica generale sulla condizione 
dell’Islam in Italia e in Europa e muove dal presupposto di comprendere quale 
posizione esso occupi all’interno dei sistemi giuridici dei diversi Paesi.  
Esiste, infatti, secondo parte autorevole della dottrina
1
, un nuovo modello di 
relazioni Stato-confessioni religiose, che annovera tra i propri principi, oltre alla 
libertà religiosa e all’’autonomia delle confessioni, la collaborazione selettiva, 
secondo cui uno Stato non coopera allo stesso modo e con la stessa intensità con 
le diverse confessioni presenti sul suo territorio. Posto che la presenza islamica in 
Europa è rilevante (secondo alcune stime i musulmani sul continente sarebbero 
circa 16 milioni e mezzo, a fronte di una popolazione di 700 milioni di europei), 
sono state analizzate le modalità, il grado e l’ampiezza di tale collaborazione dello 
Stato con la comunità musulmana. Sulla base di questi parametri è, infatti, 
possibile stabilire quale posizione di un’ideale piramide composta da tre gradini 
(confessione privilegiata, confessione tendenzialmente equiparata a quella 
privilegiata, confessione non privilegiata) occupi l’Islam nei diversi Stati. 
Per quanto riguarda l’Italia, è stata presa in considerazione la disciplina 
costituzionale del fatto religioso e saranno, per questo, esaminati nel dettaglio i 
contenuti degli artt. 19 e 8 cost.. Una particolare attenzione sarà, poi, posta sul 
fatto che ad oggi, non è ancora stata conclusa un’intesa tra lo Stato italiano e la 
confessione islamica ai sensi dell’art. 8 comma 3 cost., a causa di una serie di 
problemi e questo colloca inevitabilmente l’Islam all’ultimo gradino della 
piramide. 
                                                
 
1
 S. FERRARI, The legal dimension, in S. ALLIEVI, F. DASSETTO, J. NIELSEN (eds.), 
“Muslims in the enlarged Europe- Religion and Society. Muslim minority”, 2003, Leiden, E. J. 
Brill, vol. 2, pp. 220-221.
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Nell’ultimo paragrafo è, infine, preso in considerazione lo statuto giuridico 
dell’Islam nel resto d’Europa e si nota come, nella maggior parte dei Paesi 
europei, similmente all’Italia, esso non possa essere considerato come confessione 
tendenzialmente equiparabile a quella privilegiata.  
Il secondo capitolo è volto a fondare giuridicamente l’argomento secondo 
cui il diritto di avere un luogo di culto (e, quindi, anche una moschea) è parte 
integrante del diritto di libertà religiosa, con la conseguenza che una violazione 
del primo si traduce in una violazione del secondo. A sostegno di ciò, è citata una 
pronuncia della Corte europea dei diritti dell’uomo, Manoussakis e al. v. Grecia 
del 26 settembre 1996, in cui si constata una violazione dell’art. 9 CEDU da parte 
della Grecia, fondata sul diniego delle autorità elleniche di concedere a un gruppo 
di Testimoni di Geova l’autorizzazione necessaria al fine di aprire un edificio di 
culto. 
Sono poi esaminate la definizione di moschea (con una breve classificazione 
in cui gli edifici del culto islamico possono essere suddivisi) e la loro diffusione 
sul continente. In via introduttiva, è necessario sottolineare che, se sul piano 
quantitativo sembrano non emergere particolari problemi (1 edificio del culto 
islamico ogni 1890 fedeli), ve ne sono invece dal punto di vista qualitativo (molto 
spesso nel calcolo sono compresi anche garage, capannoni e, in generale, luoghi 
poco adeguati e non dediti esclusivamente alla professione di fede). 
Modificare questa situazione risulta essere molto complesso e tutt’oggi la 
costruzione/apertura di luoghi del culto islamico continua ad incontrare numerosi 
problemi e non è quasi mai avvenuta se non in seguito a dibattiti, che hanno 
coinvolto nella maggior parte dei casi ampi strati dell’opinione pubblica. 
Il terzo capitolo affronta la prima problematica che i musulmani incontrano 
nell’esercizio del loro diritto fondamentale di avere un luogo di culto. Essi 
devono, infatti, confrontarsi innanzitutto con le norme generali relative 
all’edificazione/apertura di un qualsiasi luogo di culto. Con l’eccezione di 
Svizzera ed Austria, nessun Paese presenta nel proprio ordinamento disposizioni 
specificamente dedicate alla costruzione di moschee e minareti. In realtà, però, le
8 
regole generali vengono, molto spesso, disattese. A questo proposito, saranno 
vagliati i metodi utilizzati dalle autorità pubbliche al fine di negare, o quantomeno 
ritardare il più possibile, la costruzione/apertura di moschee e sale di preghiera. Il 
rifiuto alla costruzione/apertura di questi edifici di culto non è, infatti, quasi mai 
stato espresso a chiare lettere ed è spesso celato dietro al mancato rispetto delle 
norme di urbanizzazione, di sicurezza o al mancato raggiungimento di un accordo 
tra la municipalità e l’associazione interessata. Le problematiche riscontrate in 
Italia e nel resto d’Europa (in particolare nel Regno Unito, Germania, Francia e 
Spagna) sono, peraltro, molto simili. Vi sono, però, anche importanti eccezioni, 
come viene in rilievo dall’esempio di alcune città del Belgio e dei Paesi Bassi, che 
rappresentano importanti eccezioni, i cui funzionari pubblici hanno tenuto un 
comportamento particolarmente virtuoso nei confronti delle richieste avanzate dal 
musulmani al fine di poter costruire/aprire un loro edificio di culto. Da ultimo, 
verrà richiamata brevemente la questione della chiamata alla preghiera. 
La seconda problematica affrontata è quella relativa al finanziamento delle 
moschee e viene indagata nel quarto capitolo. In primo luogo, verranno prese in 
considerazione le paure dei governi europei circa le sovvenzioni private e, in 
particolar modo, quelle provenienti da Paesi che non rispecchiano gli standards 
democratici. In secondo luogo, verranno analizzate le diverse discipline giuridiche 
di alcuni Stati europei, allo scopo di capire se anche in questo caso è riservato ai 
musulmani un trattamento diverso da quello riservato alle altre confessioni e 
particolarmente sfavorevole. Per quanto riguarda l’Italia, si esamineranno alcune 
normative regionali in materia, ponendo particolare attenzione al fatto che, a 
volte, queste richiedono come prerequisito al finanziamento dell’edilizia religiosa 
la stipula di un’intesa tra la confessione interessata e lo Stato. Per quanto concerne 
gli altri Paesi europei, sarà fatta particolare menzione della disciplina francese, 
belga e neerlandese in materia. 
Infine, nel quinto e ultimo capitolo sarà trattata la questione del referendum. 
In molti Paesi d’Europa, infatti, anche quando i progetti di moschea sono stati 
regolarmente approvati dalle autorità in quanto rispettano le norme generali sulla
9 
costruzione/apertura degli edifici di culto e non si pongono particolari problemi di 
finanziamento, è stata rilevata la tendenza di alcuni esponenti, appartenenti 
solitamente a partiti di destra, a chiedere l’indizione di referendum, attraverso i 
quali si vuole accertare la desiderabilità o meno della costruzione/apertura di 
moschee e minareti nel luogo interessato.  
Saranno analizzati, in particolare, il caso svizzero, dove a seguito di un 
referendum, tenutosi il 29 novembre 2009, la Costituzione è stata novellata e 
all’articolo 72 è stato aggiunto un terzo comma che vieta esplicitamente la 
costruzione di nuovi minareti, e varie esperienze verificatesi in alcune città e 
comuni italiani (Colle val d’Elsa, Padova, Genova, Firenze e Ravenna), nonché 
due progetti di legge presentati in Parlamento da alcuni esponenti della Lega Nord 
(nn. 4858 e 1246, recanti disposizioni relative alla realizzazione di nuovi edifici 
destinati all’esercizio dei culti ammessi). Infine, sarà dato spazio a simili proposte 
presentate in altri Paesi europei, e segnatamente in Slovenia, Paesi Bassi, Francia 
e Belgio.
11 
CAPITOLO 1 
L’ISLAM IN EUROPA 
 
1.1. Il modello europeo di rapporti tra Stato e confessioni religiose 
 
La tripartizione classica in cui solitamente sono stati classificati i Paesi 
dell’Europa (sistemi concordatari
2
, con una Chiesa di Stato
3
 e separatisti
4
) è 
diventata ormai obsoleta, sia da un punto di vista culturale, che giuridico
5
. In 
primo luogo, questa rigida suddivisione sembra essere subordinata ad una 
concezione dell’Europa, come divisa in tre categorie distinte: Paesi a maggioranza 
protestante, Paesi a maggioranza cattolica con un Concordato e Paesi separatisti 
che hanno proclamato il principio di laicità
6
. È evidente, però, che la complessità 
del fenomeno religioso in Europa non può essere ricompresa in una 
classificazione di questo tipo. Da un punto di vista più strettamente giuridico, la 
ripartizione in Stati concordatari/separatisti/con una Chiesa di Stato assegna 
un’eccessiva importanza sia al tipo di fonte che regola le relazioni tra Stato e 
                                                
 
2
 In questa categoria ritroviamo quegli Stati che hanno stipulato un “concordato” con la Chiesa 
cattolica, come Portogallo, Spagna, Austria ed Italia. Anche la Germania è formalmente uno Stato 
concordatario, ma esistono, in realtà, due Chiese storiche (quella cattolica e quella protestante). 
Anche Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Ungheria, Slovacchia, Croazia, Yugoslavia, Principato 
di Monaco, Repubblica di San Marino, Malta e alcuni cantoni svizzeri presentano concordati 
ancora in vigore. Come vedremo meglio nel prossimo paragrafo, solo la Spagna ha concluso un 
accordo bilaterale con i musulmani. Cfr. S. FERRARI, The legal dimension, cit., pp. 220-221. Per 
una ricostruzione più dettagliata dei rapporti Stato-Chiesa nei Paesi dell’Unione Europea, si veda 
anche G. ROBBERS, State and Church in the European Union, Nomos Verlagsgesellschaft, 
Baden-Baden, 2008. 
3
 Inghilterra, Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia e Finlandia si qualificano come Paesi 
unionisti, che prevedono cioè una Chiesa (due, nel caso finlandese) subordinata allo Stato. In 
nessuno di questi Paesi l’Islam è la religione di Stato. Cfr. S. FERRARI, The legal dimension, pp. 
221-222. 
4
 Questo gruppo comprende quei Paesi che non hanno stipulato concordati o accordi bilaterali con 
alcuna confessione religiosa e che non hanno una Chiesa di Stato. Si tratta di una categoria 
residuale, di cui fanno parte Francia, Paesi Bassi, Belgio e Irlanda. Ibi, p. 223. 
5
 Per una breve ma esauriente ricostruzione delle principali caratteristiche di questi sistemi vedi, 
ad esempio, T. RIMOLDI, I rapporti Stato-Chiesa nell’Europa dei Quindici, 1 gennaio 2005, in 
www.olir.it, pp. 1-12 e D. LOPRIENO, La libertà religiosa, Giuffrè, Milano, 2009, pp. 224-236. 
6
 Cfr. S. FERRARI, The legal dimension, cit., pp. 224-225.
12 
Chiesa (bilaterale o unilaterale), sia alla qualificazione formale delle relazioni 
stesse (presenza o meno di una Chiesa privilegiata)
7
.  
Un superamento di questa rigida suddivisione è possibile, se si prendono in 
considerazione gli elementi comuni che i vari Stati europei condividono in 
materia di rapporti Stato-confessioni religiose. Ferrari sostiene, appunto, 
l’esistenza di un vero e proprio modello europeo di rapporti tra Stato e Chiese e 
ritiene che esso si basi fondamentalmente su tre principi, su cui si fondano tutti gli 
ordinamenti giuridici dei Paesi europei, anche se in varie forme e con una forza 
diversa. Essi sono la protezione del diritti individuale di libertà religiosa, 
l’autonomia dottrinale ed organizzativa delle confessioni (cui corrisponde il 
dovere di non interferenza da parte dello Stato sulle questioni religiose), e, infine, 
la collaborazione selettiva tra Stato e confessioni religiose. 
Per quanto riguarda il primo principio, è necessario ricordare che tutti gli 
Stati membri del Consiglio d’Europa hanno ratificato la Convenzione Europea dei 
diritti dell’uomo
8
 e il Patto sui diritti civili e politici
9
, che, rispettivamente, agli 
articoli 9 e 18, proclamano il diritto di libertà regiosa; inoltre, gli Stati membri 
dell’Unione Europea hanno firmato la Carta dei diritti fondamentali, il cui articolo 
                                                
 
7
 Ibidem. 
8
 Secondo l’art. 9 della CEDU, “Everyone has the right to freedom of thought, conscience and 
religion; this right includes freedom to change his religion or belief, and freedom, either alone or 
in community with others and in public or in private, to manifest his religion or belief, in worship, 
observance, practice and teaching. 
Freedom to manifest one’s religion or beliefs shall be subject only to such limitations as are 
prescribed by law and necessary in a democratic society in the interests of public safety, for the 
protection of public order, health or morals or the protection of the rights and freedom of others.” 
9
 Secondo l’art. 18 del Patto sui diritti civili e politici, “Everyone shall have the right to freedom of 
thought, conscience and religion. This right shall include freedom to have or adopt a religion or 
belief of his choice, and freedom, either individually or in community with others and in public or 
in private, to manifest his religion or belief in worship, observance, practice and teaching. 
No one should be subject to coercion which would impair his freedom to have or adopt a religion 
or belief of his choice. 
Freedom to manifest one’s religion or beliefs may be subject only to such limitations as are 
prescribed by law and necessary to protect public safety, order, health, or morals or the 
fundamental rights and freedom of others. 
The States Parties to the present Covenant undertake to have respect for the liberty of parents and, 
when applicable, legal guardians to ensure the religious and moral education of their children in 
conformity with their own convictions.”