2
Dunque, perché si possa, in generale, cominciare è necessario «presupporre»
qualcosa come un’“idea direttrice”. Senza la luce irradiata da quest’idea il nostro
domandare sarebbe incapace di orientarsi e, come tale, condannato a vagare
‘a tentoni’ fra gruppi isolati di citazioni tratte da testi diversi quali opere, confe-
renze, corsi universitari, lettere. Il problema del cominciamento si concentra
quindi nel compito di guadagnare espressamente quella prospettiva sull’oggetto
tematico, in virtù della quale soltanto è possibile che l’interpretazione acquisisca
il filo conduttore cui dovranno commisurarsi tutti i suoi passi. Ma, se così stanno
le cose, come è possibile assicurarsi della legittimità di una simile «presupposi-
zione» se è proprio questa ad istituire il ricercare, ossia, il procedere dimostrati-
vo dell’interpretazione? Se l’unica possibile «dimostrazione» della verità del
«presupposto» può essere fornita soltanto dalla ricerca che questo stesso autoriz-
za e che di esso si nutre, la possibilità di ottenere scientificamente, vale a dire,
all’interno di un dimostrare, l’idea direttrice non si trova ad essere inficiata dalla
stessa natura fondante della previsione che la offre? Indubbiamente questa situa-
zione circolare
2
, in cui il domandare sembra trovarsi strutturalmente, comporta il
carattere di radicale problematicità dell’acquisizione iniziale della prospettiva
come un dato assolutamente ineliminabile – carattere che determina altresì il ri-
cercare come un ‘rischiare’ e un ‘osare’ esposto necessariamente alla possibilità
di fallire. Tuttavia, se questo rischio si presenta in tutta la sua gravità per i grandi
pensatori nell’atto stesso in cui ripropongono in forma nuova il problema della
filosofia, esso risulta appena attenuato per chi si accinge nel tentativo di com-
prendere una determinata filosofia tramandata. In questo caso, infatti, sussiste
quasi sempre la possibilità di appellarsi all’autore di quella filosofia e ottenere
così i necessari chiarimenti.
Il corso friburghese del semestre estivo del 1919 Fenomenologia e filosofia
trascendentale dei valori, dedicato a un confronto con la filosofia trascendentale
dei valori di H. Rickert e W. Windelband, si apre con un’esposizione storica vol-
ta a seguire le “forze propulsive”
3
di questa filosofia. Circa il senso di un simile
modo di procedere, Heidegger precisa:
Questa trattazione storico-spirituale […] non va però considerata, come è invece normale
nelle considerazioni storiografiche preliminari, come una mera introduzione, come il
semplice iniziar-ora-da-qualche-parte perché bisogna pur iniziare, ma il comprendere i
motivi storico-spirituali è anch’esso un elemento genuino del preparare e dell’affrontare
la critica fenomenologica
4
.
L’indicazione che traiamo da questo passo è quella secondo cui una critica che
voglia qualificarsi come «fenomenologica» deve iniziare rivolgendo la propria
attenzione ai “motivi storico-spirituali” di un problema. Se facciamo nostro
quest’imperativo metodico generale, in vista della possibilità di garantirci un ac-
cesso adeguato a Essere e tempo, allora è chiaro che un esame accurato di quei
testi nei quali Heidegger si è espresso in merito alla «situazione storica» dalla
quale quella ricerca ha preso le mosse, s’impone da sé
5
. Nel Vorwort vi è, fra gli
altri, u n riferimento che immediatamente attira l’attenzione del lettore:
2
Sul circolo ermeneutico, cfr. HGA II, § 32.
3
HGA LVI-LVII, p. 135.
4
Ibid.
5
I testi che qui di seguito sottoponiamo a interpretazione – il Vorwort scritto nel 1972 alle Frühe
Schriften raccolte ora in HGA I e il contributo apparso nell’Omaggio a Hermann Niemeyer per il
suo ottantesimo compleanno, 16 aprile 1963, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia,
ora in Zur Sache des Denkens – sono singolari per più di un aspetto. Caratteristico è, innanzitut-
3
Nel 1907, un amico conterraneo di mio padre, che fu poi arcivescovo di Friburgo i. Br., il
Prof. Conrad Gröber, mi mise nelle mani la dissertazione di Franz Brentano: Von der
mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristoteles (1862). Le spesso lunghe, nume-
rose citazioni, in greco, mi sostituirono l’edizione critica di Aristotele che ancora mi man-
cava […] La domanda circa l’elemento semplice nella molteplicità e varietà dell’essere,
domanda che allora si agitava ancora oscura e vacillante e disperata in me, fu, attraverso i
molti scogli, labirinti e smarrimenti, l’incessante incentivo dell’opera, che due decenni
più tardi apparve con il titolo di Sein und Zeit
6
.
Ciò che colpisce in questo brano è la connessione diretta che vi si stabilisce fra
la dissertazione di Brentano e la domanda di Essere e tempo
7
. In effetti, non sol-
tanto è oscuro il senso di questa connessione ma la stessa formulazione del pro-
blema di Essere e tempo come “domanda circa l’elemento semplice nella molte-
plicità e varietà dell’essere”, appare addirittura sorprendente per la sua estraneità
– dal momento che senz’altro né l’opera del 1927, né i testi coevi di cui dispo-
niamo contengono espressioni simili. Ora, è certamente possibile sostenere che
non c’è da meravigliarsi troppo della novità di questa formulazione: il senso di
sorpresa da essa suscitato è lo stesso che ogni studioso di Heidegger prova quan-
do, muovendo da Essere e tempo, s’imbatte in testi ad esso posteriori nei quali il
filosofo di Messkirch interpreta se stesso. Eppure, ci sembra di poter affermare
che sebbene sarebbe senz’altro possibile condurre un’interpretazione di questa
espressione che tenesse debitamente conto dei termini “elemento” e “semplice”
– due parole queste che nel «secondo Heidegger» si caricano di particolari va-
lenze –, difficilmente questa potrebbe render ragione del comparire di questa
formulazione in una relazione così stretta con la dissertazione di Brentano. Inol-
tre, percorrere una simile via significherebbe violare palesemente il principio
metodico fondamentale che all’inizio abbiamo stabilito a garanzia di
un’interpretazione adeguata del tema della nostra ricerca. Quindi, se vogliamo
far luce su questa duplice oscurità, l’unica possibilità che ci resta è quella di
sciogliere la difficoltà rappresentata dalla formulazione muovendo dal chiari-
mento provvisorio del nesso tra la dissertazione su Aristotele ed Essere e tempo.
In questo senso, facciamo un passo decisivo se confrontiamo le affermazioni che
abbiamo appena preso in considerazione con quelle parallele contenute nel testo
del 1963:
La dissertazione di Brentano Il molteplice significato dell’ente in Aristotele (1862) era,
però, dal 1907 l’unico appoggio di cui disponessi nei miei primi maldestri tentativi di in-
trodurmi alla filosofia. Pur se in modo sufficientemente impreciso, mi muoveva il pensie-
to, il fatto che questi testi siano fra quei pochi, p u b b l i c a t i da Heidegger, nei quali egli si
esprima sul proprio pensiero utilizzando il pronome personale ‘io’ e facendo riferimento ad auto-
ri, opere e loro data di pubblicazione: ciò non accade in altre importanti autointerpretazioni – per
esempio, quella contenuta nella Lettera sull’umanismo. In secondo luogo, è degna di nota la cir-
costanza che, pur essendo stati pubblicati con circa un decennio di distanza l’uno dall’altro, essi
presentino un quadro della «situazione spirituale» sostanzialmente identico. Queste peculiarità ci
spingono a ritenere che essi non contengano una semplice storia esterna della genesi di Essere e
tempo, ma che, al contrario, quanto in essi viene affermato vada assunto come un prezioso e vo-
lontario suggerimento ermeneutico improntato dallo stesso spirito che anima la lettera che Hei-
degger scrisse a O. Pöggeler il 17 aprile 1964: “Io penso che sia giunto il tempo di smettere di
scrivere su Heidegger. Ben più decisivo sarebbe un effettivo confronto”.
6
DS, p. VIII.
7
Cfr. F. Volpi, Alle origini della concezione heideggeriana dell’essere: il trattato “Vom Sein” di
Carl Braig, in “Rivista critica di storia della filosofia”, La Nuova Italia, Firenze 1980, p. 188: “il
ragguaglio autobiografico più prezioso in relazione alla prima fase della sua formazione filosofi-
ca è senza dubbio quello che Heidegger ha fornito in merito alla lettura della dissertazione di
Franz Brentano Von der Mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristoteles”.
4
ro: se l’essente è detto in più sensi, quale ne è allora il significato guida fondamentale [die
leitende Grundbedeutung]? Che significa essere?
8
In questo brano viene citato di nuovo il primo lavoro di Brentano ma, a diffe-
renza di quello precedente, esso non appare in una relazione immediata con Es-
sere e tempo. Nondimeno, questa circostanza è del tutto irrilevante, perché pro-
seguendo nella lettura del testo ci si rende facilmente conto di come la disserta-
zione su Aristotele sia, comunque, sempre al centro della ricostruzione che Hei-
degger ci propone del proprio cammino di pensiero n e l l a fenomenologia
9
.
Peraltro, il titolo stesso del contributo suggerisce che oggetto principale dello
scritto altro non possa essere che il trattato del 1927, l’unica ricerca di Heidegger
che si autodefinisca come «fenomenologica». Già da queste brevi considerazio-
ni, risulta evidente che l’insistenza con la quale egli, in testi così particolari, in-
dica il sussistere di un qualche nesso tra l’ontologia fondamentale e il pensiero di
Aristotele – nella ricomprensione che di esso fa Brentano – non può essere giu-
dicata come frutto del caso, tanto più se si tiene conto che questi non sono gli u-
nici luoghi in cui un tale nesso è espressamente segnalato
10
. Allora, il fatto che il
8
SdD, p. 189.
9
Ci sono altri tre riferimenti che testimoniano a favore di questa centralità: il primo, dove si di-
ce: “Dalle Ricerche logiche di Husserl io mi attendevo un aiuto decisivo nelle questioni suscitate
dalla dissertazione di Brentano” (cfr. ivi, p. 190). Il secondo, nel quale si afferma: “Quando io
stesso, a partire dal 1919, insegnando e studiando a fianco di Husserl, adottai nella mia pratica di
insegnamento il vedere fenomenologico e contemporaneamente misi alla prova nel seminario
una comprensione trasformata di Aristotele, il mio interesse si rivolse di nuovo alle Ricerche lo-
giche, soprattutto alla sesta nella prima edizione. La differenza qui enucleata tra intuizione sensi-
bile e intuizione categoriale mi si rivelò in tutta la sua portata per la determinazione del «signifi-
cato molteplice dell’essente»” (cfr. ivi, p. 193). E, infine, il terzo che è di particolare importanza
perché precede immediatamente la narrazione della vicenda editoriale di Essere e tempo: “Così
io fui condotto sul cammino della ‘questione dell’essere’ (Seinsfrage), illuminato
dall’atteggiamento fenomenologico, di nuovo – ma in modo diverso da prima – senza quiete per
le questioni che nascevano dalla dissertazione di Brentano” (cfr. ivi, p. 194).
10
La dissertazione è citata almeno in altre quattro occasioni: a) nel testo Da un colloquio
nell’ascolto del linguaggio [1953-54]: “I: […] E ancor prima, negli ultimi anni del liceo, preci-
samente nell’estate del 1907, mi aveva colpito il problema dell’essere, col quale mi ero imbattuto
leggendo la dissertazione di Franz Brentano, il maestro di Husserl. Questa s’intitola Von der
mannigfachen Bedeutung des Seienden nach Aristoteles […] ed è del 1862. Il libro mi era stato
donato dal mio paterno amico e conterraneo, più tardi arcivescovo di Friburgo i. Br., Dr. Conrad
Gröber. A quel tempo era parroco della chiesa della trinità a Costanza. G : Possiede ancora que-
sto libro? I : Qui ella lo può vedere e può anche leggere la notazione che dice: mio primo filo
conduttore attraverso la filosofia greca durante il liceo”, HGA XII, p. 87; b) nella lettera
dell’aprile 1962 inviata a padre Richardson: “[…] die erste philosophische Schrift, die ich seit
1907 immer wieder durcharbeitete, Franz Brentanos Dissertation war: Von der mannigfachen
Bedeutung des Seienden bei Aristoteles (1862) [il primo scritto filosofico sul quale a partire dal
1907 tornai sempre di nuovo a lavorare fu la dissertazione di Franz Brentano: Del molteplice si-
gnificato dell’essente in Aristotele]”, W.J. Richardson, Heidegger. Through Phenomenology to
Thought, Nijhoff, The Hague 1963, p. XI; c) nei Seminari di Zollikon [seminario del 23 e 26 no-
vembre 1965]: “Il primo avvio del mio intero pensiero risale a una proposizione di Aristotele,
nella quale si dice che l’essente viene asserito in molteplici modi. Questa proposizione fu pro-
priamente il lampo che suscitò la questione: qual è, dunque, l’unità di questi molteplici significa-
ti di essere, che cosa significa in generale essere?”, ZS, p. 172; d) nel testo Della comprensione
del tempo nella fenomenologia e nel pensiero del problema dell’essere: “Il primo impulso verso
questo problema, mi ha colto durante uno studio di Aristotele che mi ha occupato per lunghi an-
ni, avendo dapprima come filo conduttore la dissertazione di Franz Brentano Del molteplice si-
gnificato dell’ente in Aristotele (1862). Il problema che mi preoccupava sempre più era il se-
guente: qual è l’unità determinante in questa molteplicità di significati? Che vuol dire «esse-
re»?”, trad. di M. Sesti, in Il cannocchiale, 1981, p. 48. Per quanto riguarda quest’ultimo testo,
5
testo in esame presenti «il problema della metafisica» come interrogazione in-
torno a un “significato guida fondamentale” non può in nessun modo essere sot-
tovalutato, dal momento che questa formulazione, assunta in senso f o r m a l e,
risulta identica alla tesi di fondo della dissertazione su Aristotele, che potrebbe
essere così riassunta: la metafisica in quanto scienza che tratta dell’essere nei
suoi diversi significati – vale a dire, in quanto dottrina delle «categorie» – è pos-
sibile soltanto in quanto questi fanno riferimento a un medesimo concetto come
termine; l’orizzonte entro cui si mantiene la comprensibilità dell’espressione ge-
nerale «essere» è costituito da un significato fondamentale, un senso arcontico
11
.
Allora, se così stanno le cose, possiamo assolvere il compito innanzi a cui il
problema del cominciamento ci aveva posto ed elaborare espressamente il filo
conduttore della nostra ricerca. Tutte le tracce che abbiamo raccolto sembrano
convergere nella medesima direzione e indicare che il “problema conduttore”
12
dell’analitica esistenziale, “che concerne il senso dell’essere in generale”
13
, è
i m p o s t a t o come r i p e t i z i o n e della domanda aristotelica sull’unità
dell’analogia
14
. Ogni dire dell’essere (ontologia) deve avere presso di sé e in sé
il dire del tempo: la ricerca su Essere e tempo, mira a svelare il concetto di tem-
po come quel primo uno rispetto al quale i differenti significati racchiusi
nell’«è» risultano fondabili
15
.
Allo stato attuale della nostra ricerca, la tesi cui siamo giunti appare necessa-
riamente dogmatica e bisognosa di chiarimento. Come vedemmo all’inizio, essa
potrà insediarsi nella sua legittimità filosofica soltanto qualora l’interpretazione
accetti il rischio di «ripetere» il «non detto» dell’indagine su Essere e tempo.
Ora, se ciò n o n significa che noi pretendiamo di comprendere Heidegger me-
glio di quanto egli stesso non si sia compreso – evidenziando così la presenza di
“una problematica che gli era estranea, per quanto condizionante”
16
–, in che
senso la nostra interpretazione si qualifica come «ripetizione» della ricerca onto-
apparso in AA.VV., Phänomenologie – Lebendig oder Tod?, Karlsruhe 1969, non siamo riusciti
a scoprire l’anno in cui fu effettivamente scritto da Heidegger.
11
Sul tema, si veda F. Volpi, Heidegger e Aristotele, Daphne, Padova 1985, pp. 48 sg.: “Brenta-
no, avendo interpretato l’unità dell’analogia in senso forte, ritiene possibile una deduzione o ‘di-
visione’ delle categorie [...] È questo il punto cruciale e al tempo stesso la nota più originale
dell’interpretazione brentaniana della dottrina delle categorie, nella quale l’accentuazione
dell’unità analogica dell’essere e il tentativo di una deduzione sistematica delle categorie vanno
di pari passo. […] È probabilmente questo l’aspetto della trattazione brentaniana del problema
dell’essere in Aristotele che più di altri incide tematicamente sulla formazione filosofica di Hei-
degger”. Pur concordando senz’altro con queste tesi, riteniamo che Volpi sia in errore quando –
sulla base di un successivo scritto di Brentano (Kategorienlehre, introduzione e note di A. Kastil,
Meiner, Leipzig 1933) – interpreta la dissertazione del 1862 come una ricerca nella quale è rifiu-
tata la teoria dell’analogia in favore di una soluzione univocistica del problema dell’essere; cfr.
F. Volpi, Heidegger e Brentano. L’aristotelismo e il problema dell’univocità dell’essere nella
formazione filosofica del giovane Martin Heidegger, Cedam, Padova 1976, particolarmente cap.
II-III.
12
HGA II, § 5, p. 73 [17].
13
Ibid.
14
“La domanda sull’essere stesso, formulata ancora secondo la metafisica di Aristotele, sulla
quale ebbi modo di fermarmi a lungo a riflettere (tra il 1920 e il 1922), l’ho lasciata da parte, a
cielo aperto, sperando così di poter nuovamente uscire dal buio”, lettera a H. Arendt del 6 mag-
gio 1950, M.H.-H.A., p. 76.
15
HGA II, § 5, p. 73 [17]: “Il tempo deve essere posto in chiaro e determinato concettualmente
in modo genuino come l’orizzonte di ogni comprensione e interpretazione dell’essere”. Cfr. ivi,
§ 45, p. 356 [235]: “Il progetto di un senso dell’essere in generale può esser posto in atto solo
nell’orizzonte del tempo”.
16
HGA III, Prefazione alla quarta edizione, p. 4.
6
logico-fondamentale? Se, per un verso, l’adozione di questo termine è perfetta-
mente legittima dal momento che sta “nell’essenza delle ricerche fenomenologi-
che di non poter essere riferite in maniera sommaria ma di dover essere ogni vol-
ta ripetute e ripercorse”
17
, allora, per capire che cosa qui sia oggetto di «ripeti-
zione» è opportuno rivolgersi ai giudizi che Heidegger ha espresso, in anni di-
versi, sull’opera che lo rese celebre. In una lettera a K. Jaspers del 20 dicembre
1931 egli riconosce di “aver osato troppo, al di là della mia forza esistenziale
senza vedere chiaramente la ristrettezza di quello che posso oggettivamente do-
mandare”
18
. Quattro anni più tardi, nella lettera a E. Blochmann del 20 dicembre
1935, egli rinnova questa valutazione parlando di una “grande imprudenza che
sottende al libro”
19
. Ripetere la domanda di Essere e tempo significa dunque, per
noi, rispondere alle seguenti domande: perché quest’opera è ‘imprudente’ e ‘osa
troppo’
20
? Quest’osare non emerge con nettezza proprio dalla proposizione inter-
rogativa che conclude le prime due sezioni della ricerca
21
e ne fissa il “traguardo
provvisorio”
22
? Qual è il nesso tra la “grande imprudenza” del tentativo – fonda-
re la filosofia come “la conoscenza concettuale più radicale, più universale e più
rigorosa”
23
–, e la domanda aristotelica sull’unità dell’analogia, “la più difficile
delle aporie (mancanza di vie d’uscita) che abbia bloccato il filosofare antico, e
con esso tutto quel che è venuto dopo fino ai giorni nostri”
24
?
Il primo passo che l’interpretazione deve compiere per appropriarsi di questo
‘osare’ che in quanto «non detto» è oggetto di ripetizione, consiste nel progettare
esplicitamente l’i m p o s t a z i o n e dell’ontologia fondamentale sulla scorta
del filo conduttore ora messo in luce, in modo tale che si faccia pienamente visi-
bile l’impianto aristotelico dell’interrogazione heideggeriana sull’essere. Infatti,
se la “fondazione ontologico-fondamentale della metafisica, in Essere e tempo,
deve comprendersi come ripetizione”
25
e se “una fondazione esplicita della me-
tafisica non nasce mai dal nulla, ma si realizza in forza, o per debolezza, di una
tradizione, che predetermina le sue possibilità di partenza”
26
, è necessario che,
innanzitutto, il nostro sguardo si concentri sull’“elemento tradizionale in essa in-
cluso”
27
, sicché si possa, su questa base, far risaltare la “trasformazione del
compito”
28
che essa comporta “rispetto alle precedenti”
29
.
17
HGA XX, p. 33 [32].
18
R. Safranski, Heidegger e il suo tempo. Una biografia filosofica, trad. di N. Curcio, a cura di
M. Bonola, Longanesi, Milano 1996, p. 256.
19
M.H.-E.B., p. 143.
20
HGA XII, p. 88: “Forse il difetto fondamentale del mio libro Sein und Zeit è che ho osato
spingermi troppo presto troppo lontano”.
21
HGA II, § 83, p. 620 [437]: “Il tempo si rivela forse come l’orizzonte dell’e s s e r e?”.
22
HGA II, p. 50 [1]: “Lo scopo del presente lavoro è quello della elaborazione del problema del
senso dell’«e s s e r e». Il suo traguardo provvisorio è l’interpretazione del t e m p o come oriz-
zonte possibile di ogni comprensione dell’essere in generale”.
23
HGA XXVI, p. 33.
24
HGA XXXIII, p. 36.
25
HGA III, § 44, pp. 205-06: “La fondazione ontologico-fondamentale della metafisica, in Esse-
re e tempo, deve comprendersi come ripetizione. La citazione dal Sofista di Platone, che apre la
trattazione, non risponde a un intento decorativo, ma sta a indicare che nella metafisica antica si
è accesa la gigantomachia intorno all’essere dell’ente”.
26
Ivi, Introduzione, p. 12.
27
Ibid.
28
Ibid.
29
Ibid.
7
La fondazione della metafisica nella sua impostazione
C A P I T O L O P R I M O
Alle origini di Essere e tempo: la domanda sull’unità dell’analogia
Le discussioni preliminari che abbiamo appena concluso ci hanno condotto al
seguente risultato: il rapporto tra l’indagine ontologico-fondamentale e il pensie-
ro di Aristotele è problematico. In effetti, sebbene gli studiosi abbiano da tempo
rilevato l’incidenza di motivi aristotelici nel pensiero di Heidegger fino a Essere
e tempo, questa scoperta rischia di restare improduttiva fintanto che ci si limita
ad indagare questo nesso soltanto in direzione dell’analitica esistenziale in senso
stretto
1
. Se non si vuole continuare a cadere nel fraintendimento «esistenzialisti-
co» o «antropologista»
2
che l’opera stessa ha in qualche modo alimentato a cau-
sa della sua incompiutezza, è necessario porre la questione anche e soprattutto in
riferimento al “compito conduttore”
3
cui quest’analisi è “completamente orienta-
ta”
4
, ossia, al problema dell’“elaborazione del concetto di essere”
5
. In altre paro-
le, ciò significa che tutte quelle interpretazioni che non sollevano questo pro-
blema sono poi inevitabilmente destinate a perdere completamente di vista, o ad
1
Domandarsi che cos’è l’uomo non significa ancora affrontare il problema di un’ontologia fon-
damentale. Una ricerca delle «categorie» dell’Esserci che fosse svolta senza un intento ontologi-
co-fondamentale risulterebbe identica a un’antropologia filosofica, il cui scopo è “differenziare
l’ente che chiamiamo uomo dalle piante, dagli animali e dalle restanti sfere dell’ente”: in altre
parole, in questo caso avremmo a che fare con “un’ontologia «regionale» dell’uomo” che, come
tale, “si allinea alle altre ontologie, che, insieme ad essa, si ripartiscono il dominio dell’ente nella
sua totalità”, cfr. HGA III, § 37, pp. 182-83. Quindi, benché le espressioni «analitica esistenzia-
le» e «ontologia fondamentale» siano in generale sinonime, in realtà sussiste fra di esse una sotti-
le ma importante sfumatura di senso: “l’o n t o l o g i a f o n d a m e n t a l e, da cui soltanto tutte
le altre possono scaturire, dev’essere cercata nell’a n a l i t i c a e s i s t e n z i a l e d e l l’ E s-
s e r c i”, HGA II, § 4, p. 67 [13]. Cfr. anche HGA XXVI, p. 162: “[…] il punto di partenza del
problema è costituito dall’ontologia fondamentale in quanto analitica dell’esistenza dell’esserci.
Questa analitica viene svolta con un intento ontologico-fondamentale, e unicamente con esso.
[…] Non si tratta perciò di antropologia e neppure di etica, ma di questo ente nel suo essere in
generale – e quindi di un’analitica preparatoria”.
2
Anche Husserl ha compreso l’analitica esistenziale nel senso di un’antropologia: “Heidegger
traspone o travasa la chiarificazione fenomenologico-costitutiva di tutte le regioni dell’ente e
dell’universale, la regione totale «mondo», sul piano antropologico; l’intera problematica è una
trasposizione: all’ego corrisponde l’esserci ecc. Tutto diviene qui profondamente oscuro e perde
il suo valore filosofico”, E. Husserl, Glosse a Heidegger, a cura di C. Sinigaglia, Jaca Book, Mi-
lano 1997, p. 64. Proprio nel trattato Dell’essenza del fondamento, preparato per il volume in o-
nore di Husserl, Heidegger risponderà pubblicamente al maestro: “Questa accusa [antropocentri-
smo], che sin con troppo zelo è ora passata di mano in mano, rimane insignificante fino a che,
nel pensare a fondo sull’impostazione, sull’intero percorso e sullo scopo dello sviluppo del pro-
blema in Sein und Zeit, si tralascia di capire come proprio con l’elaborazione della trascendenza
dell’esserci «l’uomo» viene a stare al «centro», ma in modo che solo qui può e deve farsi pro-
blema la sua nullità nella totalità dell’ente. Quali pericoli nasconde mai in sé un «punto di vista
antropocentrico» che ripone tutti i suoi sforzi unicamente nel mostrare che l’essenza dell’esserci,
che sta qui «al centro», è estatica, cioè «eccentrica», e nel mostrare che perciò anche la presunta
libertà del punto di vista, contrariamente a tutto il senso del filosofare inteso come una possibilità
finita dell’esistenza, resta una folle illusione?”, HGA IX, pp. 118-19.
3
HGA II, § 5, p. 72 [17].
4
Ibid.
5
Ivi, § 2, p. 58 [6]. Cfr. HGA XX, p. 177 [196]: “Con il richiesto [Erfragt] viene cercato il suo
concetto”.
8
illanguidire, il dato primario dal quale o g n i tentativo di comprensione
dell’opera deve procedere, vale a dire, il fatto che l’ontologia fondamentale pre-
veda esplicitamente quale sua conclusione “il raggiungimento del concetto fon-
damentale di «essere»”
6
: se si stravolge il fatto, in sé ovvio
7
, che il problema
dell’essere è inteso sin dal principio come “problema della possibilità del concet-
to di essere”
8
, ogni speranza di acquisire un’effettiva comprensione di questa
fondazione è persa per sempre, dal momento che una tale interpretazione si tro-
verebbe eo ipso o sotto il dominio di quel dogma più che bimillenario la cui d e-
c o s t r u z i o n e costituisce l’autentica «introduzione» alla domanda ontologi-
co-fondamentale
9
, oppure, a interpretare Essere e tempo alla luce di testi del
«secondo Heidegger», operazione questa non solo rischiosa su di un piano pro-
priamente storiografico ma che, finora, non sembra essere riuscita a nessuno.
Una terza possibilità non è data.
Dunque, se l’ovvietà che abbiamo appena rilevato non può essere contraffatta
da interpretazione alcuna, non ci resta che addentrarci in essa e svelare il suo le-
game con Aristotele. In questo senso, l’interpretazione prenderà le mosse dal
primo luogo di Essere e tempo in cui si discute diffusamente – e in maniera
tutt’altro che generica – di ciò che in questa indagine è r i c e r c a t o:
Quello di «essere» è il concetto «più generale di tutti» […] Ma la «generalità»
dell’«essere» non è quella del g e n e r e. L’«essere» non costituisce la regione suprema
dell’ente per il fatto che questo è articolato concettualmente secondo generi e specie:
ο∨τε τ∫ ′ν γ⎡νος. La «generalità» dell’essere «o l t r e p a s s a» ogni generalità del tipo
dei generi. L’«essere», secondo la denominazione dell’ontologia medioevale, è un tran-
scendens. Già A r i s t o t e l e aveva riconosciuto nell’unità di questo «generale» tra-
scendentale – contrapposta alla molteplicità dei sommi concetti di genere cosali [gegenü-
ber der Mannigfaltigkeit der sachhaltigen obersten Gattungsbegriffe] – l’u n i t à d e l-
l’ a n a l o g i a. Nonostante la sua dipendenza dall’impostazione ontologica di P l a t o-
n e, A r i s t o t e l e, con questa scoperta, ha posto il problema dell’essere su una base
fondamentalmente nuova. Ma non si può dire che egli abbia anche illuminato l’oscurità di
queste connessioni categoriali. L’ontologia medioevale, specialmente nelle correnti tomi-
stiche e scotistiche, ha discusso ampiamente questo problema, senza tuttavia giungere a
una chiarificazione di fondo. E quando H e g e l, infine, definisce l’«essere» come
l’«immediato indeterminato» e pone questa definizione alla base di tutte le successive e-
laborazioni categoriali della sua «logica», non si discosta dalla visuale dell’ontologia an-
tica, con la differenza che egli pone in disparte il problema aristotelico dell’unità
dell’essere rispetto al molteplice delle «categorie» cosali [gegenüber der Mannigfaltigkeit
der sachhaltigen «Kategorien»]. Dunque affermare che quello di «essere» è il più generale
dei concetti, non equivale a dire che è anche il più chiaro e che non richiede alcuna ulte-
riore discussione. Il concetto di «essere» è anzi il più oscuro di tutti
10
.
6
HGA II, § 8, p. 101 [39]. Cfr. HGA XXIV, p. 214 [319]: “Designamo perciò l’analitica ontolo-
gica e preparatoria dell’esserci col nome di ontologia fondamentale. Essa è preparatoria solo
perché conduce solamente al chiarimento del senso dell’essere e dell’orizzonte della compren-
sione dell’essere. Essa può essere soltanto preparatoria perché può raggiungere solo il fondamen-
to di un’ontologia radicale”.
7
Com’è noto, ovvietà non significa aproblematicità: più avanti vedremo, sia pure per sommi ca-
pi, come questa formulazione del «problema della metafisica» discenda dalle Disputazioni meta-
fisiche di F. Suarez e come questo testo influenzi in linea essenziale la dissertazione di Brentano
su Aristotele.
8
HGA III, § 40, p. 194.
9
HGA II, § 1 p. 53 [2]: “Si dice: il concetto di «essere» è il più generale e vuoto di tutti e resiste
perciò a qualsiasi tentativo di definirlo. D’altra parte in quanto generalissimo, e come tale indefi-
nibile, non ha neppure bisogno di essere definito. Tutti lo impiegano continuamente e anche già
comprendono che cosa si intende con esso”.
10
HGA II, § 1, pp. 54-55 [3], la traduzione di P. Chiodi è stata rivista. Desideriamo ringraziare il
dott. F. Lijoi per l’attento lavoro di controllo delle traduzioni dal tedesco.
9
Questo capoverso è, sia per il contenuto che per la posizione all’inizio
dell’opera, certamente uno dei «luoghi teoretici» più densi di Essere e tempo:
n e s s u n altro passo – se si escludono le tesi parallele e complementari conte-
nute nel ventesimo paragrafo –, presenta con maggior chiarezza e concretezza il
«problema della metafisica». Entrambi questi caratteri, chiarezza e concretezza,
discendono dalla circostanza che il «problema della metafisica» – qui, nel mo-
mento in cui si tratta di mostrare la necessità di una sua ripetizione esplicita –
non è ancora elaborato in modo originario, come già accade nel secondo para-
grafo, ma viene invece presentato all’interno di una trattazione storica che, deco-
struendo “i pregiudizi che continuamente suscitano e alimentano la convinzione
della non indispensabilità di una ricerca intorno all’essere”
11
, «indica formal-
mente» i termini entro cui va compreso il primo significato dell’espressione
«problema della metafisica» (genitivo o g g e t t i v o)
12
: il “problema fonda-
mentale della filosofia”
13
, si configura come interrogazione circa il tipo di “«u-
niversalità»” e il carattere di “unità” che pertengono al concetto di essere in ge-
nerale. Quindi, benché ciò non sia immediatamente evidente, è necessario affer-
mare che lo scopo e il contenuto di questa disamina storica sono interamente
p o s i t i v i: ciò che essa «pone» – nel ripercorrere l’i n t e r a storia della meta-
fisica occidentale – è l’interrogazione sulla struttura dell’universalità dell’essere
in quanto “possibilità che «gli antichi» hanno preparato per noi”
14
. Il compito è
ora quello di mostrare come questo possibile-ripetibile sia in se stesso
l’interrogazione sull’unità dell’analogia.
Nel passo in esame, tutte le argomentazioni ruotano attorno alle ricerche ari-
stoteliche sul concetto di essere: Aristotele, infatti, non soltanto ha dimostrato
che “la «generalità» dell’essere non è quella del g e n e r e”
15
, ma su questa base
11
Ivi, § 1, p. 54 [2].
12
HGA III, Osservazioni preliminari alla terza edizione, 1965, p. 8: “[…] quello che per la me-
tafisica è il problema, ossia la questione dell’ente come tale in complesso, fa sì che la metafisica
diventi problema come metafisica. La locuzione «il problema della metafisica» ha un duplice si-
gnificato”. Nel prosieguo (capitolo terzo) vedremo come questo primo significato sia in se stesso
duplice.
13
HGA II, § 7, p. 85 [27]: “Col problema conduttore del senso dell’essere, la ricerca si trova di
fronte al problema fondamentale della filosofia”. Cfr. HGA XXVI, p. 162: “Che cosa significa
«essere»? – questa è la questione di fondo della filosofia tout court”.
14
HGA II, § 5, p. 75 [19]: “Se la risposta è «nuova» o no, è questione di nessuna importanza su-
perficiale com’è. La sua positività sta nel fatto che essa sia sufficientemente a n t i c a per inse-
gnarci a capire le possibilità che gli «antichi» hanno preparato per noi”. Cfr. HGA III, § 35, p.
174: “L’ontologia fondamentale non ha pretese di «novità» rispetto a dottrine ritenute «vecchie».
È piuttosto l’espressione del tentativo di appropriarsi originariamente l’essenziale di una fonda-
zione della metafisica, ossia di aiutare la fondazione a portarsi, mediante una ripetizione,
all’altezza della propria più originaria possibilità”.
15
Cfr. anche ivi, § 7, p. 99 [38]: “L’essere, in quanto tema fondamentale della filosofia, non è un
genere dell’ente, e tuttavia riguarda ogni ente. La sua «universalità» è da ricercarsi più in alto.
L’essere e la struttura dell’essere si trovano al di sopra di ogni ente e di ogni determinazione
[Bestimmtheit] possibile di un ente. L’ e s s e r e è i l t r a n s c e n d e n s p u r o e s e m-
p l i c e”; HGA XXII, p. 78: “Ma è giunto il momento di chiarire perché la filosofia tratta di
qualcosa di «generale». Rispetto a ciascun ente, l’essere è generale: ogni ente è, in quanto ente
ha essere, e questa generalità dell’essere rispetto a ciascun ente è affatto caratteristica, poi-
ché il generale è anche nell’ente. Rispetto a una spinta e a un urto particolari la legge meccani-
ca è generale, è una legge universale del movimento in genere rispetto alle leggi fisico-chimiche.
Altri esempi: un particolare poema epico greco rispetto ad altri poemi epici greci, epos greco,
epos germanico, epos in generale. […] Tuttavia, ciò che è necessario affinché qualcosa come il
movimento in generale, la legge in generale, la natura in generale possano essere, ciò che appar-
tiene alla poesia in generale e che costituisce l’essere del linguaggio in generale, è il domandare
10
ha dato anche avvio alla soluzione positiva del problema riconoscendo
“nell’unità di questo «generale» trascendentale” “l’u n i t à d e l l’ a n a l o-
g i a”
16
:
il concetto di essere, nella misura in cui viene utilizzato dall’intera varietà di ogni ente
possibile, possiede in generale il carattere di un concetto analogico. Questa analogia nel
senso dell’essere è stata scoperta per la prima volta da Aristotele; e questa scoperta, con il
suo progresso vero e proprio, si confronta con la concezione platonica del concetto di es-
sere
17
.
Il problema dell’essere si presenta dunque, fin dall’inizio, come problema
dell’unità dell’idea di essere e delle sue variazioni regionali. L’essere, infatti, si
dice in molti modi e ciò in un duplice senso: da un lato, il concetto di essere è
molteplice i n s e s t e s s o, vale a dire, non è un concetto indifferente, sempli-
ce, ma è articolato in una molteplicità di significati cooriginari, raccolti
nell’unità di un concetto generale
18
(dimensione «verticale» dell’analogia);
dall’altro, il concetto di essere risulta molteplice in quanto viene attribuito i n-
t r i n s e c a m e n t e all’intera varietà di ogni ente possibile, significando ap-
punto regioni dell’ente di volta in volta diverse
19
(dimensione «orizzontale»
dell’analogia). Sebbene la parte iniziale del capoverso, incentrata sul confronto
Platone-Aristotele, accenni soltanto a questo intreccio di problemi, essa dice già
l’essenziale: benché Aristotele – “il culmine della ricerca scientifica pura”
20
–
di «generalità» che precedono ogni ente generale e ne determinano l’essere. […] L’essere in ge-
nerale sta fuori (liegt hinaus). Questo stare fuori dell’essere e delle determinatezze ontologiche
(Seinsbestimmtheiten) di un ente oltre (über) un ente in quanto tale è un transcendere, un «oltre-
passare» (übersteigen), una trascendenza. Non si tratta però di qualcosa di sovrasensibile e di
metafisico in senso banale, con cui si intende di nuovo un ente”; HGA LXI, pp. 90-91: “Che
cos’è che da ultimo conta per l’essente in quanto tale? L’essere o, più precisamente – in relazio-
ne al modo in cui questo «essere» può essere colto – il «senso dell’essere». Va esplicitamente
tenuto presente che l’essere, il senso dell’essere, è filosoficamente il momento di principio di
ogni essente; non è però la sua determinazione «più generale», il genere supremo che ha sotto di
sé gli enti come casi particolari. L’essere non è la sfera che abbraccia in sé ogni e ciascun essen-
te, la «regione suprema»”.
16
HGA XXII, p. 391: “[…] l’©ν non è γ⎡νος. Questa dimostrazione è però soltanto negativa. Il
carattere di universalità della determinazione fondamentale di tutto l’ente è divenuto problemati-
co. È questo il passo in avanti compiuto da Aristotele rispetto a Platone. In che senso l’essere, le
categorie dell’essere, sono principi dell’ente? […] La risposta a questa domanda e il comple-
tamento della soluzione negativa sono contenuti nel primo paragrafo di Met. Γ 2”. Cfr. ivi,
p. 248: “La struttura dell’universalità dell’essere è la struttura dell’analogia”.
17
HGA XX, pp. 211-212 [234-35].
18
HGA II, § 41, p. 306 [196]: “A suo tempo vedremo che l’idea dell’essere in generale non è
meno «complessa» di quanto lo sia l’essere dell’Esserci”. Cfr. HGA XX, p. 365 [406]: “[…]
l’«essere» non è affatto un concetto semplice e tantomeno il più semplice”; HGA XXIV, p. 213
[318]: “[…] il concetto di essere non è affatto e per nulla semplice, e tantomeno ovvio. Il senso
dell’essere è la cosa più complicata e il fondamento dell’essere è oscuro. Bisogna dipanare le
complicazioni e illuminare l’oscurità”.
19
HGA XXVI, p. 180: “Il termine «essere» viene assunto con un’ampiezza tale che lo fa esten-
dere a tutte le possibili regioni. Il problema della molteplicità regionale dell’essere però include
in sé, proprio quando viene sollevato in maniera universale, la questione dell’unità di questa e-
spressione generale «essere», del modo in cui il significato generale del termine «essere» varia
nei diversi significati regionali. […] Il problema è in ogni caso rappresentato dall’unità e univer-
salità dell’idea di essere in generale. Proprio questo problema è stato posto già da Aristotele,
anche se non gli è riuscito di risolverlo”.
20
HGA XXII, p. 227. Cfr. ivi, p. 93: “Aristotele rappresenta il culmine scientifico della filosofia
antica. Egli non ha risolto tutti i problemi, però si è spinto fino ai limiti insiti nell’impostazione
11
non abbia chiarito la “struttura precisa”
21
del fenomeno del “significare analo-
go”
22
, “a tutt’oggi oscura”
23
, con questa scoperta il problema dell’essere fu posto
“su una base fondamentalmente nuova”, talmente nuova da doversi considerare
una “rivoluzione totale dell’idea di ontologia”
24
. In effetti, è sufficiente uno
sguardo al prosieguo del brano per rendersi conto che il problema dell’unità
dell’analogia costituisce l’autentico filo conduttore di questa ricognizione storica
che apre Essere e tempo. Il chiarimento di questa parte del capoverso – che con-
tiene un esame dello sviluppo di quest’intera questione, quindi
dell’interrogazione fondamentale dell’ontologia, da Aristotele e i Greci fino al
presente – passerà attraverso la discussione delle seguenti due tesi che ne rias-
sumono il contenuto:
a) Il problema ampiamente discusso ma non sufficientemente chiarificato
dall’ontologia medioevale (tomismo e scotismo in particolare), è il problema ari-
stotelico delle “connessioni categoriali”
25
.
b) Hegel “pone in disparte il problema aristotelico dell’unità dell’essere rispet-
to al molteplice delle «categorie» cosali”.
Tale discussione non può che partire dall’esame di quanto Heidegger stesso af-
ferma nel secondo (e ultimo) luogo di Essere e tempo in cui si parla
dell’analogia dell’essere
26
:
La Scolastica interpreta il senso positivo del significato di «essere» come significato «a-
nalogo», contrapponendolo tanto all’univocità quanto all’equivocità. Sulla scorta di A r i-
s t o t e l e – nel quale, come del resto nell’impostazione dell’ontologia antica in generale,
il problema trovò la sua prima delineazione – furono stabilite diverse forme di analogia,
in base alle quali anche le «scuole» si distinsero a proposito della funzione significativa
dell’essere. Nella elaborazione ontologica di questo problema, C a r t e s i o rimase molto
indietro rispetto alla Scolastica; infatti evitò il problema. Nulla eius (substantiae) nominis
significatio potest distincte intelligi, quae Deo et creaturis sit communis. Questa evasione
sta a significare che C a r t e s i o non pone in discussione il senso d’essere implicito
nell’idea di sostanzialità e il tipo di «universalità» inerente a questo significato. Del resto
l’ontologia medioevale non ha indagato più dell’antica che cosa significhi l’essere stesso.
Ma non deve destar meraviglia che un problema come quello dei diversi significati
problematica della filosofia greca in generale, unificando in termini positivi i motivi fondamenta-
li della filosofia precedente. Dopo di lui si inizia la decadenza”.
21
Ivi, p. 393.
22
Ibid.
23
Ibid.
24
Ivi, pp. 388-389: “In che senso l’essere può essere in generale oggetto di scienza. Questione
centrale dell’ontologia. Un passo oltre Platone, rivoluzione totale dell’idea di ontologia”.
25
Cfr. HGA XIX, p. [223]: “[…] welchen Sinn haben die Charaktere des Seins, die universell
jedem Seienden, sofern es ist, zukommen, im Hinblick auf das jeweilige konkrete Seiende? Spä-
ter ist schulmäßig diese Frage so ausgedrückt worden: ob die allgemeinen Bestimmungen, die in
der Ontologie über das Seiende in seinem Sein überhaupt gegeben werden, den Charakter von
Gattung haben, ob die Ontologie die Wissenschaft ist gewissermaßen von den obersten Gattun-
gen alles dessen, was ist, oder ob diese Charaktere des Seins strukturmäßig ein anderes Verhält-
nis zum Seienden haben [qual è il senso dei caratteri dell’essere che appartengono universalmen-
te ad ogni ente in quanto ente, in riferimento all’ente di volta in volta concreto? Più tardi, nella
Scolastica, questa domanda fu espressa come segue: le determinazioni universali che l’ontologia
elabora circa l’essere dell’ente in generale, hanno il carattere di generi? L’ontologia è, per così
dire, la scienza dei generi supremi di tutto ciò che è, oppure questo carattere dell’essere ha una
relazione con l’ente strutturalmente diversa?]”.
26
Oltre che per ragioni di contenuto, esiste anche un motivo filologico che impone di confrontare
le tesi contenute nei paragrafi primo e ventesimo di Essere e tempo: ciò che qui viene presentato
in contesti diversi è invece discusso congiuntamente tanto nel corso del semestre invernale del
1924/25, quanto in quello successivo del semestre estivo del 1925. Cfr. HGA XIX, p. [223];
HGA XX, pp. 208-212 [231-236].
12
dell’essere non progredisca fin che si pretende discuterlo sul fondamento della non chiari-
ficazione del senso dell’essere che questo significato «esprime»
27
.
La prima parte del passo costituisce una ripresa e un approfondimento di quan-
to afferma la tesi a): il problema delle “connessioni categoriali”, “che affaticò
molto l’ontologia medioevale”
28
, è il problema della “funzione significativa
dell’essere”, vale a dire, “il problema del modo in cui il significato di «essere»
concerna i diversi enti”
29
. Nell’elaborazione scolastica del problema fondamen-
tale posto da Aristotele, si delineano tre differenti posizioni cui sono riconduci-
bili tutte le altre: nell’alta scolastica, quelle opposte di Tommaso d’Aquino e di
Duns Scoto; nella tarda scolastica, quella di Francisco Suarez – che tiene conto
tanto delle istanze che determinano la soluzione tomista, quanto di quelle che
motivano quella scotista
30
. Al momento, occorre rinviare l’esame delle ragioni
per cui – secondo Heidegger – proprio nella scolastica, e in particolare nella «so-
luzione» di Suarez, sia rinvenibile un progresso nella comprensione del «pro-
blema della metafisica». Piuttosto – considerato che l’intento che ci guida è
quello di ottenere una prima conferma dell’idea direttrice della nostra ricerca –, è
opportuno concludere l’interpretazione del primo paragrafo di Essere e tempo e
mostrare in che senso il riferimento a Cartesio contenuto nel ventesimo paragra-
fo fornisca un chiarimento su quanto afferma la seconda delle tesi su menziona-
te. Benché qui non si parli di Hegel, è chiaro che l’“evasione” di Cartesio dal
problema della funzione significativa dell’essere è, in fondo, l’autentica ragione
del fatto che anche Hegel ponga in disparte il problema aristotelico dell’unità
dell’essere rispetto al molteplice delle «categorie» cosali. Infatti, mentre nella
scolastica la domanda sul modo di significare della parola «essere» si mantiene
viva e viene fatta progredire, con l’inizio della modernità filosofica essa non co-
stituisce più un problema
31
: Cartesio, che pure conosceva benissimo Suarez
32
,
evita la questione
33
e accetta dogmaticamente l’interpretazione tomista
dell’analogia dell’essere. Accade così che quest’omissione condizioni tutti gli
sforzi della filosofia moderna di pervenire a una fondazione dell’ontologia: an-
che la logica hegeliana, in cui l’idea della filosofia come scienza dell’essere “si
27
HGA II, § 20, pp. 172-73 [93].
28
Ibid.
29
Ibid.
30
Nelle Disputazioni metafisiche Suarez discute ampiamente il problema della funzione signifi-
cativa dell’essere; cfr. F. Suarez, Disputazioni metafisiche, a cura di C. Esposito, Rusconi, Mila-
no, 1996, DM I.1.2, 6, 23; DM I.2.26; DM II.1.1-14; DM II.2.14, 24, 36; DM XXVIII.3.
31
Cfr. HGA XXIV, p. 19 [28]: “Il mio lavoro filosofico è stato chiamato «fenomenologia catto-
lica». Presumibilmente ciò è avvenuto perché io sono convinto che anche pensatori come Tom-
maso d’Aquino o Duns Scoto abbiano capito qualcosa della filosofia, forse più dei moderni”.
32
HGA XXIX-XXX, p. 73 [79]: “Una esposizione autonoma del problema metafisico fu invece
compiuta per la prima volta da Suarez, esposizione che ha esercitato un influsso notevole so-
prattutto sull’inizio della filosofia moderna, su Cartesio. Quest’ultimo che studiò alla scuola ge-
suitica di La Flèche e vi ascoltò i corsi di metafisica, logica ed etica, conobbe benissimo Suarez,
il quale, anche nel periodo più tardo, continuò a essere tenuto in considerazione da lui”. Cfr.
HGA XXIV, p. 76 [112]: “Suarez è il pensatore che più fortemente ha influenzato la filosofia
dell’età moderna. Da lui dipende direttamente Cartesio, che fa uso quasi sempre della sua termi-
nologia. Suarez è il primo ad aver ordinato in un sistema la filosofia e soprattutto l’ontologia del
medioevo”.
33
HGA XX, p. 212 [235]: “Certamente Cartesio, in questa determinazione, rimane essenzial-
mente indietro rispetto alle idee del Medioevo, che in questa direzione è riuscito a vedere con
maggiore acume”.
13
realizza nella forma più grandiosa”
34
, “muove entro una completa mancanza di
comprensione ed un totale fraintendimento”
35
dei problemi lasciati irrisolti da
Aristotele e dal medioevo.
Lo scopo dichiarato del primo paragrafo di Essere e tempo è quello di intro-
durre al problema del rapporto fra essere e tempo mostrando il fatto che e le ra-
gioni per cui la questione del senso dell’essere versa in uno stato di dimentican-
za
36
. La nostra interpretazione ha evidenziato che quest’oblio è da intendere in
senso più preciso come oblio della domanda sull’unità dell’analogia. Nonostante
la parola ‘analogia’ non compaia in nessuno dei titoli degli ottantatré paragrafi
che compongono l’opera – né in alcun titolo di capitolo, sezione o parte –, se si
raffrontano, come abbiamo fatto, i passi tratti dal trattato del 1927 con le tesi
delle lezioni universitarie coeve, quelle che sembrano mere osservazioni inci-
dentali si trasformano in indicazioni preziose sull’impostazione della domanda
sull’essere negli anni 1915-1929. Sopra, abbiamo visto come ancora nell’estate
del 1926, nel corso di un’interpretazione della Metafisica di Aristotele che rical-
ca la struttura della dissertazione di Brentano, Heidegger – che aveva già conclu-
so e dato alle stampe le prime due sezioni della prima parte di Essere e tempo ed
era ancora impegnato nei lavori relativi all’ultimazione della terza sezione che
gli premeva concludere
37
– affermi il carattere altamente enigmatico del feno-
meno del significare analogo. Anche la Vorlesung del semestre invernale
1924/25 – oltre, come abbiamo visto, a quelle del SS 1925 e del SS 1928 – ac-
cenna al problema nel corso di un’analisi dei significati della parola λ⌠γος mol-
to simile a quella che compare nel paragrafo settimo di Essere e tempo: λ⌠γος
“significa ℜν〈λογον, «cor-rispondente», il corrispondente, il corrispondere co-
34
HGA XXIV, p. 10 [15]: “Noi ora affermiamo che l’essere è l’autentico e unico tema della fi-
losofia. Non si tratta di una nostra scoperta: questa posizione tematica viene in luce già agli inizi
della filosofia, nel mondo antico, e si realizza nella forma più grandiosa con la logica hegeliana.
[…] Filosofia è interpretazione teoretico-concettuale dell’essere, della sua struttura e delle sue
possibilità”. Cfr. ivi, p. 19 [28]: “La filosofia come scienza dell’essere si distingue fondamental-
mente, quanto al suo metodo, da ogni altra scienza. […] Nell’ontologia si deve cogliere e conce-
pire l’essere percorrendo la via del metodo fenomenologico. Bisogna però osservare che, se la
fenomenologia è divenuta oggi viva e vitale, non per questo ciò che essa cerca e vuole non era
già vivo e vitale fin dagli inizi della filosofia”; HGA XXVI, pp. 28; 34: “La filosofia è quindi
scienza dell’essere; in quanto si affatica intorno alla comprensione e determinazione concettuale,
intorno al λ⌠γος dell’′ν ©ν, essa è ontologia. […] La filosofia è conoscenza concettuale rigo-
rosa dell’essere”.
35
HGA XIX, p. [223]: “Die ganze Hegelsche »Logik« bewegt sich in einem vollständigen Un-
und Mißverständnis aller dieser Fragen [L’intera Logica di Hegel muove entro una completa
mancanza di comprensione ed un totale fraintendimento di tutte queste questioni]”.
36
HGA II, § 6, p. 78 [21-22]: “All’inizio (§ 1), è stato mostrato che il problema del senso
dell’essere, non soltanto non è stato risolto né adeguatamente formulato, ma è caduto nell’oblio,
nonostante tutto l’interesse per la «metafisica»”.
37
Il fatto che l’elaborazione di Essere e tempo fosse nell’estate del 1926 in uno stato molto a-
vanzato è attestato da almeno due lettere che Heidegger scrisse rispettivamente a H. Arendt l’8
maggio 1925 e a E. Blochmann il 22 dicembre 1926. Nella prima egli afferma: “I contenuti delle
mie lezioni li pubblico in autunno, e tu riceverai una copia del trattato”, M.H.-H.A., p. 19; nella
seconda egli fornisce un’indicazione temporale ancora più precisa: “E invece mi trovo qua – sul
capitolo di transizione. Il lavoro del semestre mi ha tolto la giusta concentrazione. I giorni di fe-
rie devono fruttare, entro la fine dell’anno vecchio la conclusione”, M.H.-E.B., p. 39. Cfr. anche
E. Husserl, Per una fenomenologia della coscienza interna del tempo, a cura di A. Marini, Fran-
co Angeli, Milano 1998, p. 21: “Nell’aprile 1926, Husserl propose a M. Heidegger di occuparsi
delle sue ricerche sulla «Fenomenologia della coscienza interna del tempo» […]. Husserl e Hei-
degger trascorsero allora entrambi le ferie di primavera a Todtnauberg, nella Selva Nera badense.
In questa occasione Heidegger mostrò a Husserl il manoscritto, quasi terminato, della sua opera
Essere e tempo che intendeva dedicargli”.
14
me un determinato modo dell’essere in relazione”
38
. Ma le indicazioni che testi-
moniano dell’attenzione che Heidegger ha sempre riservato alla questione, non
sono presenti soltanto nelle lezioni marburghesi
39
ma rimandano ancora più in-
dietro nel tempo sino ai primi anni dell’attività di docente a Friburgo e addirittu-
ra alla tesi di libera docenza del 1915
40
: proprio nelle lezioni del semestre inver-
nale del 1921/22, che inaugurano un ciclo di interpretazioni fenomenologiche di
Aristotele i cui risultati sarebbero dovuti confluire in un vero e proprio trattato,
troviamo di nuovo un riferimento all’enigma dell’analogia nel contesto di una
ricerca volta a rinvenire una definizione di principio della filosofia:
Dunque tra il «filosofare» e il «musizieren» sussiste, come si suol dire, un’«analogia», e
se possedessimo un senso radicale e profondo dell’analogia e dell’essere «analogo» – un
senso d’attuazione del λ⎡γειν che attende ancora oggi la sua interpretazione filosofica –
non sarebbe difficile procedere oltre nell’analisi di questa analogia
41
.
Ricapitolando, possiamo dunque affermare che anche se la nostra interpreta-
zione non ha ancora tematizzato il problema autentico, costituito dal nesso tra la
questione del tempo e quella dell’analogia dell’essere, essa è almeno riuscita in-
dividuare in Aristotele e nella tradizione aristotelica l’elemento che predetermina
le possibilità di partenza dell’ontologia fondamentale. Se in sede di introduzione
abbiamo in parte anticipato le conclusioni di analisi che ci occuperanno ancora
per tutto il corso di questo lavoro, ciò è stato fatto soltanto per sottolineare fin
dal principio che il nostro intero scopo è quello di interpretare Essere e tempo
seguendo le indicazioni in merito che Heidegger stesso, a modo suo
42
, ci offre in
38
HGA XIX, p. [202]: “[λ⌠γος] bedeutet ℜν〈λογον, »ent-sprechend«, das Entsprechende, das
Entsprechen als eine bestimmte Art des Bezogenseins”.
39
Indicazioni decisive potrebbero trovarsi anche in due corsi marburghesi non ancora pubblicati
in italiano. Il primo è quello del semestre invernale del 1923/24 il cui contenuto Heidegger così
riassume nello scritto Dall’ultimo corso di lezioni di Marburgo, HGA IX, p. 35: “Le lezioni te-
nute a Marburgo nel semestre del 1923-24 avevano tentato un analogo confronto con Cartesio,
poi confluito in Sein und Zeit (§§ 19-21)”. Ciò significa che il problema dell’unità dell’analogia,
cui si accenna ai §§ 1 e 20 di Essere e tempo, potrebbe essere discusso, come sovente accade, in
modo più articolato in queste lezioni. Un’importanza addirittura maggiore potrebbe avere, per le
stesse ragioni, il corso del semestre invernale 1926/27 Storia della filosofia da Tommaso
D’Aquino a Kant – soprattutto se questo corso dovesse contenere, come è ragionevole attendersi,
un’interpretazione delle Disputazioni metafisiche di Suarez che integri i pochi ma significativi
riferimenti a questo pensatore presenti in HGA XXI, p. 116; HGA XXIV, pp. 74-84 [108-124];
HGA XXVI, p. 47; HGA XXIX-XXX, pp. 72-78 [77-84].
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Nella seconda parte di questo scritto, Heidegger svolge un’interpretazione fenomenologica dei
fenomeni dell’univocazione, equivocazione e analogia nel quadro di un’analisi volta a stabilire
se la loro elaborazione rientri o meno fra i compiti della dottrina del significato. Cfr. DS, p. 159
sg.: “Ogni considerazione più approfondita dei significati, del loro rapporto con le parole come
con gli oggetti a cui in esse si mira intenzionalmente, s’imbatte nei fenomeni dell’univocazione,
equivocazione e analogia”.
41
HGA LXI, p. 81.
42
Nella lettera a H. Arendt del 10 ottobre 1954, Heidegger, parlando del volume Saggi e discorsi
che era stato da poco pubblicato, afferma: “Se tu sfogli la raccolta dei saggi del nuovo volume,
noterai come è stato costruito, come cioè il primo dei saggi richiama l’ultimo e viceversa. A un
certo punto avevo pensato di dare ancora espressamente una mano al lettore. Ma è meglio che gli
interessati se la cavino da soli”, M.H.-H.A., p. 113. Molti anni più tardi, nel 1962, Heidegger mo-
tivò la sua esitazione a fornire risposta alle domande che il padre gesuita W.J. Richardson gli a-
veva rivolto circa il primo impulso del suo cammino di pensiero, affermando: “La lezione di una
lunga esperienza mi induce a supporre che tali riferimenti non vengono presi come indicazione
della via di una riflessione indipendente sulla questione indicata. Se ne prenderà atto, invece,
come un’opinione da me espressa e come tale sarà diffusa [Durch eine lange Erfahrung belehrt,
muß ich vermuten, daß man die Hinweise nicht als Weisung aufnimmt, sich selber auf den Weg
15
ben sette occasioni distinte. Il nostro tentativo si contrappone così a tutte quelle
letture che, operando una netta quanto del tutto ingiustificata cesura tra il primo
periodo friburghese (1915
43
-1923) e gli anni di insegnamento a Marburgo, e non
tenendo nel dovuto conto che proprio Aristotele è il pensatore cui Heidegger si
riferisce principalmente e costantemente durante tutto questo arco di tempo, non
comprendono l’importanza di questo riferimento per il formarsi stesso dell’idea
di un’ontologia fondamentale
44
. Contro simili fraintendimenti, l’interpretazione
deve dimostrare come l’elaborazione originaria della problema dell’essere svi-
luppata ai §§ 39-40 di Kant e il problema della metafisica costituisca la migliore
chiave di accesso al contenuto dei §§ 2-4 di Essere e tempo
45
. Prima però, occor-
re definire meglio il quadro entro cui questa interpretazione dovrà svolgersi.
zu machen, um der gewiesenen Sache selbständig nachzudenken. Man wird die Hinweise als
eine von mir geäußerte Meinung zur Kenntnis nehmen und als solche weiterverbreiten]”, W. J.
Richardson, Heidegger, cit. p. IX. Allora, stante questa diffidenza verso la «pubblicità», non può
stupire che Heidegger abbia relegato le informazioni più utili alla comprensione del suo pensiero
in brevi testi che ebbero scarsa, se non nessuna, risonanza pubblica (ad eccezione del dialogo col
giapponese) – oppure in colloqui privati come lettere o seminari destinati a una cerchia ristretta
di studiosi.
43
La ragione per la quale non è possibile stabilire come data d’inizio del primo periodo fribur-
ghese il 1919, anno in cui Heidegger comincia ad insegnare in qualità di libero docente, è, innan-
zitutto, di natura filologica: in Essere e tempo (§ 80, pp. 594-95 [418-419]) vi sono due note che
rimandano – la prima implicitamente, la seconda esplicitamente – alle considerazioni svolte nella
tesi di abilitazione Il concetto di tempo nella scienza della storia. Questo scritto costituisce una
rielaborazione della lezione che Heidegger tenne il 27 luglio 1915, il giorno seguente il conse-
guimento della libera docenza con la ricerca su La dottrina delle categorie e del significato in
Duns Scoto. Entrambi i lavori furono pubblicati nel 1916 e obbediscono alla medesima proble-
matica: l’elaborazione della «dottrina delle categorie». Lo stesso dicasi per la tesi con cui Hei-
degger ottenne il dottorato La dottrina del giudizio nello psicologismo. Un contributo critico-
positivo sulla logica (1913), che così si conclude: “E soltanto quando la logica pura è costruita su
tali fondamenti, si potranno accostare con maggiore sicurezza i problemi gnoseologici e artico-
lare tutta la sfera dell’«essere» nelle sue diverse modalità di realtà, e si potrà evidenziare lu-
cidamente la loro specificità e con sicurezza determinare il tipo della conoscenza d’essi e la sua
portata” (cfr. Gp, p. 151). Ora, se quest’orizzonte problematico fosse venuto i n t e r a m e n t e
meno nel corso del decennio circa che separa questi testi da Essere e tempo, è evidente – per chi
abbia consapevolezza del fatto che nulla in quest’opera, tantomeno le note, è casuale o dettato da
considerazioni esteriori –, che Heidegger non avrebbe potuto richiamarsi ad essi in nessun caso.
Se quindi è sbagliato escludere dogmaticamente queste ricerche dalla considerazione degli scopi
dell’opera del 1927, a maggior ragione non si può introdurre forzosamente una cesura tra queste
e l’inizio dell’attività di docente a Friburgo.
44
Emblematica è, in questo senso, la posizione di H.G. Gadamer che nel suo scritto introduttivo
al Natorp-Bericht afferma: “Ancora dopo la lettura di Essere e tempo fu chiaro a pochissimi che
Aristotele rappresentava per Heidegger per lo più una figura di quella tradizione che copre le
proprie origini e che non consente al pensiero occidentale di giungere a se stesso” NB, p. 493.
45
E. Severino considera il Kantbuch talmente importante, da farne il filo conduttore del suo ge-
niale studio su Heidegger e la metafisica, Adelphi, Milano 1994, Avvertenza p. 20: “In Heideg-
ger e la metafisica il filo conduttore è costituito da Kant e il problema della metafisica, che con-
sidero tuttora uno dei testi privilegiati per la conoscenza del pensiero di Heidegger”.