La voglia e la gioia di vivere dei giovani del campo e la forza di sperare
ancora in un futuro migliore, nonostante la rassegnazione dei più vecchi e la
situazione che peggiora negli anni, mi hanno spinto ad interessarmi alla loro
tragedia personale, al posto che occupa nella vicenda collettiva del popolo
palestinese e più in generale nel conflitto con Israele.
Scrivere del conflitto israelo-palestinese è un’impresa assai ardua: da
oltre mezzo secolo infatti, il destino di due popoli si intreccia con le sorti
dell’intera regione mediorientale e di tutto il mondo, come è avvenuto fin dalla
spartizione del medioriente alla vigilia del primo conflitto mondiale ad opera
delle grandi potenze. Inoltre, il destino dei due popoli è stato per entrambi
segnato dalla tragedia: il genocidio del popolo ebraico da parte nazista così
come la Nakba per il popolo palestinese pesano enormemente sul conflitto.
Tutto il mondo è stato impressionato dagli ebrei in fuga prima dalle
persecuzioni in Europa e poi dai campi di sterminio nazisti, così come le
potenze occidentali hanno fatto presto a dimenticarsi della distruzione della
società palestinese nella guerra del 1948 e della trasformazione di oltre
settecentomila palestinesi in rifugiati (più della metà dell’intera popolazione
araba della Palestina mandataria), una volta che si credeva finalmente
assicurata la stabilità nella regione ed erano oramai le esigenze della guerra
fredda a dettare le priorità sull’agenda politica internazionale.
Non si può studiare il conflitto tra palestinesi ed israeliani con pretese
di neutralità o di solidarietà astratta con una della parti: ciascuno deve
considerare una serie di elementi, di antefatti, stabilire connessioni, cause ed
effetti, assegnare priorità, attribuire “colpe”, farsi un’interpretazione degli
eventi storici. Tuttavia, mi sento di condividere il giudizio dello studioso
palestinese Edward Said: «la guerra del 1948 è stata una guerra di
espropriazione. Quello che è avvenuto quell’anno è stata la distruzione della
società palestinese, la sostituzione di questa con un’altra, e l’allontanamento di
coloro che erano ritenuti indesiderabili»
1
. La situazione attuale infatti, nella
quale il popolo ebraico dispone di uno Stato mentre quello palestinese ne è
1
Said E., “My Right of Return”, Ha’aretz Magazine, Tel Aviv agosto 2000.
5
ancora privo e che permette a qualsiasi ebreo nel mondo di diventare cittadino
di Israele mentre ai rifugiati palestinesi il ritorno viene negato, «è nata da
un’ingiustizia originaria»
2
: i palestinesi sono stati in gran parte espulsi dalle
loro terre nello scontro tra gli eserciti arabi e le forze sioniste nel 1948-49, è
stato loro impedito di far ritorno e la loro tragedia è stata negata e rimossa. Al
presente, grazie anche al lavoro dei nuovi storici israeliani, il “peccato
originale di Israele” è un fatto storico assodato: non si può quindi tralasciare la
dimensione morale del conflitto in quanto il senso di umiliazione e di aver
subito un’ingiustizia storica è determinante nell’identità nazionale e nelle
rivendicazioni dei palestinesi.
I temi del presente lavoro analizzano vari aspetti della questione dei
rifugiati: a partire da un’introduzione sulla dimensione e i caratteri del
problema, mi sono concentrato sugli aspetti storici, storiografici e politici.
L’analisi storica tenta di ricostruire gli antefatti e i presupposti che hanno
portato, tra l’approvazione della risoluzione sulla partizione della Palestina nel
novembre del 1947 fino alla stipulazione degli accordi armistiziali del 1949 tra
il nuovo Stato israeliano e gli Stati arabi sconfitti nella guerra, alla distruzione
e dispersione della società palestinese ed alla costituzione dello stato d’Israele.
Mi sono soffermato sulle fasi e le caratteristiche dell’esodo palestinese, sulla
questione del rientro dei rifugiati durante ed al termine del conflitto,
accennando anche alle persone diventate rifugiati, sloggiati o sradicati per
diverse motivazioni dalla Nakba fino ad oggi. Il dibattito storiografico sulle
origini e le responsabilità per la nascita del problema dei rifugiati palestinesi è
una questione attuale che investe il campo della società, della cultura e della
politica israeliana. Dopo la presentazione delle opposte narrazioni tradizionali
sui fatti della guerra del 1948 e sulla nascita del problema dei rifugiati, ho
analizzato i temi affrontati dalla nuova storiografia israeliana e l’acceso
dibattito che essa ha scatenato all’interno del mondo accademico e che è
divenuto, per l’importanza delle questioni affrontate e per il possibile impatto
sui negoziati di pace, di dominio pubblico. La messa in discussione dei
2
Gresh A., Israele, Palestina. La verità su un conflitto, Einaudi, Torino 2004, p. XIII.
6
tradizionali miti nazionali sui quali si è edificato lo stato israeliano ha
comportato la riconsiderazione della legittimità stessa del progetto sionista,
dell’identità sulla quale è costruito lo stato di Israele e potrebbe comportare
l’indebolimento in sede negoziale di certe posizioni israeliane, quali il rifiuto
di permettere il ritorno di un solo rifugiato in Israele, di ammettere (anche
parzialmente) la responsabilità per la creazione del problema dei rifugiati e
provvedere quindi alla compensazione per i danni e le perdite da essi subite.
Nel quarto capitolo si prende in considerazione l’evoluzione politica
dell’OLP riguardo il tema del diritto al ritorno, le questioni della mancanza di
rappresentanza e di partecipazione dei rifugiati nelle istituzioni politiche
palestinesi e nelle iniziative negoziali che decidono del loro futuro e dei loro
diritti. Questi temi sono necessari per comprendere in che modo le iniziative di
pace ufficiali, dalla Conferenza di Madrid nel 1991 fino ad oggi, abbiano
posto in secondo piano le esigenze e i diritti dei rifugiati rispetto all’obiettivo
primario della costituzione di uno stato palestinese nei territori occupati da
Israele nel 1967: l’ultimo capitolo infatti, analizza proprio le soluzioni e i
compromessi proposti in sede negoziale riguardo la questione dei rifugiati,
mettendo in evidenza come senza una giusta soluzione di un problema così
importante per la parte palestinese nessun accordo di pace duraturo sarà mai
possibile.
Le fonti utilizzate nel mio lavoro sono di varia natura e di non semplice
reperimento: il materiale disponibile in italiano infatti, prende generalmente in
considerazione l’aspetto globale, spesso di carattere storico e politico, del
conflitto israelo-palestinese. La maggior parte delle fonti consultate
riguardanti nello specifico la questione dei rifugiati palestinesi sono invece in
lingua inglese (comprese traduzioni dall’ebraico e dall’arabo). Oltre alla
consultazione di volumi monotematici sul problema dei rifugiati, di grande
aiuto è stata la ricerca e il reperimento di materiale sulla Rete, sia tramite la
ricerca presso le banche dati e i periodici elettronici dell’Università di Perugia,
sia tramite la ricerca sul Palestinian Refugee Research Net (progetto inter-
universitario di diffusione di ricerche, informazioni, idee, studi sulla questione
7
dei rifugiati palestinesi) e sul Badil Resource Center for Palestinian Residency
& Refugee Rights (centro di ricerca volto al supporto del diritto al ritorno per
mezzo della partecipazione dei rifugiati alla ricerca di soluzioni durevoli),
fonti preziosissime e imprescindibili per chiunque decida di trattare la
questione dei rifugiati palestinesi. Inoltre, mi sono avvalso anche delle
indagini conoscitive, delle risoluzioni e dei rapporti forniti dagli organismi
internazionali che si sono occupati della questione dei rifugiati dalla sua
creazione fino ad oggi, utilizzando in particolare l’archivio messo a
disposizione in Rete dallo United Nations Information System on Palestine.
8
ACRONIMI
OLP Organizzazione per la liberazione della Palestina
ANP Autorità nazionale palestinese
CLP Consiglio legislativo palestinese
UNRWA United Nations Relief and Works Agency
UNCCP-CCP United Nations Conciliation Commission of Palestina –
Commissione per la Conciliazione della Palestina
UNHCR-ACR United Nations Higher Commissioner on Refugee
– Alto commissariato per I rifugiati
FPLP Fronte popolare per la liberazione della Palestina
FDPLP Fronte democratico popolare per la liberazione
della Palestina
PPP Partito popolare palestinese (ex Comunista)
Irgun Organizzazione militare nazionale ebraica
LHI o Banda Stern Combattenti per la libertà di Israele
9
CAPITOLO I
LA QUESTIONE DEI RIFUGIATI PALESTINESI:
UN’INTRODUZIONE
Gli studi sui rifugiati
Gli studi sui rifugiati nel corso degli ultimi decenni hanno visto un forte
incremento, caratterizzato dalla stretta relazione che lega la ricerca accademica
e la nascita di istituzioni, agenzie e centri di ricerca, all’esigenza di dare
concrete risposte a questioni politiche che si ponevano sul campo, vale a dire il
fenomeno dei rifugiati e delle migrazioni forzate riguardanti ormai milioni di
persone in tutto il mondo. Lo stimolo alla ricerca sui rifugiati è stato
sicuramente fornito da agenzie, istituzioni operative o dipartimenti governativi
che si trovavano di volta in volta a fronteggiare concrete ed urgenti situazioni
sul campo
3
.
Quindi, si può stabilire una correlazione tra la domanda politica e la
risposta accademica e istituzionale al problema emergente dei rifugiati nel
mondo, dalla Seconda Guerra mondiale fino ad oggi. Non fa eccezione
ovviamente il problema dei rifugiati palestinesi che, come avremo modo di
analizzare nel corso di queste pagine, è anch’esso un problema storico-politico
a cui si è tentato di dare soluzione attraverso la creazione di istituzioni
internazionali (si pensi all’ UNRWA ed all’ UNCCP) e il proliferare di studi
accademici sul tema.
3
Black R., “Return of Refugees”, in Dumper, M. (a cura di) Palestinian Refugee Repatriation. Global
Perspective, Routledge, London & New York 2005, pp. 23-40.
10
Appena il fenomeno delle migrazioni forzate e dei rifugiati ha assunto
riguardevoli dimensioni, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha istituito
un’apposita agenzia per la tutela dei rifugiati, l’Alto Commissariato delle
Nazioni Unite per i Rifugiati nel 1950.
Nella Convenzione sullo status dei rifugiati, firmata a Ginevra nel
luglio del 1951, si trova una definizione organica di “rifugiato”, che inquadra
la questione in termini giuridici, come di «Colui che, temendo a ragione di
essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad
un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del
Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore,
avvalersi della protezione di questo Paese: oppure che, non avendo la
cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a
seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui
sopra»
4
.
Indubbiamente L’UNCHR è stato un punto di riferimento per tutte le
ricerche inerenti i rifugiati (nello stesso anno della sua fondazione si è creata l’
Association for the Study of the World Refugee Problem, in Liechtenstein),
ma la sua attività non basta a spiegare l’enorme proliferazione di pubblicazioni
di vario genere che, soprattutto a partire dagli anni Ottanta si sono occupate
dei rifugiati. Il database dell’ UNCHR conta ormai migliaia e migliaia di
articoli e documentazione al riguardo.
L’emergere di un vero e proprio settore di studi accademici sui rifugiati
risale agli anni Ottanta, anche se ci sono stati lavori precedenti sui campi
rifugiati della Seconda Guerra mondiale, sull’ Organizzazione Internazionale
per i Rifugiati e il suo successore, l’ACR. Un importante punto di partenza è
stato costituito dal primo numero della rivista International Migration Review,
nel 1981, dove nell’introduzione gli studiosi Stein e Tomasi affermano la
necessità di una prospettiva esauriente, storica e interdisciplinare per lo studio
4
Si veda il sito del Consiglio Italiano Rifugiati, www.cir-onlus.org/index.html .
11
dei modelli e delle caratteristiche dell’esperienza di rifugiato
5
(in parte come
risposta alla crisi dei rifugiati indo-cinesi). Gli studi interdisciplinari (nel 1988
nasce il Journal of Refugee Studies) e la comparazione tra le diverse
esperienze dei rifugiati pongono le basi per un approccio più teoretico a tali
questioni (il “rifugiato” diventa una categoria oggetto di studio) e meno legato
alle specifiche esigenze politiche, e consentono lo sviluppo di studi e centri di
ricerca sul tema in tutto il mondo.
Molti studi e lavori accademici hanno fornito definizioni estensive di
“rifugiato”, inglobando per esempio i migranti forzati, gli esiliati, gli espulsi, i
deportati, ed altre categorie che vivono esperienze di marginalizzazione,
esclusione e persecuzione quali i migranti forzati per motivi economici,
ambientali o di esclusione sociale, e infine gli sfollati (Internally Displaced
Persons, IDPs). Tutti questi lavori hanno stimolato il dibattito sulle categorie
di persone che possono considerarsi o meno “rifugiati”, e su quanto è
opportuno che si estenda il settore degli studi in materia.
Gli sviluppi nel campo degli studi sui rifugiati sono sempre stati
intimamente connessi con le evoluzioni politiche e istituzionali: prima di
diventare un campo di ricerca accademica, questo settore di studi è emerso in
risposta a situazioni emergenziali ed a istanze politiche per l’analisi e la
risoluzione dei problemi che si ponevano di vlta in volta sul campo: così è
stato per la citata “Association for the Study of the World Refugee Problem”,
sorta subito dopo l’istituzione dell’UNHCR, e per la International Migration
Review, anch’essa seguita all’esodo dal Vietnam nella seconda metà degli anni
Settanta. La caratteristica precipua della disciplina è stata fino ad epoca
recente la stretta relazione tra domanda politica e risposta accademica: ma il
fatto che il settore sia fortemente influenzato dalle istanze politiche, fino a
dettare l’agenda e i confini della ricerca, non esclude quest’ultima
dall’adottare un approccio critico, estendere il campo degli studi, sviluppare
riflessioni e proporre soluzioni che possano avere un impatto reale sulle
5
Stein B. and Tomasi L., “Forward”, International Migration Review, 15(1-2), 1981, pp.5-7, in Black
R., “Fifty Years of Refugee Studies: from Theory to Policy”, in Centre for Migration Studies of New
York, vol. 35, n. 1, primavera 2001.
12
politiche realizzate sul campo. Ricerca, politica e prassi sono in costante
evoluzione e reciproco dialogo: che i frutti delle ricerche sul tema possano
effettivamente tradursi in risposte politiche concrete è un’obiettivo ancora da
raggiungere
6
.
Il regime internazionale sui rifugiati si configura all’interno della
Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, che definisce giuridicamente
chi ha il diritto di godere di questo status, e nel mandato dell’ACR che include
la protezione, l’assistenza e la ricerca di soluzioni durevoli per i rifugiati di
qualsiasi parte del mondo. Le “soluzioni durevoli” finora proposte
dall’UNHCR sono il rimpatrio nel paese di provenienza, l’integrazione nel
paese ospitante e il reinsediamento in paesi terzi: ognuna di queste possibilità
deve realizzarsi secondo il principio della volontarietà, vale a dire in base alla
libera scelta del rifugiato.
Negli anni della Guerra fredda la soluzione preferita dalla comunità
internazionale è stata il reinsediamento, essendo il rimpatrio incompatibile con
gli obiettivi di politica estera delle due superpotenze, ed i rifugiati erano
considerati pedine che potevano essere utilizzate nei confronti dell’avversario
(è il caso, ad esempio, dei rifugiati afgani usati contro l’ex Unione Sovietica
dagli Stati Uniti
7
). Nei rapporti dell’UNHCR degli anni Novanta, The State of
the World’s Refugees, si possono cogliere le evoluzioni negli approcci al
problema dei rifugiati. L’UNHCR ha calcolato che in questo decennio, più di
12 milioni di rifugiati sono stati rimpatriati (Afghanistan, Cambogia,
Mozambico, Rwanda, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo
8
) in quello che è stato
infatti chiamato il “decennio del rimpatrio”. A differenza dei decenni
precedenti, nei quali gli interventi dell’UNHCR erano perlopiù di breve
periodo, di piccola scala e focalizzati ad assicurare un ritorno sicuro, dagli
anni Novanta l’Agenzia ha adottato un approccio strategico di più ampio
respiro che, in coordinazione con le operazioni ONU di peace-building, mira
6
Black R., “Fifty Years of Refugee Studies: from Theory to Policy”, cit.
7
Hanafi S., “Palestinian Return Migration. Lessons from the International Refugee Regime”, pp. 274-
275 in Dumper, M. (a cura di), Palestinian Refugee Repatriation. Global Perspective, Routledge,
London & New York 2005.
8
www.unhcr.org , “Statistical Yearbook”.
13
al rimpatrio e prevede la sistemazione duratura attraverso le cosiddette quattro
“r”: riconciliazione, reintegrazione, riabilitazione e ricostruzione.
Gli studi sui rifugiati hanno seguito la tendenza della comunità
internazionale, analizzando come spesso, tra i rifugiati stessi, i termini
“ritorno” e “casa” si riferiscono al ritorno nella propria patria, o ad un diritto al
ritorno in una qualche fase nel futuro. Gli studi si sono anche concentrati,
cozzando invece con la pratica politica, sugli aspetti negativi del ritorno e i
suoi fallimenti. Spesso il ritorno è altamente problematico, in quanto può
essere mutata la situazione dei rimpatriati (durante la loro assenza il lavoro o
le proprietà possono essere state occupate da qualcun altro, i rifugiati stessi
possono aver instaurato nel luogo di accoglienza relazioni sociali e affettive, i
loro figli iniziato una vita nuova ecc.) e la stessa terra d’origine può essere
diversa al loro ritorno (mutate condizioni economiche, sociali, politiche,
ambientali). Le ricerche hanno evidenziato quindi come non sia automatico e
privo di contrasti il collegamento tra il ritorno dei rifugiati e le “4 R”, ed
hanno preferito optare in alcuni casi per l’integrazione ed il reinsediamento in
altri paesi. Inoltre il ritorno ha risvolti politici considerevoli, perché riguarda
di frequente una società dove ci sono delle tensioni e dei contrasti a volte
insanabili, dove ci sono vinti e vincitori che hanno interessi opposti in merito
alla realizzazione o meno del diritto al ritorno. Infine, per i rifugiati la
questione si pone sovente in termini simbolici, e più che alla realtà effettiva
del ritorno, tengono a mantenere il diritto di poterlo attuare in futuro e in base
alla propria volontà
9
. E questo, come si vedrà in seguito, è sicuramente un
aspetto centrale per i rifugiati palestinesi e le loro aspirazioni.
Per quanto concerne la letteratura sui rifugiati palestinesi, è possibile
distinguere due fasi principali e un evento che ha segnato lo spartiacque tra di
esse: la Conferenza di Madrid nel 1991 e l’Accordo di Oslo nel 1993, che
hanno segnato l’inizio del processo di pace tra israeliani e palestinesi. La
prima è stata caratterizzata soprattutto per studi descrittivi che mostravano le
condizioni socio-economiche dei rifugiati, ed erano contraddistinte dal legame
9
Black R., “Return of Refugees”, in Dumper, M. (a cura di), op. cit.
14
frequente tra ricercatori e istituzioni addette agli aiuti ed ai servizi ai rifugiati,
ed interessate a migliorare la propria attività assistenziale: si trattava spesso di
progetti specifici diretti all’assistenza umanitaria piuttosto che alla ricerca di
soluzioni politiche. La seconda fase di studi ha seguito l’inizio del cosiddetto
“processo di Oslo”, ed è stata caratterizzata da un progressivo riallineamento
della ricerca con l’agenda politica e la necessità di trovare delle soluzioni
permanenti alla questione dei rifugiati palestinesi. L’Unione Europea e i
governi di Svezia e Norvegia hanno assunto in questa fase un ruolo guida nella
sponsorizzazione delle ricerche, commissionate anche dalla Banca Centrale,
dall’ “Ottawa-based International Development Research Center (IDRC) e
dall’ “Oslo-based Institute for Applied Social Science (FAFO). Inoltre, anche
molte figure di primo piano sia dell’Organizzazione per la Liberazione della
Palestina sia del governo di Israele hanno cominciato ad esporre le loro
soluzioni su vari aspetti della questione (compensazione dei rifugiati per i
danni subiti, assorbimento nei luoghi di attuale permanenza o altrove,
riabilitazione dei campi, ecc.). La seconda fase di studi è stata orientata dalle
esigenza di trovare una soluzione alla questione dei rifugiati palestinesi, ed ha
adottato prevalentemente un approccio “politicamente realistico”, indirizzato
verso l’assorbimento dei rifugiati nel territorio del futuro Stato palestinese, nei
paesi ospitanti o addirittura in paesi terzi. Come si è accennato sopra, gli studi
non sono mai completamente autonomi dalla politica, ed anche in questo caso
l’orientamento delle ricerche verso la risistemazione dei rifugiati (piuttosto
che il rimpatrio in Israele in attuazione del “diritto al ritorno”) rifletteva il
predominio delle “esigenze di sicurezza” di Israele e degli interessi degli Stati
Uniti e dell’Unione Europea nell’assicurare la stabilità della regione. Dalla
fine degli anni Novanta tuttavia, con il fallimento a Camp David del processo
di pace ed in risposta all’inclinazione dei negoziatori di entrambe le parti a
scambiare il diritto al ritorno dei rifugiati con la creazione di uno Stato
palestinese nei Territori Occupati
10
, è emerso un settore di ricerche
10
Dumper M., The Future for Palestinian Refugees: Toward Equity and Peace, Lynne Rienner
Publishers, Boulder Co., 2007, p. 15-18.
15