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Introduzione
Il fenomeno dei bambini soldato è uno degli aspetti delle
cosiddette “nuove guerre” che più ha colpito l’ opinione
pubblica internazionale e attorno al quale si sono
maggiormente mobilitate le organizzazioni umanitarie, sul
piano sia istituzionale che non governativo. L’ esistenza di
bambini che combattono nelle guerre ha un forte impatto su
noi occidentali perché il binomio bambino-soldato ci appare
come una sorta di antitesi, in quanto difficilmente riusciamo
a immaginare un fanciullo nei panni di un soldato. Il
coinvolgimento di bambini in guerra sfida norme e valori
stabiliti e generalmente accettati riguardo alle categorie
fondamentali di infanzia ed età adulta: nelle moderne
società occidentali, l’ infanzia è generalmente associata all’
innocenza, alla debolezza e a una dipendenza totale dagli
adulti; i soldati, al contrario, sono associati alla forza, all’
aggressività e ad una supposta maturità necessaria per
affrontare le proprie responsabilità. Probabilmente, il lato
più inquietante del fenomeno è che in queste figure vittima e
carnefice si confondono, mettendo in crisi la nostra
concezione abituale dell’ infanzia. Questa “confusione” tra
carnefici e vittime è particolarmente evidente in società come
il Congo odierno, in cui la violenza è fortemente radicata
nella quotidianità. Avvicinandosi a uno studio di contesti
come questo è impossibile fermarsi ad una prospettiva
vittimizzante e caritatevole: l’ antropologia, in virtù della
metodologia che la caratterizza - l’ “approccio dal basso”, l’
“osservazione partecipante”, che si sforza di comprendere la
prospettiva interna degli attori sociali - è in grado di rendere
conto delle diversità dei vari contesti e dei rapporti sinergici
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tra dinamiche globali e locali. Un’ analisi dei singoli contesti
fondata su queste basi può risultare utile al fine di una reale
comprensione di un fenomeno come quello dei bambini
soldato. È evidente la tensione fra l’ approccio “dall’ interno”
dell’ antropologia, sensibile alle peculiarità delle condizioni
culturali e dei sistemi di significato locali, e quello
universalista e oggettivistico delle istituzioni politiche e
umanitarie internazionali. Probabilmente si tratta di una
tensione strutturale: il sapere antropologico non può fare a
meno di calarsi nella densità dei significati culturali, mentre
le istituzioni umanitarie, se vogliono agire, non possono
evitare di assumere posizioni universaliste. Sarebbe
importante che questi due livelli fossero capaci di
correggersi ed arricchirsi a vicenda.
La prima parte del mio lavoro si concentra su una
descrizione generale, a livello mondiale, del fenomeno dei
bambini soldato, con l’ausilio delle stime della Coalition to
Stop the Use of Child Soldiers. Tuttavia, per quanto il
fenomeno dei bambini soldato sia cresciuto in modo
esponenziale negli ultimi decenni, non ci troviamo di fronte
aD una novità assoluta: si può cercare di tracciare una
breve panoramica storica del fenomeno. Segue una
descrizione dell’ evoluzione del Diritto Internazionale in
materia, che cerca al contempo di evidenziarne i limiti.
Alcune critiche possono essere fatte in particolare riguardo
alla posizione di straight-18 adottata dalle istituzioni
internazionali e dalle associazioni internazionali: questa
definizione universalistica dell’infanzia entra in contrasto
con la riflessione antropologica, che considera l’infanzia non
come un concetto rigido, ma determinato nei diversi contesti
storici e culturali con modalità assai variabili. La lotta per la
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difesa dell’ infanzia mira ad estendere al mondo intero i
diritti di cui i bambini godono nei paesi occidentali, e di
conseguenza ha bisogno di lavorare a partire da definizioni
universali: questo rischia però di farle perdere di vista le
peculiarità locali, i modi in cui lo status dei bambini è
riconosciuto e socialmente gestito in realtà diverse. Gli
scienziati sociali non sempre convergono riguardo alle
cause di utilizzo dei bambini nei conflitti armati: riporto una
casistica delle posizioni di operatori umanitari, politologi ed
antropologi. Il reclutamento dei fanciulli può essere forzato,
in particolare attraverso il rapimento, o volontario: i bambini
possono decidere di arruolarsi per far fronte a problemi
economici, di sopravvivenza, o anche perché attratti dagli
aspetti simbolici della violenza. Proprio a questo riguardo è
importante, per cercare di andare al di là di una prospettiva
schiacciata sul semplice vittimismo, domandarsi quale sia il
grado di consapevolezza e responsabilità di questi giovani
combattenti. È importante vedere questi bambini come
attori sociali, dotati di una sorta di “agency [capacità di
agire] tattica”, concepita per far fronte alle concrete,
immediate condizioni della loro vita per massimizzare le
circostanze create dall’ ambiente militare e violento che li
circonda.
La Repubblica Democratica del Congo è un caso
emblematico dell’impiego dei bambini in guerra: nella
seconda parte del mio lavoro cerco di tracciare una breve
storia di questo paese, inserendola nell’ attuale contesto
delle “Nuove Guerre” e dei conflitti cosiddetti “etnici”.
È alla luce delle considerazioni su questi temi che bisogna
analizzare il conflitto congolese, un conflitto multistratificato
in cui si intrecciano numerosi attori, nazionali e
internazionali.
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Il contesto congolese si caratterizza, tra le altre cose, per un
ampio impiego di bambini soldato, i cosiddetti kadogos, da
parte di tutte le fazioni, regolari e non: proprio ai bambini
soldato e ai giovani combattenti congolesi è dedicata la terza
parte del mio lavoro. La crisi multidimensionale di cui sono
vittima i giovani congolesi, inseribile in una crisi di portata
più ampia che colpisce l’intera popolazione giovanile del
continente africano, può portare ad un ricorso alla violenza,
interpretabile nella duplice funzione di mezzo per il
riconoscimento sociale e strumento per la ricerca di benefici
materiali. La regione del Kivu, nel Congo orientale,
rappresenta l’ epicentro della crisi congolese; si tratta di una
realtà assai complessa e cruenta, dove l’ esplosione di
conflitti di diversa natura sembra non conoscere sosta e
dove i giovani militari si affermano tra i protagonisti
principali: tra i gruppi che maggiormente impiegano bambini
spiccano i Mayi-Mayi, una milizia che durante gli ‘anni caldi’
della guerra e parzialmente tuttora, ha controllato buona
parte delle aree rurali del Kivu.
La conclusione si concentra su uno dei problemi maggiori
che il Congo odierno deve affrontare, comune a tutti i
contesti caratterizzati dall’impiego in guerra di fanciulli:
quello della smobilitazione e della reintegrazione dei giovani
combattenti nella società, descrivendo i limiti dei programmi
occidentali e le proposte in merito dell’antropologia.
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CAPITOLO 1
Il fenomeno dei “bambini soldato”
1.1 Uno sguardo sul mondo
Nel mondo sono centinaia di migliaia i bambini e le bambine
che combattono nelle più diverse guerre: secondo l’ ultimo
rapporto della Coalition to Stop the Use of Child Soldiers
1
sono almeno ottantasei i paesi in cui giovani di età inferiore
ai diciotto anni vengono arruolati in milizie ed eserciti e
circa una ventina i conflitti in cui i bambini vengono
direttamente impiegati nelle zone belliche (Coalition to Stop
1
La Coalizione, che lavora per prevenire il reclutamento e l’ uso di
bambini come soldati, per assicurare la loro smobilitazione e garantire la
loro riabilitazione e reinserimento nella società, è stata fondata nel 2008
da Amnesty International, Human Rights Watch, Jesuit Refugee, Quaker
United Nations Office-Ginevra, International Save the Children Alliance e
Terre des Hommes. In un secondo momento sono entrate a farne parte
anche Defence for Children International, World Vision International e
numerose organizzazioni non governative regionali in Africa, Asia e
America Latina (Carrisi, 2006).
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the Use of Child Soldiers, 2008). L’ Africa ha il più alto
numero di bambini soldato, che combattono nei conflitti
armati del Burundi, della Repubblica Centrale Africana, del
Chad, della Costa d’ Avorio, della Repubblica Democratica
del Congo, della Somalia, del Sudan e dell’ Uganda. Giovani
combattenti sono arruolati anche in vari paesi asiatici e in
diverse parti dell’ America Latina, del Medio Oriente, del
Nord America e dell’ Europa
2
.
1.2 Una panoramica storica
Per quanto il fenomeno dei bambini soldato sia cresciuto in
modo esponenziale negli ultimi decenni, non ci troviamo di
fronte a una novità assoluta: nei “discorsi umanitari” “si dà
per scontato che l’ impiego di bambini come soldati sia un
fenomeno recente, legato ai mutamenti nella natura delle
guerre di fine Novecento” (Dei, 2008), mentre, sulla scorta
degli studi di Rosen, è possibile tracciare una sorta di
panoramica storica del fenomeno.
A partire dal Medioevo “soldati ragazzi” furono arruolati
regolarmente nelle forze armate britanniche, e verso la fine
del 1800 esistevano già istituzioni atte ad organizzare e
sistematizzare il loro reclutamento, come il Royal Military
Asylum, fondato nel 1803 dal duca di York, e la Royal
2
I bambini soldato sono una realtà anche in Europa e America
settentrionale, tuttavia il fenomeno è certamente inferiore rispetto alla
situazione di altre parti del mondo: oltre la metà dei paesi aderenti all’
Osce consente ai minori di diciotto anni di arruolarsi nelle proprie forze
armate. Un gran numero di minori ha preso parte a guerre, sia nelle file
degli eserciti della guerriglia sia in forze armate governative: “sono stati
impiegati come spie, per portare messaggi, armi, hanno ucciso e sono
stati uccisi “ (Bertozzi, 2003, pag. 96).
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Hibernium Military School, che, nata nel 1765 come
orfanotrofio, sviluppò ben presto contatti con l’ esercito.
Ragazzi di dodici e tredici anni combatterono sotto il
comando del generale Gage nel 1774, contro la dilagante
Rivoluzione Americana, e si rileva la presenza di giovani
anche sul versante americano della rivoluzione. Fino al
Ventesimo secolo il servizio militare in Occidente fu
soprattutto volontario, ma il reclutamento di bambini
soldato continuò anche con l’ emergere della leva militare
obbligatoria, poiché i ragazzi continuarono a essere
indirizzati verso l’ esercito da scuole e programmi di
apprendistato militare. La Guerra Civile americana fu una
guerra di giovani: a volte venivano reclutati nelle scuole, a
volte addirittura condotti alle stazioni di reclutamento dai
genitori, avevano un ruolo di sostegno che spesso poteva
elevarsi a ruolo di combattimento (Rosen, 2007 (A)).
Si possono citare numerosi altri esempi, come la celebre
Crociata dei Fanciulli del 1212, a cui parteciparono bambini
di tutta Europa appartenenti a famiglie povere, la battaglia
di New Market, nella quale combatterono i giovani cadetti
della scuola militare della Virginia, e la Seconda Guerra
Mondiale, in particolare i mesi finali, nei quali Hitler ordinò
ai ragazzi della Hitlerjugend di partecipare attivamente ai
combattimenti (Jourdan, 2010 e Singer, 2006). Tuttavia si
tratta per lo più di casi isolati nel tempo e nello spazio, in
cui i bambini non erano mai parte integrante o essenziale
del ristretto insieme di eserciti a cui servivano, mentre nelle
“nuove guerre”
3
l’ utilizzo di bambini soldato sembra
assumere proporzioni inedite (Singer, 2006).
3
Il tema delle “nuove guerre” verrà approfondito nel prossimo capitolo.
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1.3 La protezione giuridica internazionale: limiti e
risultati
Il diritto internazionale che regola l’ impiego dei bambini
soldato fa parte del diritto internazionale umanitario, che
interviene in situazioni di guerra e si impone, a differenza
del diritto dei diritti umani che pone limiti solo agli organi
statali, a qualsiasi attore del conflitto, sia esso Stato, gruppo
di ribelli o altro, le cui regole non possono essere derogate in
nessuna circostanza (Zanghì, 2006).
Il diritto bellico traccia una divisione chiara tra combattenti
e civili: i combattenti sono soggetti ad un regime particolare
che regola ma non vieta l’ uccisione - possono uccidersi
legalmente senza incorrere in responsabilità, mentre non
possono di regola uccidere i civili ne questi possono uccidere
i combattenti o uccidersi tra loro. Viene inoltre tracciata una
rigida distinzione tra “legittimi combattenti”, appartenenti
alle forze armate, e “combattenti irregolari”, di solito ribelli,
insorti e altre forze dissidenti: mentre i primi godono di
privilegi particolari, come la protezione in caso di cattura, gli
altri, non essendo tecnicamente considerati neanche veri
combattenti, non godono di alcuna protezione (Rosen, 2007
(A)).
Per quanto riguarda i bambini, gli obiettivi principali del
diritto internazionale umanitario sono prevenire il loro
impiego come combattenti, sia legittimi che irregolari,
estendere loro i privilegi di cui godono i combattenti legittimi
e proteggere i bambini prigionieri che hanno prestato
servizio come combattenti irregolari dalle punizioni di legge
più severe (ib.).
La comunità internazionale ha progressivamente adottato
misure atte a proteggere le vittime nei conflitti armati