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CAPITOLO II
CIPRO E IL PRINCIPIO DI
AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI
2.1 L’AFFERMAZIONE DEL DIRITTO DI AUTODETERMINAZIONE
Il principio di autodeterminazione dei popoli trova posto nell’art. 11
dello Statuto dell’ONU del 1945 nel quale si afferma l’uguaglianza dei
popoli e l’autodeterminazione; viene ripreso all’art. 21 della Dichiarazione
universale dei diritti dell’uomo del 1948, che sottolinea nella volontà del
popolo la legittimità di ogni forma di governo, ed è quindi esplicitamente
affermato nella Risoluzione 1514 del dicembre del 1960, contenente la
Dichiarazione per l’indipendenza dei paesi e popoli coloniali
25
. Per la prima
volta un principio diffuso nella Comunità internazionale viene qualificato
come un diritto: “All people have the right to self-determination”. Ma
certamente il fatto più rilevante al riguardo è costituito dall’art. 1 di
ambedue i Patti delle Nazioni Unite, adottati nel 1966, l’uno sui diritti
economici, sociali e culturali, l’altro sui diritti civili e politici. Per la prima
volta, infatti, in un accordo internazionale, quali sono ambedue i Patti, si
legge esplicitamente che tutti i popoli hanno il diritto
all’autodeterminazione. Questo processo, favorevole all’affermazione di un
diritto nei Patti delle Nazioni Unite testé richiamati, trova ulteriore conferma
anche in sede europea nell’Atto finale della Conferenza per la sicurezza e la
cooperazione in Europa, il cosiddetto Atto finale di Helsinki del 1975.
Anche in questo testo europeo si sottolinea il diritto di tutti i popoli
all’autodeterminazione e a scegliere liberamente la forma di Stato, di
25
ARANGIO RUIZ G., Autodeterminazione dei popoli (diritto alla), in Enciclopedia
giuridica Treccani, vol. IV, 1988.
26
politica, di governo e di economia.
Successivamente numerosi sono gli altri atti delle Nazioni Unite che
sottolineano tale diritto: citiamo, ad esempio, la Dichiarazione per
l’instaurazione di un nuovo ordine economico internazionale, la Carta dei
diritti e dei doveri economici degli Stati e, al di fuori del contesto delle
Nazioni Unite, anche altri strumenti per la protezione dell’uomo hanno
richiamato ancora una volta il diritto dei popoli all’autodeterminazione.
Ricordiamo in particolare la Carta africana sui diritti dell’uomo e dei
popoli nella quale è interessante notare come il diritto
all’autodeterminazione viene altresì qualificato come un diritto
imprescrittibile ed inalienabile.
Lo stesso diritto, infine, è stato riaffermato nella Risoluzione della
Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sui diritti umani svoltasi a Vienna
nel 1993
26
.
Sempre nell’ambito delle Nazioni Unite, la Dichiarazione sui
principi di diritto internazionale, applicabili alle relazioni amichevoli fra gli
Stati del 1970, è il primo documento che, pur affermando il concetto di
diritto, cerca di dare anche una spiegazione del contenuto del diritto stesso
e, nel chiarire il concetto, sottolinea come il diritto all’autodeterminazione
significhi, per ogni popolo, la possibilità di disporre liberamente del proprio
status politico, economico, sociale e culturale, senza alcuna interferenza
proveniente dall’esterno.
Si può quindi affermare che l’esistenza di questo diritto per i popoli,
come pure la sua natura di vero e proprio diritto e non soltanto di mero
principio di ordine generale, sia ormai universalmente accolta dalla
Comunità internazionale.
26
Si vedano al riguardo il lavori del Working Group-WGIP-dell’ONU sull’esame del
testo di un progetto di “Universal Declarazion on Rights of Indigenous Peoples”, già
pubblicato nel doc. E/CN.4/Sub2/1989/33.
27
Quando timidamente vi è stato qualche tentativo di applicare il
principio dell’autodeterminazione dei popoli alle spinte nazionaliste in
qualche area, europea o non, è sorta subito una preoccupazione, perché se
autodeterminazione dei popoli equivale a dare il via libera all’autonomia di
qualunque nazionalità automaticamente, significava, in particolare per
l’Europa, il crollo dei confini politici determinati a Yalta e mantenuti in
vigore per oltre cinquant’ anni.
Le Nazioni Unite dovevano trovare un limite a questo principio. Ed
infatti, nell’ambito della Dichiarazione sui principi di diritto internazionale
applicabili alle relazioni amichevoli fra gli Stati si è introdotto un altro
concetto (a ragion del vero esistente già prima della su citata Dichiarazione),
quello dell’integrità territoriale, che può sembrare in contrasto con quello
dell’autodeterminazione dei popoli.
Secondo il principio dell’integrità territoriale sembrerebbe che il
diritto all’autodeterminazione non possa essere riconosciuto ad un popolo
laddove l’esercizio del diritto stesso porti allo smembramento dell’unità
territoriale. Ma se ciò fosse vero, dovrebbe negarsi l’esistenza del diritto
all’autodeterminazione delle singole Comunità, ai popoli esistenti
nell’ambito dello stesso Stato; ma questa appare essere una contraddizione
in termini perché non si può limitare il diritto ad un soggetto soltanto sulla
base di una mera circostanza di fatto, cioè l’esistenza nell’ambito di un
territorio, di uno o più popoli
27
. La storia recente ci offre peraltro numerosi
esempi nei quali l’esercizio del diritto all’autodeterminazione ha condotto
alla secessione o alla divisione degli Stati preesistenti. Alcuni di questi
esempi hanno avuto carattere meramente transitorio perché, al termine della
situazione, lo Stato è ritornato ad essere uno Stato unitario; altri invece
27
ZANGHI’ CLAUDIO, Il diritto alla autodeterminazione dei popoli ed il rispetto
dell’integrità territoriale degli Stati, in La questione cipriota: la storia e il diritto, Giuffrè
Editore, Milano, 1999.
28
hanno portato ad una effettiva divisione di Stati quali ad esempio:la
secessione della provincia del Katanga dal Congo nel 1960; l’iniziativa
secessionista della cosiddetta Repubblica del Biafra della Nigeria del 1967;
la scomparsa della provincia orientale del Pakistan e la nascita del
Bangladesh nel 1971.
Per alcuni Stati europei il diritto alla autodeterminazione dei popoli
rischia di far saltare i confini concordati nel dopoguerra e gli equilibri
politici con gli stessi connessi. La contraddittorietà dei principi,
autodeterminazione ed integrità territoriale, si riflette nel contraddittorio
atteggiamento europeo. In altri termini, gli Stati europei hanno continuato a
giudicare della legittimità di un avvenimento o dell’altro soltanto per
mantenere finalità politiche ben precise, quale era ad esempio l’intangibilità
dei confini dei paesi europei e/o dei paesi sui quali gli europei avevano una
particolare influenza.
Per meglio comprendere l’argomento di cui si sta trattando, occorre
distinguere l’ambito della autodeterminazione “esterna”, che conduce
inevitabilmente a modifiche territoriali attraverso la nascita di nuovi Stati o
la riunificazione di altri precedentemente esistenti, dalla cosiddetta
autodeterminazione “interna”, che si limita invece a forme di autonomia più
o meno sviluppate sino alla costituzioni di Stati federali. Ciò non conduce
necessariamente ad un nuovo Stato: l’autodeterminazione può manifestarsi
in altre forme di autonomia amministrativa per la gestione del patrimonio
economico, sociale e culturale della collettività, che si sviluppano
nell’ambito del medesimo Stato. Ad esempio, si può prendere in
considerazione il nostro Paese nel quale, con l’introduzione della riforma
costituzionale 3/2001, si è passati da uno Stato ad autonomia regionale ad
un assetto federalista ma certamente atipico rispetto alle esperienze federali
degli altri Paesi.
Il diritto all’autodeterminazione si presenta così, sinteticamente,
come il diritto a creare istituzioni proprie per la gestione della propria
cultura, lingua, tradizione, economia, etc.
29
Per le comunità nazionali, per i popoli presenti negli Stati
plurinazionali nei quali la spinta autonomistica è una pressante esigenza
dopo decenni di oppressione subita o di forzata unità statuale, il punto di
riferimento non può che essere il diritto all’autodeterminazione del gruppo,
il diritto all’identità nazionale. Autodeterminazione, quindi, correttamente
intesa, non implica necessariamente la nascita di nuove entità politico-
territoriali; questo è il caso limite che non può essere ostacolato attraverso la
pretestuosa invocazione di non meglio definite esigenze di “integrità
territoriale”, così come non può essere ostacolato un eventuale processo di
riunificazione alla patria etnica di origine di ben delimitate aree territoriali
nelle quali si sono concentrate popolazioni di identica etnia o nazionalità,
anche se ciò dovesse condurre alla modifica dei confini statali, spesso
determinati da compromessi politici consacrati in accordi internazionali
28
.
La stessa Assemblea Generale, nel corso dei suoi lavori
29
, ha
sottolineato l’utilità di dar spazio ad ogni forma di autonomia interna allo
scopo di salvaguardare ambedue le esigenze (autodeterminazione e integrità
territoriale).
Le diverse forme di autonomia che realizzano manifestazioni di
autodeterminazione interna, recentemente studiate nelle loro diverse
implicazioni e sfaccettature
30
, risolvono ovviamente il rapporto tra i due
principi, lasciandoli convivere ambedue, giacché le forme autonomiste
realizzate all’interno dello Stato soddisfano l’esigenza
dell’autodeterminazione del popolo che l’ha ottenuta e non incidono
sull’integrità territoriale dello Stato che tale rimane, ancorché quest’ultimo
abbia modificato l’assetto istituzionale (Stato federale, Confederazione).
28
ZANGHI’ CLAUDIO, Tutela delle minoranze e autodeterminazione dei popoli, in
Rivista internazionale dei diritti dell’uomo, 1993, p. 405 ss.
29
ONU, Ass. Gen. Doc. A/48/147, p. 2.
30
PALMISANO GIUSEPPE, Nazioni Unite ed autodeterminazione interna, Giuffrè,
Milano, 1997.
30
Naturalmente una tale soluzione presuppone, da una parte, che lo
Stato in questione sia disponibile a concedere l’autonomia richiesta, e
dall’altra, che il popolo, che vuole autodeterminarsi, possa ritenersi
soddisfatto dal raggiungimento di un obiettivo meramente interno. Se manca
uno o l’altro dei due presupposti la soluzione interna non è realizzabile
perché la stessa presuppone l’incontro di volontà delle due parti in apparente
contraddizione: lo Stato che tende a salvaguardare la propria integrità
territoriale e quel popolo, esistente nel suo interno, che tende invece a
realizzare la propria autodeterminazione. In mancanza di un processo
consensuale si ripropone, pertanto, in tutta la sua ampiezza, la
contraddittorietà fra i due principi richiamati. E su tali premesse una prima
conclusione si impone: il rapporto tra diritto all’autodeterminazione ed il
limite della salvaguardia della integrità territoriale, non consente una
soluzione in astratto ma dev’essere esaminato caso per caso.
Per la valutazione dei singoli casi concreti, nei quali come si è detto,
il diritto all’autodeterminazione può essere ostacolato o escluso dal
principio dell’integrità territoriale, occorre poter individuare dei criteri che
abbiano una fondatezza giuridica internazionale e che possano aiutare a
risolvere ogni singolo caso contingente come accennato in premessa.
Due criteri di interpretazione si evincono già dalla Risoluzione
dell’Assemblea Generale n. 3382 (XXX) del 10 novembre del 1975 nella
quale si precisa che il principio dell’unità territoriale non può essere
considerato una garanzia per tutti gli Stati. Ed il caso è stato applicato, ad
esempio, nell’ambito degli Stati che hanno praticato la politica
dell’apartheid. La stessa Corte internazionale di giustizia se ne è occupata
in occasione del parere sulla Namibia
31
.
Un primo limite nell’applicazione del principio dell’integrità
territoriale sarebbe determinato quindi dal modo di essere dello Stato nel cui
ambito si pone un problema di autodeterminazione. Per poter contrastare
l’esercizio dell’autodeterminazione esterna ed impedire che a ciò consegua
31
Reports, 1971, pag. 16 e 31.
31
una modifica territoriale, lo Stato deve possedere ambedue i requisiti
indicati: aver rispettato il principio dell’eguaglianza dei popoli ed avere un
governo rappresentativo dei popoli stessi, senza alcuna discriminazione di
razza, credo o colore. Per cui gli Stati che non rispettano gli accennati diritti
o che non abbiano un governo rappresentativo dei popoli esistenti sul
proprio territorio, non possono invocare l’integrità territoriale per
contrastare il diritto all’autodeterminazione dei medesimi.
Un secondo limite viene affrontato nei dibattiti svoltisi presso
l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE),
dove viene individuato come elemento discriminante, la circostanza che il
governo dello Stato in considerazione rappresenti I popoli all’interno del
proprio territorio senza discriminazioni di razza, credo o colore. Applicando
tale principio, presento peraltro dalla richiamata Risoluzione dell’ONU, la
Conferenza degli Stati membri dell’OCSE ne deduce che quando in un
determinato Stato sussistano due o più popoli ed il governo dello Stato
medesimo può essere considerato equamente rappresentativo dei popoli
presenti sul territorio senza alcuna discriminazione, allora, in tal caso,
l’esigenza dell’integrità territoriale prevale e le eventuali spinte autonomiste
dell’uno o dell’altro popolo, presente sul medesimo territorio, possono
operare, semmai, verso maggiori forme di autonomia interna, ma non
possono legittimamente condurre alla secessione. In tale circostanza il fatto
che il popolo in questione sia adeguatamente rappresentato a livello
governativo costituisce una garanzia ritenuta idonea a far prevalere
l’interesse della integrità territoriale dello Stato. Al contrario, quando questa
situazione non è realizzata, e cioè quando uno dei popoli presenti sul
territorio non è rappresentato al governo o lo è in maniera discriminata
rispetto all’altro o agli altri popoli, in tal caso l’esigenza dell’integrità
territoriale dello Stato deve cedere di fronte alla superiore esigenza del
diritto di autodeterminazione.
32
2.2 AUTODETRMINAZIONE DEL POPOLO CIPRIOTA
Durante la Seconda Guerra Mondiale, la speranza di emancipazione
crebbe in quelle parti del mondo sottoposte a dominio coloniale. Di fronte
alle difficoltà incontrate nel conflitto contro le forze naziste, l’Inghilterra, la
più grande potenza coloniale, dovette effettuare promesse per la liberazione
e l’indipendenza al termine del conflitto
32
. Il principio di
autodeterminazione - nato dalla rivoluzione francese, promosso non sempre
con successo durante il XIX secolo, e avanzato dopo la Prima Guerra
Mondiale - ritornava così nella scena internazionale, dando spazio allo
svilupparsi di un movimento per la liberazione dei popoli coloniali.
Il principio dell’autodeterminazione allargò la nozione della libertà
politica oltre i confini dello Stato e proclamò il diritto di ogni popolo di
scegliere liberamente l’organismo statale che governasse i propri membri,
come i cittadini di uno Stato democratico potevano individuare liberamente
i propri governanti
33
. Si trattava di un principio dalla grande forza attrattiva;
un principio che toccava i sentimenti di tutti i popoli coloniali e apriva la via
per lo sfaldamento dei grandi imperi europei.
Già nel tempo della Carta Atlantica (4 agosto 1941), la politica
promossa da Washington fece degli Stati Uniti un deciso sostenitore
dell’idea, come lo fu anche la seconda superpotenza, l’Unione Sovietica,
nell’ambito del concetto di “anti-imperialismo”. Il fatto che le due
superpotenze che avrebbero formato il nuovo ordine internazionale alla fine
della Seconda Guerra Mondiale fossero, anche se per motivi diversi, a
favore della liberazione delle colonie creava le condizioni affinché il
principio trovasse ampia applicazione nel primo periodo del dopoguerra. La
Carta delle Nazioni Unite, quindi, fece dell’autodeterminazione dei popoli
32
Nella guerra della propaganda, non bisogna dimenticare che anche la Germania
nazista non omise di mirare allo stesso destinatario, con fini opposti naturalmente.
33
Per un’analisi dell’evoluzione del principio dell’autodeterminazione dei popoli nel
diritto internazionale, anche in relazione al caso cipriota, vedi: KALOGEROPOULOS-
STRATIS K.S., To Dikaioma ton Laon stin Autodiathesi. I paraviasi stin Kypro (Il diritto
dei popoli all’Autodeterminazione. La Violazione a Cipro), Atene, Papazisis, 1977.