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consumi sono strettamente legati tra loro, più di quanto non
avvenisse per le generazioni precedenti.
Sicuramente ai bambini, essendo soggetti più vulnerabili, deve
essere garantita una protezione rispetto a determinate tematiche,
ma poiché questi soggetti rappresentano il futuro della nostra
società, credo sia fondamentale che siano offerti loro i mezzi per
comprenderla ed interagire, sentendosi parte attiva della comunità
sin da piccoli.
I bambini della società dell’informazione usano i nuovi canali di
comunicazione e sono in contatto con il mondo dei consumi
attraverso la pubblicità.
Nonostante la vastità dell’argomento e la mancanza di posizioni
concordi, è stato interessante approfondire le teorie degli studiosi
che ritengono i media responsabili di influenzare negativamente le
nuove generazioni.
Una delle accuse più frequenti rivolta al sistema mediatico è la sua
tendenza a porre l’accento sull’esteriorità, creando un universo
valoriale basato sull’apparenza.
Le bambole Bratz, la cui comunicazione è fondata sull’essere alla
moda, trendy e fashion, esplicitano la necessità delle tecniche di
marketing di andare al passo con le tendenze sociali: le fashion
dolls rappresentano così per le piccole acquirenti un segno
distintivo e contemporaneamente di appartenenza, che le rassicura
e le fa sentire parte di una comunità che condivide gli stessi valori.
Nell'ultima parte della tesi mi sono infine soffermata a considerare
il prodotto Bratz e la comunicazione costruita su di esso, per
valutarne la problematicità.
Durante un convegno svoltosi ad Imperia, nel quale si è dibattuto
sulla tematica “Bambini & Mass Media”, ho domandato al Prof
Farnè cosa pensasse delle fashion dolls e dell’universo valoriale che
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le contraddistingue, alludendo anche alla forte differenza rispetto ai
canoni proposti dalle “bambole del passato” come Barbie.
La sua risposta mi ha fatto riflettere sull’importanza del gioco come
componente fondamentale dello sviluppo infantile: la creatività dei
bambini è infinitamente superiore a quella che gli spot
suggeriscono, perciò giocando loro elaborano possibilità sempre
nuove ed in questa fase imparano a prendere decisioni.
I problemi legati ad un uso scorretto della televisione hanno valore
sia per i bambini che per gli adulti, secondo Farnè, e «le battaglie
moralizzatrici rivolte unicamente alla tivù per bambini non hanno
senso»: il reale pericolo in cui essi incorrono consiste nella scarsa
apertura al gioco, che la televisione promuove visti i contenuti
fortemente attrattivi che la contraddistinguono.
Farnè si è così rivolto al pubblico esortandolo a lasciar giocare i
bambini, anche con le Bratz, poiché la loro importanza nella
costruzione dell’identità risiede nell’essere un oggetto ludico,
indipendentemente da come i media le descrivono.
Anche Ben Bachmair (1997) conferma come la fase della bellezza
rigida, tipica delle bambole, sia importante nello sviluppo delle
bambine, che nel gioco la associano alla Principessa.
La comunicazione di impresa delle Bratz, principesse “post-
moderne” (vedi fig. 10, appendice), è così racchiusa all’interno di
un universo simbolico che è frutto delle evoluzioni che
contraddistinguono la nostra società.
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LA COMUNICAZIONE D’IMPRESA
1.1 Il marketing al servizio del nuovo consumatore
«Un’impresa che non pensa in termini di clientela, non pensa affatto.»
Kotler (19, pag.25)
L’impresa che opera nella società contemporanea non può
prescindere dal considerare il consumatore come suo principale
interlocutore, colui che determina il successo o il fallimento di
prodotti e marchi, poiché è il principale destinatario dell’offerta
della merce e/o dei servizi. Per “consumatore” s’intende,
genericamente, il soggetto verso cui sono indirizzate le strategie di
marketing e di comunicazione delle imprese: esistono vari termini
utili a specificare il ruolo di quest’importante tassello del mercato
(consumatore/utente, acquirente, prescrittore, consigliere
d’acquisto) ma condivido Fabris (2003a) quando sostiene che, a
seguito dei profondi mutamenti avvenuti nei rapporti tra
produzione e consumo, l’etichetta stessa di consumatore è oggi più
che mai inadeguata, ed andrebbe sostituita con quella di cliente, o
più semplicemente di individuo, persona o cittadino.
Il più importante cambiamento nella relazione impresa-mercato
riguarda sicuramente colui che Fabris definisce “consumatore
postmoderno”, un individuo sempre più difficile da soddisfare,
critico ed esigente, che sceglie cosa comprare in base alla qualità
dei beni e sa sfruttare il bagaglio di conoscenze e di sensibilità
merceologiche acquisite nel tempo. Una persona che acquista e
consuma, valutando prodotti, marche e pubblicità mediante i valori
e gli atteggiamenti che condivide con altri soggetti a lui simili, ma
8
allo stesso tempo un cliente che si lascia sedurre dal mondo
simbolico che il prodotto porta con sé, e che spesso si abbandona
alle emozioni nelle scelte d’acquisto.
E’ lo stesso Fabris a fare luce su quest’inclinazione tipica della
nostra società, dove «il consumo segue la logica dei desideri e non
del bisogno, dell’impulso e non della necessità, dell’estetica e non
dell’etica, del gioco e non della razionalità» (Ibidem, pag.49).
Si comprende la complessità delle logiche d’acquisto dei
consumatori postmoderni, se si focalizza l’attenzione sulle
molteplici identità che compongono la personalità dell’individuo
contemporaneo; il consumo è diventato una forma di linguaggio e
le scelte di ciascuno di noi si affrancano dalla coerenza che le
contraddistingueva, poiché i beni che possediamo ci servono a
comunicare le nostre identità, aperte e mutevoli.
Questa nuova dimensione, nella quale i consumatori tendono a
scegliere il meglio in ogni settore merceologico, ha reso
consapevoli gli operatori di marketing della necessità di gestire
l’incoerenza e le contraddizioni sfruttando il marketing relazionale,
che considera il rapporto con i clienti come la linfa vitale
dell’impresa.
Si sta dunque radicando la consapevolezza che «il marketing parte
dai clienti ed arriva ai clienti» (Pride, Ferrell, 2005) e che per agire
con efficacia sui mercati ed accentuare la propria competitività, la
filosofia imprenditoriale dovrà orientarsi verso la customer
satisfaction (soddisfazione del cliente).
Numerosi studi hanno dimostrato che acquisire un nuovo cliente è
sicuramente più costoso che non mantenerne uno già presente, e
poiché soddisfazione della clientela diventa un sinonimo di fedeltà,
il più importante vantaggio competitivo per un’impresa consiste
nella sua capacità di stabilire una sintonia con il consumatore,
9
realizzando un’operazione di fine tuning che sia costantemente
monitorata e aggiornata.
Fabris (2003a, pag.111) spiega che «fine tuning significa procedere
a correzioni millimetriche, ma costanti, della manopola del
sintonizzatore per mantenere la giusta lunghezza d’onda» con il
consumatore in rapida evoluzione.
Oggi gli esperti di marketing devono necessariamente tenere conto
dei cambiamenti in atto nel pubblico, abbandonando la concezione
del consumatore come destinatario passivo e lontano della
comunicazione. La garanzia di un esito positivo è data unicamente
dalla percezione soggettiva dei clienti, per questo è importante che
siano costantemente monitorate le loro evoluzioni.
L’impresa orientata al consumatore è frutto di un lungo divenire,
infatti mentre oggi il marketing si muove verso la creazione di un
dialogo con il cliente, all’epoca della rivoluzione industriale
l’impresa si concentrava essenzialmente sulla produzione, in
risposta all’aumento esponenziale della domanda. A questa prima
fase fece seguito un periodo in cui focus delle aziende fu
principalmente la vendita, complice il presagio di sovrapproduzione
dovuto alla crisi economica del ‘29. Intorno agli anni Cinquanta la
fase dell’orientamento alla vendita diede inizio alla nuova
prospettiva, che vedeva nel marketing un importante strumento
per sollecitare la richiesta.
Kotler ritiene che il contributo apportato dal marketing sia stato
fondamentale allo sviluppo della struttura organizzativa delle
imprese in funzione della soddisfazione e di conseguenza, della
fidelizzazione dei propri clienti.
Se all’orientamento al mercato si sta lentamente sostituendo quello
al consumatore, possiamo affermare che il principale motore del
cambiamento è il marketing: il management della domanda, infatti,
è la principale funzione di quest’importante disciplina e pratica
10
professionale, nata per gestire una serie di funzioni integrate
nell’attività imprenditoriale (Kotler, 1999).
Il piano di marketing è perciò indispensabile alle imprese che
vogliono perseguire con maggior razionalità e probabilità di
successo i loro obiettivi; spesso i soli imprenditori non sono in
grado di percepire gli sviluppi che nel giro di pochi anni
rivoluzionano la società, e di conseguenza, non sanno innovare le
performance di mercato della loro organizzazione.
Appartiene a Kotler (Ibidem) la distinzione del marketing in tre
stadi di realizzazione, vale a dire il marketing di risposta, il
marketing d’anticipo ed il marketing che crea nuovi bisogni.
Il marketing di risposta si attiva quando esistono dei bisogni
specifici, per cui le imprese, che definiamo market-driven, si
impegnano a fornire delle soluzioni adeguate. Al contrario, sono
imprese market-driving quelle capaci di riconoscere un bisogno
emergente o ancora latente nella società e di proporre ai
consumatori una risposta in termini di prodotto, sfruttando le
tecniche del marketing d’anticipo. Tra le imprese market-driving, le
più innovative in assoluto sono quelle capaci di creare nuovi
bisogni, le più attente nell’identificare i problemi dei loro clienti:
esse raggiungono lo stadio più elevato del marketing, poiché
introducono sul mercato beni mai richiesti in precedenza,
ottenendo riscontri impensati. Per citare alcuni degli esempi di
questo tipo: Ikea, Benetton, Body Shop e Club Méditerranée.
Da questa classificazione si evince come l’inclinazione degli esperti
di marketing sia appunto quella di scovare gruppi di consumatori di
sufficiente ampiezza e con bisogni da soddisfare, ossia di
individuare opportunità di mercato da cui l’impresa potrebbe trarre
profitto.
Per conseguire quest’obiettivo, come abbiamo detto, è indiscutibile
l’importanza che i consumatori esercitano su di loro: i marketing
11
manager investono la maggior parte del tempo a cercare di
sviluppare il volume della domanda, e per farlo è necessario che
conoscano a fondo l’identità di chi la compone.
Le principali informazioni che non possono mancare all’impresa
rispetto al macroambiente in cui opera sono quelle legate alle
tendenze demografiche, all’andamento economico, agli stili di vita
dei potenziali clienti e ai possibili sviluppi futuri della tecnologia.
Inoltre, è indispensabile che sia sempre monitorata la raccolta dei
dati relativi ai concorrenti ed ai cooperatori. Tra i concorrenti,
l’attenzione principale va posta sulle imprese dalle caratteristiche
maggiormente simili, e sui nascenti competitor piuttosto che su
quelli già esistenti: di loro è necessario conoscere gli obiettivi ed i
punti di forza e debolezza per limitarne la minaccia.
Per cooperatori s’intendono tutte le categorie di persone e
organizzazioni che collaborano alla realizzazione degli obiettivi
aziendali, quali ad esempio i fornitori, gli intermediari, le imprese di
servizi di marketing e di servizi logistici.
Le attività di marketing prevedono che tra i consumatori e le
imprese s’instauri una relazione di scambio e fiducia reciproca,
dove il cliente sarà gratificato per il bene, il servizio o l’idea
veicolata, ed il venditore ottenga beneficio economico per aver
soddisfatto le aspettative. Un’impresa consumer oriented avrà un
forte interesse nell’ottimizzare questo scambio, garantendosi così la
possibilità di acquisire nuovi clienti, di aumentare la redditività di
quelli esistenti o anche di prolungare le loro relazioni con la marca
prescelta. Non va dimenticato che gli strumenti del marketing sono
indispensabili a costruire relazioni con i clienti attuali di un’impresa,
ma anche per garantire la soddisfazione dei bisogni di lungo
periodo della società (M.Pride, Ferrel, 2005).
12
1.2 Il marketing mix
Il processo di marketing management ha inizio quando l’impresa ha
già determinato la propria missione aziendale e gli obiettivi che
intende perseguire anche a lungo termine. Solo a questo punto si
procede nel pianificare le strategie di competenza dell’area
marketing, che gli operatori del settore sono soliti suddividere in
cinque aree d’intervento, derivate da due macro-componenti: la
scelta del target e la creazione del marketing mix.
La prima fase della pianificazione di marketing è la ricerca, che
prevede l’analisi accurata delle opportunità di mercato, volta ad
individuare il target per il quale s’intende operare. Analizzare le
caratteristiche dei consumatori è indispensabile per identificare il
mercato obiettivo; le opportunità che possono emergere in un
macroambiente sono infatti illimitate, ma solo alcune avranno
rilevanza per l’attività dell’impresa, i cui sforzi successivi si
riveleranno vani se fallirà nell’individuare l’audience di riferimento.
Alla ricerca seguono la segmentazione ed il posizionamento, fasi in
cui l’impresa posiziona il proprio prodotto in base al mercato
obiettivo prescelto, scegliendo la proposta di valore che lo possa
distinguere dalla concorrenza e fissare nella mente dei clienti.
Alla fase della pianificazione strategica subentra quella della tattica,
in cui si valuta in che modo sfruttare gli strumenti del marketing
mix, per realizzare un piano che preveda come condizione di
riuscita finale la soddisfazione dei bisogni del target audience.
Il quarto stadio corrisponde alla fase d’implementazione, ovvero la
messa a punto: è il momento in cui tutti i settori aziendali si
attivano e dove è necessario che si sfrutti la comunicazione interna,
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per collegare le varie funzioni e favorire la risoluzione delle
problematiche che possono insorgere.
Un’ultima fase, spesso tralasciata dalle imprese che non ne
riconoscono l’importanza, è il controllo finale sui risultati ottenuti;
le organizzazioni che svolgono questa funzione si dimostrano più
abili nell’apportare correzioni ed ottenere migliori risultati nelle
successive applicazioni del piano di marketing.
1.2.1 Le variabili del marketing-mix
L’analisi del marketing-mix prevede una prima classificazione
1
in
quattro variabili, le cosiddette “quattro P”, che sono prodotto,
prezzo, punto vendita e promozione.
Per ogni impresa, individuare la giusta composizione del marketing
mix è fondamentale alla creazione di un prodotto dalle
caratteristiche superiori, possibilmente difficile da riprodurre per i
competitor, che le permetta di ottenere un vantaggio competitivo.
Il prodotto
Questa variabile è quella che riveste la maggior importanza per
l’impresa, in quanto su di lei vertono tutte le strategie realizzate
affinché l’offerta, sia essa un bene o un prodotto, risulti
differente, e soprattutto migliore, ottenendo così il consenso del
mercato obiettivo.
Sia che si tratti di prodotti, dalle caratteristiche tangibili, o di
servizi intangibili, creati con l’applicazione di risorse umane o
tecnologiche, per gli esperti di marketing è fondamentale
monitorare costantemente il loro ciclo di vita, che consta di
1
Fu proposta nei primi anni Sessanta dal Prof. McCarthy, con lo scopo di dare
una prima generica collocazione alle numerose attività che il marketing prevede
(Kotler, 1999).
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quattro fasi: l’introduzione sul mercato, la crescita, la maturità
ed il declino. Per mantenere in vita beni redditizi è infatti
necessario che le strategie comunicative siano valutate, ed
eventualmente modificate, in qualsiasi stadio del ciclo del
prodotto.
E’ facilmente verificabile come oggi il mondo dei consumi stia
raggiungendo la saturazione, a causa dell’incessante proposta di
beni che ovviamente, per avere una possibilità di prevalere sulla
spietata concorrenza, dovranno sapersi differenziare dagli altri.
Per dotare il prodotto dell’indispensabile valenza comunicativa, i
marketing manager possono basare la differenziazione su:
Differenze fisiche – relativamente alle caratteristiche estetiche
(design, colore, forma), qualitative (affidabilità, durata) o
funzionali (efficacia, sicurezza).
Differenze nel sistema di distribuzione – in quanto la vendita
può realizzarsi al dettaglio, mediante marketing diretto, tramite
posta o su internet.
Differenze di servizio – con la proposta di un supporto ulteriore
al cliente (consegna, manutenzione, riparazione, installazione o
consulenza).
Differenze di prezzo – stabilendo se puntare su prezzi elevati,
medi o di estrema convenienza per l’acquirente.
Differenze d’immagine – con la creazione di un ambiente
simbolico legato al prodotto, la sponsorizzazione,
l’organizzazione di eventi ecc. (Kotler, 1999).
Un’importante decisione che l’impresa non può trascurare è
quella relativa al branding, cioè la scelta della marca. Oggi il
brand rappresenta l’identità del prodotto, serve a delineare i
confini della personalità che lo caratterizza ed allo stesso tempo
a distinguerlo dagli altri marchi (Ferraresi, 2002).
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La prima fase della creazione di un brand consiste nella scelta di
un nome, un simbolo o un segno grafico che identifichi un
prodotto e che sia coerente con il suo posizionamento di valore;
un tempo erano considerati nomi di brand efficaci quelli
evocativi, ossia capaci di anticipare il benefit del prodotto,
possibilmente brevi e facili da pronunciare. Oggi il nome di
brand deve soprattutto essere in grado di contenere quella
trama di sensi, racconti ed associazioni che proietti il
consumatore nella dimensione estensiva del senso fisico e
funzionale del prodotto (Fabris, 2003b). Alla scelta del brand
name corrisponde, infatti, l’elaborazione dei significati e delle
promesse che questo saprà trasmettere ai consumatori, ossia la
costruzione di un mondo comunicativo di riferimento che offra
loro la possibilità di sentirsi rappresentati dal brand prescelto.
Poiché la marca è un indizio importante che concorre ad
influenzare la percezione del pubblico, le politiche di branding
prevedono notevoli investimenti di tempo e capitali e sono
strutturate in vari modi:
La politica di marca individuale – quando l’impresa assegna a
ciascun prodotto la propria marca.
La politica di family brand – in cui tutti i prodotti dell’impresa
sono contraddistinti dallo stesso brand o da parte di esso.
La brand extension – quando un brand esistente è utilizzato per
un nuovo prodotto, che non deve necessariamente appartenere
alla stessa categoria di quello da cui lo ha mutuato.
Il co-branding – in cui due o più marche, che possono
appartenere alla stessa impresa oppure no, sono assegnate ad
un prodotto.
Il brand licensing – quando un’impresa paga una royalty per
utilizzare un brand che non le appartiene sul proprio prodotto.