2
metropoli, sviluppo delle masse, spettacolarizzazione delle forme
espressive, dinamiche di socializzazione”
1
.
Ma quando usiamo questa parola esprimiamo anche qualcos’altro oltre
alla semplice comunicazione commerciale: la pubblicità sa parlare alla
gente, usa il richiamo dell’edonismo ed è in grado di trovare un contatto
immediato col consumatore.
“La pubblicità” continua Abruzzese “ha raggiunto la sua massima
visibilità non più solo come sofisticata attrezzatura espressiva della civiltà
dei consumi, ma anche come insieme dei valori, affetti e simboli”
2
. Il
messaggio pubblicitario può rivelare il nostro modo d’essere e la nostra
sensibilità sia individuale sia collettiva.
Per riassumere possiamo affermare che la pubblicità è un insieme
complesso di strategie, di linguaggi, una forma diffusa di potere, di
cultura ed anche una risorsa sociale ed economica.
1
Abruzzese A., ” La pubblicità”, Stampa alternativa, Viterbo 1995, pag. 31
2
Ivi pag. 32
3
1.2 Storia della pubblicità
Le prime forme di pubblicità risalgono al mondo antico, quando
iniziarono a svilupparsi i commerci tra le varie città e soprattutto
nacquero i mercati.
La vera pubblicità, o comunque qualcosa che si avvicini al nostro
concetto moderno, si sviluppa in epoca romana quando i negozianti ed i
commercianti ponevano fuori dai loro locali insegne, oppure mosaici di
fronte all’entrata dell’esercizio, su cui era ritratta la loro attività. Queste
insegne potevano avere le più svariate forme, da quelle più semplici
come un pesce che indicava una pescheria, a quelle più elaborate che
ritraevano l’interno di una bottega o i servizi che si offrivano alla
clientela.
In ogni modo lo scopo principale di queste insegne non era quello di
convincere il cliente che il prodotto venduto in quel locale era il migliore,
come invece faremmo oggi, ma semplicemente erano usati per segnalare
la presenza di un servizio.
La pubblicità poi aveva anche un altro utilizzo, quello politico-
propagandistico, espresso per esempio con le statue monumentali o gli
archi di trionfo.
Nel Medioevo non assistiamo a grandi cambiamenti per quanto riguarda
il fine della comunicazione pubblicitaria, ma se in epoca romana la figura
del commerciante era considerata disonorevole o comunque non poteva
aspirare agli onori riservati alla nobiltà, ora diventa fondamentale per la
prosperità delle città.
Inoltre è proprio nelle città, più specificatamente nell’età comunale, che
si sviluppa ulteriormente il mercato, il quale diventa luogo in cui si rende
pubblicamente visibile l’insieme dei bisogni, delle funzioni e dei poteri
4
sociali, compresa l’esposizione, la vendita e l’acquisto dei prodotti. Nel
mercato nascono molte delle tecniche di valorizzazione e
spettacolarizzazione delle merci; importanti sono anche le fiere, che
nascono legate alle feste popolari o religiose.
Ci avviciniamo al concetto di pubblicità moderna a partire dal Seicento
con la diffusione della stampa, quando gli annunci pubblicitari sono
ancora privi d’immagine e le inserzioni sono ancora gratuite. In seguito, a
partire dal diciottesimo-diciannovesimo secolo, diverranno a pagamento
e sostentamento necessario per la testata giornalistica.
Il più antico comunicato commerciale in Italia è del 1691, inserito
nell’almanacco periodico “Protogiornale Veneto Perpetuo”, dove il
messaggio presenta l’utilizzo di maiuscole per accentuare il valore della
parola ed anche per conferirle un maggiore richiamo ottico.
Nell’annuncio l’unica forma “accattivante” diretta al possibile acquirente
è l’espressione “benigno lettore”.
Con la Rivoluzione Industriale s’innescano dinamiche di espansione della
produzione, del mercato e delle tecnologie, che modificano
profondamente gli annunci, i quali dalla seconda metà dell’Ottocento
iniziano ad essere non più solo informativi ma commerciali; allegate ad
essi ci saranno le prime immagini. Nasce la pubblicità moderna, che ha le
sue radici culturali nel contatto più o meno diretto con l’arte in tutte le
sue forme, dalla letteratura alla pittura e specialmente con le avanguardie
storiche. Il messaggio pubblicitario acquisisce un nuovo linguaggio.
Come già detto l’annuncio non è più “razionale”, vale a dire non
comunica più informazioni in modo propositivo facendo appello alla
razionalità del consumatore, ma parla solo alla sua passionalità.
L’introduzione d’immagini e frasi (i famosi slogan), che hanno come
scopo quello di “colpire”, affascinare il cliente, non invitano più a porsi
5
domande sulla validità del prodotto, piuttosto fanno appello ai sogni del
consumatore. Il registro visivo domina su quello verbale e di
conseguenza qualsiasi analisi logica svanisce. La parola è usata
soprattutto per chiarire il significato dell’immagine che per sua natura è
politematico.
Viene così a concretizzarsi un nuovo linguaggio con i suoi neologismi e
la capacità di sovvertire le regole grammaticali, morfologiche e sintattiche
della lingua che usa. Molti si sono pronunciati (e si pronunciano) contro
il linguaggio pubblicitario, altri invece ne hanno lodato le innovazioni.
Tra questi oggi c’è M. Baldini, che nel suo libro “Le fantaparole” giudica la
lingua pubblicitaria come un’importante fonte d’innovazione linguistica.
Gli fa eco M. Medici, che riguardo alla lingua italiana afferma: “La
comunicazione pubblicitaria ha dimostrato e sollecitato senza
contaminazioni le capacità e le possibilità dell’italiano come lingua
moderna agile e funzionale”
3
. Rimanendo in Italia non dimentichiamo
che proprio la pubblicità e in seguito la diffusione della televisione ha
permesso alla lingua italiana di penetrare in tutti gli strati sociali.
Tale situazione, inizialmente, avverrà solo nei paesi più industrializzati
come la Francia e la Gran Bretagna.
Il progresso industriale porta alla nascita delle grandi esposizioni, che
sono la maturazione estrema dei valori socioeconomici e simbolici del
mercato e delle fiere. La prima esposizione pubblica è del 1798 a Parigi,
in Italia sarà a Torino, Firenze e Roma solo nel 1911.
Altri figli della rivoluzione sono i Grandi magazzini che propongono un
ampliamento dello spazio espositivo e di vendita. Il primo è a Parigi nel
1852, il “Bon Marché”, mentre in Italia avremo nel 1877 il “Aux villes
3
De Medici M., ”La parola pubblicitaria”, Sarin, Venezia 1988, pag. 15
6
d’Italie” poi “La Rinascente” nel 1918; da ricordare la nascita della
“UPIM” nel 1928.
Sempre in questi anni nascono i primi magazine e il perfezionamento
tecnico sviluppa anche il manifesto pubblicitario. La parola “manifesto”
può essere considerata come sinonimo di “pubblicità” poiché entrambe
hanno la funzione di “rendere pubblico”, ma “manifestare” significa
anche far conoscere al pubblico la propria opinione; quindi per questo
motivo, con il termine “manifesto” s’intende sia quello pubblicitario che
espositivo dove si descrivono i principi ideologici di un movimento
politico o artistico.
L’arte (perché in seguito verrà considerata tale) del manifesto si sviluppa
principalmente in Francia dove questi vengono ammirati, collezionati e
se ne allestiscono anche delle mostre; famosi i manifesti di Toulouse-
Lautrec che, diffusi in tutta Parigi, descrivono in modo realistico ma
anche beffardo e ammiccante i personaggi e le atmosfere della città. I
suoi manifesti sono da considerare come delle vere opere, sintesi di
nuove tecniche artistiche e litografiche. L’arte del manifesto si svilupperà
anche in altri paesi, come in Gran Bretagna ed in Belgio, dove nel 1894
viene allestita a Bruxelles un’esposizione internazionale del manifesto
illustrato. Negli U.S.A. verrà a formarsi una tradizione cartellonistica, ma
questa non avrà l’innovazione, l’estro e l’efficacia di quella europea.
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1.3 Pubblicità in Italia
Prima di affrontare il rapporto tra arte e pubblicità e più specificamente
tra avanguardie storiche e pubblicità, è bene soffermarsi brevemente sulla
storia della pubblicità in Italia, per poter comprendere meglio il contesto
nel quale nasce e si sviluppa il futurismo, il quale, tra le avanguardie
storiche, è certamente quella che più si è interessata ed ha influito sulla
pubblicità sia a livello linguistico sia iconografico.
La pubblicità italiana moderna è nata verso la fine dell’Ottocento con
almeno venti anni di ritardo rispetto ai paesi allora più industrializzati. Le
prime pubblicità consistevano in piccoli annunci che comparivano
nell’ultima pagina dei giornali oppure in alcuni cartelli sui tram; tali
messaggi avevano come unico destinatario la borghesia, visto che era
l’unica che sapeva leggere e che quindi comprava i giornali, mentre il
resto della popolazione era quasi del tutto analfabeta.
Nel 1863 nasce la prima concessionaria italiana, la “Attilio Manzoni”, che
cura le inserzioni di diversi giornali tra i quali “Il Corriere della Sera”. Nel
1881 nasce l’“IGAP”, che pone le fondamenta per la diffusione del
manifesto, il mezzo pubblicitario più usato dell’epoca, che inizia ad avere
una vera diffusione solo dall’inizio del Novecento, quando l’Italia era
ancora una nazione povera rispetto alle altre d’Europa. Basti fare il
confronto con la Francia o il Belgio intorno al 1870: la prima si
arricchiva grazie agli investimenti della borghesia nel settore industriale e
nei trasporti, il secondo era il paese più industrializzato del continente.
Invece l’Italia, che si era da poco unificata, possedeva ancora pochi
brevetti e sistemi di fabbrica e la gran parte dei prodotti erano
d’importazione. Per arrivare ad un vero sviluppo industriale bisognerà
attendere gli anni Ottanta, quando nasceranno le prime grandi fabbriche