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CAPITOLO N. 1 - LA PUBBLICITA’ COMPARATIVA.
Sommario: 1. La normativa pubblicitaria prima e dopo la direttiva 450/84 in
Europa e la situazione in Italia alla luce della legislazione comunitaria. 2. La
definizione di pubblicità comparativa e la differenza tra diretta ed indiretta. - 3. Art.
2598 e la pubblicità comparativa.
1.1. La normatica pubblicitaria prima e dopo la direttiva 450/84 in Europa e
la situazione in Italia alla luce della legislazione comunitaria.
Pur regolando espressamente il fenomeno della pubblicità ingannevole la direttiva n.
450/84
3
, recepita in Italia attraverso il D.Lgs. 25 Gennaio 1992, n. 74, non contiene
però, a differenza dei vari progetti preliminari
4
, una disposizione relativa alla
pubblicità comparativa, perchè su tale disciplina non vi era stato accordo degli Stati
membri.
Il Progetto preliminare di direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di concorrenza sleale
5
, pubblicato nel novembre del 1975,
disciplinava la pubblicità comparativa all’art. 6. Il primo comma la definiva come
“qualsiasi pubblicità che stabilisca un raffronto comparativo tra i beni, i servizi, la
reputazione o il carattere dell’utente di pubblicità e tra i beni, i servizi, la reputazione
o il carattere di qualsiasi altra persona”. Il secondo comma vietava la stessa qualora
costituisse una forma di pubblicità ingannevole ai sensi dell’art. 3 del progetto di
direttiva, o qualora, pur non costituendo pubblicità ingannevole a norma del
summenzionato articolo, si fosse basata su fatti che riflettevano una selezione sleale.
Nel settembre del 1976 venne proposto il Secondo progetto
6
di prima direttiva sul
ravvicinamento delle legislazioni degli stati membri, apportando lievi modifiche e
limitando il raffronto tra “beni o servizi dell’utente di pubblicità e beni o servizi di
un’altra persona”. Nel secondo comma ammetteva pubblicità comparativa purchè
non costituisse una forma di pubblicità ingannevole o sleale “tenendo conto fra
l’altro della comparabilità dei rispettivi beni e servizi, della gamma di qualità
raffrontate e del limite entro il quale i dati comparativi sono misurabili e
corrispondenti”.
3
In Riv. dir. ind. ,1985, I, 470 ss ; in Giur. pubbl, a cura di UBERTAZZI, I (1986-87), MILANO,
1988, 11 ss.; Fusi-Testa, Diritto e pubblicità , Milano,1991, 177.
4
Su tali progetti v. GUGLIELMETTI, La pubblicità comparativa e la proposta di direttiva
comunitaria, in Riv. dir. ind., 1979, I, 343 ss.
5
In Riv. dir. ind., 1977 , V. V. il Memorandum sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati
membri in materia di concorrenza sleale, ibidem , I, 235 ss.
6
In Riv. dir. ind., 1977, I, 250 ss.
4
Più sintetico era l’art. 4 della proposta di Direttiva del 1979 che sanciva
l’ammissibilità della pubblicità comparata “purchè raffronti aspetti essenziali o
verificabili e non sia ingannevole o sleale”
7
8
.
Un ulteriore programma per una politica di protezione del consumatore, approvato
nel maggio del 1981, ribadiva i principi fondamentali precedenti. Quindi, secondo
tale documento, la protezione del consumatore doveva attuarsi mediante:
a) la previsione di principi che consentissero l’individuazione del carattere falso,
ingannevole o sleale di un messaggio pubblicitario;
b) l’adozione di norme finalizzate a tutelare il consumatore da messaggi pubblicitari
falsi, ingannevoli o abusivi;
c) lo studio e l’individuazione di procedure idonee a far cessare rapidamente le
campagne false o ingannevoli e ad assicurare nel contempo la verità dei messaggi
pubblicitari.
Il sopracitato programma CEE dell’81 risottolineava inoltre il principio basilare per
cui “nessuna forma di pubblicità deve fuorviare l’acquirente potenziale del prodotto o
servizio. Il responsabile della pubblicità, fatta attraverso qualsiasi canale, deve essere
in grado di dimostrare con mezzi adeguati la veridicità di quanto affermato”.
Come accennato, la direttiva 450/84/CEE non disciplinava la pubblicità comparativa.
Infatti, scopo della direttiva, era quello di fissare dei criteri minimi oggettivi in base
ai quali si potesse valutare se un messaggio pubblicitario fosse o meno ingannevole
e, sempre nelle premesse al testo normativo, il legislatore ribadiva che i sistemi
autodisciplinari vigenti nei singoli Stati dovevano essere incoraggiati e coordinati
con la normativa statale
9
.
In Italia, in attuazione della direttiva, fu presentato alla Presidenza del Senato in data
22 ottobre 1984 un disegno di Legge sulla pubblicità ingannevole da parte del
Ministro dell’Industria, del Commercio e dell’Artigianato
10
che conteneva una norma
in materia di pubblicità comparativa che ricalcava quella contenuta nell’ultimo
7
In Riv. dir. ind., 1983, I , 128 ss.
8
Crugnola, Note minime in materia di pubblicità comparativa , in Riv. dir ind., 1993 , 75 ss.
9
La direttiva si compone di 9 articoli. L’art. 1 puntualizza lo scopo della direttiva , che è quello
già sopra esposto; L’art. 2 precisa il significato dei termini “pubblicità, pubblicità ingannevole,
persona”. L’art. 3 è uno dei passaggi chiave della norma: il giudizio circa l’ingannevolezza di
un messaggio pubblicitario che deve essere basato principalmente sull’uso dei beni e sulle
caratteristiche, non dimenticando il prezzo. L’art. 4 si occupa delle procedure che i singoli
Stati devono adottare nella lotta contro la pubblicità ingannevole. L’art. 5 ribadisce
l’importanza del controllo volontario sulla publicità ingannevole realizzato dagli organi
autodisciplinari, coordinati con la normativa statale. L’art. 6 statuisce il diritto degli organi
competenti in materia di esigere che l’operatore pubblicitario fornisca prove sulla veridicità
dei dati contenuti nei messaggi pubblicitari.L’art. 7 non esclude il diritto dei singoli Stati al
mantenimento o all’adozione di disposizioni normative che garantiscano una più ampia tutela
dei consumatori o degli operatori economici.L’art. 8 fissa il termine dell’01.10.1986 per
l’adozione da parte degli Stati membri.L’art. 9 è una pura norma tecnica di chiusura.
10
In Riv. dir. ind., 1984 e 1985; in Giur. pubbl., a cura di UBERTAZZI , 1988.
5
progetto di direttiva (L’Italia si è avvalsa della facoltà riconosciuta agli Stati membri
dalla stessa direttiva di adottare disposizioni dirette a garantire una tutela più ampia
di quella prevista dalla legislazione comunitaria).
Infatti l’art. 4 ammetteva “la pubblicità, che raffronti aspetti di beni o servizi
oggettivamente verificabili e rilevanti ai fini della scelta dei consumatori, ... purchè
non sia ingannevole e sleale”.
Una norma analoga (art. 12) era contenuta nel disegno di Legge Rodotà sulla
disciplina della pubblicità
11
; i presentatori della proposta hanno giustificato tale
articolo sostenendo che non è ammesa qualsiasi pubblictà che metta a confronto beni
e servizi, ma soltanto quella che proponga un confronto fra dati ed elementi di
prodotti o servizi oggettivamente verificabili.
Tutto questo venne comunicato alla Presidenza della Camera il 09.12.1985.
Come si può constatare entrambe le norme ammettono la pubblicità comparativa,
quindi non solo quella indiretta, ma anche quella realizzata attraverso un confronto
nominativo tra beni e/o servizi concorrenti
12
.
La legge 29 dicembre 1990, n.428 (c.d. “legge comunitaria per il 1990”) che
delegava il Governo ad emanare entro un anno i decreti legislativi occorrenti per il
recepimento nel nostro ordinamento di numerose direttive CEE, stabiliva all’art. 41 i
criteri di delega per l’attuazzione della direttiva 450/84 in materia di pubblicità
ingannevole prevedendo, tra l’altro, di regolamentare la pubblicità comparativa
“fissandone i limiti di ammissibilità, con esclusione di ogni forma di pubblicità
ingannevole o sleale
13
.
La bozza di progetto di legge delegata governativa sulla pubblicità ingannevole
disciplinava, all’art. 5, la pubblicità comparativa satatuendo :”La pubblicità che
raffronti nell’ambito del relativo mercato o nei confronti di beni o servizi che
costituiscono una quota significativa del mercato stesso, aspetti oggettivamente
verificabili, relativi alla qualità o al prezzo dei beni o servizi messi a confronto, che
siano rilevanti ai fini della scelta dei consumatori, è ammessa purchè non sia
ingannevole o sleale”
14
.
Tornando all’art. 41, si precisa la competenza dell’Autorità Garante cui viene
conferito il potere di sospendere e vietare la diffusione di messaggi ritenuti
ingannevoli e, conseguentemente, anche il potere di rimuovere, tramite l’adozione di
provvedimenti a ciò necessari, gli effetti che simili annunci possano avere
ugualmente prodotto .
11
In Giur. pubbl., a cura di UBERTAZZI, I (1986-87), 1988, 32.
12
Floridia, Legge e autodisciplina pubblicitaria in Italia: prospettive dopo la Direttiva CEE, in
Riv. dir. ind., 1987, I, 135.
13
Fusi-Testa, Diritto e pubblicità, cit., 17 s.; PARIGI, L’attuazione della Direttiva CEE sulla
pubblicità ingannevole: la problematica tutela dell’interesse degli utenti- consumatori, in Studi
& Informazioni, 1991, n. 4, 31.
14
Crugnola, Note minime in materia di pubblicità comparativa, in Riv. dir. ind., 1993.
6
Di particolare importanza la riconosciuta facoltà di adire l’Autorità Garante anche
“ad altri soggetti pubblici interessati, anche su denuncia del pubblico”. Un principio
che è stato stemperato riducendo, riteniamo in modo corretto proprio nell’interesse
degli equilibri del mercato, il potere di denuncia all’Autorità Garante .
Si era aperto un acceso dibattito su quale organo dovesse cadere la titolarità del
potere di svolgere funzioni di Autorità Garante. Tale dibattito era alimentato
soprattutto da parte di alcune associazioni di difesa dei consumatori, timorose che
una scelta poco incisiva avrebbe potuto ridurre sul nascere i poteri di controllo e di
repressione nella lotta contro i messaggi pubblicitari ritenuti ingannevoli . Su questo
punto l’accordo intorno al quale si è formato il consenso pressochè unanime di tutte
le principali associazioni professionali, ha condotto all’identificazione dell’Autorità
in quella deputata al controllo della concorrenza e del mercato, organo costituito
recentemente (legge 10 ottobre 1990 n. 287).
Il D.Lgs. 74/92
15
disciplina vietando unicamente la pubblicità “ingannevole”,
definizione quest’ultima molto ampia, ricomprendendo infatti le ipotesi più tipiche
quali: “pubblicità che induce in errore le persone fisiche alle quali è rivolta o che essa
raggiunge e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il loro
comportamento economico ovvero che, per questo motivo, leda o possa ledere un
concorrente (art. 2 lett. b)”, ma anche le differenti tipologie della pubblicità “... che
riguardano prodotti suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei
consumatori, ometta di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le
normali regole di prudenza e vigilanza” (art. 5) e che “... in quanto suscettibili di
raggiungere bambini ed adolescenti possa, anche indirettamente minacciare la loro
sicurezza... o abusare della loro naturale credulità o mancanza di esperienza...” (art.
6); ipotesi quest’ultima che non ha nulla a che vedere con la nozione di
“ingannevolezza” in senso stretto, ma che pure alla stessa, risulta equiparata dalla
normativa. Manca, per contro, una norma che con analogo effetto vieti “a titolo di
ingannevolezza” la pubblicità comparativa, o che altrimenti ne stabilisca i limiti di
liceità con la conseguenza che quest’ultima deve ritenersi vietata dal decreto solo in
quanto “ingannevole” secondo l’ampia definizione sopra riferita.
In assenza di una specifica disposizione del Decreto che espressamente affronti il
problema della “comparativa”, l’Autorità Garante non ritiene che la stessa possa
essere richiamata dall’art. 1, comma 2°, del medesimo che impone alla “pubblicità di
essere palese, veritiera e corretta”. Ad impedire un tale risultato non è tanto
l’impossibilità di affermare in astratto la scorrettezza di talune forme di
comparazione pubblicitaria, quanto piuttosto la posizione assunta dal Garante circa la
non censurabilità della generica “scorrettezza” pubblicitaria ai sensi del decreto
74/92.
L’Autorità, attraverso un’interpretazione alquanto restrittiva delle disposizioni che
stabiliscono la propria competenza, ha infatti negato autonoma valenza precettiva al
principio di lealtà e correttezza della comunicazione pubblicitaria di cui all’art. 1 del
15
Il termine fissato per l’attuazione della direttiva 84/450/CEE era stato il 1° gennaio 1993.
7
decreto, riconoscendo nello stesso una mera dichiarazione progarammatica e di
principio
16
.
La norma di apertura di tale decreto, fra le “finalità” del medesimo, annovera infatti
anche quella di “tutelare (i concorrenti, definiti come)...soggetti che esercitano una
attività commerciale, industriale o artigianale”; la successiva disosizione dell’art.2
richiede, ai fini della integrazione della fattispecie di illecito “per ingannevolezza” ,
accanto all’ induzione in errore (attuale o potenziale) dei destinatari del messaggio ,
la “lesione dell’interesse del concorrente “ in alternativa al “pregiudizio del
comportamento economico” del consumatore .
La circostanza che, come si è detto, la comparazione vietata sia solo quella”
ingannevole “ esclude, secondo il Garante, che il decreto possa costituire strumento
di censura di comunicazioni comparativamente scorrette in quanto, ad esempio,
denigratorie. In tal senso risulta ormai orientata l’Autorità Garante della Concorrenza
e del Mercato che ha recepito in toto le opinioni in proposito espresse dal Garante per
la Radiodiffusione e l’Editoria
17
16
Con provvedimento n. 1752 del 27 gennaio 1994 (c.d. caso Benetton Kirby) il Garante
della Concorrenza e del Mercato , “in difformità da quanto sostenuto nel parere del garante
per la Radiodiffusione e l’Editoria (ha affermato che) la violazione del principio di correttezza
della pubblicità, non può ritenersi elemento di autonoma rilevanza nella valutazione della
ingannevolezza della pubblicità (essendo) necessario che la presunta violazione del dovere
di correttezza conduca comunque ad una valutazione di ingannevolezza del messaggio
pubblicitario secondo la definizione fornita dall’art.2 lettera b) del Decreto legislativo n.74/92”.
Così ugualmente , provv. del 1 giugno 1994 (c.d. caso Toyota) nonchè provv. del 20 giugno
1994 ( c.d. caso Benetton, “il milite noto”). Per una completa rassegna delle decisioni
autodisciplinari, cfr. UBERTAZZI, Giurisprudenza autodisciplinare, 1994, il quale raccoglie,
per ciascun anno , le decisioni assunte dalla citata Autorità.
17
La norma dell’art.7, comma 5, del decreto attribuisce al Garante per la Radiodiffusione e
l’Editoria il compito di esprimere parere preventivo -necessario ma non vincolante- in ordine
alla eventuale ingannevolezza delle comunicazioni pubbblicitarie diffuse attraverso il mezzo
della stampa e radiotelevisivo.
8
1.2. La definizione di pubblicità comparativa e la differenza tra diretta ed
indiretta
Precedentemente all’emanazione della direttiva, la pubblicità comparativa era
tradizionalmente distinta in pubblicità comparativa diretta e pubblicità comparativa
indiretta,
18
indicando la prima ogni qualvolta il concorrente sfavorito dal raffronto è
individuato nominativamente o attraverso l’impiego di suoi segni distintivi, aziendali
o personali mentre è indiretta in ogni altro caso
19
, ancorché il concorrente sfavorito
dal raffronto, non identificato nel modo suddetto, sia tuttavia agevolmente ed
inequivocabilmente individuabile.
Particolari situazioni del fenomeno comparativo si verificavano nell’ambito di un
mercato caratterizzato da un regime di oligopolio o di duopolio
20
. In tali ipotesi era
evidente che il ristretto novero dei concorrenti ipoteticamente assumibili a termini di
raffronto della comparazione rendeva i medesimi quasi direttamente (oligopolio)
ovvero indirettamente (duopolio) individuabili. Infatti, se in un mercato caratterizzato
da un regime di oligopolio pur sempre esiste un dubbio circa l’identità del
concorrente sfavorito dalla comparazione (in quanto uno fra pochi), in ipotesi di
duopolio è evidente che il raffronto comparativo è istituito necessariamente rispetto
all’altro ed unico concorrente.
In tali ipotesi, tuttavia, la comparazione doveva ritenersi lecita ancorché diretta. Tale
l’orientamento del Giurì per il quale “quando per la situazione di duopolio in cui le
parti contendenti si trovino... una comparazione indiretta non sia possibile, quella
diretta deve ritenersi lecita quando sia utile ad illustrare sotto l’aspetto tecnico ed
economico caratteristiche e vantaggi oggettivamente rilevanti e verificabili dei beni e
dei servizi pubblicizzati (art. 15 c.a.) onde consentire così che anche in queste
singolari situazioni di mercato possa realizzarsi una concorrenza sostanzialmente
basata sulla informazione del consumatore”, tanto nonostante che “in una situazione
di duopolio... il riferimento ad una pubblicità comparativa... al principale
concorrente, rende quest’ultimo sicuramente ed immediatamente identificabile... e fa
si che il caso sia assimilabile pienamente ad una comparazione diretta”
21
.
18
Affrontando incidenter tantum la questione, il Giurì ha definito la comparazione quale
“comunicazione che procede ad un confronto fra prodotti concorrenti allo scopo di verificarne
reciprocamente le caratteristiche “ (così, ad esempio, dec. 121/87)
19
Con dec 88/89 il Giurì ha osservato che “la forma più indiretta di comparazione possibile
(é) quella che si realizza mediante il confronto fra sè e tutti gli altri, nessuno dei quali è
individuato nominativamente e neppure è individuabile in funzione della sua posizione di
market leader ...(in particolare) l’individualità collettiva costituisce il dato caratteristico di una
comparazione fatta a beneficio del market leader, così come l’individuabilità del market
leader costituisce il dato caratteristico di chi invece opera al fine di conquistare una quota del
suo mercato.
20
Si vedano, fra gli altri, i casi esaminati da dec. 67/93,dec. 28/96, dec. 54/96.
21
La decisione cui la massima citata si riferisce è la 67/93.
9
L’art. 1 (3) della direttiva definisce pubblicità comparativa come “qualsiasi
pubblicità nel quale implicitamente o esplicitatamente viene identificato un
concorrente di beni o di servizi offerti e confrontato con un altro concorrente”. A
differenza di quanto avviene per la definizione di pubblicità ingannevole posta dalla
direttiva 450/84/CEE, tale definizione ha una funzione meramente semantica, nel
senso che indica cosa deve intendersi per comparazione, senza formulare alcun
giudizio normativo sui criteri di liceità
22
. Per individuare la fattispecie è dunque
necessario integrare la definizione dell’art. 1 (3) con le condizioni che l’art. 1(4), una
volta ammessa la pubblicità comparativa, ha posto al suo utilizzo. In altri termini, la
direttiva contiene un implicito divieto della pubblicità comparativa che, pur
rientrando nella definizione dell’art. 1 (3), non presenti le condizioni previste dall’art.
1 (4).
Letteralmente la definizione della direttiva sembra riferisrsi soltanto alla pubblicità
comparativa diretta, alla pubblicità coiè che individua espressamente il concorrente,
con la citazione del marchio o del nome dell’impresa, o attraverso l’indicazione di
prodotti la cui provenienza sia direttamente riconoscibile. Considerando che la
giurisprudenza ha tradizionalmente incluso nel giudizio di lealtà concorrenziale la
pubblicità che identifichi il concorrente senza un esplicito riferimento, tale
definizione si estende anche alla pubblicità comparativa indiretta
23
.
22
Meli, La pubblicità comparativa tra vecchia e nuova disciplina, in Giurisprudenza
commerciale, 1999, I. , 267-295.
23
Vedere la sesta relazione della Direttiva 55/97/CE.