6
2 Introduzione
“Chi smette di fare pubblicità
per risparmiare soldi,
è come se fermasse l'orologio
per risparmiare il tempo.”
(Henry Ford, 1922)
Perché costringersi nel vano tentativo di risparmiare denaro, quando ciò che
in fondo ci rende felici è lì, proprio davanti ai nostri occhi, distante solo un
battito di ciglia? Lasciarsi andare ad un acquisto, realizzare un piccolo
desiderio, appagando così un bisogno solo apparentemente frivolo o
insignificante, che cos’ha di tanto sbagliato? Il consumo e tutto ciò che
ruota intorno ad esso, come la pubblicità in particolare, fa parte di noi, della
nostra quotidianità, della nostra essenza più profonda ed è per questo che
diviene oggi giorno qualcosa di imprescindibile dal vivere quotidiano. Così
potremmo parafrasare le emblematiche parole descritte dall’industriale
Henry Ford. Frasi che esaltano o rimarcano l’importanza che ha acquisito ai
giorni nostri la comunicazione pubblicitaria. Ormai è un dato di fatto, da
diversi anni, che la pubblicità rappresenta, e ha da sempre rappresentato fin
dalle origini, un importante strumento con cui comunicare. Sommerso dal
flusso comunicativo pubblicitario che giorno per giorno inonda con i suoi
annunci i diversi mezzi di comunicazione, il consumatore di certo non resta
indifferente. Può scegliere, nel momento in cui uno spot o una réclame
attira la sua attenzione, se spingersi o meno all’azione. Obiettivo di un
pubblicitario è proprio questo. Favorire la predisposizione dell’utente
all’acquisto. Per fare ciò, per evitare che la pubblicità diventi un momento
noioso o, al limite, irritante, il pubblicitario è costantemente impegnato a
ideare messaggi pubblicitari creativi che stimolino il destinatario a dedicare
il proprio tempo e la propria attenzione.
In un momento storico in cui per fare scalpore e per far parlare di sé, in
televisione, si fa sempre più ricorso a volgarità e ad eccessi, questo lavoro
7
propone di soffermarsi a considerare quella che, invece, potrebbe essere
definita “pubblicità intelligente”
1
. L’obiettivo è proprio quello di analizzare
uno dei tanti modi che rende la pubblicità semplice ma efficace, degna di
essere oggetto d’attenzione e pulita da ogni forma di sciatteria: l’ironia.
La pubblicità ironica, infatti, è un territorio ancora quasi del tutto
inesplorato nel nostro Paese, in cui predomina la pubblicità comica, erede di
Carosello e della commedia all’italiana. Gli italiani preferiscono ridere
clamorosamente, anziché sorridere in modo sommesso. Amano gli sketch,
facili e d’immediata comprensione, anziché una pubblicità che richieda il
loro intervento attivo per far affiorare il senso del messaggio.
Lungi dall’essere una critica, il presente lavoro si propone di prendere in
esame un tipo di pubblicità che in Italia è latitante per motivi difficilmente
determinabili
2
. Tuttavia, una spiegazione potrebbe essere ravvisata, in un
modesto raffronto con l’Inghilterra, nella storia dei due Paesi. Il Bel Paese,
infatti, ha da sempre avuto una tradizione comica, al cinema, come al teatro,
gli inglesi, invece, simbolo di un umorismo più sottile, hanno alle spalle
secoli di umorismo meno irruente e più leggero, presente già nella
letteratura.
La presente analisi si propone di scandagliare e approfondire tali suddette
differenze. In particolare il primo capitolo sarà dedicato ad un excursus
generale della pubblicità, volto ad offrire una panoramica che permetta di
riconoscerla e di apprenderne i suoi elementi fondanti. Dopo averne definito
alcuni punti cruciali, perciò, partendo dalle origini, viene delineata la storia
della pubblicità e la sua evoluzione fino all’epoca attuale, mostrando che
non è un processo recente, ma ha origini remote che si spingono fino al
tempo dei Babilonesi. In linea con l’obiettivo del presente lavoro, viene poi
evidenziato in che modo la pubblicità è un processo comunicativo, i cui
fondamenti coincidono con quelli della comunicazione umana.
Il secondo capitolo concentra l’attenzione sul tema dell’ironia e sulle
modalità con cui essa può integrarsi con la pubblicità. Il senso
1
Polesana, 2005, pp. 11-12.
2
Polesana, 2005, p. 102.
8
dell’umorismo e l’ironia si espongono in modo da comprendere i
meccanismi che innescano il sorriso e la complicità con chi ascolta. In
particolare, si illustra l’ironia, armonizzata con la comunicazione
pubblicitaria, e i generi di ironia più utilizzati in questo tipo di
comunicazione attraverso i relativi esempi pratici. Vengono, poi, esplicati i
motivi in base ai quali un’impresa dovrebbe orientarsi verso una
comunicazione ironica.
Il terzo e ultimo capitolo, infine, mettendo in pratica il lavoro teorico
precedente, propone l’analisi di alcuni messaggi pubblicitari ironici,
prendendo in considerazione, come oggetto di studio, esclusivamente i
commercial televisivi di automobili. I case-studies considerati sono i
commercial per la nuova Fiat Panda e quelli per la Smart Fortwo e, ad
ulteriore dimostrazione vengono analizzati singoli annunci pubblicitari di
commercial di altre automobili.
Tale lavoro, strutturato secondo suddetto percorso, tenta di essere
quantomeno esaustivo. Il mondo della pubblicità è complesso e cosparso di
ambiguità. Avere, per questo, visioni univoche e non divergenti e pressoché
impossibile. Il mio lavoro, infatti, non si arroga di tale presunzione. Ciò che
si propone è semplicemente una riflessione sul perché la pubblicità ironica
sia meritevole di essere apprezzata e considerata “intelligente”.
9
3 La pubblicità
“Il merluzzo depone diecimila uova,
la gallina ne depone uno solo. Il
merluzzo non schiamazza per
avvertirvi di ciò che ha fatto. Perciò
il merluzzo non viene preso in
considerazione, mentre la gallina sì.
Questo solo per dimostrarvi che
vale la pena di fare pubblicità.”
Anonimo
(In David Ogilvy, La pubblicità,
Mondatori, Milano 1983, pag. 172)
3.1 Pubblicità: comunicazione in “divenire”
Definire la pubblicità non è un compito semplice, in quanto può essere
analizzata da diversi punti di vista.
Ad ogni modo, è opinione condivisa quanto la massiccia presenza di una
tale forma di comunicazione influisca fortemente sulla nostra quotidianità,
sui nostri stili di vita e sui nostri comportamenti, e in maniera ancora più
prorompente sui nostri desideri, sull’insorgenza dei nostri bisogni e infine ,
ma non meno importante, sul rapporto con il consumo di beni, la proposta e
la fruizione di servizi. Basta pensare a quanti messaggi pubblicitari
invadono il corso della nostra giornata. Attraverso la radio, la televisione, il
cinema ma anche solo uscendo da casa ci imbattiamo in numerosi messaggi
pubblicitari: si calcola che in media una persona ne riceva circa 3.000 al
giorno.
Seppur a prima vista appaia semplicemente come una “grande idea” del
processo creativo, la pubblicità è un fenomeno complesso e
multidimensionale. Ciò che vediamo attraverso i mezzi di comunicazione di
massa è il prodotto finito, la punta di un Iceberg, la cui struttura e
fondamento cela intricati meccanismi, a volte arcani artefici, difficilmente
carpibili alla vista di un profano. Essa è il frutto dell’operato di più soggetti
10
(l’impresa, l’agenzia di pubblicità, i media) i quali, nonostante abbiano
finalità differenti, interagiscono costantemente, generando una realtà
notevolmente complessa. La sua forza, inoltre, è così legata alla capacità di
captare gli umori, i bisogni e i desideri del pubblico che è possibile
ipotizzare che in tempi brevi sia i modi di diffusione che la forma dei
messaggi possano subire cambiamenti significativi.
In effetti, tutto quello che oggi riconosciamo come “pubblicità” può
cambiare rapidamente, e altrettanto rapidamente può apparire obsoleto, così
come oggi ci sembrano tali i Caroselli degli anni ’60. Il motivo è che
l’attenzione si sposta su altri fronti. La pubblicità, infatti, non è solo un
insieme di tecniche di comunicazione, un insieme di messaggi diffusi in
luoghi fisici e, sempre più, nel web, essa è insita nel pensiero, è un luogo
della mente, cui intento primo è fungere da ponte di collegamento tra
volontà spesso divergenti e non sempre conciliabili quali, per esempio
informare, convincere, imporre ma anche autoconvincersi, sforzarsi di
piacere, cercare il consenso, ecc.. Interagisce e si fa carico dei desideri e dei
bisogni e influisce sui linguaggi e sul nostro stile di vita. Per questo i
messaggi pubblicitari, a cui siamo destinati oggi, potrebbero cambiare
totalmente domani, in quanto i valori, le tecniche, la forma in generale,
potrebbero essere completamente diversi.
È, comunque, inevitabile avere a che fare con l’informazione persuasiva e
non solo con quella strettamente orientata a vendere prodotti. Siamo
costantemente esposti a messaggi che vogliono convincerci di qualcosa o
che cercano consenso, e anche noi stessi, nel nostro piccolo, siamo
persuasori con le persone dalle quali vogliamo credibilità. Definiamo
persuasiva la comunicazione che orienta decisioni e comportamenti in
maniera delicata, senza costrizioni e in modo deduttivo. Tra le molte forme
di comunicazione persuasiva, però, quella commerciale, spudorata e
invasiva, è l’unica ad esplicitarlo. È invasiva perché deve essere visibile,
spudorata perché deve essere deduttiva. In ogni caso la pubblicità è una
forma di persuasione ampiamente identificabile non solo sui mass media,
ma anche quando assume i caratteri indiretti della promozione e della
11
sponsorizzazione. Ben diversa dalla persuasione occulta di cui parlava
Packard
3
, la pubblicità non è un artificio, né una trappola cognitiva, creata
con lo scopo di trarre in inganno il consumatore e di manipolarlo. La
persuasione occulta, infatti, articolata in un messaggio subliminale, consiste
in un’informazione che condiziona l’ascoltatore inconsciamente, al di sotto
della soglia di consapevolezza. In Italia questo tipo di messaggi è
esplicitamente vietato dall’ordinamento giuridico, per cui la persuasione
che si innesca è frutto di un sapiente amalgama di creatività, retorica e
informazione. È ovvio che sia una comunicazione di parte e non obiettiva.
Viene, infatti, creata per un prodotto, marchio o servizio con lo scopo di
esaltarne le caratteristiche materiali o simboliche. Per quanto la pubblicità,
e in generale la comunicazione persuasiva, cerchi di orientare opinioni e
scelte del destinatario, quest’ultimo, però, è sempre libero di scegliere
autonomamente.
La pubblicità, infatti, viene fatta alla luce del sole seguendo il motto
dell’agenzia McCann Erickson “Truth well told”, ovvero “La verità detta
bene”
4
. Essa non impone, ma propone scelte e comportamenti ad un
pubblico specifico. Questa è una caratteristica tipica della pubblicità, in
altre parole quella di rivolgersi ad uno specifico target e non ad una massa
indifferenziata. I destinatari dei messaggi vengono analizzati in modo da
essere distinti in base a valori e desideri che condividono o potrebbero
condividere, il che favorisce il successo della campagna pubblicitaria. Già
Aristotele sottolineava l’importanza di suscitare emozioni negli ascoltatori e
quindi di differenziare il discorso in base al tipo di pubblico cui ci si
rivolgesse. Sosteneva, infatti, la possibilità di ottenere il massimo effetto, in
un discorso, utilizzando argomentazioni che l’interlocutore fosse più incline
ad accettare
5
.
Per questo la scelta del target è un presupposto indispensabile per la riuscita
della campagna pubblicitaria, a differenza dell’iniziale indifferenziazione
dei destinatari dei messaggi. Le ricerche, infatti, mostrano che un
3
Codeluppi, 2001, p. 55.
4
Ballardini, 1998, p. 18.
5
Dorati, 1996.
12
messaggio ben recepito da un certo target potrebbe non essere accolto allo
stesso modo da un target diverso. Ciò significa che selezionare il tipo di
pubblico che è più sensibile ai benefits del prodotto, incastonati
nell’impianto espressivo del linguaggio pubblicitario, aumenta la
probabilità d’acquisto.
Se all’inizio del XX secolo uno slogan o un cartellone detengono
intrappolato il vero spirito semantico e sensazionalistico di un prodotto,
limitandosi a mostrarne meramente la lista dei suoi scevri vantaggi e dei
suoi evidenti pregi, con l’aumentare della sofisticatezza del linguaggio
pubblicitario, il panorama assume diversi orizzonti. Gli albori sono lontani,
la società si è emancipata, le metropoli caoticamente incalzano e di questo
la pubblicità non può certo non rendersi conto. Da insulsamente funzionale
il prodotto, di fatto, si carica di reali significati, valori che vogliono
promuovere il prodotto come icona, ma anche comportamenti, idee o
addirittura il consumo stesso del prodotto come stile di vita. Ed ecco allora
che la pubblicità si adegua a questo cambiamento e inizia ad abbandonare
discorsi razionali per caricarsi di emozioni e valori che il consumatore
riconosce come parte integrante del suo mondo: qualsiasi discorso
persuasivo, infatti, funziona quando più concorda con le predisposizioni
mentali del soggetto e se riesce a fondersi con i valori di quest’ultimo.
È ovvio però che questi valori debbano essere già noti al pubblico: devono
essere iterativi anche se mostrati in modo diverso ogni volta, questo perché
le cose già note sono confortanti
6
. Per cui il pubblicitario deve sì costruire
un immagine che appaia come rassicurante e familiare, ma allo stesso
tempo cerca di non perdere in originalità e ingegno.
Naturalmente un messaggio pubblicitario non è un rebus che l’utente deve
decifrare, ma si esprime con parole comuni e già note e con accostamenti
istituzionalizzati come un proverbio o un motto. Per cui la pubblicità non
comunica informazioni nuove, ma parla un linguaggio già sentito per fare
appello alla complicità dei soggetti destinatari, rivolgendosi loro sfruttando
riferimenti culturali e allusioni più o meno discrete.
6
Fornari, 1982, p. 318.
13
Il contesto nel quale si muove l’attività pubblicitaria è così riccamente
articolato che solo con l’ausilio di svariate discipline è possibile inquadrarlo
adeguatamente. Numerose, infatti, sono le discipline che prendono in esame
la pubblicità, come l’antropologia, la semiotica, l’economia politica, la
sociologia.
Prendendo proprio in considerazione quanto affermava un importante
sociologo, Giampaolo Fabris, la pubblicità viene considerata come “una
forma di comunicazione unilaterale, in cui è, o dovrebbe essere, sempre
individuabile chi la promuove, generalmente veicolata dai grandi mezzi di
comunicazione di massa, rivolta a stimolare la propensione al consumo”.
In base a questa definizione rileviamo alcuni aspetti distintivi:
• l’unilateralità, che è una caratteristica rappresentativa della
pubblicità e indica che chi la emette non è obiettivo e imparziale;
• l’inserzionista, che è colui che finanzia la pubblicità per averne dei
vantaggi, e questo è un soggetto che dovrebbe essere sempre
palesato e quindi riconoscibile (“dovrebbe” perché a volte questa
trasparenza viene compromessa);
• i grandi mezzi di comunicazione di massa, che rappresentano il
veicolo principale che la pubblicità impiega, anche se non l’unico”
(possiamo trovare, infatti, forme di pubblicità diretta, come il
merchandising, vale a dire quella sul punto vendita);
• la propensione al consumo, infine, che è il vero scopo da attribuire
alla pubblicità, e non la vendita, come in genere si crede, in quanto
sulla vendita entrano in campo altri fattori che non sono legati alla
pubblicità (come il prezzo o la distribuzione)
7
.
Ci sono, inoltre, alcuni fattori che bisogna prendere in considerazione ogni
volta che si realizza una campagna pubblicitaria, i più importanti da tener
presente sono: la fonte, il messaggio, il destinatario, il mezzo e l’impatto
della comunicazione pubblicitaria.
7
Fabris, 1997, pp. 22-23.
14
La fonte
Sulla buona riuscita della comunicazione pubblicitaria, e già per il singolo
messaggio pubblicitario, molto importante è la fonte che emette lo stimolo.
Più essa sarà percepita come autorevole e credibile, infatti, maggiori
saranno le chances della pubblicità. Già la fonte da sola può influenzare
sensibilmente l’accettazione o il rifiuto di un messaggio: fonti considerate
credibili ed esperte, o verso le quali si ha un certo atteggiamento
favorevole, facilitano la persuasione, al contrario, fonti equivoche o
generiche possono influire negativamente sull’accettazione del messaggio
8
.
Queste considerazioni sono i principi cardine dell’effetto “sleeper effect”,
secondo cui, però, a distanza di tempo, il messaggio trasmesso dalla fonte
che gode di scarsa credibilità riacquista efficacia presso il pubblico. Questo
effetto, definito “sleeper” proprio perché consiste in una risposta ritardata
del destinatario verso una fonte con bassa credibilità, comprende tre
principali processi: il destinatario rifiuta il contenuto del messaggio perché
la fonte è ritenuta non valida; con il passare del tempo il destinatario
dimentica sia le caratteristiche del messaggio sia l’emittente, ma non il suo
contenuto; perciò la dissociazione tra la fonte e l’informazione fanno sì che
il destinatario inizi a riacquistare interesse per il messaggio, anche se
comunque gli effetti persuasivi sono piuttosto deboli
9
.
Nella comunicazione pubblicitaria esistono tre principali tipi di fonte:
l’impresa, quindi la marca reclamizzata, la cui immagine può ripercuotersi
favorevolmente o meno sul messaggio; i testimonials e gli influenti, i quali
vengono considerati credibili perché hanno una certa competenza
sull’oggetto della comunicazione (i primi), o perché riscuotono successo
presso il pubblico in quanto provenienti dallo star system (i secondi); e il
mezzo che veicola il messaggio, la cui immagine e grado di
specializzazione sono largamente correlati alla capacità di persuasione,
8
Fabris, 1997, pp. 164-165.
9
Gocci, 2001, p. 151 e sgg.