2
conversazioni telefoniche, innescando discussioni animate all’interno
della società civile circa la legittimità di un tale uso “mediatico” del
materiale intercettato e scatenando polemiche vibranti tra i soggetti
interessati e gli stessi organi d’informazione. Da una parte, sono
arrivate le proteste sempre più accese di chi ha denunciato un clima da
“gogna mediatica”, lamentando violazioni – a volte reali, altre solo
presunte – del diritto alla privacy e al rispetto della vita privata, non
solo dei soggetti indagati ma soprattutto delle persone estranee alle
vicende giudiziarie, colpevoli solo di aver interloquito con chi era
sottoposto all’invasività dell’intercettazione. Dall’altra parte, gli
operatori dell’informazione hanno chiamato in causa la libertà di
stampa e il diritto-dovere, in capo al giornalista, di informare i
cittadini, e hanno obiettato che la diffusione delle intercettazioni è
comunque coperta dal diritto di cronaca e che, in presenza di fatti di
rilevante interesse pubblico, la tutela della privacy dei singoli deve
cedere il passo di fronte all’interesse della collettività a ricevere
informazioni e notizie, indispensabili per la formazione della pubblica
opinione.
Il dibattito non poteva non coinvolgere anche il mondo politico, e non
solo perché, sempre più di frequente, i colloqui intercettati - e diffusi
dai media - avevano come protagonisti esponenti illustri della classe
dirigente. Numerose sono state le iniziative parlamentari e gli
interventi legislativi che hanno cercato di regolamentare la materia nel
corso delle due ultime legislature, a testimonianza della delicatezza
del settore in questione e della difficoltà di bilanciare due interessi - la
tutela della privacy da una parte, ed il diritto all’informazione
dall’altra - entrambi riconosciuti e tutelati dalla Costituzione.
Per questo motivo, diritto alla riservatezza e libertà di informazione
sono i due referenti costanti attorno ai quali si snoda l’intera
3
trattazione, mentre il “caso” della pubblicazione delle intercettazioni
telefoniche si configura quale esempio paradigmatico del contrasto
che può sorgere tra le due contrapposte istanze di tutela, che pure
rappresentano, a conti fatti, facce della stessa medaglia.
Nel primo capitolo viene, quindi, analizzato il primo interesse in gioco
- il diritto alla privacy appunto - a partire dalla originaria formulazione
che ne diedero, sul finire dell’Ottocento, due studiosi statunitensi,
Warren e Brandeis, nel saggio capostipite The Right to privacy
1
.
L’evoluzione dottrinale, giurisprudenziale e normativa del concetto ne
ha esteso i confini ben oltre il primitivo right to be let alone, come
dimostra chiaramente il percorso della nozione di privacy in ambito
europeo. Prima con la Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che,
all’art. 8, parla, più in generale, di “rispetto della vita privata e
familiare, del domicilio e della corrispondenza”; poi con il
riconoscimento di un nuovo, autonomo diritto alla protezione dei dati
personali, tutelato dalla Convenzione di Strasburgo del 1981 e dalla
Direttiva n. 46 del 1995 (che ha previsto, tra l’altro, una disciplina di
favore per il trattamento delle informazioni personali effettuato
nell’ambito dell’attività giornalistica). I rapporti tra diritto alla
riservatezza e diritto all’informazione sono stati approfonditi anche
alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell’uomo, con specifico riferimento alle pronunce in materia di
intercettazioni telefoniche. Il case study preso in considerazione è
stata la sentenza del 2003 relativa al caso Craxi vs Italia, con cui la
Corte di Strasburgo ha condannato lo Stato italiano per una duplice
violazione dell’art. 8 CEDU, e, in particolare, per non avere in alcun
modo impedito l’indebita divulgazione, da parte della stampa
1
WARREN-BRANDEIS, The right to privacy, in Harward Law Review, 4, 1890, ora in
SHOEMAN (a cura di), Philosophical dimension of Privacy, Cambridge, 1984
4
nazionale, di ampi estratti delle conversazioni di Craxi, di cui una
buona parte aveva natura strettamente personale.
L’attenzione del secondo capitolo si è focalizzata, invece, sul
progressivo riconoscimento del diritto alla privacy all’interno del
sistema normativo italiano, risultato dell’elaborazione civilistica e
degli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale. Il contributo
della Corte è risultato fondamentale sia per la determinazione dei
contenuti del diritto alla privacy - di cui la Costituzione non offre una
esplicita definizione - sia per chiarire le relazioni che legano le
intercettazioni telefoniche all’art. 15 Cost. - che tutela la libertà e la
segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma del comunicare
(quindi anche delle conversazioni telefoniche) – e all’art. 21 Cost.,
posto invece a difesa della libertà di manifestazione del pensiero, della
libertà di stampa e del diritto di cronaca. Il passo successivo non
poteva che essere quello di indagare, più da vicino, la disciplina delle
intercettazioni telefoniche contenuta nel codice di procedura penale,
con un’attenzione particolare alle norme che tutelano la privacy dei
soggetti coinvolti nelle operazioni di monitoraggio dell’autorità
giudiziaria. Sempre nell’ambito del codice di procedura penale sono
state rinvenute le regole che disciplinano le intercettazioni ambientali
e quelle informatiche e telematiche, mentre disposizioni particolari
sono previste per le intercettazioni dei parlamentari, tutelati
dall’immunità parlamentare (art. 68 Cost.), che la legge Boato del
2003 – dichiarata in parte illegittima da una recentissima sentenza
della Corte Costituzionale - ha esteso anche alle c.d. intercettazioni
indirette.
Se nei primi due capitoli il focus dell’analisi è stato rivolto al diritto
alla privacy e alle sue molteplici relazioni con le intercettazioni
telefoniche, la seconda parte del lavoro si è soffermata sull’altro
5
interesse in gioco, quel diritto all’informazione, direttamente garantito
non solo dall’art. 21 Cost., ma anche dall’art. 10 della già citata
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che, interpretandolo -
bilateralmente - come “diritto di informare” e “diritto ad essere
informati”, protegge esplicitamente sia la libertà d’espressione che la
libertà di ricevere informazioni.
Il terzo capitolo, in particolare, ha ricostruito il cammino compiuto
dall’Italia per adeguarsi alle sollecitazioni giunte dall’Unione Europea
in materia di protezione dei dati personali, un cammino che ha avuto
come tappe fondamentali prima la legge n. 675 del 1996 e poi il
Codice della Privacy del 2003, che ha riorganizzato l’intera materia.
Una delle novità più rilevanti apportata da questi interventi normativi
è rappresentata dall’introduzione, nel nostro ordinamento, del Garante
per la protezione dei dati personali, di cui sono stati studiati struttura,
funzioni e poteri, e analizzati i principali provvedimenti in materia di
intercettazioni telefoniche, soprattutto quelli adottati negli ultimi due
anni di fronte ad una pubblicazione continua - e talvolta indiscriminata
- del materiale intercettato da parte della stampa. Il comportamento
degli organi d’informazione è stato vagliato anche alla luce del Codice
deontologico dei giornalisti, che impone il rispetto della dignità e dei
diritti fondamentali della persona e introduce il “principio
dell’essenzialità dell’informazione” come bussola per il giornalista
che, nel divulgare notizie di interesse pubblico, si imbatte in vicende
attinenti la sfera strettamente privata dei soggetti interessati o in
informazioni sensibili.
Di regolamentare, invece, le intercettazioni illecite, quelle effettuate
senza alcuna autorizzazione della magistratura, si è occupato il decreto
legge n. 259 del 2006 - adottato d’urgenza dopo lo scoppio dello
scandalo Telecom-Sismi - che si è contraddistinto per un generale
6
inasprimento delle sanzioni applicabili ai giornalisti che concorrono
alla diffusione delle intercettazioni illegalmente formate o acquisite.
L’ultimo capitolo, infine, è stato dedicato interamente alla libertà
d’informazione – sottolineandone la centralità all’interno di un
sistema democratico – e ai limiti cui la cronaca giornalistica, specie
quella giudiziaria, deve sottostare quando entra in conflitto con il
diritto alla privacy delle persone cui le notizie si riferiscono. Limiti,
quelli della verità dei fatti, dell’interesse pubblico e della continenza
formale, che devono essere rispettati a maggior ragione in caso di
pubblicazione di intercettazioni telefoniche, che attengono alla sfera
più intima dell’individuo e possono comportare l’inutile propalazione
di notizie private o riservate.
I casi più famosi di questi ultimi anni – dallo scandalo della Banca
d’Italia a Calciopoli, dal caso Vallettopoli alla telefonata tra
Berlusconi e Saccà – sono stati analizzati tenendo presenti i tre
requisiti del diritto di cronaca, in modo da far emergere i casi in cui la
pubblicazione delle intercettazioni è stata legittima e quelli in cui i
giornalisti sono andati oltre i confini stabiliti, preoccupati più di
suscitare la curiosità morbosa del pubblico che di informare
correttamente la collettività. Un discorso a parte è stato fatto per la
divulgazione delle intercettazioni dei parlamentari, alla luce della
maggiore trasparenza che esige il rapporto elettore-parlamentare e
dell’interesse preminente della collettività alla conoscenza di vicende
dalla cui valutazione può dipendere la scelta del delegato. Senza
dimenticare, tuttavia, che l’affievolita sfera di riservatezza di politici e
uomini di Stato non fa venir meno l’obbligo per il giornalista di non
diffondere fatti privati che non abbiano legami con l’esercizio della
loro funzione pubblica.
7
In chiusura, non poteva mancare un approfondimento sul disegno di
legge Mastella, approvato alla Camera dei Deputati nell’aprile 2007,
un provvedimento che – qualora dovesse diventare legge - sembra
poter incidere profondamente sulla libertà d’informazione nel nostro
Paese, facendo calare il buio completo sulle intercettazioni telefoniche
e cancellando, di fatto, la cronaca giudiziaria dalle pagine dei
quotidiani.
8
CAPITOLO PRIMO
DAL DIRITTO ALLA PRIVACY ALLA PROTEZIONE
DEI DATI PERSONALI: LE INTERCETTAZIONI
TELEFONICHE IN AMBITO EUROPEO
1.1 Il primo interesse in gioco: il diritto alla riservatezza
Le note vicende giudiziarie che hanno coinvolto, nel recentissimo
passato, esponenti politici, personaggi dello spettacolo ed imprenditori
hanno contribuito a riaccendere un interessante dibattito - per la verità
mai completamente sopito - intorno al problema della tutela del diritto
alla riservatezza degli individui e, più in particolare, delle modalità di
contemperamento tra il doveroso rispetto della privacy ed i diritti di
cronaca, di critica e di manifestazione del pensiero.
Diritti questi ultimi che rappresentano, come è noto, posizioni
giuridiche di rilevanza altrettanto primaria, in quanto riconosciute e
tutelate esplicitamente dalla Costituzione.
Si tratta di un tipico caso di confliggenza potenziale (capace, tuttavia,
di trasformarsi con facilità in reale), tra interessi e diritti dotati, tutti,
di copertura costituzionale e che non potrà che venir risolto da una
doverosa e puntuale opera riformatrice del legislatore.
Infatti, la questione che si è posta e che continua ad impegnare gli
studiosi della materia attiene alla necessaria individuazione di un ben
delineato limite, al di là del quale il pubblico interesse alla conoscenza
dei fatti, da parte della collettività, possa essere legittimamente
sacrificato sull’altare del rispetto del diritto alla riservatezza di tutti
coloro che, come protagonisti o, talvolta, come mere “comparse”
9
incidentali, si trovano coinvolti in indagini giudiziarie aventi ad
oggetto fatti di rilevanza penale.
All’interno di questo quadro generale, la più accesa polemica riguarda
l’utilizzo dello strumento investigativo delle intercettazioni di
comunicazioni e di conversazioni telefoniche e, soprattutto, i limiti
alla liceità della pubblicazione integrale del loro contenuto, da parte
dei mass media e, più in particolare, dei giornali.
È necessario, quindi, soffermarsi innanzitutto sul primo interesse in
gioco, quel diritto alla riservatezza che, pur in mancanza di una norma
che lo preveda espressamente e che ne definisca contenuto e limiti, è
entrato, grazie all’elaborazione giurisprudenziale, nel novero dei diritti
della personalità come diritto soggettivo assoluto, costituzionalmente
garantito; un’indagine che non può che partire da oltreoceano, dove
per prima è stato riconosciuto il diritto alla privacy, per poi tornare in
Europa, dove da tempo si è affermato un nuovo, importante diritto,
quello alla protezione dei dati personali.
1.2 La genesi della privacy: il “right to be let alone”
Il diritto alla riservatezza, o con un termine forse troppo abusato, il
diritto alla privacy, matura all’interno della categoria concettuale dei
“diritti dell’uomo”, la cui considerazione ha preso le mosse
dall’enunciazione e dalla tutela di posizioni soggettive di intuitiva ed
immediata pressione: da quei diritti che si sarebbero poi qualificati
come di “first generation”
2
.
Mentre la prima generazione è legata ad impellenze basilari di tutela e
richiama le libertà civili riportate dai “rights to life, liberty, property,
2
BONETTI, Riservatezza e processo penale, Milano, 2003, 9 ss.
10
free expression, free exercise of religion, freedom of movement”
3
, la
seconda generazione si è affermata solo in un secondo momento,
come evoluzione e affinamento delle istanze di tutela relative ai diritti
di “first generation”.
Per questo motivo la riservatezza, che è venuta prendendo piede dopo,
sia cronologicamente che assiologicamente, è da considerarsi, a pieno
titolo, un diritto di seconda generazione
4
.
La nozione di privacy, inoltre, presenta confini molto incerti e non si
presta ad essere racchiusa nei limiti di una definizione, considerato
anche che “l’espressione non individua un bene giuridico dai tratti
determinati, ma rimanda piuttosto ad un proteiforme agglomerato di
esigenze che è andato negli anni infoltendosi”
5
: ne consegue che nel
termine privacy sono state via via calamitate fattispecie le più
diffusive, con il rischio, reale, di dispersioni e sconfinamenti
6
.
Nell’ordinamento statunitense, il diritto alla privacy ha origini
alquanto risalenti nel tempo e può vantare un processo evolutivo che
ne ha ampliato i confini ben oltre l’originario “right to stay alone”.
Il saggio capostipite in materia di privacy è, infatti, The right to
privacy
7
, pubblicato il 15 dicembre 1890 da Samuel Warren e Louis
Brandeis, già studenti ad Harward ed ex soci di uno studio legale. È
singolare che la genesi di un testo tanto importante sia legata ad un
interesse personale come quello dell’avvocato Warren, il quale, nella
Boston di fine Ottocento, si proponeva di arginare il gossip di cui era
3
THAMAN, General Report, in The protection of human rights in Central and Eastern Europe
and the former Soviet Union, in Rev. internationale droit pènal, 1992, 506
4
PISANI, Processo penale e diritti fondamentali, in AA.VV., Manuale di procedura penale,
Bologna, 2001, 20
5
CARNEVALE, Autodeterminazione informativa e processo penale, in AA. VV., Protezione dei
dati personali e accertamento penale, a cura di Negri, Roma, 2007, 10
6
BONETTI, Riservatezza e processo penale, cit., 11
7
WARREN-BRANDEIS, The right to privacy, in Harward Law Review, 4, 1890, 193 ss.
11
vittima la moglie
8
: i due studiosi americani sostenevano la necessità di
riconoscere e consacrare un vero e proprio “right to privacy”, inteso -
secondo la nota formula - come “right to be let alone”
9
, “come tutela
contro illecite invasioni della sfera privata e come condizione
essenziale alla dignità umana”
10
. La loro tesi è che gli organi di
informazione avessero preso l’abitudine di invadere “i sacri recinti
della vita domestica” con il supporto di avanzati congegni di
registrazione sonora e fotografici, costringendo il cittadino a cercare
rifugio nella propria intimità per mettersi al riparo da sguardi
indiscreti. Lo scopo del loro lavoro era dimostrare se le regole vigenti
all’epoca fossero idonee o meno a tutelare il cerchio dei sentimenti
dell’individuo, contemplato a quel tempo nel diritto di proprietà
privata, e se i tribunali garantissero il risarcimento del danno al
cospetto di una violazione
11
. Così, già alla fine dell’Ottocento, si
poneva in primo piano il conflitto tra l’interesse del cittadino ad
evitare interferenze nella propria vita privata e quello opposto dei
mezzi di comunicazione ad esercitare il diritto di cronaca e di
informazione.
Sulla scorta di una copiosa statistica, i due giuristi appurarono che, pur
riconoscendo il valore legale dei sentimenti, la legge non prevedeva il
risarcimento delle sofferenze spirituali, essendo gli strumenti
prevalenti di difesa quelli del civil assault e del trespass. Questi ultimi
proteggevano unicamente le ferite fisiche sofferte da un cittadino o i
danni subiti dai suoi beni nei casi di sconfinamento nella propria
proprietà privata, mentre la disciplina sulla proprietà intellettuale
8
Figlia di un influente politico federale e animatrice di uno dei salotti vip della città statunitense
PAISSAN (a cura di), Privacy e giornalismo. Diritto di cronaca e diritti dei cittadini, Garante per
la protezione dei dati personali, Roma, 2003, 1
9
GUGLIUZZA, Appunti su riservatezza e processo penale, in La Giustizia penale, 2007, I, 20
10
PELLACANI, Il diritto alla riservatezza del lavoratore nell’ordinamento statunitense, in Il
Diritto del lavoro, 2000, I, 509
11
TOPPETTA, Linea di privacy. Informazione in equilibrio tra riservatezza e diritto di cronaca,
Roma, 2004, 29 ss.
12
tutelava il copyright sul piano della logica proprietaria nella fattispecie
del profitto. Dimostrata l’inadeguatezza del property right,
documentarono l’esigenza di innovare l’impianto normativo per
assicurare la congrua protezione giuridica alla sfera dei pensieri e dei
sentimenti in presenza delle intrusioni della stampa, chiamando in
causa la stessa libertà sancita dalla Costituzione; infatti, nonostante
nessun diritto specifico alla privacy sia espressamente sancito nel “Bill
of Rights”, quest’ultimo individua e definisce comunque delle zone di
riservatezza, vietando o limitando, ad esempio, alcuni tipi di indagini
o ricerche da parte del governo federale.
Al fine di individuare gli elementi fondativi della tutela della sfera
emozionale dell’individuo, Warren e Brandeis recuperarono il
pensiero del giudice Thomas M. Cooley sul “right to be let alone”, il
diritto ad essere lasciati in pace.
Anche negli Stati Uniti, tuttavia, occorrerà attendere qualche decennio
prima che il diritto alla “privatezza”, con tutte le sue implicazioni e
sfaccettature, assuma un rilievo comparabile con quello che oggi si
impone a ogni giurista del mondo occidentale. Solo nel 1965 abbiamo
la prima affermazione da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti,
della rilevanza costituzionale del diritto alla riservatezza, che, pur non
espressamente sancito, viene ricavato induttivamente da un complesso
di previsioni, tra cui spicca il Quarto emendamento, che tutela
l’individuo contro indagini irragionevoli
12
.
12
Il principio trova affermazione nella Causa Grinswold vs Connecticut, in US, 1965, n. 381, 479
13
1.3 L’evoluzione del concetto dopo la rivoluzione informatica:
il diritto alla protezione dei dati personali
L’attenzione verso il diritto alla riservatezza cresce con l’incedere del
progresso tecnologico, che favorisce un incremento esponenziale dei
rischi di invasione della sfera privata degli individui, sia sotto il
profilo quantitativo che qualitativo
13
. La svolta avviene sul finire degli
anni Sessanta del secolo scorso, quando ormai appare chiaro che
l’evoluzione tecnica stia creando le premesse materiali per un vero e
proprio assault on privacy. La dottrina si dimostra già all’epoca
consapevole dei rischi insiti nel crescente ricorso a strumenti di
memorizzazione e gestione elettronica dei dati, capaci di provocare
una circolazione massiccia di informazioni del tutto sottratta al potere
di controllo dei singoli interessati
14
.
All’evoluzione tecnica ha corrisposto una evoluzione dottrinale,
giurisprudenziale e normativa del concetto di privacy, che è andato
progressivamente trasformandosi ed affinandosi, così da abbracciare
un numero sempre più ampio di interessi meritevoli di tutela. Dalla
semplice esigenza di proteggere dall’altrui ingerenza la propria sfera
intima e privata - il “right to be let alone”, appunto - i contenuti del
diritto alla riservatezza si sono dilatati, sino ad includere una gamma
assai differenziata di situazioni soggettive che spaziano dal diritto al
segreto, all’anonimato, al riserbo, all’immagine, all’identità, sino al
diritto a mantenere il controllo sulle informazioni riguardanti la
propria persona
15
.
Di questa evoluzione del concetto di privacy è evidente espressione la
legge approvata in Italia nel 1996, in coincidenza con l’ingresso del
13
PELLACANI, Il diritto alla riservatezza del lavoratore nell’ordinamento statunitense, in Il
Diritto del lavoro, cit., 509
14
GUGLIUZZA, Appunti su riservatezza e processo penale, in La Giustizia penale, cit., 20
15
Ibidem
14
nostro paese nell’area Schengen; legge recentemente sostituita dal
Testo unico in materia di protezione dei dati personali approvato nel
2003 (D. Lgs. n. 196), il cosiddetto Codice della privacy. In entrambi
questi testi normativi viene enunciato con stile perentorio (solitamente
in uso nell’affermazione di diritti fondamentali) il diritto individuale
alla protezione dei dati personali
16
, e ne viene consacrata l’autonomia
rispetto a quelli alla riservatezza e all’identità personale. Più che un
diritto unitario, invero, lo statuto della privacy si premura di tutelare
un fascio di situazioni soggettive, da cui si estrapola l’efficace
concetto di “autodeterminazione informativa”, traducibile nel bisogno
di riaffermare la potestà del singolo sui dati a lui riferibili.
L’espressione allude in particolare alla possibilità per l’individuo di
controllare la circolazione delle informazioni che lo riguardano,
seguendone i percorsi, verificandone gli usi, esigendo
l’aggiornamento, la rettifica, la cancellazione
17
.
1.4 Fonti internazionali in tema di riservatezza: la
Convenzione di Roma del 1950 e il Patto internazionale
del 1966
Bisogna tener presente, in via preventiva, che il diritto alla
riservatezza è espressamente tutelato dalle cosiddette fonti
internazionali, in particolare dalla Convenzione per la salvaguardia
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (d’ora in poi CEDU),
adottata a Roma, il 4 novembre 1950, dai Paesi aderenti al Consiglio
d’Europa, e, a livello di Organizzazione delle Nazioni Unite, dal Patto
16
GUGLIUZZA, Appunti su riservatezza e processo penale, in La Giustizia penale, cit., 19
17
CARNEVALE, Autodeterminazione informativa e processo penale, in AA. VV., Protezione dei
dati personali e accertamento penale, cit., 7
15
internazionale sui diritti civili e politici, adottato e aperto alla firma
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966.
Si tratta di “fonti dotate di vincolatività nei confronti dell’ordinamento
italiano”
18
in quanto tradotti in legge ordinaria di ratifica ed
esecuzione, per cui hanno “presa diretta ed immediata sul processo
penale in generale e, in particolare, sulla tutela della riservatezza che
in esso può e deve enuclearsi”
19
.
Riguardo al loro rilievo all’interno dell’ordinamento italiano (posto
che entrambe le fonti sono equiparabili quanto ad efficacia formale),
letteratura e giurisprudenza si sono interrogate non poco e con non
poche soluzioni difformi. Si sono maturati e via via moltiplicati i
tentativi di ancorare la valenza della Convenzione del 1950 e del Patto
del 1966 al di sopra della fonte ordinaria legislativa, sua propria in
forza della forma del recepimento.
La più alta giurisprudenza, dopo aver superato l’iniziale idiosincrasia
per norme di “efficacia vincolante “per le parti contraenti” e non per
i rispettivi sudditi”
20
, ha cominciato a riconoscervi incidenza diretta
nel tessuto ordinamentale.
La Corte costituzionale, dopo aver escluso che la Convenzione di
Roma si collochi “di per se stessa a livello costituzionale”
21
,
coniugando la norma europea del 1950 col Patto internazionale del
1966, ha negato costituiscano parametri di costituzionalità, trattandosi
di portato di legge ordinaria che riconosce sistemi convenzionali
22
. Il
giudice delle leggi, infatti, risulta orientato, al fine di far emergere il
rango originale dei cataloghi internazionali dei diritti dell’uomo, ad
intenderli, da una parte, come degno completamento del portato della
18
BONETTI, Riservatezza e processo penale, cit., 41
19
BONETTI, Riservatezza e processo penale, cit., 43
20
Cass. penale, Sez. I, 23 marzo 1984, n. 2770, in Rivista Penale, 1984, II, 986
21
Corte cost., 5 luglio 1990, n. 315, in Giurisprudenza costituzionale, 1990, 2017
22
Corte cost., 6 giugno 1989, n. 323, in Giurisprudenza costituzionale, 1989, 1473 con nota di
D’ATENA