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INTRODUZIONE 
 
La pubblicazione delle intercettazioni telefoniche è uno di 
quei temi nel quale si presenta maggiormente, e soprattutto si è 
presentato nella storia recente, il problema del conflitto tra 
diritto di cronaca e diritto alla privacy, tra le esigenze di 
un’informazione precisa e puntuale  e i rischi di violazione della  
riservatezza. 
Il problema acquista  una valenza ulteriore nel momento 
in cui si tratta di intercettazioni che vedono coinvolti personaggi 
pubblici, nello specifico parlamentari.   
La situazione è deflagrata e ha raggiunto l’apice dello 
scontro a partire dal 2006, quando ha preso piede la pratica 
giornalistica della pubblicazione integrale del contenuto di 
intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito di inchieste 
giudiziarie che, vista la notorietà dei soggetti coinvolti e delle 
pratiche da essi messe in atto, hanno avuto una notevole 
risonanza mediatica.  
Si trattava di vicende che coinvolgevano il mondo del 
calcio, della televisione, della finanza e della politica, a 
proposito delle quali l’opinione pubblica mostrava un forte 
desiderio di informazione. E i giornali hanno chiaramente 
raccolto questa richiesta di conoscenza, pubblicando pagine e 
pagine di intercettazioni telefoniche, così da poter descrivere 
nella maniera più corretta ed esaustiva possibile i reati che
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erano emersi grazie alle intercettazioni disposte dall’autorità 
giudiziaria, e che, senza tale pubblicazione, non sarebbe stato 
possibile descrivere altrettanto compiutamente.  
Il problema cominciò a nascere, però quando i giornali, 
sulla spinta del clamore delle vicende giudiziarie, non si 
limitarono più a pubblicare le conversazioni rilevanti dal punto di 
vista penale, ma cominciarono a diffondere anche quelle parti di 
conversazioni totalmente prive di rilevanza, con particolari 
privati e personali dei soggetti coinvolti, soprattutto inerenti la 
loro sfera sessuale, arrivando addirittura a diffondere 
conversazioni di soggetti estranei al procedimento penale. Era, 
quindi, venuta a crearsi una situazione tale per cui la vicenda 
giudiziaria in sé trovava lo spazio di una cronaca liquidata in 
poche righe, mentre tutto il resto dell’attenzione era incentrata 
sul gossip e sul pettegolezzo, tanto più paradossale se si 
pensa, ad esempio, che di una vicenda come quella di 
Vallettopoli la maggioranza dell’opinione pubblica ricorda solo i 
favori sessuali di questa o quella persona in cambio di una 
partecipazione televisiva, ma non i reati penali emersi dalle 
indagini. 
Una simile prassi giornalistica, oltre che esorbitare i limiti 
della professione, che richiedono il rispetto dei parametri 
dell’essenzialità nell’interesse pubblico all’informazione ai fini di 
una pubblicazione corretta, poneva certamente un problema di 
riservatezza,  essendo stata lesa sia la privacy degli indagati 
con la diffusione di particolari irrilevanti, sia, soprattutto, quella 
delle persone che con l’inchiesta nulla avevano a che fare, ma
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che intrattenevano conversazioni telefoniche con gli indagati in 
maniera del tutto lecita con dialoghi e conversazioni di nessuna 
rilevanza penale.  
Sul tema sono intervenuti tutti i principali attori: dal 
Garante, che in diversi provvedimenti, ancor prima del dilagare 
del problema, ha sempre richiamato i giornalisti al rispetto 
dell’etica professionale, così da non operare pubblicazioni 
selvagge e senza filtro, per il solo fatto di aver a disposizione 
materiale pubblicabile, e ha auspicato anche un intervento del 
legislatore per migliorare la lettera della legge, che allo stato 
attuale, consente la conoscenza di parti di conversazioni anche 
irrilevanti; all’Ordine dei Giornalisti, che ha richiamato gli iscritti 
all’albo al rispetto delle norme del Codice deontologico e di 
buona condotta e al rispetto delle norme contenute nel Codice 
della Privacy; fino, infine, al legislatore, che ha tentato un 
riordino della materia delle intercettazioni, senza mai riuscirci 
compiutamente a causa della fine anticipata delle legislature 
nelle quali erano stati presentati i disegni di legge sul tema. 
In particolare, sono  stati presentati due disegni di legge, 
il ddl Mastella, approvato alla Camera nel 2006, ma mai 
approvato dal Senato, causa la caduta del Governo, e il ddl 
Alfano, approvato sia alla Camera nel 2008 che al Senato nel 
2010, ma mai arrivato alla seconda e definitiva approvazione 
della Camera. Entrambi i provvedimenti sono meglio conosciuti, 
per definizione data dalla stampa, come “leggi – bavaglio”. 
Nelle intenzioni del legislatore, in entrambi i casi, c’era la 
volontà sia di ridimensionare il ricorso alle intercettazioni da
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parte dei magistrati, il cui uso e abuso pesava oltremodo sul 
bilancio dello Stato, sia tutelare la privacy dei soggetti coinvolti, 
e soprattutto dei soggetti non coinvolti, limitando la possibilità 
per giornalisti di accedere al contenuto delle conversazioni 
depositate e quindi la possibilità di pubblicarle. 
Il sistema attuale prevede che, terminate le operazioni di 
intercettazione ritualmente autorizzate e disposte, il materiale 
venga depositato entro cinque giorni nella segreteria del 
pubblico ministero, il quale da avviso ai difensori delle parti 
dell’avvenuto deposito e della facoltà di esaminare gli atti e 
ascoltare le registrazioni. E’ questo il cosiddetto momento della 
discovery, a partire dal quale il soggetto indagato conosce gli 
atti di indagine che lo riguardano, e che segna anche il 
momento in cui le intercettazioni sono pubblicabili nel 
contenuto, posto che il nostro sistema prevede che gli atti di 
indagini siano pubblicabili dopo che l’indagato ne abbia avuto 
conoscenza.  
Il sistema delineato nei due disegni di legge presentati, 
invece, mantiene il vincolo del segreto fino al termine delle 
indagini preliminari o alla conclusione dell’udienza preliminare, 
procrastinando la pubblicazione tanto in là nel tempo da 
perdersi qualsiasi interesse per la notizia, impedendo di fatto il 
diritto di cronaca. Da ciò l’espressione “legge-bavaglio”, a 
sottolineare lo sfavore della stampa per tali provvedimenti, che 
si unisce alle critiche provenienti dalla dottrina e dall’opinione 
pubblica, che sottolineavano il conflitto di interessi esistente per 
l’identità di soggetti che proponevano la riduzione dell’uso e
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della diffusione delle intercettazioni e i soggetti le cui 
responsabilità emergevano proprio grazie alle intercettazioni. 
Nel presente lavoro si è scomposto il problema nei suoi 
elementi basilari. 
 Il primo capitolo contiene una disamina dell’attuale 
disciplina delle intercettazioni, dalle fattispecie per le quali 
possono essere disposte, fino alle modalità esecutive pratiche, 
fino ai divieti di utilizzo dei risultati e alle operazioni di  stralcio 
di ciò che risulti irrilevante. 
Nel secondo capitolo vengono posti a confronto gli altri 
due elementi strutturali del tema della pubblicazione delle 
intercettazioni telefoniche: la riservatezza,  come era intesa in 
passato, sia in Italia che in America, pioniera del right to be let 
alone, e come è intesa oggi nella società informatica e 
globalizzata, a seguito anche dell’introduzione delle leggi sulla 
privacy, e disciplinata dalla legge n. 675/1996, poi sostituita dal 
Codice del 2003, e il diritto di cronaca, tutelato dalla 
Costituzione e disciplinato anche dal codice di deontologia e 
buona condotta 
Questi elementi vengono ricomposti nel terzo capitolo, 
nel quale si descrive il bilanciamento necessario tra il diritto alla 
riservatezza e il diritto di cronaca sul tema della pubblicazione 
delle intercettazioni telefoniche, un tema considerato da un 
triplice punto di vista: quello delle intercettazioni legittime e 
pubblicabili, quello delle intercettazioni legittime ma non 
pubblicabili perché coperte dal segreto,  e infine il tema delle
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intercettazioni illegittime e non pubblicabili, in quanto non 
autorizzate dall’autorità giudiziaria. 
Brevi cenni, infine, alla cronaca giudiziaria, posto che la 
pubblicazione delle intercettazioni è una specificazione della 
stessa e alla deriva che essa può prendere e che è 
rappresentata dalla spettacolarizzazione nei salotti tv e sui 
media in generale della giustizia e delle vicende penali.
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CAPITOLO UNO: 
INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI E 
COMUNICAZIONI 
 
 1.1. Problemi di costituzionalità 
Le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni 
costituiscono un mezzo di ricerca della prova, che consente 
l’acquisizione di informazioni all’insaputa di interlocutori ignari e 
si caratterizza per il cosiddetto “effetto a sorpresa”.  
Esse consistono nella captazione, tramite apposite 
apparecchiature tecniche, da parte di un soggetto terzo, di 
comunicazioni o conversazioni riservate, che avviene senza 
che i soggetti parlanti siano al corrente di essere ascoltati.  
Trattandosi di attività fortemente invasiva, la disciplina 
delle intercettazioni incontra rilevanti limiti di natura 
costituzionale. Su tale questione si scontrano due distinti valori 
fondamentali, e cioè “il diritto inviolabile dei singoli individui alla 
libertà ed alla segretezza delle loro comunicazioni, e quello 
rappresentato dall’interesse pubblico alla repressione dei reati e 
al perseguimento in giudizio di coloro che delinquono”. 
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L’art. 15 della Costituzione, difatti, dopo aver qualificato, 
al comma 1, come diritti fondamentali la libertà e la segretezza 
della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, al 
comma successivo dispone che tali libertà possono essere 
                                                 
1
 Corte Cost. 63/94
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limitate solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria e con le 
garanzie previste dalla legge.  
La delicatezza e l’importanza degli aspetti in questione 
emergono più chiaramente dal raffronto con i precedenti due 
articoli della Carta, concernenti la libertà personale e quella di 
domicilio, le quali sono anch’esse  considerate alla stregua di 
diritti fondamentali e inviolabili, ma, a differenza di quanto 
previsto dall’art.15, a tutela della libertà e della segretezza della 
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, esse 
possono essere limitate dall’autorità di pubblica sicurezza, 
anche di loro iniziativa, nei casi di particolare necessità e 
urgenza, salvo successiva convalida da parte dell’autorità 
giudiziaria. 
La ragione di tale maggiore cautela imposta dall’art. 15 
potrebbe ravvisarsi nel fatto che le misure restrittive delle 
comunicazioni, a differenza di quelle riguardanti la libertà 
personale e la libertà  di domicilio, incidono necessariamente 
anche su un altro soggetto oppure, ancora, la ragione potrebbe 
risiedere nella maggior facilità con cui possono essere disposte 
le intercettazioni rispetto alla materiale esecuzione di una 
perquisizione personale o domiciliare, nelle quali occorre 
necessariamente la presenza fisica del soggetto interessato.  
Il nucleo delle garanzie fondamentali richieste dal comma 
2 dell’art. 15 Cost. consiste, non solo nella necessaria 
autorizzazione dell’autorità giudiziaria, la quale dovrà 
obbligatoriamente effettuare un bilanciamento di interessi con 
altri diritti di rango costituzionale, tale da risultare legittima la
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compressione della libertà di comunicazione, ma consiste 
anche nel fatto che il fine delle intercettazioni deve essere 
predeterminato, al pari delle modalità e della durata delle 
operazioni, le quali possono essere prorogate permanendo le 
ragioni di urgenza e necessità, sempre con provvedimento 
motivato dell’autorità, non potendosi, infatti, avere un decreto 
autorizzativo “in bianco”, che solo successivamente, a 
operazioni cominciate, individui la ragione e il fine delle 
intercettazioni.  
Le garanzie in questione riguardano in ogni caso le sole 
manifestazioni del pensiero che siano dall’autore indirizzate a 
specifici soggetti, con la volontà esplicita che tali comunicazioni 
siano conoscibili solo da lui: in ciò consiste il diritto di esprimere 
liberamente il proprio pensiero a terzi individuati e il diritto alla 
riservatezza su tali comunicazioni.  
E tali garanzie si estendono non solo al contenuto delle 
dichiarazioni, ma anche alle informazioni relative all’identità dei 
partecipanti alla comunicazione ed ai riferimenti al tempo e al 
luogo della comunicazione stessa
2
.  
Peraltro, la tutela accordata a questo diritto non è 
assoluta, ma incontra delle limitazioni nel momento in cui 
vengono in gioco altri interessi altrettanto meritevoli di tutela, 
purché le limitazioni siano legittime, cioè previste dalla legge e 
disposte con atto motivato dell’autorità giudiziaria. Nell’art.15, 
come sopra evidenziato, assieme al diritto alla libertà e alla 
segretezza delle comunicazioni, che si pone come  naturale 
                                                 
2
 Corte Cost., n. 81/93
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corollario, secondo la Corte, dei diritti inviolabili della 
personalità tutelati dall’art. 2 della Costituzione, coesiste 
l’interesse alla prevenzione e repressione dei reati, anch’esso 
protetto costituzionalmente, per cui il diritto di cui sopra è 
restringibile nella misura in cui lo impongano esigenze di 
indagini legate appunto alla repressione dei reati.
3
  
Infine, si deve alla sentenza costituzionale 34/73 
l’individuazione in concreto delle garanzie postulate dall’art. 15, 
ossia che le intercettazioni siano disposte dall’autorità 
giudiziaria, che avvengano, come detto, a fronte di interessi 
anch’essi di rilevanza costituzionale, che siano stabiliti limiti 
all’utilizzabilità del materiale raccolto, che sia predeterminato lo 
scopo della misura e che sia stabilita una durata massima di 
ciascuna operazione.   
 
 
1.2. Le intercettazioni telefoniche nella Convenzione 
Europea dei Diritti dell’Uomo 
 
L’art. 8 della C.e.d.u., firmata a Roma il 4 novembre 
1950, e introdotta in Italia con legge ordinaria n. 848 del 1955, 
tutela la vita privata dell’individuo, riconoscendo al comma 1 
che “ ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata 
e familiare, del proprio domicilio e della propria 
corrispondenza”, intendendosi il termine corrispondenza in 
senso lato, comprensivo di ogni forma di comunicazione privata 
                                                 
3
 Corte Cost. n. 463/94
11 
 
e quindi, anche le comunicazioni telefoniche
4
, aggiungendo al 
comma successivo che tali diritti possono essere limitati solo in 
presenza di particolari situazioni tali da giustificare un intervento 
delle autorità statali, invasivo della privacy dell’individuo, quali 
possono essere la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il 
benessere economico del paese, la difesa dell’ordine e la 
prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, 
o la protezione dei diritti e delle libertà altrui. 
Il principio qui espresso discende direttamente dalla 
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 adottata 
in sede ONU, che indica come limite delle libertà individuali il 
rispetto delle libertà altrui e le giuste esigenze della morale, 
ordine pubblico e benessere generale di una società 
democratica. 
 
 
1.3. Cenni storici  
Il tema delle intercettazioni telefoniche era trattato già nel 
codice di procedura penale del 1913, seppur in maniera molto 
marginale, causa la scarsa diffusione del telefono, inteso come 
mezzo di “comunicazione a distanza tra privati”, con la 
previsione di poteri provvisori di limitazione delle comunicazioni 
tramite appunto il mezzo della captazione
5
.  
                                                 
4
 Cesare Parodi, Le intercettazioni-profili operativi e giurisprudenziali 
5
 Il codice di procedura penale del 1913 consentiva agli ufficiali di polizia “per i fini del 
loro servizio” di “accedere agli uffici telefonici per intercettare o impedire comunicazioni, 
od assumerne cognizione” (art. 170, comma 3 C.P.P. 1913)
12 
 
Il successivo codice del 1930, il Codice Rocco, lasciava 
pressoché immutato il testo precedente, in quanto quella 
normativa, così indeterminata e così poco dettagliata, si 
confaceva alle esigenze di repressione del regime fascista, che 
si serviva dei controlli telefonici ai fini di sorveglianza politica. 
 Il codice Rocco, infatti, prevedeva ampi poteri in capo 
agli organi inquirenti
6
, e conferiva “agli ufficiali di polizia, al 
pubblico ministero e al giudice istruttore piena libertà di accesso 
presso qualsiasi ufficio o impianto telefonico o telegrafico, allo 
scopo di trasmettere messaggi, operare intercettazioni e 
assumere altre non meglio specificate informazioni”
7
.  
Successivamente, vi furono una serie di riforme che 
modificarono la normativa del 1930, a partire dalla legge 
517/55, la quale prevedeva l’obbligo di autorizzazione 
giudiziaria motivata per la realizzazione delle intercettazioni e 
andava così ad erodere la sostanziale illimitata libertà d’azione 
della polizia e del pubblico ministero.  
Di fondamentale importanza fu poi l’intervento della Corte 
Costituzionale, che con la già ricordata sentenza n. 34/73 
insisteva sulla necessità di un’autorizzazione motivata, fissando 
al contempo i parametri del provvedimento autorizzativo.  La 
Corte, infatti, sottolineò in primis che l’art. 15 Cost. non solo 
proclamava e tutelava la libertà e la segretezza della 
corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione, ma 
poneva anche una riserva di legge assoluta e una riserva di 
                                                 
6
  Art. 226, comma 3 C.P.P. 1930  
7
 Bruno, Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni, Dig. Disc. Pen. 1993
13 
 
giurisdizione, laddove consentiva che la loro limitazione 
potesse avvenire solo con atto motivato dell’autorità giudiziaria 
e con le garanzie stabilite dalla legge.  
Posto che il precetto costituzionale protegge sia 
l’interesse alla libertà e segretezza delle comunicazioni, in 
quanto espressione degli inviolabili diritti della personalità di cui 
all’art. 2 Cost., sia l’interesse a prevenire e reprimere i reati, la 
Corte precisava che il giudice, nel valutare la richiesta di 
autorizzazione, dovesse procedere al contemperamento dei 
due interessi di cui sopra, al fine di evitare che la libertà e la 
segretezza della corrispondenza fossero eccessivamente 
sacrificate dalla necessità di repressione dei reati, dovendo 
accertare le effettive esigenze legittimanti tale forma d’indagine 
e l’effettivo beneficio portato dalle intercettazioni in tema di 
risultati utili per le indagini in corso
8
.  
Successivi interventi normativi hanno poi tracciato la 
strada della disciplina attuale; in primis, la legge 98/1974, che 
ha delineato analiticamente una serie di elementi formali e 
operativi, cioè l’indicazione tassativa delle fattispecie di reato 
per le quali le intercettazioni sono consentite e l’individuazione 
dei presupposti che giustificano l’intercettazione nei “seri e 
concreti indizi di reato”.  
Ancora, sul piano delle garanzie, fu di fondamentale 
importanza l’indicazione dei termini perentori di quindici giorni, 
prorogabili massimo due volte, e delle modalità operative, 
nonché l’indicazione della non utilizzabilità processuale delle 
                                                 
8
 Cesare Parodi, Le intercettazioni, profili operativi e giurisprudenziali e P. F. Bruno 
Intercettazioni di comunicazioni  o conversazioni, Dig. Disc. Penalistiche, 1998.
14 
 
comunicazioni tra l’indagato e il difensore o il consulente 
tecnico.  
 Tali garanzie hanno subito successivamente una sorta di 
compressione derivante dalla legislazione della fine degli anni 
’70, in piena emergenza terrorismo, per comprensibili ragioni 
dovute alla gravità della situazione socio-politica di quel 
periodo: la legge 191/1978 introduceva la possibilità di 
proroghe sostanzialmente indeterminate alla durata delle 
intercettazioni, la possibilità che le operazioni potessero essere 
effettuate anche tramite gli impianti presso gli uffici di Polizia 
Giudiziaria, un’autorizzazione orale provvisoria e l’abolizione 
del divieto di utilizzo dei risultati delle intercettazioni in 
procedimenti diversi da quello in cui la stessa era stata 
disposta. La stessa legge consentiva infine anche forme di 
intercettazione preventiva. 
Il quadro così sommariamente descritto, pur risultando in 
evidente contrasto con le garanzie costituzionali, è stato ripreso 
e mantenuto nei lavori per il codice attuale
9
. 
 
 
1.4. Definizione di intercettazione 
 
La disciplina delle intercettazioni di conversazioni e 
comunicazioni è regolamentata nel libro III, capo IV del Codice 
di Procedura Penale, agli artt. 266- 271.  
                                                 
9
 Cesare Parodi, Le intercettazioni, profili operativi e giurisprudenziali