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INTRODUZIONE
Lo studio della relazione tra personalità e patologia ha da sempre richiamato
l’attenzione di numerosissimi individui; l’interesse verso questa tematica, inoltre,
è notevolmente cresciuto in seguito all’introduzione, nel 1980, del DSM-III (Dia-
gnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, 3rd edn, American Psychiatric
Association, 1980) ed alla creazione dell’Asse II per i disturbi della personalità.
Svariate ricerche sono state condotte al fine di specificare meglio la loro natura e
le loro cause; con il passare degli anni è però, emersa in maniera preponderante,
anche l’esigenza di far chiarezza, dal punto di vista teorico, su questi aspetti. I di-
sturbi della personalità sono stati infatti esaminati da differenti punti di vista e
molteplici modelli teorici sono stati sviluppati come ad esempio, quello cognitivo-
comportamentale, dell’attaccamento, psicoanalitico, interpersonale, dimensionale
neurocomportamentale ecc.
Il presente lavoro parte da uno di questi approcci teorici, ovvero quello psicoanali-
tico, per parlare di una tipologia di trattamento che si basa sui principi della psico-
analisi ovvero la psicoterapia psicodinamica. In particolare, nel primo capitolo,
vengono analizzati i concetti principali che la caratterizzano, facendo riferimento
agli approcci teorici a cui essa é strettamente connessa: la teoria freudiana classica
delle pulsioni, la psicologia del Sé, la teoria delle relazioni oggettuali, la psicolo-
gia dell’Io e la teoria dell’attaccamento. Viene poi posta l’attenzione alla psicote-
rapia psicodinamica individuale e, in merito a questa, sono affrontate due princi-
pali questioni. La prima riguarda la tradizionale dicotomia tra psicoterapia espres-
siva e supportiva; si mette in evidenza però, come nella realtà della pratica clinica,
sia pressoché impossibile riscontrare questi due tipi di trattamento in forma pura e
come invece, sia frequente trovare elementi supportivi ed espressivi insieme in
una stesso percorso terapeutico. La seconda questione riguarda invece, la diffe-
renziazione tra psicoterapie a lungo e a breve termine. Solo recentemente sono
state sviluppate delle psicoterapie a breve termine che si basano su un modello
psicoanalitico della personalità e che prevedono il raggiungimento di determinati
obiettivi in breve tempo. La brevità non deve essere però, considerata come sino-
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nimo di facilità in quanto, come per la terapia a lungo termine, anche in questo ca-
so, essa richiede un percorso arduo e delicato.
Il presente lavoro, si propone poi, di descrivere uno specifico tipo di trattamento
psicodinamico: la “psicoterapia focalizzata sul transfert” per i pazienti con
un’organizzazione di personalità borderline (Transference-Focused Psychothe-
rapy for Borderline Personality (TFP-B). Esso è stato elaborato dal gruppo di ri-
cerca guidato da Otto F. Kernberg, John F. Clarkin e Frank E. Jeomans (1999)
presso l’Istituto per i Disturbi di personalità all’interno del Dipartimento di Psi-
chiatria del New York Presbyterian Hospital-Weill Cornell Medical Center
nell’ambito di un progetto denominato “The Menninger Foundation’s Psychote-
rapy Research Project”.
Si tratta di un tipo di terapia che si basa sulle relazioni oggettuali interne del pa-
ziente e che pone la sua enfasi sulla traslazione. Essa è stata sviluppata per coloro
che presentano un’organizzazione di personalità borderline; questa espressione è
stata introdotta da Otto Kernberg (1967, 1975) al fine di indicare quegli individui
che presentano caratteristici modelli di debolezza dell’Io, operazioni difensive
primitive e relazioni oggettuali problematiche.
La scelta di descrivere un trattamento rivolto proprio a queste persone è motivata
dal fatto che si tratta di pazienti che sono spesso difficili da gestire e che inoltre,
presentano un tipo di transfert scarsamente organizzato, instabile ed irrealistico;
Per farvi fronte, sono state apportate delle modifiche, che saranno adeguatamente
descritte, ad alcuni degli strumenti della psicoanalisi classica.
Si vuole quindi, illustrare attraverso quali modalità e mezzi, degli studiosi pro-
pongono, sulla base delle loro conoscenze, delle loro esperienze e delle loro ricer-
che, di fornire un aiuto a queste persone per fare in modo che esse sviluppino im-
magini di se stessi e degli altri che siano coesive ed integrate, modifichino le ope-
razioni difensive primitive e risolvano la diffusione d’identità che è alla base della
frammentazione del loro mondo rappresentazionale interno. È bene chiarire co-
munque, che si parte dal presupposto che ogni azione del terapeuta deve basarsi su
un’attenta valutazione delle caratteristiche peculiari che ogni individuo presenta e
che all’interno della cornice teorica e tecnica del trattamento, c’è ampio spazio per
la creatività e per lo stile personale di ogni analista.
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Nel secondo capitolo, vengono perciò, in primo luogo descritte le strategie (relati-
ve all’intero trattamento), le tattiche (relative alle singole sedute) e le tecniche (re-
lative ai singoli momenti) per mezzo delle quali si cerca di raggiungere lo scopo
principale della terapia. Successivamente vengono analizzate nel dettaglio le sin-
gole fasi; in particolare si parla di interventi che è necessario mettere in atto prima
che la fase iniziale vera e propria possa aver luogo; viene posta perciò, una note-
vole attenzione sia alla valutazione clinica e specificatamente ad uno degli stru-
menti principali che vengono utilizzati per effettuarla: il colloquio diagnostico
strutturale, sia anche alla formulazione del contratto terapeutico tra l’analista ed il
paziente; esso è molto importante poichè stabilisce la cornice del trattamento e de-
finisce le responsabilità di ciascuno dei partecipanti, illustrando le condizioni mi-
nime e necessarie affinchè la terapia possa svolgersi. Si passano poi in rassegna
tutti gli obiettivi terapeutici di questo stadio iniziale e si mette anche in evidenza
quanto sia fondamentale stabilire un’alleanza con chi ha scelto di intraprendere il
percorso terapeutico.
In seguito si pone l’attenzione alla fase centrale, la cui finalità principale è rappre-
sentata dalla comprensione e dall’approfondimento dei temi transferali dominanti
e dei conflitti relativi all’aggressività e alla sessualità primitive e ai loro effetti
sulla traslazione. Sono quindi, discusse due principali tematiche. La prima riguar-
da le manifestazioni ed il trattamento dell’odio nel transfert; nello specifico, si
mette in evidenza quanto sia importante cercare di capire quale sia il livello di o-
dio che viene espresso dall’individuo e rendere il paziente consapevole di questo
particolare aspetto di se stesso. La seconda invece, riguarda la questione del rap-
porto tra sessualità e amore; in particolare si pone l’enfasi su alcuni interessanti
problemi connessi a questa tematica che potrebbero emergere nel corso della tera-
pia.
Successivamente, si analizza la fase avanzata che indica uno stadio nel corso del
quale i pazienti giungono in maniera graduale, all’integrazione relativa agli stati
affettivi precedentemente dissociati o scissi e al concetto di Sé e delle altre perso-
ne significative; viene anche trattato il dibattito circa il processo di cambiamento
legato al percorso terapeutico. Gran parte della discussione ruota attorno
all’interrogativo se esso sia dovuto all’uso di interpretazioni esplicative oppure al-
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la relazione terapeutica in sé (Hamilton, 1988). Interessanti contributi teorici ven-
gono presentati al fine di far luce in merito a questo argomento.
Infine, l’enfasi è posta alla conclusione del trattamento; si mette in evidenza come
di rado essa avvenga secondo modalità regolari. In molti casi infatti, fattori come
denaro, tempo, trasferimenti o valutazioni diverse circa il raggiungimento degli
obiettivi prefissati, non permettono ciò; vengono perciò, analizzati i differenti
modi in cui la terapia può terminare.
Sono anche presenti, nel corso della descrizione di questo trattamento, dei riferi-
menti a ricerche che sono state effettuate nel corso degli anni, al fine di valutarne
l’efficacia e porlo a confronto con differenti tipi di terapie che sono state messe a
punto da altri studiosi.
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CAPITOLO 1
LA PSICOTERAPIA PSICODINAMICA
1.1 Il contributo della psicoanalisi al trattamento dei disturbi della
personalità
L’interesse per i disturbi della personalità è significativamente cresciuto nel
corso degli anni; grandi progressi nel campo delle strategie di ricerca in psicopato-
logia hanno dato un forte impulso all’approfondimento delle tematiche relative a
quest’argomento. Numerosi studi di neuroimaging ad esempio, sono stati effettua-
ti ed inoltre, sofisticate metodologie di ricerca genomica sono state applicate in
misura sempre crescente. Nel 1980 è stato introdotto il DSM-III (Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders, 3rd edn, American Psychiatric Association,
1980) ed è stato anche creato un asse diagnostico separato per i disturbi di perso-
nalità (l’Asse II). La ricerca sperimentale ha perciò, avuto modo di svilupparsi no-
tevolmente e ha contribuito fortemente al chiarimento di molti aspetti fondamen-
tali per la comprensione delle patologie legate alla personalità. Innumerevoli stu-
diosi hanno affrontato l’argomento a seconda della propria prospettiva teorica:
cognitiva-comportamentale, psicoanalitica, ecologica, dell’attaccamento, psico-
metrica, interpersonale ecc. Essi hanno fornito spiegazioni su molti aspetti relativi
alla natura e alle cause dei disturbi della personalità, hanno proposto diverse me-
todologie per farvi fronte e hanno sottolineato le difficoltà legate al lavoro con co-
loro che sono affetti da queste patologie.
Ponendo in particolare, l’attenzione alla psicoanalisi, è possibile affermare che es-
sa ha fornito sicuramente un valido e fondamentale contributo allo sviluppo di
specifici trattamenti rivolti a chi presenta dei disturbi della personalità.
Inizialmente, all’interno dei circoli accademici, si riteneva che la terapia psicoana-
litica fosse inadatta per coloro che avessero gravi patologie; effettivamente la psi-
coanalisi classica è indicata in misura maggiore per pazienti di chiaro livello ne-
vrotico con la meta ambiziosa di una modificazione del carattere. La tecnica e le
teorizzazioni di questo tipo di analisi si sono infatti rivelate generalmente poco ef-
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ficaci con persone affette da altri tipi di disturbi. A quel tempo poi, non erano dif-
fusi tipi di approcci che apportavano delle modifiche alla psicoanalisi classica. I-
noltre, la frequenza delle sedute raccomandata da Freud (inizialmente sei, poi cin-
que a settimana; successivamente egli ritenne che potessero essere sufficienti tre o
quattro incontri) fece in modo che questo percorso potesse essere affrontato solo
da persone prive di difficoltà economiche.
Tuttavia il fatto che la terapia psicoanalitica funzioni meglio e più rapidamente
con coloro che presentano meno difficoltà emotive rispetto a chi invece, ha mag-
giori problemi, non rappresenta un fenomeno differente da quello della persona
sana che risponde meglio alle cure mediche. La stessa situazione è presente nei
trattamenti non psicoanalitici come la terapia familiare sistemica o quella raziona-
le-emotiva o comportamentale o farmacologica o anche il counseling umanistico;
essi hanno sicuramente effetti migliori con individui che cooperano rispetto a
gruppi clinici più disturbati e difficili da gestire.
Nonostante sia vero quindi, che condurre una buona terapia analitica con persone
con gravi disturbi comporti molteplici difficoltà, essa potrebbe essere estrema-
mente utile al fine di capirle e di aiutarle (McWilliams, 1994).
È indispensabile però, che vengano fatte delle precisazioni. La psicoanalisi classi-
ca va distinta dalla psicoterapia psicoanalitica, definita anche psicodinamica (Lis,
1993).
Il termine psicoterapia psicoanalitica è stato introdotto da Frieda Fromm Rei-
chman nel 1950; essa indica un tipo di trattamento che condivide i presupposti te-
orici e gli scopi della psicoanalisi ma che ha apportato delle modifiche dal punto
di vista delle tecniche, che successivamente saranno attentamente analizzate.
Entrambe infatti, nascono dalla constatazione che quando i conflitti e i dissidi tra
le istanze della personalità sono interiorizzati, solo intervenendo sulla struttura
della personalità dell’individuo, è possibile trovare soluzioni più adeguate alla si-
tuazione problematica nella quale egli si trova; esse quindi, condividono lo stesso
scopo: alleviare le difficoltà del paziente, aiutandolo in un processo autoconosci-
tivo che gli consenta di capire e di integrare parti di sé (pensieri, fantasie ed affet-
ti) che si attivano gradualmente nella relazione terapeutica. Si fornisce quindi, a
chi ha deciso di intraprendere questo percorso, un supporto per fare in modo che
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egli possa comprendere come e perché questo malessere sussista, dar vita a nuove
rappresentazioni di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri e trovare nuove solu-
zioni ai suoi conflitti.
Si tratta di processi che si sviluppano nel campo dinamico tra i due poli costituiti
dal paziente e dal terapeuta; essi sono strettamente legati all’hic et nunc della rela-
zione. Le parole di chi è in cura, acquistano significato nel contesto specifico della
seduta, nel momento stesso in cui sono dette. Anche le affermazioni del clinico
rivestono un ruolo importantissimo in quanto danno nuovi significati a ciò che
l’individuo dice, rendono possibili differenti rappresentazioni e forniscono solu-
zioni più articolate alle problematiche presenti.
Uno degli aspetti principali che caratterizza questi tipi di approcci è la grande at-
tenzione che viene posta al mondo interno del paziente e quindi, alle sue fantasie,
ai suoi sogni, alle sue paure, ai suoi desideri, alle immagini che ha di se stesso, al-
le percezioni che ha degli altri e alle sue reazioni psicologiche ai sintomi. Un e-
norme valore è perciò attribuito alle esperienze personali e soggettive
dell’individuo. Non si tratta di escludere il mondo della realtà esterna, ma di ac-
coglierlo nel dialogo terapeutico. Nello spazio privato del setting, il paziente im-
para a stare con se stesso: all’interno di quest’area, egli scopre nuovi significati
che deve poi trasportare all’esterno.
In entrambi i casi, il processo è lungo e faticoso; richiede inoltre, che il terapeuta
abbia una specifica formazione ed una buona esperienza alle spalle.
1.2 I concetti chiave della psicoterapia psicodinamica
Gli approcci psicodinamici che si rivolgono ai pazienti con una determinata
organizzazione di personalità sono molteplici. Al fine di comprenderli, è indispen-
sabile in primo luogo, esporne i concetti chiave, sulla base degli approcci teorici a
cui essa si ricollega ovvero la teoria freudiana classica delle pulsioni, la psicologia
del Sé, la teoria delle relazioni oggettuali, la psicologia dell’Io e la teoria
dell’attaccamento (Gabbard, 1994a).
Un fondamentale aspetto è costituito da un modello concettuale della mente che
include l’inconscio. Freud (1915) infatti, elaborò il modello topografico secondo il
quale la mente è costituita da tre strutture: conscio, inconscio (ovvero i contenuti
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mentali che sono censurati poiché considerati inaccettabili, che sono rimossi e che
quindi, difficilmente possono essere portati alla coscienza) e preconscio (ovvero i
contenuti mentali che possono essere facilmente portati alla coscienza semplice-
mente spostando la propria attenzione). Egli sostenne l’esistenza dell’inconscio
attraverso due fondamentali prove cliniche: i sogni e le paraprassi. L’analisi dei
sogni mostrò che la forza motrice di questi era solitamente rappresentata da un de-
siderio infantile inconscio (1899). Dietro il contenuto manifesto dei sogni, si cela
quindi, quello latente che richiede un’accurata interpretazione.
Le paraprassi sono invece, dei fenomeni come i lapsus, le dimenticanze o le sosti-
tuzioni di nomi o parole che rappresentano la manifestazione involontaria dei de-
sideri o dei pensieri inconsci di una persona. Sia i sogni sia le paraprassi sono
quindi, riflessi di processi inconsci che difendono da desideri e sentimenti rimossi;
attraverso questi perciò, vengono trasmessi nel presente, messaggi che fanno rife-
rimento al passato.
Nella visione psicodinamica è inoltre, di primaria importanza il concetto di deter-
minismo psichico e quindi, la convinzione secondo cui il comportamento umano
rappresenta il risultato finale di molte forze in conflitto tra loro, che assolvono una
varietà di funzioni corrispondenti sia alle richieste della realtà sia ai bisogni
dell’inconscio. Il principio di determinismo psichico richiede inoltre, due chiarifi-
cazioni; innanzitutto i fattori inconsci non determinano tutti i comportamenti e i
sintomi: alcuni non possono essere spiegati da fattori dinamici. In secondo luogo,
esso prevede la presenza di uno spazio decisionale e, di conseguenza, di
un’intenzione cosciente di cambiare che può essere un fattore importante nel pro-
cesso di risoluzione dei sintomi (Appelbaum, 1981).
Un assunto centrale del pensiero psicodinamico è inoltre, costituito dal fatto che le
esperienze infantili siano fattori cruciali nel determinare la personalità adulta. Le
teorie sullo sviluppo infantile sono infatti, sempre state oggetto di grande interesse
da parte di questo tipo di approccio. Tuttavia sono assai numerose e sono state
spesso oggetto di forti contrasti nell’ambito della psicoanalisi. Ciascuna però, po-
trebbe rivelarsi utile in specifiche situazioni cliniche ed essere applicata ed adatta-
ta ad un determinato soggetto nel corso della terapia psicodinamica (Gabbard,
1994a).
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Freud riteneva che il bambino attraversasse tre principali fasi psicosessuali: orale,
anale e genitale; ognuna di queste è associata ad una particolare zona corporea
nella quale egli sosteneva che fosse concentrata la libido del bambino. Egli era i-
noltre, convinto che, a causa di fattori ambientali o costituzionali o
dell’associazione di entrambi i tipi di elementi, un bambino potesse rimanere
bloccato, dal punto di vista evolutivo, alla fase orale o anale e che questo avesse
poi forti ripercussioni sullo sviluppo successivo.
Studi che sono stati svolti in seguito (Mahler et al., 1975; Stern, 1985), hanno por-
tato all’elaborazione di altre teorie evolutive sulle personalità normali e patologi-
che che hanno posto l’accento sulla natura della competenza relazionale del bam-
bino piuttosto che sulle vicissitudini delle energie istintuali.
Un’altra componente centrale nella teoria evolutiva è la nozione secondo cui le
esperienze precoci del Sé con gli altri sono interiorizzate, insieme agli stati affetti-
vi associati ad esse, dando vita a rappresentazioni di tali interazioni (Fonagy,
Target, 2003). Tali relazioni oggettuali interne sono riprodotte continuamente nel
corso della vita e se sono presenti dei problemi connessi ai propri legami attuali, è
molto probabile che essi siano connessi a difficoltà precedentemente incontrate
nella propria infanzia. Inoltre, la rappresentazione interna di un genitore può non
corrispondere esattamente alla persona alla quale ci si riferisce e discostarsi, in
maniera più o meno accentuata, da questa. La teoria delle relazioni oggettuali si è
fortemente sviluppata in Gran Bretagna, dove Melanie Klein ha tentato di integra-
re teoria pulsionale e relazioni oggettuali interne. Successivamente studiosi come
Fairbairn e Winnicott hanno sottolineato come la motivazione primaria del bam-
bino non sia la gratificazione delle pulsioni ma la ricerca dell’oggetto (Gabbard,
1994b).
Kohut (1971, 1977, 1984) sostenne che alcuni individui, nel corso dello sviluppo,
in virtù di uno scarso contatto empatico con la madre, avvertissero un senso inter-
no di mancanza che li spingeva a cercare negli altri, risposte in grado di compen-
sare funzioni che non trovavano in se stessi (funzioni oggetto-Sé). Egli riteneva
quindi, che lo sviluppo fosse strettamente connesso alle risposte oggetto-Sé forni-
te dagli altri e che, in assenza di tali risposte, il Sé tendesse a frammentarsi, dando
origine ad un quadro clinico di estrema vulnerabilità narcisistica.
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Anche la teoria dell’attaccamento sviluppata da Bowlby (1988), rappresenta un
importante punto di riferimento per l’approccio psicodinamico. Secondo Bowlby,
nel bambino era presente un sistema comportamentale diretto a mantenere la vici-
nanza con la madre o il caregiver (Fonagy, 2001); la motivazione del bambino
non era perciò, legata semplicemente alla ricerca di un oggetto, bensì al raggiun-
gimento di uno stato psicofisiologico di sicurezza e di conforto che derivava dalla
vicinanza con la madre o con il caregiver. Per mezzo della Strange Situation (Ain-
sworth et al., 1978), ovvero di una situazione sperimentale che prevede brevi se-
parazioni del bambino dalla madre, sono state individuate differenti reazioni da
parte del bambino corrispondenti a quattro categorie principali di attaccamento: 1)
sicuro; 2)ansioso-evitante; 3)ansioso-ambivalente; 4)disorganizzato/disorientato.
Tali categorie presentano un certo grado di correlazione con analoghe classifica-
zioni dell’attaccamento adulto: 1)sicuro/autonomo; 2)insicuro/distanziante, in a-
dulti che idealizzano, negano, denigrano e svalutano le relazioni di attaccamento
passate e presenti; 3)insicuro/preoccupato, in adulti che sono confusi o sopraffatti
dalle relazioni di attaccamento; 4)non risolto/disorganizzato, in adulti che hanno
subito traumi o sono stati oggetto di trascuratezza.
Bisogna sottolineare comunque che, al di là delle differenze presenti in ciascun
modello teorico di riferimento, l’approccio psicodinamico considera il paziente
adulto come il prodotto di esperienze infantili che continuano ad essere riprodotte
con gli altri nel presente ed anche quindi, con il terapeuta. Si tratta di un aspetto
estremamente importante che consente di comprendere molte caratteristiche legate
al trattamento che si basa su questo tipo di approccio.
Inoltre, un altro dei principali concetti psicodinamici è rappresentato dal transfert.
Esso consiste nello spostamento di sentimenti, pensieri e comportamenti, speri-
mentati originariamente in relazione a figure significative dell’infanzia, su una
persona coinvolta in una relazione interpersonale attuale. Poiché il processo è pre-
valentemente inconscio, il paziente non percepisce le differenti origini di atteg-
giamenti, fantasie e sentimenti del transfert come, ad esempio, amore, odio o rab-
bia. Il transfert rappresenta un tipo di relazione oggettuale e, dal momento che o-
gnuna di queste è una riedizione dei primi attaccamenti dell’infanzia, è sempre
presente. Come affermò Freud (1909), esso si instaura spontaneamente in tutte le