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INTRODUZIONE
Il presente lavoro ha per oggetto l’analisi della disciplina
giuridica della prova dichiarativa nel processo penale, quale emerge
innanzitutto dal dato codicistico ma, in maniera altrettanto evidente,
dalla prassi applicativa e dalla riflessione dottrinaria. In particolare, la
trattazione si pone l’ambizioso obiettivo di ricostruire, con un
sufficiente grado di completezza, l’assetto attuale ed effettivo della
prova dichiarativa, alla luce di una realtà normativa ed interpretativa
tutt’altro che univoca.
Infatti, un assunto ormai ampiamente condiviso in dottrina ed in
giurisprudenza, è che la vera essenza innovativa del codice di
procedura penale vigente risiede nel modo di escutere le fonti di prova
dichiarative.
Il dibattimento, come si afferma spesso con toni enfatici, è il
cuore del processo, e la prova dichiarativa è il cuore del dibattimento.
Se così è, appare allora quasi inconcepibile che le zone oscure si
addensino proprio sul nucleo, su ciò che caratterizza intimamente e
profondamente il rito.
Esiste insomma, nella procedura penale italiana, un intreccio
così fitto tra passato e presente da apparire, a prima vista, quasi
inestricabile, e del quale non si può non prendere atto. Infatti, benché
dal 1988 sia in vigore un codice di stampo accusatorio, costruito sulla
centralità della prova dichiarativa come strumento per ridare spazio e
robustezza alle garanzie difensive, permangono nel sistema delle vere
e proprie zone d’ombra, in cui lo spettro inquisitorio continua
pericolosamente a fare capolino.
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È difficile individuare le specifiche cause di tale poco
incoraggiante situazione.
Si può cominciare con il prendere atto che la disciplina della
prova dichiarativa è spesso il frutto della ricerca di un non facile
equilibrio tra principi fondamentali, in potenziale conflitto tra loro,
quali il principio del contraddittorio, quello del diritto al silenzio
dell’imputato sul fatto proprio, quello dell’obbligo di verità. Non solo:
la materia della prova dichiarativa, in generale, paga l’ulteriore scotto
di essere il luogo di elezione dove calibrare regole logiche e principi
garantistici, ma soprattutto, tradizioni e ‘clima politico’.
Emerge dunque, in maniera allarmante, che i punti di criticità
del sistema sono numerosi e coinvolgono il tema in esame in tutti i
suoi profili.
Paradossalmente, le difficoltà maggiori riguardano le tensioni
interpretative che si sono coagulate attorno ai principi introdotti
nell’art. 111 Cost. con la legge costituzionale 23/11/1999 n. 2,
concernenti la disciplina della giurisdizione in generale, e la
formazione della prova nel processo penale, in particolare. Principi a
cui il legislatore ordinario ha inteso dare attuazione con la legge
1/3/2001 n. 63, nota come legge sul c.d. giusto processo.
Si tratta, per quel che riguarda la prova dichiarativa, dei principi
basilari della ‘parità d’armi’ e del diritto delle parti alla prova,
intendendo sia quella diretta, sia quella contraria. Ma è soprattutto il
principio del contraddittorio nella formazione della prova che connota
precipuamente la riforma sul giusto ‘processo’.
Esso è declinato, nel nuovo testo costituzionale, in una
molteplicità di significati e di sfaccettature diverse, dalle quali traspare
5
la precisa volontà di renderlo requisito esplicito ed inderogabile delle
dinamiche processuali, e soprattutto probatorie.
Trattandosi di un tema di notevole interesse, che coinvolge
l’intera problematica della prova dichiarativa e che sembra lontano
dall’addivenire ad una soluzione univoca e pacificamente accolta, ad
esso è dedicato il primo capitolo del presente lavoro.
Un’altra, interminabile, serie di incertezze riguarda
l’individuazione delle figure soggettive dei dichiaranti. I problemi
sono risalenti, ma si sono acuiti in modo drammatico a seguito della
novella del 2001. Nel nostro sistema processuale, infatti, si è assistito,
progressivamente, alla proliferazione di una vasta gamma di
dichiaranti, e, quel che è peggio, alla creazione di figure ‘ibride’, dai
confini assolutamente mobili ed instabili, che pertanto, finiscono
inevitabilmente con il sovrapporsi, creando notevoli problemi
applicativi.
L’intento perseguito è quello di analizzare ogni singola figura,
al fine di enuclearne le caratteristiche fondanti e metterne in luce
analogie e differenze.
Ulteriore nodo problematico è costituito dalla controversa
disciplina dell’ammissione della prova dichiarativa in dibattimento:
tale argomento sarà attentamente affrontato, in particolare per ciò che
concerne il rapporto tra diritto alla prova delle parti e potere
probatorio residuale del giudice, in ordine alle modalità d’ingresso
della prova orale nel dibattimento penale.
Altra criticità che affiora dal contesto della prova dichiarativa
riguarda le tecniche di conduzione dell’esame del dichiarante e,
segnatamente, la difficile coesistenza tra la prova dichiarativa orale e
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quella scritta, cioè quella introdotta mediante la lettura delle
dichiarazioni rese precedentemente.
Il legislatore è intervenuto più volte sul punto, da ultimo con la
ricordata legge n. 63/2001, ma si è trattato sempre di interventi
alquanto frammentari, tali da far emergere un quadro complessivo in
cui, accanto ad istituti riformulati in attuazione del dettato
costituzionale, permangono nel codice di rito meccanismi di recupero
di dichiarazioni unilateralmente raccolte nel corso delle indagini, per i
quali si pongono seri dubbi di costituzionalità.
Anche tale aspetto sarà opportunamente sviscerato,
ripercorrendo le tappe della lenta e faticosa emersione dell’attuale
disposto normativo.
Da ultimo, la trattazione si occuperà delle regole di valutazione
della prova dichiarativa, su cui, pure, si è ben lontani da un
confortante approdo interpretativo; la materia infatti, è in costante
evoluzione, come dimostrano i recenti interventi delle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, su cui si avrà modo di intrattenersi.
L’indagine, dunque, sarà condotta evidenziando tutti i profili
problematici che di volta in volta si incontreranno: per ognuno di essi,
partendo dal saldo ancoraggio al diritto positivo, si tenterà di delineare
un excursus storico, e di porre sotto scrutinio le principali posizioni
giurisprudenziali e dottrinarie.
Solo in tal modo, sarà possibile tracciare le linee ricostruttive
del tema, e fornire una personale interpretazione di quanto è accaduto,
e di quanto ancora sta accadendo.
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CAPITOLO PRIMO
PROVA DICHIARATIVA E ‘GIUSTO PROCESSO’
SOMMARIO: 1. L‟essenzialità della prova dichiarativa nel processo penale. 2.
L‟evoluzione della disciplina della prova dichiarativa dal sistema inquisitorio a quello
accusatorio. 3. Il lungo contrasto tra il legislatore e la Corte Costituzionale. 4. La
cristallizzazione del diritto al contraddittorio: la modifica dell‟art. 111 della Costituzione.
4.1. Le eccezioni al contraddittorio .
1. L’essenzialità della prova dichiarativa nel processo penale.
Si ritiene comunemente che il processo penale debba assolvere
ad una duplice funzione: quella di accertamento giurisdizionale dei
fatti costituenti reato, e quella di tutela dell‟imputato innocente. In
effetti, entrambe le funzioni sono interdipendenti, poiché il rispetto
delle garanzie rappresenta il presupposto indefettibile perché si
pervenga ad un accertamento affidabile e giusto, tale cioè da
assicurare che la sanzione penale sia applicata solo quando
effettivamente ricorrano le condizioni in ragione delle quali essa è
stata prevista.
In conformità con il modello d‟ispirazione, il sistema
processuale vigente è strutturato in modo tale che le funzioni tipiche
del processo siano assolte dal giudizio di merito, fase processuale
destinata a concludersi con un provvedimento giurisdizionale
astrattamente diretto alla conclusione definitiva del processo stesso. In
questa prospettiva si è parlato spesso in dottrina di ‹‹centralità del
giudizio, come momento imprescindibile per la realizzazione di un
vero e proprio accertamento garantito››
1
.
L‟attività che si compie nel giudizio, pertanto, deve avere come
punto di riferimento innanzitutto l‟imputazione, ossia la descrizione
1
RICCIO G., SPANGHER G., la procedura penale, Napoli, 2002, 398.
8
del fatto di reato compiuta dal pubblico ministero all‟atto di esercizio
dell‟azione penale; segnatamente, tale attività deve consentire al
giudice di stabilire se il fatto storico sussiste, se sia previsto dalla
legge come reato, se l‟imputato lo abbia commesso, se non ricorrano
cause di esclusione oggettiva o soggettiva della punibilità, ed infine, in
caso di declaratoria della penale responsabilità, individuare, con
riferimento agli indici fissati nell‟art. 133 c.p., la pena da irrogare.
Inoltre, l‟accertamento può riguardare anche la pericolosità sociale
dell‟imputato, in vista dell‟eventuale applicazione delle misure di
sicurezza e, ove sia stata esercitata nel processo penale l‟azione civile,
la verifica della sussistenza della responsabilità civile. (art. 187 c.p.p.)
Si tratta, in ogni caso, di un accertamento che non può aspirare
a presentarsi come assoluto, ma che, al contrario, finisce
inevitabilmente col caratterizzarsi per la sua relatività. Si può
considerare, infatti, un dato acquisito nella cultura comune che la
verità storica è e resta irripetibile e di essa, pertanto, è possibile solo
operare una ricostruzione sufficientemente affidabile
2
.
Se dunque, attraverso il processo si mira a conseguire ‹‹una
ricostruzione fattuale il più possibile approssimata alla realtà››
3
,
occorre individuare le modalità che l‟ordinamento mette a
disposizione per il raggiungimento di tale risultato: le prove.
2
UBERTIS G., Prova (in generale), in Dig. disc. pen., vol. X, Torino, 1995, 298: ‹‹L‟accertamento
della verità non è, in sé per sé, il fine ultimo del processo, ma il presupposto per poter
adeguatamente decidere quale sia la legge applicabile nel caso concreto. (…) Ciò che concerne la
giurisdizione è una verità giudiziale, caratterizzata per essere tanto contestuale quanto funzionale
“a quell‟obiettivo della giustizia storicamente determinato dal vario comporsi dei valori presenti in
mezzo al popolo nel cui nome la giustizia è amministrata”, ai sensi dell‟art. 101, 1° co. Cost››.
3
UBERTIS G., Prova cit., 301.
9
Con il termine „prova‟ si esprimono diversi significati, tutti
rilevanti nel processo penale
4
. Nel suo insieme, la prova può essere
definita come un procedimento logico che dal fatto noto ricava
l‟esistenza del fatto da provare, rappresentato dall‟eventuale
responsabilità dell‟imputato in ordine al reato a lui ascritto.
Tradizionalmente, la dottrina processual-penalistica ha
proposto, all‟interno del sistema probatorio, innumerevoli
classificazioni e distinzioni.
In estrema sintesi, la prova dichiarativa può essere ricondotta
alla categoria delle „prove storiche con funzione narrativa‟, quelle
prove cioè che hanno la vocazione di comunicare un qualche cosa, e la
capacità di rappresentare direttamente al giudice il risultato
probatorio; il contributo espositivo orale, diretto, offerto al giudice nel
rispetto della pubblicità e dell‟oralità-immediatezza, costituisce, a
detta di molti, il più efficace strumento di prova storico-
rappresentativa.
Infatti, l‟apporto all‟accertamento del fatto, oggetto di
valutazione nel corso della vicenda processuale, proviene da un
soggetto in grado di attestare, di regola in modo disinteressato, la
propria personale esperienza acquisita per cognizione diretta della
realtà. Il contributo di conoscenze è riconducibile al soggetto che ha
vissuto direttamente quell‟esperienza, seppur da estraneo rispetto alle
4
TONINI P., Manuale di procedura penale, Milano, 2007, 198. : ‹‹Fonte di prova è tutto ciò che è
idoneo a fornire risultati apprezzabili per la decisione del giudice. Mezzo di prova è lo strumento
col quale si acquisisce al processo un elemento che serve per la decisione. Elemento di prova è il
dato grezzo che si ricava dalla fonte di prova, quando ancora non è stato valutato dal giudice.
Questi valuta la credibilità della fonte e l‟attendibilità dell‟elemento ottenuto, ricavandone un
risultato probatorio. Da questo e dai risultati di altri mezzi di prova il giudice trae l‟accertamento
del fatto storico››.
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condotte o alle circostanze che si vanno a descrivere, ma può anche
riguardare chi riveste un determinato status processuale, come nel
caso delle parti private, prime fra tutte l‟imputato.
La prova dichiarativa, insomma, e in particolare la
testimonianza, che di essa simboleggia il vero e proprio nucleo,
rappresenta il tipico mezzo di prova orale, attesa la forma di
comunicazione utilizzata: si presenta come prova rappresentativa, per
la sua attitudine a trasmettere un dato conoscitivo, e costituenda, in
quanto il risultato probatorio si consegue con la corretta assunzione
del mezzo di prova dinanzi all‟organo giurisdizionale competente, in
modo che questi possa percepire senza intermediazioni il contributo
narrativo.
La valorizzazione della sua forza evocativa, data l‟idoneità a
suscitare nella mente del giudice, direttamente o indirettamente,
l‟immagine del fatto da provare, e quindi l‟efficacia narrativa, non
consentono, però, di concludere che il contributo espositivo costituisce
una riproduzione assolutamente fedele di un fatto obiettivo, in quanto
è ragionevole ammettere che le percezioni sono state filtrate attraverso
la personalità etico-psicologica del dichiarante.
Da un punto di vista strutturale, la testimonianza si presenta
allora come „prova complessa‟, nel senso che, al di là della mera
rappresentazione del factum probandum, va esaminato anche il
comportamento connesso all‟esposizione, vale a dire i profili
materiali, ambientali e psicologici del suo manifestarsi. In altre parole,
‹‹la testimonianza oltre che atto informativo è anche fatto, sicchè, ai
fini della valutazione giudiziale, l‟esame del testimone, della sua
11
personalità, intelligenza, memoria ed attendibilità finiscono per avere
una rilevanza decisiva››
5
.
In ogni caso, oltre all‟individuazione dei soggetti in grado di
introdurre elementi di conoscenza da utilizzare ai fini della decisione,
rilevano, in maniera altrettanto importante, le modalità poste
dall‟ordinamento per l‟assunzione dei contributi espositivi, che
influenzano, di riflesso, il giudizio sulla credibilità del dichiarante.
Insomma, la domanda di giustizia rivolta al giudice affinché
pervenga all‟accertamento della responsabilità penale e, in tal modo,
al ripristino della legalità violata, istanza di fondo cui il processo
penale è storicamente legato, postula necessariamente, per la sua
risoluzione, l‟esistenza di un sistema probatorio coerente, in cui la
prova dichiarativa finisce con l‟assurgere a dato di pura essenzialità.
5
KALB L., La “ricostruzione orale” del fatto tra “efficienza” ed “efficacia” del processo penale,
Torino, 2005, 13.