2
Oggi, i popoli che si affacciano sul Mediterraneo si trovano ad
affrontare una sfida importantissima per la tutela di questo mare,
seriamente minacciato da pericolosissime forme di inquinamento ed
in particolare da quello tellurico.
2
In effetti, l’introduzione di
sostanze estranee che provocano l’inquinamento del Mediterraneo
deriva essenzialmente, sebbene non esclusivamente, da fonti
terrestri, dal sovraffollamento delle aree costiere, dalla gestione
sconsiderata dei fiumi, dalle acque di scolo domestiche, dagli
scarichi industriali e agricoli.
La distribuzione irregolare del ruscellamento e delle precipitazioni
lungo le coste settentrionali del Mar Mediterraneo, combinate con
le concentrazioni della popolazione a nord e l’attività industriale,
2
Secondo le ultimissime stime dell’UNEP (United Nations Environment Program), nelle
acque del Mediterraneo si riversano, l’85% degli scarichi fognari di 120 città costiere
senza un’adeguata depurazione. Inoltre, nella stessa fonte si sostiene che nei prossimi
trent'anni il 95% delle coste sarà interamente urbanizzato.
Questi elementi, nella loro interezza, incidono enormemente su un mare semi-chiuso
come quello Mediterraneo, considerata la difficoltà di ricambio delle acque, causata
dall’inesistenza di maree e dalla modesta entità delle correnti interne.
Senza ombra di dubbio, l'inquinamento che preoccupa maggiormente il Bacino del
Mediterraneo è rinvenibile in quello tellurico, proveniente cioè da fonti terrestri
(proveniente da foci o estuari dei fiumi, oppure da impianti di scarico che immettono
residui biologici ed industriali nelle acque del mare), che rappresenta, secondo stime
UNEP, l’87% dell’inquinamento totale che si verifica nello stesso Bacino.
3
forniscono alle acque del Mediterraneo agenti inquinanti che, in
alcuni casi, sono messi in circolazione e diffusi nell’intero bacino.
Tutte le località mediterranee isolate o semi-isolate, adiacenti ai
grandi centri urbani, sembrano essere il luogo di una produzione
progressiva di sostanze contaminanti, come risultato di uno scarico
antropico continuo ed incontrollato. Ciò è stato osservato nella Baia
di Algeri, nel Lago di Tunisi, nella Baia di Abu-Kir vicino
Alessandria, nella Baia di Izmir in Turchia, nel nord Adriatico, nella
fascia costiera lungo la maggior parte della costa settentrionale del
Mediterraneo occidentale.
Le attività industriali sulla costa sono una minaccia seria e crescente,
meno grave nel caso di grandi installazioni, che possono essere
meglio controllate, e invece grave nel caso di piccoli e medi
insediamenti che potrebbero proliferare sulla costa.
Nella stesura del presente lavoro si è cercato di verificare attraverso
quali strumenti giuridici internazionali, gli Stati costieri e le
popolazioni del Mediterraneo stiano cercando di far fronte a tale
problema. A tal fine è apparso opportuno analizzare se esistano
norme consuetudinarie o pattizie a vocazione universale che
4
disciplinino l’inquinamento marino in generale, e quello tellurico in
particolare. È sembrato, successivamente, opportuno porre
l’accento, su strumenti regionali e più precisamente sulla
Convenzione di Barcellona del 1976, per la protezione del mare
Mediterraneo contro l’inquinamento e sui Protocolli ad essa
correlati, nonché sugli emendamenti adottati nel 1995, ed anche
sugli atti comunitari e quelli di alcuni organismi internazionali
impegnati direttamente nella protezione del Mediterraneo
dall'inquinamento, come l'UNEP, che, come è noto, ha predisposto
un Piano d'Azione per il Mediterraneo (PAM).
Dopo tale analisi è sembrato opportuno soffermarsi sul problema
della responsabilità internazionale che sorge per la violazione di tali
norme. Questo aspetto è risultato particolarmente interessante
poiché l’inquinamento tellurico (provocato dalle acque fluviali
inquinate, dagli scarichi urbani e così via) coinvolge generalmente
solo lo Stato dove l’attività inquinante si è prodotta. In altri termini
nei casi in cui l’entità dell’inquinamento sia tale da non pregiudicare
anche gli Stati vicini, ci si chiede se sussista comunque la
responsabilità dello Stato costiero per violazione di un obbligo
internazionale generale di non causare danni all’ambiente, obbligo
5
di tutela dell’ambiente che si configurerebbe come erga omnes. Nel
caso affermativo , lo Stato che ha causato il danno, a prescindere da
qualsiasi collegamento con l’esercizio della potestà di governo
esplicata a titolo spaziale, si troverebbe quindi a risponderne nei
confronti della Comunità internazionale.
6
Capitolo I
Esame delle principali norme e dei principali atti
internazionali aventi ad oggetto la protezione dell’ambiente
marino da forme di inquinamento tellurico
1.1. L’inquinamento marino nel Diritto internazionale
generale e nelle principali convenzioni e dichiarazioni di
principi in materia ambientale
Il regime giuridico internazionale della protezione del
Mediterraneo contro l’inquinamento non può essere esattamente
ricostruito, facendo esclusivo riferimento agli strumenti
convenzionali stipulati tra gli Stati costieri di tale mare, poiché essi
non sono gli unici Stati a fruire di tale bacino marino. In effetti una
tale ricostruzione richiede, innanzi tutto, l’esame delle eventuali
norme internazionali generali in materia che, per definizione,
vincolano tutti gli Stati marittimi. In secondo luogo, l’esame delle
Convenzioni internazionali in materia di diritto del mare contro
7
l’inquinamento, aventi carattere settoriale, ma vocazione universale,
alle quali partecipano peraltro anche gli Stati costieri del
Mediterraneo.
Con riferimento al primo problema, deve osservarsi che il concetto
di protezione internazionale dell’ambiente marino è relativamente
recente: esso si è andato formando alquanto lentamente
nell’opinione degli Stati, anche proprio mediante l’adozione di una
serie di Convenzioni internazionali, che sono state stipulate a partire
dagli anni cinquanta, talora nella forma di Convenzioni a carattere
universale, talaltra in quella di Convenzioni a carattere regionale.
Il problema che può porsi a proposito della tutela dell’ambiente
marino è se, ed in quali termini, il diritto internazionale generale
imponga obblighi di non inquinare le acque dei mari e degli oceani.
In questo settore gli obblighi dello Stato, secondo il diritto
internazionale generale, sembrano configurarsi come obblighi di
diligenza, alla cui violazione corrisponde la relativa responsabilità
per illecito.
3
Una prima conferma di ciò si ricava dal Principio 7
3
Il dovere di diligenza è strutturato come obbligo di condotta piuttosto che di
risultato, nel senso che consiste negli sforzi ragionevoli che uno Stato deve compiere
per acquisire informazioni sugli elementi di fatto e di diritto per adottare in modo
8
della Dichiarazione di Stoccolma,
4
dedicato in maniera specifica
all’inquinamento marino, secondo cui: “States shall take all possible
steps to prevent pollution of the seas by substances that are liable to create
hazards to human health, to harm living resources and marine life, to damage
amenities or to interfere with other legitimate uses of the sea”.
5
La conferma più significativa, circa la natura degli obblighi statali in
tema di inquinamento marino e della relativa responsabilità, si
ottiene da un esame delle norme rilevanti previste dalla
Convenzione delle N.U. sul diritto del mare del 1982, le quali
possono dare un valido contributo ai fini della ricostruzione del
diritto internazionale generale in questa materia.
Tali norme saranno oggetto di una specifica analisi nel prossimo
paragrafo. Tuttavia appare sin d’ora opportuno richiamare l’art.192
della Convenzione che è la norma chiave circa gli obblighi degli
Stati in materia. In tale articolo sono previsti i tipici obblighi di
tempestivo le misure idonee a prevenire o minimizzare il rischio di danno
transfrontaliero irreversibile.
Nell’approfondimento della tematica della diligenza si v. PISILLO MAZZESCHI R,
Due Diligence e responsabilit� internazionale degli Stati, Milano, 1989.
4
UN doc. A/CONF. 48/14, in ILM, vol. 11, 1972, p.19416 ss.
5
ILM,vol.11,1972, pp.1418 ss.
9
diligenza, sia direttamente a carico degli organi statali sia a carico dei
medesimi in relazione alle attività dei privati. L’art.194 infatti
afferma che: “ 1. States shall take, individually or jointly and appropriately,
all measures consistent with this Convention that are necessary to prevent, reduce
and control pollution of the marine environment from any source, using for this
purpose the best practicable means at their disposal and in accordance with their
capabilities, and they shall endeavour to harmonize their policies in this
connection.
2. States shall take all measures necessary to ensure that activities under their
jurisdiction or control are so conducted as not to cause damage by pollution to
other States and their environment, and that pollution arising from incidents or
activities under their jurisdiction or control does not spread beyond the areas
where they exercise sovereign rights in accordance with this Convention�”.
Un apporto sostanziale alla determinazione dei contenuti della
disciplina internazionale nella materia si è verificato agli inizi degli
anni settanta, come si può vedere dal numero di Convenzioni
stipulate in quegli anni.
Nel corso di tali anni si è, infatti, evidenziata una compromissione
senza precedenti dell’equilibrio ecologico, la cui entità ha fatto
temere il raggiungimento di una soglia di non ritorno nella qualità
10
della vita nel mare, a causa della irreversibilità delle lesioni procurate
all’ambiente marino. Tale fenomeno ha progressivamente
evidenziato l’esistenza di un interesse collettivo della Comunità
internazionale alla tutela dell’ambiente marino in quanto tale ed ha
indotto conseguentemente ad affermare, nei modi più vari, la
necessità dell’impegno di tutti gli Stati, e di ciascuno di essi, al fine
di realizzare la tutela dell’interesse in questione.
La necessità della protezione internazionale dell’ambiente marino
contro l’inquinamento si è andata evidenziando a seguito della
spinta della opinione pubblica internazionale, determinatasi a causa
di alcuni catastrofici incidenti marittimi quali, per citarne solo alcuni
riguardanti l’Europa, due incidenti che per le loro proporzioni
hanno assunto portata storica: il caso della Torrey Canyon, verificatosi
nel 1967 nel Canale della Manica, e quello dell’Amoco Cadiz,
verificatosi nel 1978, nell’ambito del Mare del Nord
6
.
6
Qui si intende fare riferimento, in particolare, agli incidenti macroscopici che hanno
interessato in specie l’Europa: quello della Torrey Canyon, avvenuto nel 1967 in
Cornovaglia, con un versamento di 120.000 tonnellate di greggio; quello dell’Amoco
Cadiz, avvenuto nel 1978, che si incagliò sulle coste della Bretagna con la conseguente
perdita della nave e dell’intero carico che provocò il versamento di 210.000 tonnellate
di greggio.
11
Naturalmente, questi catastrofici incidenti provocarono uno
straordinario sviluppo della normativa relativa alla materia, che si è
manifestata sia convenzionalmente in accordi internazionali,
stipulati nel corso degli anni settanta ed ottanta, che possono essere
considerati come costituenti una nuova generazione rispetto agli
accordi precedentemente stipulati nella materia;
7
sia mediante
comportamenti unilaterali degli Stati: note diplomatiche, leggi
interne e decisioni giurisprudenziali, relative alla protezione
dell’ambiente marino.
Tali manifestazioni unilaterali e convenzionali della prassi
internazionale al riguardo costituiscono un contributo sostanziale
per la formazione di norme internazionali generali sulla prevenzione
e la repressione dell’inquinamento marino, assumendo il ruolo di
altrettanti dati oggettivi o materiali ai fini della determinazione dei
loro contenuti, e rappresentando, in altri termini, altrettanti
elementi della diuturnitas ai fini della loro formazione.
7
Tra le Convenzioni a vocazione universale ma a carattere settoriale, che possiamo
considerare di seconda generazione, va ricordata la Convenzione per la prevenzione
dall’inquinamento marino da scarico di rifiuti e di altre sostanze, adottata a Londra il
13 novembre 1972, entrata in vigore il 30 agosto 1975 ed attualmente in vigore tra
almeno quaranta Stati tra cui l’Italia.
12
Per altro verso, i catastrofici incidenti marittimi sopra ricordati
hanno determinato anche un mutamento nella comune opinione
degli Stati che si è manifestato a livello internazionale, soprattutto
mediante alcuni atti di portata generale, adottati nel corso degli
stessi anni quali: la Dichiarazione scaturita dalla Conferenza delle
Nazioni Unite sull’ambiente umano, svoltasi a Stoccolma nel 1972
8
;
la Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del
1974, contenente la Carta dei diritti e dei doveri economici degli
Stati.
9
8
In particolare nel principio 21 della Dichiarazione di Stoccolma si legge che gli Stati
��ont le droit souverain d�exploiter leurs propres ressources selon leur politique d�environnement et
ils ont le devoir de faire en sorte que les activit�es exerc�es dans les limites de leur juridiction ou sous
leur controle ne causent pas des dommages � l�environnement dans d�autres Etats ou dans des r�gions
ne relevant d�aucune juridiction nationale». Cfr. Rapport de la Conf�rence des Nations Unies sur
l�Environnement (Stockholm, 5-16 juin 1972), New York,1973.
9
Tra gli altri atti internazionali di carattere vincolante e non vincolante, in cui viene
espresso il principio della protezione internazionale dell’ambiente marino, possiamo
annoverare la Risoluzione 2749, sulla Dichiarazione dei principi concernenti il fondo
dei mari e degli oceani ed il loro sottosuolo al di là dei limiti della giurisdizione
nazionale, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1970 ;
la Risoluzione 3133, relativa alla protezione dell’ambiente umano, adottata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 1973 ; la Risoluzione 3281,
contenente la Carta dei diritti e dei doveri economici degli Stati, adottata
dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 21 dicembre 1974, in particolare l’art.3 ;
l’Atto Finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, adottato ad
Helsinki il 1 agosto 1975, e sottoscritto da trentacinque Stati tra cui l’Italia.
13
Più recentemente, la Dichiarazione di Rio del 1992,
10
ha collegato il
problema della protezione dell’ambiente a quello dello sviluppo
sostenibile
11
. Tali atti sono destinati ad assumere tutti il valore di
dati soggettivi o psicologici per l’affermazione di nuove norme
10
La situazione ambientale della terra è stato il tema principale della Conferenza di Rio
de Janeiro, svoltasi nel mese di giugno 1992, sulla quale si veda per tutti:
MARCHISIO, Gli Atti di Rio nel Diritto Internazionale in «RDI», 1992. Tutti i Paesi
partecipanti hanno convenuto sul problema fondamentale della salvaguardia
dell’ambiente, problema che deve essere affrontato seriamente e immediatamente per
evitare un degrado irreversibile del nostro pianeta.
Particolare rilevanza è stata data al problema dell’inquinamento dei mari, in special
modo di quelli semi-chiusi come il nostro Mediterraneo.
Sono quattro i documenti principali su cui è stata raggiunta la piena adesione di tutti i
partecipanti. Tali documenti sono:
La Dichiarazione di Rio – Contiene 28 principi di carattere generale che riguardano
l’etica ambientale.
L’Agenda 21-Rappresenta il programma operativo che dovrà essere sviluppato dai
Paesi firmatari nei prossimi decenni al fine di risanare l’ambiente e assicurare la
transizione verso uno sviluppo sostenibile.
La Convenzione sul clima – L’obiettivo finale è quello di stabilizzare le quantità di gas
che provocano l’effetto serra a livelli tali da prevenire interferenze col sistema
climatico.
La Convenzione sulla biodiversità- Sottolinea l’urgenza di preservare gli eco-sistemi
che rappresentano un prezioso serbatoio di biodiversità vegetale e animale
(soprattutto le foreste tropicali) e fissa i criteri per uno sfruttamento equilibrato del
patrimonio genetico e degli altri materiali biologici.
11
Più in particolare si ricorda il principio n.4 della Dichiarazione di Rio sull’ambiente e
lo sviluppo, secondo il quale: «In order to achieve sustainable development, environmental
protection shall constitute an integral part of the development process and cannot be considered in
isolation from it».
14
internazionali generali sulla materia, svolgendo il ruolo di altrettante
manifestazioni della opinio iuris atque necessitatis degli Stati, ai fini di
tale formazione.
Deve peraltro osservarsi che tali novità normative non riguardano
naturalmente soltanto singole aree marine spazialmente delimitate e
circoscritte, come il mare territoriale e la zona contigua, ma si
estendono a tutte le altre aree marine di notevole vastità, come la
zona economica esclusiva e le acque sovrastanti la piattaforma
continentale, fino ad interessare lo stesso alto mare e la zona
internazionale dei fondali marini. Infatti, è prevista la possibilità
dell’intervento degli Stati in alto mare al fine di prevenire o di
reprimere le ipotesi di inquinamento marino che rivestano una certa
entità e rilevanza.
A questo riguardo presentano particolare interesse: la Convenzione
di Londra sulla prevenzione dell’inquinamento marino da scarico di
rifiuti e di altre sostanze nocive (dumping) del 1972, e la
Convenzione di Londra sulla prevenzione dell’inquinamento da
navi (MARPOL) del 1973,
12
che non mirano unicamente a
12
In particolare, la Convenzione MARPOL del 1973 rappresenta un gran passo avanti
nell’azione della tutela del mare, in quanto contiene una normativa più ampia e più
15
preservare gli interessi degli Stati costieri, ma sono intese a tutelare
l’intero ambiente marino, attraverso una rigida regolamentazione
tecnica degli scarichi e dei trasporti delle sostanze nocive.
rigorosa rispetto alla precedente, unitamente al Protocollo relativo agli interventi in
alto mare in casi di inquinamento accidentale da sostanze diverse da idrocarburi, che
amplia il diritto di intervento dello Stato costiero nei confronti delle navi straniere a
nuove ipotesi.
Con tale Convenzione e le sue successive modificazioni, sono stati introdotti
provvedimenti che esercitano notevole influenza sulla progettazione delle navi cisterna
e si sono determinate zone speciali, nel Baltico e nel Mediterraneo, nell’ambito delle
quali non è ammesso alcuno scarico.
L’originalità della Convenzione in questione consiste nel tentare di organizzare una
collaborazione tra gli Stati marittimi in materia di individuazione delle violazioni. Essa
prevede d’altronde che i certificati di sicurezza continuino ad essere rilasciati dallo
Stato della bandiera, ma riconosce altresì allo Stato del porto un diritto di verifica della
validità dei certificati.
La Convenzione MARPOL del 1973 è stata successivamente emendata, unitamente
alla Convenzione SOLAS del 1974, in occasione della Conferenza internazionale sulla
sicurezza delle navi petroliere e sulla prevenzione dell’inquinamento del mare
convocate dall’IMO, nel 1978, mediante due nuovi Protocolli che, modificando ed
integrando le disposizioni delle citate Convenzioni, hanno disciplinato ex novo le
questioni riguardanti le ispezioni a bordo delle petroliere, le certificazioni per la
prevenzione dell’inquinamento, la realizzazione di cisterne di zavorra segregata e del
sistema del gas inerte, nonché altri specifici aspetti inerenti la sicurezza della nave.
Le norme del Protocollo del 1978, allegato alla Convenzione MARPOL, modificano
alcune regole contenute in tale Convenzione e rinviano l’applicazione di altre per un
periodo di almeno tre anni dall’entrata in vigore del Protocollo stesso, essendo stata
riconosciuta la necessità di risolvere prima soddisfacentemente alcuni problemi tecnici
ad esse connessi.