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CAPITOLO I
Funzione e vicende principali del
marchio
§ 1.1 - Funzione del marchio nella società moderna.
All’interno di quel particolare aspetto della società che è il
mercato, si possono individuare numerosi nomi o segni che
assolvono una funzione distintiva, vale a dire che comunicano a chi
li percepisce informazioni su cose o persone. Questi segni detti
appunto distintivi sono per lo più utilizzati dagli imprenditori per
identificare sul mercato l’impresa nel suo insieme o manifestazioni
e risultati di essa
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. Il marchio, vale a dire essenzialmente il segno
che si appone sul prodotto o sulla confezione di esso è considerato
il più importante tra questi in quanto consente al pubblico dei
consumatori di distinguere il risultato dell’attività di un
imprenditore dai prodotti o servizi offerti da un altro. E’ necessario
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Enciclopedia Giuridica Treccani (Casano va M. , Ravà E., Vercellon e M., Di
Cataldo V.); alla vo ce Segni Distintivi, par. 1.1 pag. 1.
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sottolineare però che esso è un segno meramente distintivo, che in
sé non comunica alcuna informazione; solo eccezionalmente
avviene che il marchio abbia un significato lessicale ed in tal senso
sono previste delle norme che né vietano l’adozione e l’uso
decettivo. Non si deve però trascurare il fatto che il marchio,
interagendo con le informazioni desumibili da altre fonti
(pubblicità, etichettatura, pratiche commerciali), acquista un
significato, informa i consumatori, designa la specie, la qualità, il
valore, la fonte di origine, la provenienza geografica e altre
caratteristiche del bene o del servizio
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. Il legislatore ha dedicato al
marchio oltre ad alcuni articoli del Codice Civile (dal 2569 al 2574)
una legge speciale detta Legge Marchi consistente nel r.d. 21
giugno 1942 n. 929 che però è stata oggetto di modifiche nel corso
del tempo. Tra le riforme
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si possono ricordare quella del 1992
frutto dell’attuazione della direttiva CEE 89/104
avente per oggetto
2
Digesto delle discipline privatistiche, sezione co mmerciale; “n atura e
fun zione, il sistema d el marchio messaggio ” di Giuseppe Sena p ag. 295.
3
Co mmen tario al Codice Civile vol. III, aggiornamento 1991-2001, diretto d a
Paolo Cendon: al co mmento d ell’art. 2569, si parla di queste rifo rme
sostenendo che “d a qu este rilevanti innovazioni è stata delineata una nozion e di
marchio più articolata di quella tradizionale e un nuovo ambito di protezion e
del relativo brevetto” (Galli, “La nuova legge marchi. Co mmento articolo p er
articolo della legge march i e delle dispo sizioni tran sitorie del d.lgs. n. 480/92).
La no vellazione h a poi introdotto una nuova termino logia ad esempio il termine
brevetto è stato so stituito da “registrazione” e d a “attestato di registrazione”.
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il riavvicinamento della legislazione degli stati membri in materia
industriale; la riforma del 1996 che ha adeguato la nostra
legislazione agli accordi TRIPs
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ed infine quella del 1999
consistente nel d.lgs. 8.10.1999, n. 477 di adeguamento all’intesa
di Madrid concernente la registrazione internazionale dei marchi.
Allo stato attuale le disposizioni previste dal r.d. 1942 e le sue
successive modifiche sono state abrogate e sostituite dal d.lgs. 10
febbraio 2005, n. 30 definito Codice della Proprietà Industriale che
le riporta in modo più ordinato e scorrevole. Dalla nozione che il
legislatore dà del marchio si può constatare che il suo scopo
principale è appunto quello di rendere identificabili i prodotti o
servizi sul mercato. Di questa sua funzione parla sia il Codice
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Galgano “l’imprenditore” edizione 2000/2001 pag. 135: L’Accordo TRIPs è
contenuto nell’allegato 1 C all’Accordo istitutivo dell’Organizzazion e mondiale
del Co mmercio, Atto Fin ale, a conclu sione dei n egoziati dell’Uru guay Roun d,
pro mossi in seno al Gatt, e ratificato dall’Italia con la legge 29 dicembre 1994,
n. 747. Quest’ultima all’art. 3, dopo aver d elegato il Go verno ad emanare co n
uno o più decreti legislativi, “norme p er provvedere all’adeguamen to della
legislazione intern a in materia di proprietà industriale a tutte le prescrizioni
obbligato rie dell’accordo TRIPs”, h a indicato, quali principi e criteri direttivi
per il legislatore delegato in materia di marchi, la necessità di preved ere una
presun zione di contraffazione (in con formità dell’art. 16, co mma 1, accord o
TRIPs) nonch é di stabilire parametri p er l’individuazion e del concetto di
notorietà del marchio (in conformità all’art. 16, co mma 2, accordo TRIPs).
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Civile nell’art. 2569
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sia il Codice della Proprietà Industriale in
vari punti come l’art. 7 o l’art. 13 intitolato tra l’altro “capacità
distintiva”. Da ciò si deduce che il marchio deve consentire al
pubblico di riconoscere e distinguere i vari prodotti concorrenti sul
mercato, però il messaggio che nello specifico il marchio comunica
varia molto a seconda del tipo di marchio di cui si tratti
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. Si ritiene
in linea di massima che per i marchi detti generali il messaggio
comunicato sia di indicazione di provenienza o di origine, mentre il
messaggio trasmesso dai marchi speciali attenga essenzialmente alle
specifiche caratteristiche del prodotto quindi si potrebbe pensare
che la funzione distintiva di essi si specifichi in una funzione di
garanzia di identità nel tempo, di costanza qualitativa e strutturale
o merceologica dei singoli prodotti contrassegnati. Comunque anche
i marchi speciali indirettamente svolgono una funzione di
indicazione di provenienza perché col tempo si crea la convinzione
nel pubblico che quel determinato prodotto contraddistinto dal
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Codice Civile; d etto articolo tratta del c.d. Diritto di esclu siva, in fatti recita:
“ chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a
distin guere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i
prodotti o servizi per il q uale è stato registrato. In man can za di registrazion e il
marchio è tutelato a norma dell’art. 2571”.
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Vanzetti – Di Cataldo, “Manuale di diritto industriale 2003”, pag. 120-122.
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marchio speciale sia distribuito sempre dallo stesso imprenditore.
Per molto tempo questa funzione di indicazione di
provenienza era la sola giuridicamente tutelata perché nella
legislazione precedente vi era il convincimento della necessaria
unicità del marchio sul mercato ossia che dovesse essercene uno
solo e non altri, addirittura di fronte ad una norma che prevedeva
ipotesi di contitolarità si diceva che la si poteva ammettere solo
quando vi fosse contemporaneamente una contitolarità d’impresa,
perché a un marchio doveva sempre corrispondere una sola
impresa
7
.
Nella legge attuale il vincolo che prevedeva che il marchio
non potesse essere trasferito senza l’azienda (o un ramo di essa)
non esiste più e di conseguenza può accadere che un marchio sia
utilizzato da due imprese contemporaneamente diverse l’una
dall’altra
8
. Lo stesso Codice della Proprietà Industriale prevede in
7
In “La funzion e distintiva del marchio oggi” di Ad riano Vanzetti, in “Segni e
forme distintive, la nuo va disciplina” di Vanzetti A.- Sena G., p ag. 4.
8
“La preced ente d isciplin a era volta alla tutela del segno co me indicatore d i
provenien za da un’aziend a, sicch é le sue valenze autonome di colletto re della
clientela, di garanzia qualitativa, ecc. rimanevano in secondo piano assorbite
dal valo re d ell’avviamento di cui il marchio era parte” (Sena, “Il nuovo diritto
dei marchi. Marchio nazion ale e marchio co munitario”, pag. 119). La
consegu enza di questa nozione del segno era la sua intrasferibilità
autono mamente d all’azienda a cui era legato.
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più articoli ipotesi di coesistenza di marchi come all’art. 28 che
tratta della Convalidazione, all’art 12 com. 1 lett. b che parla del
preuso del segno e all’art. 20 che a proposito dei diritti conferiti
con la registrazione sostiene che il titolare del diritto del marchio
d’impresa ha la facoltà di farne uso esclusivo vietando l’adozione
dello stesso segno da parte di terzi salvo ne dia il consenso.
Certamente bisogna riconoscere che un sistema di questo
genere è potenziale fonte di inganno per il pubblico a cui però il
legislatore ha ovviato inserendo nella legge dei divieti di uso
ingannevole del marchio. Detti divieti sono sanciti nel Codice della
Proprietà Industriale in termini generali negli artt. 14 com. 2 lett.
a) e 21 com. 2 che recitano rispettivamente: “il marchio di impresa
decade se sia divenuto idoneo ad indurre in inganno il pubblico, in
particolare circa la natura, qualità o provenienza dei prodotti o
servizi…” ; “non è consentito usare il marchio in modo contrario
alla legge, né, in specie, in modo da ingenerare un rischio di
confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di
imprese, prodotti o servizi altrui, o da indurre comunque in inganno
il pubblico, in particolare circa la natura, qualità o provenienza dei
prodotti o servizi …” mentre in termini particolari l’art. 23 com. 2
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prevede che in caso di licenza non esclusiva il licenziatario è tenuto
ad usare il marchio solo per contraddistinguere prodotti o servizi
uguali a quelli corrispondenti messi in commercio dagli altri
concorrenti garantendo così uniformità qualitativa.
Questi articoli compongono il c.d. “statuto di non
decettività” e dalla lettura congiunta di queste norme si può
desumere come il legislatore si sia anzitutto preoccupato di evitare
l’inganno sulla qualità e sull’origine dei prodotti ma che abbia
parlato di questi due elementi non per escluderne altri ma in quanto
sono quelli che più normalmente corrispondono al messaggio
comunicato dal marchio. Perciò quando ci si trova di fronte a
marchi che comunicano messaggi diversi, disponendo in questo
modo si è voluta evitare l’ingannevolezza di ogni tipo di messaggio.
In altre parole quando il sistema marchio-messaggio comunica una
informazione scorretta, l’ordinamento non si limita a vietare il
messaggio decettivo, ma colpisce, per così dire, anche il marchio o
più esattamente l’uso del marchio in quel dato contesto.
Questo principio generale di rispondenza a verità del
messaggio comunicato dal marchio, quale che esso sia, dà al
sistema una forte struttura, così di organicità da una parte, di
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moralità e di trasparenza del mercato dall’altra. L’accettazione di
questo principio non comporta oneri eccessivi, in quanto in caso di
cambiamento del messaggio comunicato dal marchio il titolare avrà
il solo compito di informare di ciò i consumatori
9
.
9
Vanzetti A.; “La funzio ne distintiva del marchio oggi”, in Segni e forme
distintive la nuo va disciplina” di V anzetti A.- Sena G.
9
§ 1.2 - Introduzione al concetto di marchio di fatto.
Il marchio di fatto è quel contrassegno semplicemente usato
sul mercato senza essere stato registrato ma al pari del marchio
registrato è un segno distintivo di cui l’imprenditore si può
avvalere per identificare sul mercato le merci o i prodotti della sua
impresa.
Questo segno distintivo si ritrova spesso a livello di piccola-
media impresa, in particolare a livello di impresa domestica (cioè
non proiettata in modo apprezzabile sui mercati nazionali) dove
l’imprenditore ha poca dimestichezza con l’abitudine della
registrazione del marchio.
C’è un segno distintivo di cui tutti gli imprenditori sono
titolari ed è la ditta, che li distingue nell’esercizio della loro
attività. Spesso l’imprenditore non ricerca, per distinguere i
prodotti o servizi dell’impresa, un ulteriore e diverso contrassegno,
bensì quello stesso segno distintivo che costituisce la ditta lo
appone sui prodotti, sulle confezioni, oppure lo appone sui mezzi
strumentali attraverso i quali eroga i suoi servizi. E, nel far così,
l’imprenditore –specie di piccola media dimensione- non si
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interroga sulla natura di questo ente denominante che si viene cosi
creando per via dell’uso, né sul contenuto e sui limiti della sua
protezione. Questo ente, però, è un marchio di fatto, e come tale
esso vive ed è protetto secondo regole in parte proprie e diverse da
quelle che governano il marchio registrato
10
.
Il marchio di fatto può anche non essere un segno
denominativo ma consistere nella forma del prodotto, in questo caso
si parlerà di marchio di forma di fatto. I titolari di questo tipo di
segno spesso non si rendono conto che è la confezione del loro
prodotto ad attirare la clientela e così si limitano, il più delle volte,
a registrare come marchio solo il nome della propria ditta.
Il nostro ordinamento per molto tempo ha dedicato a questo
segno solo alcuni articoli del Codice Civile (art. 2569 ultimo com. e
art. 2571) e della Legge Marchi (art. 9 e 17 lett. b) che però
trattano solo di una possibile interferenza di esso con un marchio
registrato eguale o simile ed in particolare si occupano della
eventualità di una registrazione dello stesso o di analogo segno da
parte dell’utente o di un terzo, successiva alla adozione e all’uso
10
Cartella M., “Marchio d i fatto e marchio registrato, profili differen ziali” ,
Riv. dir. ind. 2002,I, pag. 309.
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del marchio di fatto e degli effetti che questo “preuso” può
provocare sul marchio registrato.
Quindi nella precedente legislazione dedicata al marchio, non
si recepiva alcuna norma che concerna in sé il marchio non
registrato(cioè non in relazione agli effetti che la sua presenza può
avere sul marchio registrato) ed in particolare che ne configuri la
tutela.
La tutela in questione veniva ricercata altrove, e
precisamente nel n. 1 dell’articolo 2598 c.c. che vieta a chiunque di
usare “nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i
nomi o con i segni distintivi legittimamente usati da altri….”
11
.
Secondo buona parte della dottrina nel vigore della legge del
1942, ai cosiddetti marchi di fatto, si riteneva fossero egualmente
applicabili “tutte le norme della legge marchi (espressamente
rivolte solo ai marchi registrati) che non abbiano come sicuro
presupposto di applicabilità l’esistenza del brevetto” e ciò in quanto
la protezione dei segni distintivi di fatto, essendo desumibile
essenzialmente dal divieto della concorrenza sleale confusoria posto
11
Enciclopedia Giuridica Treccani (Casanova M., Ravà E., Vercellon e M., Di
Cataldo V.), alla vo ce “Marchio”, p ag. 11.
1 2
dall’art. 2598 n. 1 “ha la stessa funzione e la stessa struttura del
sistema di tutela del marchio registrato”
12
.
Oggi con l’entrata in vigore del Codice della Proprietà
Industriale il marchio di fatto è considerato un Diritto di Proprietà
Industriale e si considera disciplinato e tutelato dagli articoli del
presente codice che non prevedono per la loro applicazione
l’esistenza della registrazione.
12
Di Cataldo V., “I segni distintivi” pag. 51-52.