2
maiuscole, con un carattere vistoso o con altri aspetti tipici che lo distinguono dal resto
del testo; quando registrato dovrebbe preferibilmente essere accompagnato dal R-
symbol ®, almeno quando appare la prima volta in un testo. Un marchio o un nome
non ancora registrato andrebbe lasciato non designato o accompagnato dal suffisso
TM. In ogni caso la lettera iniziale del marchio deve essere maiuscola.
La protezione giuridica del marchio come privativa industriale e quindi come
capitale immateriale di un’azienda si riscontra sia a livello nazionale, che
sopranazionale e internazionale. Tuttavia questa ramificazione non è ancora omogenea
e comunicante a causa del persistere delle differenze tra i settori commerciale e
giuridico di ogni Paese (in particolare le divergenze tra la legislazione EU e quella
USA e l’opposta concezione del “Made in” nelle due grandi aree economiche), la
mancanza di armonizzazione e la non totale adesione (e rispetto) dei trattati e degli
accordi formulati in materia (in particolare l’Accordo TRIPs).
In più di un decennio dalla firma dell’Accordo TRIPs è cambiata la situazione
sia europea (l’allargamento a 25) che internazionale (un esempio il fenomeno della
delocalizzazione) che si sta orientando verso una maggiore disaffezione dal territorio e
una perdita dei valori intrinseci in gran parte della produzione; questo fenomeno
riguarda in particolare il territorio comunitario che non può permettersi di rinunciare,
in nome di minori costi di manodopera, a ciò che lo distingue maggiormente: la qualità,
l’originalità, la tradizione e la riconoscibilità delle medesime. Ciò sta facendo riflettere
Bruxelles sulla possibilità di introdurre maggiore protezione e tutela in ambito di
privative industriali, in particolare l’Unione Europea sta valutando di lanciare un
marchio “Made in Europe”, che integri, affianchi o sostituisca quelli nazionali.
3
I. La normativa a protezione del marchio
Dal momento che, generalmente, il marchio ha una validità e tutelabilità
territorialmente limitata e che il processo di registrazione di un marchio nazionale è
regolato dalla legge dello Stato di registrazione, la protezione del marchio è quasi
sempre consistita in una serie di depositi nazionale, uno per ogni Stato di registrazione.
In linea di principio, è buona regola che la società di esportazione si garantisca
la protezione del marchio registrato in ogni paese nel quale intende estendere la propria
attività prima di procedere all’effettiva commercializzazione dei prodotti/servizi. Tale
operazione risulta quasi sempre possibile in quanto la maggior parte dei paesi del
mondo si è dotata di una legislazione che regola la titolarità del marchio registrato.
È evidente che in tale situazione normativa internazionale a macchia di
leopardo, non è sempre facile orientarsi e muoversi da parte di quegli operatori
economici che intendono affrontare i mercati esteri avendo cura che il proprio marchio
sia efficacemente tutelato, sia per la complessità e il tecnicismo delle normative
nazionali, sia per i costi connessi alla consulenza indispensabile alle imprese per
districarsi nella giungla legislativa di settore. Posti di fronte a differenti regole e diritti
nazionali, i legislatori e i giuristi degli Stati ad economia di scambio capitalista, si sono
posti da oltre cent’anni il problema di armonizzare i vari diritti nazionali, onde
contribuire ad agevolare il commercio internazionale sotto l’aspetto della tutela del
marchio, un aspetto che, nel villaggio globale e nella civiltà dell’informazione nella
quale le imprese si trovano oggi ad operare, sta assumendo un’importanza capitale.
Il processo di armonizzazione del diritto dei marchi si è svolto soprattutto
attraverso la stipulazione di accordi e di trattati internazionali sulla proprietà
intellettuale, nell’ambito dei quali ricade la tutela del marchio1.
1
Curti P. e Linares S., “Esperienze concrete di deposito di un marchio in USA”, in
“Commercio Internazionale”, IPSOA, 30 giugno 2004, n. 12, pag 18
4
Nonostante l’adozione di due convenzioni internazionali (quella di Parigi del
1883 e quella di Madrid del 1891), la situazione attuale non è quella di un’uniformità
circa la protezione del marchio. A livello internazionale si ha come filo conduttore
l’accordo TRIPs, ma poi a livello locale ci si scontra con i differenti tipi di legislazioni
nazionali o sopranazionali che ostacolano e ritardano l’effettiva uniformità del diritto
marcario.
Un breve esame delle principali normative in uso nel commercio internazionale
(la normativa TRIPs, quella CE e quella USA) può fornire un quadro sintetico delle
difficoltà di armonizzazione.
1. L’Accordo TRIPs
L’accordo GATT2 del 1947 menzionava la tutela della PI3 soltanto in termini di
eccezione al generale divieto di ostacoli al commercio internazionale (art. XX, lett. d).
La stipulazione dell’Accordo TRIPs4 nell’ambito del WTO5 è, invece, espressione
della presa di coscienza delle potenziali limitazioni agli scambi derivabili da una tutela
inadeguata (o perché deficitaria o perché eccessiva) della PI.
Il preambolo dell’Accordo TRIPs esordisce affermando che tale strumento
nasce dal desiderio dei Membri di “ridurre le distorsioni e gli impedimenti nel
commercio internazionale”6 e dalla necessità di promuovere una protezione sufficiente
ed efficace dei diritti di proprietà intellettuale affinché “le misure e le procedure intese
a tutelare i diritti di proprietà intellettuale non diventino esse stesse ostacoli ai legittimi
scambi”7. Ciò significa che la ratio sottesa all’Accordo TRIPs risiede non tanto nella
volontà di promuovere l’armonizzazione delle discipline nazionali in materia di
proprietà intellettuale, quanto piuttosto in quella di evitare che una tutela inadeguata
2
GATT: General Agreement on Tariffs and Trade
3
PI: proprietà intellettuale
4
TRIPs: Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights
5
WTO: World Trade Organization
6
preambolo Accordo TRIPs, del 23.12.94, N. L. 336/214
7
Vedi nota 10
5
dei beni immateriali ostacoli il libero commercio. Tale approccio fornisce la più
corretta chiave di lettura per ben intendere i fini perseguiti dall’intero articolato8.
a) Aspetti del rapporto tra PI e liberalizzazione degli scambi di beni e
servizi
Si presentano tre diversi aspetti del difficile rapporto tra proprietà intellettuale e
liberalizzazione multilaterale degli scambi di beni e servizi: il primo attiene certamente
alla tutela della persona (autore o inventore) e all’attuazione delle prerogative ad essa
garantite dal diritto interno e dal diritto internazionale. Il secondo si colloca su di un
piano differente e concerne lo Stato o l’Organizzazione regionale ai quali siano
riferibili il prodotto dell’ingegno e la tutela dell’industria nazionale che nella ricerca e
nella produzione abbia impiegato risorse umane e finanziarie. Il terzo concerne la
stessa compatibilità delle privative industriali (riferite indifferentemente all’individuo o
all’industria nazionale) con determinati valori comuni dei quali siano portatori, a
seconda dei casi, la collettività e/o i paesi poveri.
La componente economica si è imposta all’attenzione dei governi, nonostante
l’iniziale resistenza dei paesi meno progrediti. La disciplina delle questioni ad essa
attinenti ha effettivamente trovato con l’Uruguay Round9 una nuova e per certi aspetti
più coerente collocazione nell’ambito del WTO. In un arco di tempo relativamente
breve lo stesso sistema del WTO, e la prassi del Consiglio del TRIPs e della WIPO10,
hanno suggerito ai paesi meno sviluppati chiavi di lettura e potenzialità degli accordi in
vigore forse sottovalutate nel corso del negoziato. Ciò ha prodotto un limitato, ma per
molti aspetti positivo, ridimensionamento della posizione dei paesi forti in favore di
una più ampia considerazione degli interessi di quelli più deboli.
8
Picone P. e Ligustro A., “Diritto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio”, (2002)
Padova, CEDAM, pag 403
9
Uruguay Round: ottavo round commerciale del GATT, si svolse tra il 1986 e il 1993. Il
risultato ottenuto fu l’ampliamento del GATT e l’istituzione dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio (WTO)
10
WIPO: World Intellectual Property Organization
6
Può quindi osservarsi che il connubio tra PI e politica commerciale ha avuto la
formale consacrazione, prima nella Dichiarazione ministeriale di Punta del Este del 20
settembre 1986, quindi con la firma degli atti conclusivi dell’Uruguay Round il 15
aprile 1994: di questi ultimi è parte integrante l’Accordo sui diritti di proprietà
intellettuale attinenti al commercio, TRIPs11.
b) L’Accordo TRIPs in materia di marchi
L’Accordo TRIPs in materia di marchi incorpora le norme internazionali
preesistenti e, in particolare, quelle della Convenzione di Parigi concernenti tali
privative. In generale, è comunque da notare che l’Accordo non riserva particolare
attenzione al marchio, limitandosi a definirne l’oggetto12, i diritti da questo conferiti13,
i requisiti per l’uso14 e, infine, le condizioni di cessione e licenza15. Pertanto,
l’obiettivo perseguito dall’Accordo, in materia di marchi, appare circoscritto alla
volontà di far adottare ai PVS standard minimi di protezione. Sebbene, infatti, il diritto
dei marchi fosse già per larga parte armonizzato in virtù di altri strumenti
internazionali, molti PVS non avevano aderito a tali accordi; pertanto, i negoziati
hanno avuto prevalentemente ad oggetto questioni politiche e si sono, invece, assai
poco incentrati sugli aspetti giuridici di tale privativa16. In proposito ci si limita rilevare
che i Membri possono condizionare la registrabilità all’uso17.
L’art 15 definisce come marchio “qualsiasi segno o combinazione di segni che
consenta di distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quello di altre imprese”,
così implicitamente individuando quale oggetto della tutela del marchio la sua capacità
11
Lupone A., Gli aspetti della proprietà intellettuale attinenti al commercio internazionale, in
Venturini (a cura di), “L’Organizzazione mondiale del commercio”, (2004) Milano, pag 348
12
Art. 15, Accordo TRIPs, del 23/12/94
13
Art 16, Accordo TRIPs, del 23/12/94
14
Art 19, Accordo TRIPs, del 23/12/94
15
Art 21, Accordo TRIPs, del 23/12/94
16
Picone P. e Ligustro A., op. cit., pag. 428-429
17
Lupone A., op. cit.
7
distintiva o, come più tradizionalmente definita, la sua funzione di indicazione
dell’origine imprenditoriale dei prodotti contrassegnati.
La stessa disposizione prosegue specificando, con un’elencazione non
esaustiva, che “tali segni, in particolare, parole, compresi nomi di persone, lettere,
cifre, elementi figurativi e combinazioni cromatiche, nonché qualsiasi combinazione di
tali segni, sono idonei ad essere registrati come marchi”. Di seguito, vengono
individuati i requisiti cui i Membri possono subordinare la registrabilità del marchio,
segnatamente il carattere distintivo conseguito attraverso l’uso, la percettibilità visiva
del segno, nonché l’uso del marchio. Tale ultima ipotesi è stata contemplata in
omaggio all’ordinamento statunitense che subordina la registrazione del marchio ad
un’utilizzazione già intrapresa dello stesso (si noti, però, che da qualche anno negli
Stati Uniti è possibile registrare anticipatamente i marchi, con l’onere, tuttavia, di dare
prova entro breve termine della avvenuta utilizzazione all’autorità di registrazione).
Nel prevedere il diritto del titolare di vietare a terzi l’uso del proprio marchio,
l’art 16,1 TRIPs fa riferimento ad una presunzione di confondibilità, nei casi in cui il
segno contraffatto sia identico al marchio originale e sia utilizzato per prodotti e servizi
identici. Ciò significa che la banale riproduzione del marchio altrui costituisce di per sé
violazione del diritto di esclusiva, mentre, ai sensi della medesima disposizione, e
conformemente al tradizionale diritto sui marchi, la mera imitazione genera un illecito
di contraffazione soltanto dove sussista un rischio di confusione per il pubblico18.
Nell’accordo TRIPS esistono due definizioni, per quanto riguarda la merce
contraffatta e usurpativa, che stabiliscono i corretti “paletti” da adoperare: si parla di
counterfeit trade-mark goods e di pyrated copy-right goods; all’interno di quest’ultima
categoria sono compresi, congruentemente con i criteri della cultura anglosassone, i
disegni e modelli. Alle spalle di queste due forme nette di violazione esiste tutto un
complesso arcipelago: abusi dei contratti di licenza (di produzione e/o di distribuzione)
che danno luogo a fenomeni diversi, quali produzione di serie illegittime o
importazioni parallele illegali, imitazione servile, sviamento commerciale, fenomeni
18
Picone P. e Ligustro A., op. cit., pag. 429
8
che, caso per caso, possono situarsi giuridicamente su un terreno più prossimo alla
contraffazione/pirateria ovvero alla concorrenza sleale, ma che tutti forniscono un
fertile humus a contraffazione e pirateria propriamente dette19.
Secondo il tradizionale orientamento, il rischio di confusione per il pubblico
non concerne la pura confondibilità tra segni o prodotti, bensì la commistione circa la
provenienza imprenditoriale del prodotto autentico e del prodotto contraffatto.
Pertanto, la nozione di confondibilità è strettamente connessa alla funzione tradizionale
del marchio – l’indicazione dell’origine dei prodotti. In questa prospettiva, la
precisazione di cui all’art 16,1 relativa ai casi di assoluta identità tra marchi e prodotti,
appare in linea di massima superflua, proprio in quanto l’appropriazione totale del
segno altrui per prodotti identici implica la confondibilità per i consumatori. Semmai
tale presunzione di confondibilità potrebbe assumere rilievo in sede di azione di
contraffazione nella misura in cui verrebbe ad esentare l’attore dall’onere di provare il
rischio di confusione20.
L’art 17 riconosce ai Membri la facoltà di prevedere nei propri ordinamenti
eccezioni ai diritti conferiti dal marchio, specificando tuttavia, che dette eccezioni
devono tenere conto dei legittimi interessi del titolare e dei terzi. Si tratta di una norma
piuttosto oscura la cui interpretazione è in parte riconducibile al disposto dell’art 21, da
cui emerge che le licenze obbligatorie di marchio – previste da alcuni ordinamenti dei
PVS21 – non possono essere annoverate tra le eccezioni di cui al precedente art 17.
Sono, al contrario, ammesse le licenze volontarie e la cessione del marchio, le cui
condizioni possono essere liberamente determinate dai Membri, facendo però salvo il
diritto del titolare di trasferire il proprio marchio anche separatamente dall’azienda cui
appartiene il marchio medesimo (art 21 TRIPs).
Inoltre, l’Accordo specifica che l’uso del marchio in commercio non deve
essere ostacolato dalla previsione di obblighi speciali, quali “l’uso con un altro
19
“Promemoria sui Problemi della Contraffazione in Italia”, INDICAM, marzo 2004
20
Floridia, “Marchi, Invenzioni e Modelli: codice e commento alle riforme nazionali: dalle
origini ai TRIPs fino al Protocollo di Madrid”, (2000), Milano, Giuffrè editore, pag. 642
21
PVS: paese in via di sviluppo