II
Problematiche dovute a diversi fattori tra i quali il cambio
generazionale, l’apparizione di nuovi trend di consumo e la
creazione di nuove bevande alcoliche. Tutti ostacoli che la
brand irlandese sta tentando di aggirare scegliendo nuovi
posizionamenti sul mercato, promuovendo attività vicino al
target più giovane e rendendo sempre più forte la sua
personalità.
La comunicazione, infatti, è sempre stata un punto di forza
della Guinness. Ha sempre saputo interpretare il
cambiamento modificando il suo linguaggio, senza però
mutare i valori più profondi della sua identità. E’ riuscita
nell’intento di creare uno stile sempre moderno, capace di
interpretare il suo tempo, e tentando, fin dall’inizio, di
comunicare un’immagine unica e forte in tutti i paesi in cui
veniva commercializzata. Per farlo si è avvalsa di segni
distintivi, che non ha mai cambiato del tutto, come l’arpa, la
firma storica di Sir Arthur Guinness e il lettering di forte
personalità. Tutti elementi che, nonostante fossero lontano
dalle culture in cui la birra era commercializzata, offrivano
una visione, comunemente concepita, dello spirito
irlandese.
A questo punto, si potranno trattare le varie forme
comunicative che tutte le grandi Brand, ed in particolare
Guinness, utilizzano per riuscire a distinguersi nel mercato.
Dalla classica pubblicità, sui vari mezzi di comunicazione,
alle sponsorizzazioni sportive e culturali, dall’utilizzo delle
relazioni pubbliche all’impiego di forme comunicative come
il direct marketing o internet, dalla commercializzazione di
un’ampia gamma di prodotti con il logo della Guinness alla
natura comunicativa delle infrastrutture e dello stabilimento
III
irlandese. Infine, analizzerò una forma di comunicazione
che da alcuni anni è molto utilizzata dalle grandi marche,
anche se solo recentemente ha assunto una posizione di
rilievo: il museo aziendale.
Tenterò di spiegare come il concetto di museo aziendale si
sia evoluto negli anni, diventando, da semplice luogo dove
poter ammirare la storia dell’azienda e comprare, al
massimo, qualche gadget, un vero e proprio parco a tema
della marca, dove si può ammirare il mondo fantastico
creato dal brand a 360°, entrare a far parte di un gruppo
selezionato con cui la marca comunica in modo
confidenziale ed amichevole. Dopo aver analizzato le
differenze culturali tra la concezione dei musei aziendali
italiana ed anglosassone, cercherò di costruire una
panoramica sull’evoluzione dei musei della Guinness,
partendo dalla semplice concezione del Guinness’s
Museum. Il percorso, passando dalle due fasi del più
moderno Hopstore, si concluderà con l’analisi, più
approfondita, del nuovo ed innovativo museo aziendale.
Il Guinness Storehouse rappresenta un’evoluzione dei
classici musei aziendali. Nato nel 2000, si è affermato, fin
dal primo anno, come la prima attrazione dell’Irlanda,
raggiungendo, in tre anni di vita, la quota di due milioni di
visitatori. Esso è il frutto di un’esperienza partita nel 1966,
con la creazione del primo museo di Guinness, che ha
saputo adeguarsi, nell’arco degli anni, ai cambiamenti del
mercato.
Analizzerò la struttura che accoglie lo Storehouse, il
percorso creato da Guinness per rendere l’esperienza del
visitatore ricca di significati e l’idea del Gravity, il bar nel
IV
cielo, una torre in vetro dove il visitatore può gustarsi una
pinta di scura, osservando la capitale dall’alto.
Un particolare significato comunicativo lo ha assunto anche
il biglietto del museo, il “pebble”, una goccia di Guinness
incastonata in un ciottolo trasparente, con il quale, alla fine
del percorso, si riceve una pinta omaggio.
Altro elemento distintivo, in confronto al classico museo
aziendale, è la creazione di spazi per l’organizzazione di
seminari, conferenze o mostre artistiche, non direttamente
collegati con la marca. La creazione, quindi, di spazi in cui
la marca tenta di non apparire come il personaggio
principale, dissolvendo quell’atmosfera di comunicazione
prettamente commerciale.
L’analisi proseguirà con una descrizione del sito internet e
del logo dello Storehouse. L’azienda, infatti, ha riscontrato
la necessità, per il museo, di attuare una politica di
comunicazione personalizzata che, sebbene seguisse i
valori fondamentali della marca, riuscisse ad avere un certo
grado di autonomia.
Infine, l’analisi sul mondo Guinness si concluderà con una
piccola indagine, condotta da me in Irlanda ed in Italia, sulla
qualità della visita al museo aziendale da parte dei
consumatori dei due paesi, tentando di metterne in luce le
possibili divergenze. L’indagine, condotta tramite
questionario, risulterà utile per dare un’indicazione sulle
differenze culturali e le problematiche legate alle differenti
concezioni dei musei aziendali.
1
Capitolo uno
Il mercato della Guinness
1.1 Breve cenno storico
La storia della Guinness rappresenta una combinazione tra
mito e realtà. Una sorta di passato mitologico nel quale
l’azienda irlandese affonda le radici della sua identità.
Tutto ebbe inizio per merito dell’intraprendenza del padre-
fondatore Sir Arthur Guinness, il quale, dopo aver affittato
una fabbrica in disuso per 9.000 anni ad un prezzo di 45
sterline l’anno, nel 1759 incominciò a produrre birra in
un’Irlanda molto rurale, dove si consumava essenzialmente
whiskey, gin e poteen, un distillato illegale di patate.
L’azienda Guinness, intorno al 1770, iniziò la produzione di
un prodotto relativamente nuovo, a base d’orzo tostato, dal
colore molto scuro. Un’evoluzione di una bevanda molto
famosa all’epoca, soprattutto in Inghilterra fin dal 1720, con
il nome “Porter”, derivato dall’appellativo dei portantini del
mercato di Convent Garden e Billingsgate di Londra, dove la
bevanda era prodotta. La birra, chiamata “Guinness Extra
Stout”, ebbe subito un enorme successo tanto che nel 1796,
incominciò ad essere esportata nel mercato inglese e, nel
1799, la fabbrica decise di interrompere la produzione delle
tradizionali “bionde”.
Alla morte del fondatore, nel 1803, l’azienda fu acquisita dal
figlio Arthur Guinness II che, continuando l’opera del padre,
riuscì ad introdurre, nel 1820, un prodotto di qualità
superiore con il nome di “Guinness Extra Superior Porter”.
Una mossa che risultò coraggiosa e decisiva per il successo
2
della marca irlandese. Infatti, in un periodo di recessione in
seguito alle guerre napoleoniche, la maggior parte delle
industrie, anziché investire nella qualità dei prodotti, si
preoccuparono nel tagliare le spese. La Guinness, in quegli
anni, fu conosciuta come sinonimo di qualità e forza,
aumentando la produzione del 10% l’anno e diventando, nel
1840, il più grande birrificio d’Irlanda. Ampliamento che
proseguì nei successivi quarant’anni, fino a diventare la più
grande fabbrica di birra al mondo.
All’espansione del birrificio, si aggiunse una crescita di
notorietà della famiglia Guinness, che in quegli anni divenne
uno dei pilastri della vita politica e sociale di Dublino.
Infatti, nel 1851, Benjamin Lee Guinness divenne sindaco
della città e, in seguito, membro del parlamento irlandese.
In quegli anni si creò un forte legame tra l’azienda e la città,
dovuto alle continue donazioni da parte della famiglia
Guinness come, per esempio la restaurazione della
cattedrale di St.Patrick; la creazione, nel 1880, del parco
cittadino St.Stephen Green e le donazioni per gli ospedali di
Dublino e per il Trinity College.
La fabbrica, negli anni, riuscì a diventare il fulcro
economico e sociale della città. La più importante famiglia
irlandese aveva compreso che non bastava solo avere il
massimo dell’efficienza in termini economici, ma che
bisognava anche dare importanza alle condizioni di lavoro.
Guinness, infatti, investì molto per creare benefici
economici e sanitari per i dipendenti e le loro famiglie. Un
investimento importante in prospettiva alla ribellione che,
nell’arco di tutta la prima metà del ventesimo secolo, portò
3
all’indipendenza dall’Inghilterra e alla costituzione della
Repubblica d’Irlanda.
La famiglia Guinness rimase a capo dell’azienda fino al
1986, quando l’ultimo membro, Lord Iveagh III, decise di
lasciare la dirigenza e la proprietà dopo più di due secoli.
Fu una perdita importante per l’impresa che, nel corso degli
anni, aveva potuto contare sulla spiccata intraprendenza
imprenditoriale e sulla perseveranza di tutta la dinastia.
L’azienda Guinness era diventata, ormai, una grande
multinazionale che era riuscita ad ampliare il suo mercato
fondendosi con la “United Distillers”, società che riuniva le
marche di alcolici come Johnnie Walker e Gordon’s Gin, e
che aveva ampliato la sua gamma di prodotti acquisendo,
negli anni, grandi brands nel mercato delle birre, come
Kilkenny, Harp, Red Stripe e Cruzcampo.
Alla fine del 1999, la fabbrica di “Stout “ più grande al
mondo venne assorbita dalla Diageo, leader mondiale nel
mercato degli alcolici. La Guinness e la United Distillers
and Vinters furono integrate globalmente con altre marche
come Carlsberg, Smirnoff e Bailey’s.
Un cambiamento rivoluzionario nella storia della società
che, nonostante abbia avuto effetti positivi in termini di
sicurezza economica in un mercato sempre più complesso,
ha rischiato di intaccare l’indipendenza del logo irlandese e
la conseguente perdita di personalità della marca.
Oggi Guinness, anche per merito della nuova dirigenza,
rimane una delle più stimate marche di birra al mondo
capace, attraverso la creazione di un “visitor’s center”, di
diventare la prima attrazione turistica d’Irlanda. Una marca
prestigiosa che, sebbene stia subendo un calo di vendite
4
dovuto al cambio generazionale, continua ad imporsi in
termini di notorietà e d’immagine di marca.
1.2 Il mercato delle birre
La finalità di questo capitolo sarà quello di analizzare il
mercato delle birre, gli attori principali e il loro
posizionamento.
Secondo una recente ricerca effettuata dall’Euromonitor
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in
Gran Bretagna, nel periodo 1997-2001 e in previsione per il
2006, il volume di vendita delle birre è in diminuzione. Nel
2001, infatti, si è verificato un calo del 2,1% rispetto
all’anno 2000, nel quale la diminuzione, rispetto all’anno
precedente, era stata dell’ 1%.
La causa maggiore di questo ribasso è la forte crisi delle
birre scure e le “Stout”, birre di colore tendente al nero,
delle quali il leader di mercato è la Guinness. I giovani
preferiscono consumare birre chiare, o altri tipi di alcolici
come vino, superalcolici o cocktail in bottiglia, molto di
moda negli ultimi anni, perché più veloci da reperire e da
consumare e perché considerate bevande più moderne.
Inoltre, i consumatori di birre scure hanno un’età più elevata
e consumano molto di meno.
La crisi delle Stout, iniziata già nei primi anni del 1990,
sembrava fosse terminata nel 1999, quando, con la
creazione di un nuovo prodotto, la Guinness Extra Cold, il
volume di vendita era aumentato. Il nuovo prodotto, infatti,
era stato creato per venire incontro alle esigenze di un
target più giovane, che richiedeva una birra più fredda e con
un tempo di attesa per la spillatura minore.
1
Market Research International, maggio 2002