6
book shop interni
4
, anche se si è ancora molto lontani dall’ottica di vedere
il museo come un ambiente caratterizzato da un senso di appartenenza e di
familiarità dove alcuni visitatori consultano libri nelle sale di lettura,
arredate come salotti con poltrone e caminetto, altri si incontrano in
giardini d’inverno, illuminati da eleganti lucernari
5
.
E’ proprio nell’ottica della continua trasformazione che si sono inserite
le innovazioni tecnologiche e internet che saranno d’ausilio nel progetto di
creazione di un “museo virtuale” ovvero un tipo di accesso ai dati
interattivo e basato sui rapporti multimediali; un museo virtuale può
ricostruire ambienti, modi di vita, storia, con avanzate tecnologie per
l’elaborazione dell’immagine che integrano il museo tradizionale.
Questo tipo di trasformazione non vuole portare ad essere obsoleti i
musei che tutti noi conosciamo – le sensazioni che un’opera dal vivo può
provocare non sono nemmeno lontanamente paragonabili con quelle di una
riproduzione, anche se di ottimo livello – ma vuole piuttosto essere
un’integrazione per consentire un aumento dei suoi utenti.
I fruitori, infatti, non sostituirebbero la visita reale con quella virtuale, al
contrario quest’ultima servirebbe come integrazione della prima offrendo
uno stimolo al “contatto reale con il museo” e un eventuale
approfondimento successivo attraverso il “contatto virtuale”.
Nel futuro ci si prefigge quindi un utilizzo sempre più ad alto livello del
web come risorsa didattica e di sussidio per regolare il flusso dei visitatori
con la preparazione sia culturale sia civica nel senso di un maggior rispetto
e consapevolezza del valore di un bene culturale.
4
Istituiti per mezzo della legge Ronkey, 14 gennaio 1993, n°4 in materia di gestione dei beni culturali
5
RICCI M., Comunicare i musei in Europa e USA, Rivista Italiana della Comunicazione Pubblica,
Franco Angeli, Milano, 1/1999
7
Capitolo 1
Beni Culturali: un concetto e un’Istituzione in evoluzione
1.1 I beni Culturali: l’evoluzione del concetto
Il fenomeno culturale in Italia ha dimensioni e portata eccezionali; il
nostro Paese, infatti, vanta una concentrazione di circa il 40% del
patrimonio artistico mondiale, dislocato peraltro in modo omogeneo su
tutto il territorio: si può infatti parlare di “patrimonio culturale diffuso”, in
un paese dagli ottomila comuni, ognuno dei quali ospita capolavori,
testimonianze del passato e beni di interesse artistico
6
.
Per evidenziare questo concetto è sufficiente menzionare alcune cifre:
sull’intero patrimonio nazionale sono presenti circa 3.300 musei (tra cui
quelli non operanti e non fruibili al pubblico ed esclusi i siti archeologici),
95.000 chiese, 223 cattedrali, 40.000 castelli, 30.000 dimore storiche e
100.000 opere d’arte, di cui un migliaio sono di grande rilievo e circa un
centinaio sono capolavori.
7
La definizione giuridica di bene culturale, contrariamente al concetto, è
stata coniata solo di recente: nel 1939 la legge 1089 si riferiva, infatti, alle
cose di interesse artistico o storico, ma il termine bene culturale entrò
ufficialmente nel nostro ordinamento a metà degli anni Settanta, con la
legge che istituiva il Ministero per i beni culturali e ambientali (L.5/1975).
Negli anni è cambiato fortemente l’approccio ai beni culturali, si è
passati da una rappresentazione di stampo altamente privatistico ad un
risvolto più “altruista”; infatti dall’iniziale identificazione del bene
6
TASSINARI F., “La statistica dei musei”, Economia della Cultura, n. 2/1992
7
TASSINARI F., ibidem
8
culturale esclusivamente come oggetto di diritto di proprietà su cui il
proprietario poteva esercitare liberamente il suo diritto si è passati ad
individuare lo stesso come bene imprescindibile dalla sua fruizione
pubblica, su cui, quindi, l’intervento dell’Amministrazione può limitare
fortemente i poteri del privato; attualmente è interessante osservare che in
Italia circa il 70% degli istituti museali è di proprietà pubblica, il 13%
appartiene alla Chiesa e il 16 % a soggetti privati
8
, la preponderanza della
presenza pubblica nel settore analizzato riflette una situazione comune alla
maggior parte degli altri paesi europei.
Ancora oggi non esiste un’univoca definizione di bene culturale, la
soluzione proposta dalla Commissione Franceschini
9
nel 1967 che
proponeva di definire tale ogni cosa che potesse identificarsi con una
testimonianza materiale avente valore di civiltà
10
non è stata mai adottata.
Attualmente solo il Decreto Legislativo 112/1998 in materia di
Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni
ed agli enti locali contiene una definizione generale di bene culturale
circoscrivendolo come ogni cosa che compone il patrimonio storico,
artistico, monumentale, demo – etno – antropologico, archeologico,
archivistico e librario o che in generale costituisce testimonianza avendo
valore di civiltà.
8
BAGDADLI S., Il museo come azienda, Etas, Milano, 1997
9
La Commissione, che prese nome dal suo Presidente Francesco Franceschini, fu creata, su proposta del
Ministro della Pubblica Istruzione, in attuazione della Legge 26 aprile 1964, n. 310. Era una
Commissione parlamentare che si avvaleva anche del contributo di 11 esperti: presentò i risultati con una
relazione al Ministro in data 10 marzo 1966. V. per gli atti AA. VV., Per la salvezza dei Beni culturali in
Italia, in “Atti e documenti della Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio
storico, archeologico, artistico e del paesaggio”, Colombo, Roma, 1967.
10
Atti della commissione Franceschini (1967) – Dichiarazione I: Patrimonio culturale della Nazione.
Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi riferimento alla storia della civiltà.
Sono soggetti alla legge i beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico,
archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà.
9
Come si può notare il semplice riconoscere il bene culturale in
monumenti e musei inizialmente preso in considerazione si è molto
articolato e arricchito, una vera e propria elencazione di che cosa
comprenda la precedente definizione la si può ritrovare nell’art 2 del
Decreto Legislativo 490/1999
11
in materia di beni culturali e ambientali.
1.1.1 I Beni Culturali nell’Italia pre–unitaria e all’indomani
dell’unificazione
L’esigenza di salvaguardare il proprio patrimonio storico, architettonico
e artistico – il complesso di cose mobili e immobili che prende il nome di
Beni Culturali – fu avvertita dalla maggior parte degli stati europei dopo la
Rivoluzione Francese (1789): infatti il popolo si riscoprì proprietario dei
beni storico artistici che fino ad allora appartenevano alle classi nobili o al
clero e in questa volontà di appropriazione nacque anche l’esigenza di
tutelarli.
11
Art.2 D.Lgs.n. 490/1999
a) Le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o demo – etno
– antropologico, comprese le cose che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive
civiltà; le cose di interesse numismatico; i manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti
notevoli, gli incunaboli, nonché i libri, le stampe, le incisioni aventi carattere di rarità e pregio; le
carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e di pregio artistico o storico; le
ville, i parchi e i giardini che abbiano interesse artistico o storico.
b) Le cose immobili che a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura,
dell’arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante.
c) Le collezioni di serie e oggetti che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali,
rivestono come complesso un eccezionale interesse artistico o storico. Sono comprese tra queste
collezioni, quali testimonianze di rilevanza storico – culturale, le raccolte librarie appartenenti a
privati, se di eccezionale interesse culturale.
d) I beni archivistici, ossia gli archivi e i singoli documenti dello Stato e degli Enti Pubblici; gli
archivi e i singoli documenti, appartenenti a privati, che rivestono notevole interesse storico. Gli
archivi sono tutelati a prescindere dal loro valore culturale.
e) I beni librari, ossia le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato e degli enti pubblici, le
raccolte librarie private se di eccezionale interesse culturale e, qualunque sia il loro supporto, i
manoscritti, gli autografi, i carteggi, i documenti notevoli, gli incunaboli, i libri, le stampe, le
incisioni, le carte geografiche e gli spartiti musicali aventi carattere di rarità e pregio.
10
Sulla fine del XVIII secolo sorsero importanti musei in diversi Paesi: nel
1753 per iniziativa del governo aprì a Londra il British Museum; nel 1793
il Louvre a Parigi; durante il regno di Carlo III di Borbone, 1716 – 1788, fu
costruito a Madrid il museo El Prado.
In Italia, a partire dalla prima metà dell’Ottocento, furono non solo i
sovrani, ma anche i pontefici ad emanare provvedimenti legislativi volti a
tutelare il patrimonio artistico e archeologico
12
, i primi provvedimenti della
chiesa in materia risalgono addirittura al XV secolo
13
.
Numerosi provvedimenti intervennero poi in materia di conservazione
delle opere d’arte tra cui: l’editto settecentesco del Cardinale Silvio
Valentino Gonzaga con cui prescriveva la conservazione delle reliquie del
passato come documenti della storia sacra e profana, l’editto Spinola del
1717 con cui si introdusse l’obbligo di licenza per i commercianti di
antichità e di opere d’arte e si stabilì che venisse fatto un disegno a futura
memoria delle cose che non potevano essere conservate
14
e la Prammatica
LVII emanata da Carlo III nel 1755 per tutelare gli scavi di Pompei,
Ercolano e Stabia da saccheggi e devastazioni.
12
ALIBRANDI T. – FERRI P., I beni culturali e ambientali, Giuffrè, Milano, 2001: “ nella tutela delle
cose artistiche e dei resti archeologici è lo Stato della Chiesa a vantare la più antica tradizione; sotto il
governo dei pontefici stava la città di Roma, dove più che in ogni altro luogo si raccoglievano capolavori
d’arte e testimonianze del glorioso passato. Fu quindi a Roma che si ebbero le prime e più significative
forme di intervento sovrano per impedire la distruzione e la dispersione delle ricchezze dell’arte e dei
resti archeologici”.
13
Si ricorda già nel 1.400, due provvedimenti della Chiesa; la bolla di Pio II “Cum almam nostram
urbem” del 28 aprile 1462 che proibisce di demolire, distruggere, danneggiare gli edifici pubblici e la
Bolla “Cum Provida” di Sisto IV del 1474 che impedisce che le chiese vengano spogliate di marmi e
ornamenti.
14
CORTESE W, I beni culturali e ambientali: profili normativi, Cedam, Padova, 2002
11
Tuttavia il fine legislativo di tutto l’ordinamento giuridico dell’Italia
preunitaria – identificabile attraverso numerosi editti
15
, quasi mai generici,
ma piuttosto emanati per casi particolari – fu quello di evitare la
dispersione delle opere d’arte, attraverso l’imposizione ai proprietari privati
di limiti di esportazione. In tal modo la tutela pubblica si incentrò sulla
conservazione degli oggetti storici e artistici nel territorio dei singoli Stati
regionali e tale interesse pubblico prevalse sull’interesse privato. Mancò
invece, da parte dei sovrani e dei pontefici, il riconoscimento che gli
oggetti storici e artistici costituissero un patrimonio culturale da mettere a
disposizione dell’intera collettività.
Con l’unificazione d’Italia e la costituzione del Regno d’Italia ci fu
un’inversione di tendenza, infatti, l’ideologia liberale espressa dalla
dominante classe politica di fine Ottocento sancì la libertà dell’iniziativa
privata con una inevitabile riduzione dell’intervento statale in materia di
tutela delle opere artistiche, tradottasi poi nella legge 25 giugno 1865, n.
2359, la quale consentiva l’espropriazione di un monumento solo
nell’ipotesi in cui questo fosse andato in rovina per incuria del proprietario.
Questa legge causò enormi danni al patrimonio storico – artistico -
archeologico italiano, infatti, in questi anni numerosi capolavori, in nome
della libertà e dell’inviolabilità dei diritti dei proprietari sancite
dall’ideologia liberale, furono oggetto di sfrenate donazioni e vendite,
anche a paesi stranieri.
15
Nel campo di dei provvedimenti di tutela, procedendo con ordine, troviamo: la legge emanata nel
Lombardo Veneto il 13 aprile 1754 sotto l’impero di Maria Teresa d’Austria dal governatore ad interim,
principe di Lobkowitz; il provvedimento “motu proprio” emanato nel 1754 dal Consiglio di Reggenza
toscano
12
Fu solamente con la Legge Nasi (185/1902) in materia di tutela del
patrimonio monumentale e successivamente con la Legge Rosati
(364/1909)
16
che venne disposto un serio ostacolo al principio della libera
circolazione delle opere d’arte attraverso vincoli per i trasferimenti.
La legge 364/1909 fu successivamente perfezionata dalla legge sulla
tutela delle cose di interesse storico e artistico (1089/ 1939) che indicava le
procedure da seguire ai fini della declaratoria “di particolare interesse
storico e artistico” del bene da tutelare: tale giudizio, pur essendo tecnico e
discrezionale della Pubblica Amministrazione, doveva essere preceduto da
un’adeguata istruttoria in grado di fornire gli elementi occorrenti per
un’oculata valutazione dell’interesse pubblico; questa legislazione
poggiava quindi sul presupposto, se non della rarità, certo della
eccezionalità dei beni culturali, quali fossero questi in mano pubblica o
privata.
Tale legge provvedeva a collegare il bene, anche se di proprietà privata,
alle finalità pubbliche implicate dalle sue caratteristiche estetico – culturali,
si assegnava così ai beni in mano dello Stato un regime speciale tale da
distinguerli e proteggerli rispetto ad ogni altro bene o posizione soggettiva,
ovvero si rafforzava e si estendeva una apposita amministrazione di settore,
cruciale per la regolazione e gestione degli interventi in materia.
16
Essa dispone particolari vincoli ai trasferimenti di tutti i beni mobili e immobili aventi interesse storico,
archeologico, artistico, risalenti a più di 50 anni e non appartenenti a persone viventi.
Per gli oggetti appartenenti a enti pubblici viene sancita l’inalienabilità, mentre per quelli appartenenti a
privati e dichiarati di importante interesse viene disposto l’obbligo di denunciare qualsiasi trasferimento
della proprietà o del possesso, con previsione di un diritto di prelazione a favore dello Stato . Infine,
l’esportazione viene generalmente vietata in ogni caso in cui essa avesse costituito un grave danno per la
storia, l’arte e l’archeologia (le cose oggetto di tentata esportazione sarebbero state acquistate
coattivamente dallo Stato).
13
La legge 1089/1939 poggiava su elementi ben precisi:
1. l’identificazione, ovvero il riconoscimento del carattere di particolare
pregio storico – artistico dei beni in circolazione o di quelli oggetti di
ricerca o di ritrovamento;
2. l’esigenza – sufficienza della conservazione, essendo predominante
l’obiettivo di protezione del bene medesimo da tutti gli eventi,
materiali e giuridici, che potessero metterne a repentaglio l’integrità.
In questa logica la gestione era concepita soprattutto come “gestione
della conservazione” ed il museo ne era considerato lo strumento
principe;
3. il ricorso ad elementi elastici, e dunque per loro natura molto
generici e ad amplissima discrezionalità, ne è così derivato un
sistema a scarsa procedimentalizzione il cui funzionamento e
legittimazione erano affidati ad un continuum di regolazione –
gestione basato su un’amministrazione centralizzata.
Tale legge, come si è potuto notare, poggiava su premesse istituzionali
quali la centralità dello Stato e la totale riferibilità a quest’ultimo di ognuno
degli elementi in gioco (il podestà al posto del sindaco, l’approvazione dei
piani regolatori da parte del ministero dei lavori pubblici, l’onnipresenza
del prefetto in sede locale, il controllo generale sugli atti di comuni e
province, il monopolio della funzione legislativa da parte del Parlamento).
Il superamento di questa legislazione è avvenuto solo in temi recenti
attraverso il decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (Testo unico delle
disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali).
14
1.1.2 I Beni Culturali nell’Italia Repubblicana
Il 1 gennaio 1948 è entrata in vigore la Costituzione Italiana e l’art. 9
17
ha attribuito allo Stato il pieno diritto e dovere, di tutelare il patrimonio
artistico, storico e paesaggistico italiano, al fine di garantire la crescita
civile e culturale dei cittadini.
In considerazione della collocazione dell’art. 9 tra i principi
fondamentali della Costituzione, la dottrina ha evidenziato come lo Stato
italiano possa essere definito Stato di Cultura, in cui cioè gli organi di
governo si devono impegnare per promuovere lo sviluppo della cultura e
della ricerca scientifica e, attraverso di esse, la crescita dell’individuo. Non
si può giungere, infatti, a nessun progresso sociale e umano senza crescita
culturale.
In seguito all’entrata in vigore della nuova Carta Costituzionale si passò
dal valore artistico dei beni culturali, sancito nel 1939, ad una concezione
che faceva riferimento al valore culturale del bene da tutelare; le cose di
interesse storico - artistico furono viste non più come oggetti da conservare,
ma come strumenti per l’elevazione culturale dei cittadini.
L’abbandono della concezione puramente estetizzante a favore di una
prevalentemente culturale impone l’uso di una nuova terminologia: infatti,
la locuzione bene culturale si sostituì al complesso di espressioni che fino
ad allora erano servite ad indicare le cose di interesse storico, archeologico
e artistico. Più precisamente, l’espressione “beni culturali” emerse per la
prima volta a livello internazionale il 14 maggio 1954 nell’art.1 della
Convenzione dell’Aja per la protezione dei beni culturali in caso di
conflitto armato.
17
Art.9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il
paesaggio e il patrimoni storico e artistico della Nazione.
15
Nel diritto italiano la suddetta espressione fu inserita solo
successivamente, precisamente nella legge 310/1964, al posto delle
locuzioni “cose d’interesse artistico o storico” e “bellezze naturali” in uso
rispettivamente nelle leggi 1089/1939 e 1497/1939 in materia di Protezione
delle bellezze naturali.
Negli anni ’60 si sviluppò un rinnovato interesse per le cose d’arte, in
particolare l’esigenza di fornire un’adeguata tutela al patrimonio storico -
artistico nazionale, e per questo motivo con la legge 310/1964 venne
istituita la Commissione Franceschini che non ebbe il compito di preparare
un disegno di legge di riassetto dei beni culturali, ma di formulare, dopo
un’analisi delle condizioni del patrimonio culturale italiano, proposte
strutturali per il suo recupero e valorizzazione.
Il 9 aprile 1968 fu nominata dal Ministero della Pubblica Istruzione la
Commissione Papaldo che aveva come compito di tramutare in norme
ordinarie i suggerimenti della Commissione Franceschini; lo schema di
legge prodotto dalla Commissione non fu però trasformato in legge,
bisognerà aspettare ancora un ventennio per arrivare ad un progetto se non
proprio di riforma quanto meno di risistemazione delle norme in materia di
beni culturali con l’approvazione del D.Lgs. 29 ottobre 1999, n. 490.
16
1.1.3 Il decentramento dei poteri: dallo Stato alle Regioni
Nel 1970, in un’ottica globale di decentramento del potere, vennero
istituite le regioni a statuto ordinario e ciò impose al legislatore un’accurata
regolamentazione del trasferimento dei poteri dallo Stato alle regioni
stesse.
Questo importante passo portò a modificare l’assetto istituzionale, non
solo in singoli profili, ma nei suoi tratti identificativi; ne è esempio
lampante “l’area pubblica”, che non coincide più con quella “statale”, per
la regionalizzazione e lo sviluppo delle autonomie locali, ma al contrario è
essenzialmente affidata agli enti territoriali.
Con il D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 3 (Funzioni amministrative in materia
di assistenza scolastica e di musei e biblioteche di enti locali da trasferirsi
alle Regioni a statuto ordinario) vennero devolute a tali enti territoriali le
funzioni in materia di:
ξ ordinamento e funzionamento dei musei e biblioteche di enti locali;
ξ manutenzione degli oggetti raccolti in musei e biblioteche di enti
locali;
ξ mostre di materiale storico;
ξ compilazione del catalogo generale;
ξ vigilanza su riproduzioni di antichi codici e manoscritti;
ξ proposta di espropriazioni e restauri.
Successivamente, il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ha trasferito alle
Regioni i poteri in materia di funzionamento, conservazione, sviluppo,
pubblico godimento, raccolte di interesse artistico e storico contenute in
musei e biblioteche di enti locali. La regolamentazione delle funzioni
17
amministrative in materia di tutela e valorizzazione del patrimonio storico,
librario, artistico e monumentale venivano, invece, demandate ad una legge
da emanare entro il 31 dicembre 1979, ma a tutt’oggi mai emanata.
Tra il 1980 e il 1990 ci fu una inversione di tendenza, di fatto lo Stato ha
sensibilmente ridotto la propria attività di delega alle Regioni in materia di
beni culturali, motivando tale atteggiamento con la necessità di assicurare
al settore una legislazione omogenea; in tale ottica si inserisce la legge
59/1997
18
che esclude la possibilità per l’esecutivo di conferire alle Regioni
e agli enti locali funzioni e compiti amministrativi in materia di tutela dei
beni culturali e del patrimonio storico artistico.
Generalmente, le politiche degli enti territoriali hanno avuto la tendenza
a sovrapporsi o ad entrare in conflitto con quelle adottate dagli organi
centrali; infatti mentre gli organi periferici sono più propensi a sviluppare
delle politiche volte a garantire fruizione e valorizzazione dei beni culturali,
le soprintendenze e le direzioni generali prediligono la funzione
conservativa degli stessi, adottando di conseguenza una visione più
tecnicistica del patrimonio.
Sarà il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 a proporre un elenco
dettagliato delle funzioni dello Stato in materia e a fornire le più recenti
definizioni:
a. "beni culturali", quelli che compongono il patrimonio storico,
artistico, monumentale, demoetnoantropologico, archeologico,
archivistico e librario e gli altri che costituiscono testimonianza
avente valore di civiltà così individuati in base alla legge;
18
Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle Regioni ed Enti locali, per la riforma
della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa.
18
b. "beni ambientali", quelli individuati in base alla legge quale
testimonianza significativa dell'ambiente nei suoi valori naturali o
culturali;
c. "tutela", ogni attività diretta a riconoscere, conservare e proteggere i
beni culturali e ambientali;
d. "gestione", ogni attività diretta, mediante l'organizzazione di risorse
umane e materiali, ad assicurare la fruizione dei beni culturali e
ambientali, concorrendo al perseguimento delle finalità di tutela e di
valorizzazione;
e. "valorizzazione", ogni attività diretta a migliorare le condizioni di
conoscenza e conservazione dei beni culturali e ambientali e ad
incrementarne la fruizione;
f. "attività culturali", quelle rivolte a formare e diffondere espressioni
della cultura e dell'arte;
g. "promozione", ogni attività diretta a suscitare e a sostenere le attività
culturali.
19
Per riuscire a sanare la diffidenza reciproca consolidatasi tra Stato e
autonomie locali si dovrà ricorrere al Titolo V della Parte II della
Costituzione, e conseguentemente alla legge costituzionale 3/2001 art. 3,
nella quale il legislatore ha sostituito alla precedente elencazione delle
materie di competenza delle Regioni un elenco di materie relativamente
alle quali lo Stato gode di una competenza legislativa esclusiva (tutele
dell’ambiente, dell’economia e dei beni culturali) e di una competenza
legislativa concorrente con gli enti locali (valorizzazione dei beni culturali
e ambientali e la promozione di attività culturali), tutto ciò si fonda sul
presupposto di una stretta cooperazione tra Stato e regioni.
19
Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 - Capo V Beni e attività culturali Art. 148. Definizioni