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INTRODUZIONE
C‟era una volta la “Smart”…
Inizia così questa tesi. Un lavoro partorito dalla mente di uno studente
universitario che per varie vicissitudini si è trovato ad acquistare, due
anni or sono, una “Smart”. Il mio rapporto con la “Scatoletta” è sempre
stato altamente controverso, un “Odi et Amo” di catulliana memoria.
La necessità di trovare facilmente parcheggio, sotto casa come
all‟università, hanno spinto ad orientarmi verso un‟auto piccola e com-
patta, maneggevole ma anche esteticamente apprezzabile e dotata di un
buon piacere di guida. Ecco, appunto. Una “Smart” ha tutto questo e
molto di più e non a caso l‟idea che ho di essa ha attraversato in due
anni vari stadi, iniziando la sua carriera in mio possesso come
un‟ottima auto piccola e facilmente parcheggiabile, ma ad oggi è molto
più, è un amore, una piccola grande passione che occupa buona parte
del tempo libero. Ho imparato a smontarla e rimontarla, a modificarla
al fine di migliorare qualche difetto, così da esaltare ancora di più quel
gioiellino tutto nero che ogni giorno mi aspetta sotto casa. Ho comin-
ciato a frequentare i forum a lei dedicati, nei quali la “Smartina” è pro-
tagonista indiscussa della quotidianità di migliaia di cybernauti che
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come me condividono questa passione; ma i forum non sono stati un
punto d‟arrivo, bensì di partenza. Partenza verso città e paesi attraverso
la penisola per partecipare ai raduni, che già da tanti anni raccolgono un
grande gruppo di amici variopinto ed eterogeneo nel quale mi sono in-
trufolato in punta di piedi. I miei weekend, e non solo, sono da molti
mesi dedicati agli amici dello “SmartClubRoma”, con tanti lavori sulle
nostre “Smart”, cene, grigliate, serate cinematografiche e via dicendo.
Tutto questo per farVi capire perché alla fine del mio percorso universi-
tario mi trovo a raccontare la storia della “Smart”, un concetto di auto-
mobile che ha avuto illustri progenitrici che, come lei, sono diventate
simbolo della storia automobilistica mondiale. Bisogna però ammettere
che per la “Smart” non sono state tutte rose e fiori, il primissimo anno è
stato molto duro e i dubbi sulla bontà del progetto a causa delle perdite
economiche hanno rischiato di cancellare un‟automobile che oggi è di-
ventata un oggetto di moda, un accessorio trendy che molta gente non
ha esitato a mettere nel proprio garage. La “Smart” si è fatta amare e
desiderare, è diventata il punto di riferimento per i Brand competitor,
anche se per adesso, ed ancora per poco, solo il colosso giapponese To-
yota si è sbilanciata nel progettare e commercializzare un modello con-
corrente. Il discorso non si esaurisce con Toyota, infatti molte delle
principali case automobilistiche stanno attualmente progettando e pre-
sentando prototipi più o meno realistici di modelli di segmento A, al
quale la “Smart” appartiene, che possano in un futuro prossimo rubare
la leadership alla “Scatoletta” griffata Mercedes-Benz.
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Fondamentale anche l‟aspetto riguardante la mobilità ecosostenibile, la
cosiddetta E-Mobility, che sempre più sta prendendo piede nelle strate-
gie dei principali Brand, e la “Smart” è protagonista anche in questo ca-
so, battendo sul tempo la concorrenza e consolidando l‟immagine di au-
to “modaiola” ma allo stesso tempo ecologica nella mente dei potenzia-
li acquirenti. E di certo Mercedes-Benz non si è risparmiata per presen-
tare al meglio la nuova creatura che fa dimenticare il benzinaio, al qua-
le preferisce la semplice corrente elettrica, grazie ad una pubblicità ef-
ficace che è arrivata sin nelle principali piazze di Roma, Milano e Pisa
per far toccare con mano al pubblico la “Smart Electric Drive”.
Potete perciò renderVi conto da soli che, nonostante le iniziali difficol-
tà, il gruppo Daimler ha decisamente puntato sulla “Smart”, arrivando
negli anni ad allargare persino la gamma, seppur con un successo limi-
tato. Ad oggi il nostro Paese è il primo mercato mondiale in termini di
vendita del Brand in questione e dati come questi possono solo confer-
mare ulteriormente che la “Smart” è un‟auto apprezzata e scelta da cen-
tinaia di migliaia di persone che da essa esigono comodità, spazio, pre-
stazioni, consumi pacati ed ottima qualità. Nei capitoli seguenti raccon-
terò la storia del Brand, l‟evoluzione fino ai giorni nostri, i competitor e
capiremo cosa c‟è dietro l‟enorme popolarità della “Smartina”!
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I. DALLE “BUBBLECAR” ALLE “CITYCAR”
1.1 – “Mivalino” ed “Isetta”, gli albori delle vetturette
Parlare di “Smart”, ma anche di nuova “500” e di “iQ”, implica neces-
sariamente introdurre l‟argomento parlando di tricicli e quadricicli pas-
sati alla storia come “Bubblecar”, sicuramente identificabili come le
vere antenate del concetto di auto compatte adatte al traffico cittadino.
Si tratta di “vetturette” assolutamente originali che ancora oggi stupi-
scono per il loro design e per le soluzioni tecniche adottate.
Con il termine di “Bubblecar” si intendono le vetturette degli Anni
Cinquanta di piccole dimensioni collocabili tra i motocicli e le automo-
bili, ovvero quelle che oggi si chiamano micro-car. Negli anni seguenti
al Secondo Dopoguerra ebbero molto successo per l‟economicità del
prezzo d‟acquisto e di gestione; nonostante fossero un‟idea nata in Ita-
lia, proprio nel nostro Paese incontrarono però difficoltà a diffondersi a
causa dell‟ostilità manifestata dalla Fiat che scoraggiava gli autosaloni
a venderle. Molti brevetti italiani trovarono comunque diffusione in al-
tri Paesi europei. L‟importanza di queste vetturette degli anni Cinquan-
ta si può individuare soprattutto nelle interessanti soluzioni stilistiche e
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nelle geniali intuizioni progettuali e motoristiche che, in alcuni casi, of-
frono risultati che hanno contribuito a scrivere la storia
dell‟automobile.
È il “Dizionario Moderno” dell‟editrice milanese Hoepli del 1923 a
fornire per la prima volta una definizione del termine “vetturetta”: «Au-
tomobile con un telaio di piccola potenzialità. La forma della carrozze-
ria non conta». Eppure, agli occhi di un non-esperto di cilindri e di pi-
stoni, è proprio la forma della scocca a rendere queste microcar irresi-
stibilmente curiose. Forme buffe, avvolgenti, a uovo o a bolla (da cui
bubble), le “Bubblecar” colpiscono per la bizzarria del loro design in-
dustriale che, a dispetto dell‟epoca in cui vennero costruite, sembra an-
ticipare di molti decenni quello delle nostre contemporanee citycar. Nel
1921, la “Prince”, antesignana delle odierne macchinette, viene costrui-
ta a Torino dalla “Vittorio Carena e Mazza”. Non si può tuttavia soste-
nere che il mercato italiano la accolga con esagerato entusiasmo:
«Scarsa propensione per l‟innovazione dello schema classico
dell‟automobile» decretano infatti i cronisti dell‟epoca sui gusti degli
italiani. Intorno al 1936, però, la Fiat Balilla e la 500 Topolino vengono
pubblicizzate come “Nuove piccole grandi vetture del risparmio e del
lavoro. Ultra utilitarie per consumi, veloci come auto di lusso” ed i ci-
negiornali dell‟Istituto Luce, che informano anche sui modelli stranieri,
dalla “Pou de la Route” (pulce della strada) alla “Rytecraft”, enfatizza-
no le loro performance lillipuziane, mostrandole entrare e uscire da un
cottage americano, come da un appartamento parigino, o addirittura
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raggiungere l‟ottantasettesimo piano di un grattacielo newyorkese. In-
curanti del gigantismo stradale di camion e di altri veicoli di più norma-
li dimensioni, le macchinette, da 220 a massimo 283 centimetri di lun-
ghezza quando si esagera, negli Anni Quaranta si presentano come una
concreta soluzione ai problemi del traffico e per parcheggiarle fra
un‟auto e l‟altra, strombazza la pubblicità, che ci vuole? Basta sollevar-
le a mano.
Abbiamo citato la “Rytecraft”, ed occorre spenderci qualche parola in
quanto è uno dei primissimi modelli di microcar sul mercato ed indub-
biamente il più rappresentativo.
La Scootacar “Rytecraft” era una microcar inglese costruita dalla “Bri-
tish Motorboat Manufacturing Company” a Londra, tra il 1934 ed il
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1940. La società più tardi cambiò il suo nome in “BMB Engineering”.
È possibile che alcuni esemplari possano essere stati assemblati dopo il
1945. Questa vettura molto piccola prende origine dalle macchinine au-
toscontro utilizzate nelle fiere ed è azionata elettricamente. Nel 1934 il
designer Jack Shillan cambiò il motore con un propulsore monocilin-
drico 98 cc Villiers Midget, e la microcar fu venduta per uso strada-
le. La trasmissione era ad unica velocità ed era gestita da un singolo
pedale che apriva la valvola a farfalla. La frizione era automatica e
l‟auto non aveva ammortizzatori. Si dice che potesse essere in grado di
raggiungere 15 mph (25 km/h). Il corpovettura era aperto, non aveva
alcun tipo di tetto e il divanetto era monoposto. Più o meno dal 1939 in
poi, la “Rytecraft” ha avuto un‟iniezione di potenza grazie ad un pro-
pulsore maggiorato a 250 cc, un cambio a tre velocità e classici coman-
di a pedale. La velocità massima raggiunge 40 mph (65 km/h). L‟auto
viene dotata di due posti e luci elettriche. Fu costruita anche una ver-
sione commerciale, la “Scootatruck”, ed alcuni esemplari per pubblicità
furono disegnati sullo stile di modelli Vauxhall e Chrysler. Furono pro-
dotti circa mille esemplari. Nel 1960 Jim Parkinson ne ha guidato uno
per 15000 miglia (24.000 km) attraversando tutto il mondo ed era un
modello con il monocilindrico 98 cc. Diversi esemplari sopravvivono
tutt‟ora ed uno è in mostra al Brooklands museum.
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Il primo modello però a potersi fregiare del titolo di “Bubblecar” è sen-
za dubbio il “Mivalino”:
motoscooter cabinato a tre ruote presentato al Salone del Ciclo e Moto-
ciclo nel 1953 e costruito su licenza della Messerschmitt (azienda tede-
sca costruttrice di aeromobili militari) quale copia del KR-175 tedesco.
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Si trattava di un motoveicolo cabinato a tre ruote con motore 175 cc a
due tempi raffreddato ad aria, avviamento elettrico e retromarcia. Era
lungo appena 2,82 metri e pesava soltanto 175 kg. Poteva ospitare due
persone, guidatore e passeggero, su due sedili allineati longitudinal-
mente. Era commercializzato nelle versioni “Normale” ed “Extra”. I
consumi erano da record, solo 3 L/100 km pur raggiungendo la rispet-
tabile velocità di quasi 90 km/h. L‟idea era quella di contribuire alla
motorizzazione del Paese fornendo ai ceti medi un‟alternativa econo-
mica alle automobili del tempo. Il successo però fu limitato ed i modelli
Fiat degli anni immediatamente successivi offuscarono presto il “Miva-
lino” e di questo parleremo nel prossimo paragrafo.
Se il “Mivalino” ha rappresentato la nascita delle “Bubblecar”, un‟altra
auto a bolla rappresenta il simbolo di un‟epoca, quegli anni Cinquanta
impegnati nella ricostruzione e nella ripresa economica, e mi riferisco
alla “Isetta”, una microvettura che venne prodotta dalla casa automobi-
listica italiana Iso tra il 1953 ed il 1956 e, su licenza, dalla tedesca
Bmw tra il 1955 ed il 1962. Per capire le origini della più popolare tra
le microvetture del dopoguerra, occorre fare un salto indietro nel tem-
po, esattamente fino al 1939, anno in cui Renzo Rivolta fondò la Iso,
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una ditta con sede a Bolzaneto (GE), specializzata in impianti di refri-
gerazione ad uso industriale o privato. Nel 1943, la Iso si trasferì
a Bresso, in provincia di Milano (la fabbrica era ai tempi famosa per i
suoi scooter e, dal 1998, per la “Isigò” prodotta a Foligno), dove alla
precedente attività si aggiunse anche quella di produzione di elettrodo-
mestici. Terminata la Seconda guerra mondiale, però, Renzo Rivolta si
accorse che una delle maggiori esigenze e priorità della popolazione i-
taliana era quella di potersi spostare tramite un mezzo di locomozione
che fosse economico, molto più di un‟automobile a buon mercato come
lo era la Topolino di quegli anni. Decise quindi di convertire la produ-
zione di elettrodomestici a quella di motociclette. Fu così che nacquero
modelli di un certo successo. Ma dopo tali piccoli successi, Renzo Ri-
volta decise che era arrivato il momento di passare alla produzione au-
tomobilistica. La ragione sociale della ditta fu perciò mutata in “Iso
Autoveicoli SpA”. Ciò che aveva in mente era un automezzo che stesse
a metà strada tra una motocicletta ed una Topolino. Doveva, cioè, esse-
re semplice come una moto, ma con carrozzeria chiusa come un‟auto.
La filosofia costruttiva di Renzo Rivolta nel settore delle automobili era
quella di privilegiare prima di tutto la comodità ed il comfort dei pas-
seggeri, nonché un‟oculata sistemazione della meccanica all‟interno del
corpo vettura: la carrozzeria sarebbe stata modellata solo a quel punto,
sulla base delle specifiche precedenti. Per realizzare la nuova vetturetta,
Renzo Rivolta si affidò a due vulcanici personaggi, giovani ma con un
significativo passato alle spalle in campo aeronautico: Ermenegildo