Introduzione Introduzione Partendo da un concetto "classico" di programmazione, aggettivare
questo istituto col termine "negoziata" sembrerebbe creare una
contraddizione in termini.
Accostare infatti l'idea di programmazione, da sempre forma di
esercizio del pubblico potere in senso autoritativo e discrezionale 1
,
con quella di negoziazione, ovvero di incontro di volontà e di interessi
al fine di giungere ad un consenso, può sembrare a prima vista
un'operazione difficoltosa, se non improbabile.
Tuttavia l'evoluzione della scienza del diritto amministrativo ha
permesso un lento e graduale passaggio da un'amministrazione
monolitica ed intrinsecamente autoritativa nel suo modo d'agire, ad
un'amministrazione più "aperta" alle istanze dei privati.
La graduale presa d'atto da parte dei pubblici poteri dell'insufficienza,
e talvolta dell'inappropriatezza, degli strumenti autoritativi di azione
amministrativa, ha favorito la nascita in via di prassi di alcune forme
di intesa ed accordo.
L'accettazione di tali forme di accordo tra soggetti pubblici avvenne in
tempi relativamente rapidi da parte della dottrina, seppur dopo alcune
resistenze iniziali; viceversa più dubbi suscitò la possibilità per
l'amministrazione statale di giungere ad una determinazione delle
scelte attraverso la contrattazione con alcuni soggetti privati.
Tale eventualità fece emergere forti critiche, essenzialmente basate
sull'opportunità e sull'ammissibilità del fatto che gli interessi pubblici,
di cui da sempre è portatrice l'amministrazione, potessero subire
mitigazioni se messi a confronto e contrattati insieme a quelli più
"ristretti" dei privati.
Inoltre, inizialmente, era impensabile accettare che l'amministrazione,
espressione del potere pubblico per eccellenza, si potesse confrontare
1 Associata anche ad una concezione di amministrazione posta in una condizione di supremazia rispetto ai privati
cittadini, non più sul modello del rapporto "suddito-sovrano" ma comunque sempre intesa gerarchicamente.
1
Introduzione su di un piano sostanzialmente paritario rispetto al privato; cosa che
sarebbe naturalmente avvenuta qualora, invece, ci fossero state
contrattazioni tra questi due soggetti.
Unitamente a queste problematiche in dottrina sorse un acceso
dibattito circa l'eventualità di poter ammettere l'istituto costituito dal
contratto di diritto pubblico, una sorta di tertium genus tra il
provvedimento ed il contratto di diritto comune, come strumento con
cui poter qualificare una serie di atti amministrativi.
Tali elaborazioni furono infruttuose per il nostro paese ed il contratto
di diritto pubblico non venne mai ammesso nè ritenuto di opportuno
inserimento nel nostro sistema dalla dottrina maggioritaria, il tutto
diversamente da quanto avvenne in Germania, dove invece questa
figura venne positivizzata ed introdotta nell'ordinamento.
Questo dibattitto, tuttavia, aveva creato il clima ideale dal punto di
vista dottrinario, che si associava ad un clima culturale di forte crisi
del potere autoritario statale, per poter inserire con forza e per la
prima volta nel nostro ordinamento una forma di positivizzazione del
principio di consensualità.
Furono infatti le due leggi di sistema degli anni novanta, ovvero la
legge 8 giugno 1990, n. 142, e la legge 7 agosto 1990, n. 241, ad
introdurre sul panorama positivo forme di accordi sia tra
amministrazioni 2
che tra amministrazioni e privati 3
.
E proprio nella categoria degli accordi tra amministrazioni, ed anzi
come superamento della stessa, si tenterà di inserire, nel corso di
questo lavoro, le figure dettate dai commi 203 e seguenti dell'art. 2
della legge 23 dicembre 1996, n. 662, che costituiscono il primo
tentativo di dare una unitaria fonte 4
alla disciplina della
programmazione negoziata.
2 Ovvero gli artt. 24 e 27 della legge 8 giugno 1990, n. 142 (oggi artt. 30 e 34 del T.U.EE.LL.) e l'art. 15 della legge 7
agosto 1990, n. 241.
3 Inseriti essenzialmente con l'art. 11 della legge 241/1990.
4 Che si vedrà come risulti sostanzialmente fallito a causa dell'affastellamento normativo che ha fatto diventare
sempre più urgente la redazione di un testo unico in questa materia.
2
Introduzione Le intese istituzionali di programma, gli accordi di programma quadro,
i patti territoriali, i contratti di programma ed i contratti d'area,
rappresentano le figure essenziali di questa disciplina che sembra
affondare le proprie radici nelle iniziative di intervento straordinario
nel Mezzogiorno degli anni settanta ed ottanta.
Oggi però la programmazione negoziata è stata riparametrata secondo
schemi atti ad operare su tutto il territorio nazionale, al fine di
favorire lo sviluppo economico, soprattutto per quanto riguarda le aree
depresse.
Ma non solo l'intervento straordinario nel Mezzogiorno sembra essere
la base da cui tale disciplina trae le sue origini; non possono infatti
essere dimenticate nella sua trattazione le esperienze ed i contributi
provenienti da forme di programmazione come l'urbanistica
contrattata.
La materia urbanistica rappresenta infatti uno dei "laboratori" del
diritto amministrativo, in cui spesso vengono "sperimentati" istituti
innovativi da estendere poi ad altri settori; e proprio l'urbanistica
contrattata, ovvero la possibilità di codeterminare i contenuti della
programmazione urbanistica tra amministrazione e privati, pare aver
dato un contributo essenziale alla possibilità per i privati di contrattare
e negoziare le scelte programmatorie generali.
La programmazione negoziata si pone dunque come disciplina con basi
apparentemente solide e, per certi aspetti, come strumento innovativo
per garantire uno sviluppo economico che non viene più "impostato"
dall'alto e dal centro, ma viene negoziato con gli imprenditori privati
da parte di soggetti pubblici anche locali.
Dunque la "trasformazione dello Stato in senso federalista"
5
, per
utilizzare un'espressione proveniente dalla stessa normativa sulla
programmazione negoziata, iniziata con la cosiddetta riforma
Bassanini del 1997, permette di regionalizzare, e quindi decentrare, le
5 Punto 1.1 della Delibera Cipe 21 marzo 1997, a proposito delle intese istituzionali di programma.
3
Introduzione politiche di sviluppo locale rappresentate da questa disciplina.
Quindi sempre di più la programmazione negoziata diviene strumento
di sviluppo locale, affidato in molte sue parti agli stessi enti locali, e
che punta sulla valorizzazione del territorio e delle realtà locali e delle
iniziative locali al fine di raggiungere un'uniforme situazione di
sviluppo economico su tutto il territorio nazionale.
Gli strumenti che permettono di fare tutto ciò e di consentire di
rendere più "economicamente appetibili" le zone su cui si decide di
intervenire, si basano spesso sull'assunzione di impegni in senso
semplificatorio e di aiuti finanziari da parte dei soggetti pubblici per
creare un " humus " favorevole allo sviluppo ed agli investimenti.
In questo scenario ovviamente pare scontata la partecipazione attiva
dei soggetti economici privati, al fine di portare capitali ed
investimenti che, in assenza degli interventi frutto della
programmazione negoziata, forse sarebbero stati destinati altrove.
4
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
CAPITOLO PRIMO CONSIDERAZIONI GENERALI SULL'IDEA DI
PROGRAMMAZIONE E PIANIFICAZIONE Sommario: 1.1 La programmazione in generale; 1.2
Programmazione e pianificazione: idee affini o differenti?; 1.3 La
nascita della programmazione economica; 1.4 Il principio di
consensualità nel diritto amministrativo; 1.5 Dalla crisi
dell'urbanistica all'urbanistica “contrattata”; 1.6 La nascita di
una programmazione “negoziata”; 1.7 La programmazione
negoziata come affermazione di principi ulteriori rispetto a quello
di consensualità; 1.8 Il problema della compatibilità dell'accordo
amministrativo con le materie della programmazione e della
pianificazione.
1.1 La programmazione in generale Il termine programmazione rappresenta certamente un concetto
polisenso che varia profondamente a seconda della materia in cui esso
viene utilizzato.
La nozione di programmazione, come osserva Massimo Severo
Giannini, è di per sé “abbastanza innocente”, nel senso che da sempre
i pubblici poteri fanno delle programmazioni; il programmare in senso
generale non è un'innovazione recente, lo troviamo già nel XVI secolo
con il bilancio preventivo dello Stato e dei municipi ed anche nel
XVII secolo con i primi piani regolatori territoriali; è la
programmazione economica generale ad essere invece uno strumento
5
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
più recente 1
.
Nel diritto amministrativo il termine programmazione è utilizzato per
indicare un modo di dispiegarsi e di svolgersi dell'azione statale,
all'interno dei settori nei quali il potere pubblico intende intervenire 2
.
Più compiutamente, anzi, la programmazione indica il complesso di
atti mediante i quali l'amministrazione individua le misure per
intervenire in un dato settore, dopo aver proceduto ad una valutazione
della situazione nella sua globalità 3
.
La programmazione ha assunto poi, nel mondo giuridico, una doppia
connotazione, ovvero quella di modello conformativo delle dinamiche
economiche nazionali ai contenuti e, soprattutto, ai valori dell'ultimo
comma dell'art. 41 della Costituzione e, parallelamente, di espressione
di una volontà del potere pubblico di autolimitare la sua
discrezionalità, onde intrattenere rapporti con altri centri di potere
pubblico e privato 4
.
Per quanto riguarda il primo aspetto è opportuno ricordare come la
Costituzione, nel terzo comma dell'art. 41, preveda la possibilità per la
legge di determinare “i programmi e i controlli opportuni perché
l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e
coordinata ai fini sociali”. Questa norma appare certamente legata ad
un'ideologia datata, priva per molti di una reale precettività, ma
tuttavia delinea perfettamente l'idea di uno Stato che deve agire come
moralizzatore di una politica economica che dovrebbe tendere al
rispetto di principi solidiaristici, validi sia per la sua stessa azione che
per quella dei privati.
L'idea di una programmazione, invece, letta nell'ottica di autolimite ai
poteri discrezionali della pubblica amministrazione è un'accezione
della programmazione che la proietta tra quegli istituti del diritto
1 M. S. G IANNINI , Diritto pubblico dell'economia, Bologna 1985, pag. 292; A. P REDIERI , Pianificazione e costituzione,
Milano 1963, passim ; G. AMATO , Economia, politica e istituzioni in Italia, Bologna 1976, passim .
2 R. F ERRARA , La programmazione « negoziata » fra pubblico e privato, in Dir. Amm. 1999, pagg. 430 e seg.
3 E. C ASETTA , Manuale di diritto amministrativo, Milano 2007, pag. 340.
4 R. F ERRARA , La programmazione « negoziata » fra pubblico e privato, op. cit.
6
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
amministrativo più moderno, che vedono l'affievolirsi
dell'autoritatività statale in favore di un sempre più ben accolto
principio di consensualità, ma di questo principio e della sua forza
dilagante nel diritto amministrativo si parlerà in seguito.
7
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
1.2 Programmazione e pianificazione: idee affini o
differenti? In epoca moderna è stato introdotto nel sistema giuridico, accanto al
termine di pianificazione, anche quello di programmazione e di
programma e, proprio da questa duplice classificazione di un
fenomeno che apparentemente sembrava identico, è sorto un dibattito
circa le eventuali differenze che in questi termini si possano ravvisare.
In particolare in un'economia “mista”, come quella italiana del
secondo dopoguerra, in presenza del riconoscimento costituzionale
della libertà di iniziativa economica privata, molti giuristi si
interrogarono sulla reale costituzionalità di una pianificazione
economica, e non furono pochi quelli che avanzarono serie perplessità
circa l'ammissibilità, nel nostro sistema, di una pianificazione con i
caratteri della globalità e dell'imperatività 5
.
Persino il termine “piano” fu contestato: si suggerì infatti di riservare
tale locuzione ai piani di sviluppo dei paesi socialisti, e di designare
col termine “programma” gli schemi di sviluppo dei paesi ad economia
mista come il nostro 6
.
Gli economisti, già negli anni Trenta, furono i primi ad attribuire due
sfumature differenti a questi termini, considerando la programmazione
ed il programma qualcosa di meno impegnato e più circoscritto
rispetto ad una vera e propria pianificazione dell'economia, ritenuta
terminologia più ampia e generale 7
.
Tale differenziazione fu accolta anche da taluni in ambito giuridico
inizialmente, sulla convinzione per cui i programmi non siano piani e
l'economia programmata non sia quella pianificata 8
, portando a
considerare il programma coma una indicazione generale di condotta
5 Ex multis F. SALVIA , La programmazione economica, Palermo 1988, pag. 4.
6 Ivi.
7 M. S. G IANNINI , Pianificazione, in Enciclopedia del Diritto, Giuffrè 1987, pagg. 629 e seg.
8 Questo anche grazie alla suggestione linguistica che alcuni subirono da ragionamenti come quelli del Mazziotti per
cui “nessuno direbbe che un generale esegue un programma di battaglia e un musicista un piano di concerto”.
8
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
del soggetto che lo fa proprio; mentre il termine “piano” avrebbe
indicato un progetto studiato e combinato che si vuole imporre, o può
imporsi, ad altri soggetti 9
.
Questi “inammissibili” assunti tuttavia causarono delle ripercussioni
nel diritto costituzionale portando molti a sostenere che, poiché il
comma 3 dell'art. 41 Cost. parla di programmi e non di piani, esso
consente una programmazione solo indicativa settoriale e non una
pianificazione, né cogente e né globale e comunque non avente
insieme le due caratteristiche 10
.
Invero non sembra che tale differenziazione etimologica tra le due
terminologie sia stata colta dalla normativa vigente, rendendo
possibile quindi affermare che tale querelle abbia oramai solamente
più un interesse di tipo storico-filologico, o quantomeno possa avere
ancora una sua rilevanza negli studi degli economisti, più che in quelli
dei giuristi, che quasi unanimemente concordano sull'identità e sulla
sinonimia di questi due termini.
Nel mondo giuridico, infatti, i termini pianificazione e
programmazione sono utilizzati piuttosto indistintamente e
promiscuamente; ad essi si associa, comunque vengano usati,
un'attività di durata proiettata nel futuro che parta da dei presupposti e
delle necessità, si sviluppi in un progetto, valuti la realizzabilità di
esso e curi il suo finanziamento, così come la sua realizzazione, al
fine di giungere ad un risultato.
La dottrina giuridica ha oramai accettato in larga parte questa affinità
tra termini 11
, proprio per la consapevolezza che “è assai dubbio che le
normazioni positive, allo stato in cui sono, conoscano tale
distinzione”, con solo rare eccezioni in alcune categorie del diritto
amministrativo come per esempio il diritto urbanistico, in cui, come
Massimo Severo Giannini fa notare, “è riscontrabile una differenza tra
9 A. P REDIERI , Pianificazione e costituzione, op. cit., pag. 97.
10Ivi.
11Si veda per tutti E. C ASETTA , Manuale di diritto amministrativo, op. cit., pag. 340.
9
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
programmi (per esempio i programmi di fabbricazione) e piani (per
esempio piani regolatori generali), ambedue specie del genere
strumento urbanistico, i secondi però contraddistinti da una maggior
forza giuridica” 12
.
Proprio in forza di queste considerazioni in questo lavoro i termini di
pianificazione e di programmazione verranno trattati come sinonimi,
nello stesso modo in cui fa, d'altronde, la maggioranza della dottrina
giuridica e con cui pare opportuno concordare pienamente.
12M. S. G IANNINI , Diritto pubblico dell'economia, op. cit., pag. 299.
10
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
1.3 La nascita della programmazione economica
Il secondo dopoguerra fu caratterizzato, in Italia come nel resto
d'Europa, da una forte spinta economica, il cosiddetto “miracolo
economico”, durante il quale si poterono osservare, anche in un clima
di instabilità politica, dei tassi di crescita del reddito e delle
esportazioni davvero notevoli.
L'imprenditoria, oramai non più sensibile alle turbolenze, agli egoismi
e ai corporativismi della classe politica, si rese protagonista di un
percorso economico che bruciò le tappe dello sviluppo, portando in
pochi anni l'Italia ad essere uno dei paesi europei economicamente più
solidi; una nota di colore su tal punto potrebbe essere rappresentata
dal conferimento al nostro paese dell'oscar del Financial Times come
Stato con la moneta più stabile: la lira italiana 13
.
Tuttavia una tale spinta propulsiva, o meglio “autopropulsiva” 14
,
dovuta alla favorevole congiuntura internazionale, alla moderazione
della politica sindacale sul fronte delle rivendicazioni salariali ed alla
“voglia” di ricostruzione e normalizzazione della società dopo lo
shock della guerra, non era destinata a continuare con tali regimi e
comunque a creare un'economia stabile.
La poca stabilità prospettata da molti economisti, primo fra tutti
Pasquale Saraceno, si basava sulla poca fiducia sull'imprenditoria
italiana di sapersi innovare, e dunque mantenere il passo con i
competitori stranieri, dopo la fine di un periodo di autarchia e l'inizio
di un periodo di fisiologico entusiasmo e spinta ai livelli dei mercati
stranieri, non destinato però a durare.
Il passaggio, poi, da un'economia quale era quella del Ventennio
fascista, ad un'economia di mercato consumistica e fiorente, come
quella quella del secondo Dopoguerra, aveva accentuato la crepa tra il
13E. C ARUSO , Storia ed economia italiane negli anni '50 e avvio anni '60, in www.impresaoggi.com, pagg. 23 e seg.
14M. C ENTORRINO , G. F. L O PRESTI , Strumenti di sviluppo locale: la programmazione negoziata, dalla nascita alle recenti
evoluzioni, Bari 2005, pag. 11.
11
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
Meridione ed il Settentrione d'Italia; lasciando il primo “aggrappato”
ad un'economia basata sull'agricoltura di sussistenza, ed il secondo,
più moderno ed industrializzato, lanciato verso i modelli meno
“provinciali” del resto d'Europa. Tale clima favorì grandi flussi di
immigrazione dal Sud al Nord della nostra penisola 15
, creando un
divario e delle problematiche di cui la Politica doveva iniziare a farsi
carico.
Fu proprio in questo scenario che acquisì peso e rilievo nella
legislazione statale il tema della programmazione economica
nazionale.
Iniziò un periodo che vedeva sempre più al centro della vita
economica e politica italiana uno Stato-padrone, con la giustificazione
per cui il capitale privato non sarebbe stato “pronto”, poiché ancorato
a soggetti culturalmente ancora arretrati.
In tutto ciò l'amministrazione pubblica, già imbevuta di cultura
corporativa, vide riversare in se una ingente quantità di fiducia e
denari che, viceversa, all'impresa privata non furono concessi 16
.
L'idea di fondo della Politica italiana degli anni sessanta, e
segnatamente della stagione politica del centro-sinistra, era quella per
cui colui che fosse giunto al potere grazie al favore del voto popolare
avrebbe dovuto governare, e dunque porre in essere scelte che la
pubblica amministrazione avrebbe dovuto attuare con la massima
autoritatività, non c'era alcuno spazio per le istanze dei privati 17
.
In questo clima si vide nella programmazione economica lo strumento
con cui al tempo stesso coordinare gli interventi settoriali delle varie
15Famoso è il cd. “triangolo industriale” Milano-Torino-Genova.
16E. C ARUSO , Storia ed economia italiane negli anni '50 e avvio anni '60, op. cit.
17A tal proposito si veda G. A MATO , Economia, politica e istituzioni in Italia, op. cit., pagg. 165 e segg., in cui lo stesso
autore, con particolare riferimento alle materie dell'urbanistica e dell'edilizia, afferma che “da un lato venivano
difese aspramente le posizioni di rendita e la libertà nell'uso edificatorio, dall'altro (da sinistra cioè) si fu aggressivi e
punitivi tanto nei confronti dei proprietari, quanto nei confronti dei costruttori, senza percepire il conflitto fra i due
gruppi di interesse, che nel '60 stava nascendo e che più tardi si sarebbe reso manifesto”, e continua affermando
come emerse “un modulo decisionale per giustapposizione, anziché per sintesi, che è una costante del periodo e nel
quale meglio si esprime il coinvolgimento delle sinistre nelle regole del gioco impostate dai loro interlocutori
politici”.
12
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
autorità governative ed eliminare le distorsioni dello sviluppo
economico, nate e cresciute negli anni del “miracolo economico”.
Gli atti di programmazione si susseguirono a ritmo incalzante, dal
piano Giolitti, al piano Pieraccini, fino al primo programma
economico nazionale per gli anni 1966-1970
18
, tutti col medesimo
obiettivo, ovvero quello di porre rimedio, o quantomeno rendere meno
gravosa, la divisione economica tra il meridione ed il settentrione
d'Italia, attraverso strategie di incentivi al Sud e disincentivi al Nord.
Tutti questi atti, giova ripeterlo, erano imperniati su un'idea di
amministrazione assolutamente autoritativa e poco, se non per nulla,
aperta alle istanze dei privati; rivestivano cioè quella che in questo
lavoro chiameremo una forma di “vecchia programmazione”.
La massima espressione della volontà della Politica italiana degli anni
sessanta di rimediare a quello che si vedeva come un errore, ovvero la
mancata pianificazione negli anni del boom economico, fu il progetto
di sviluppo denominato “Progetto 80” 19
; l'obbiettivo che si prefiggeva
questo ambizioso atto di programmazione era quello di azzerare il gap
di sviluppo tra Nord e Sud della penisola.
Anche se erano solo semplici accenni, in questo progetto erano
menzionate alcune tra le prime forme di “contrattazione
programmata”, ovvero una prassi, già attiva durante gli anni sessanta e
settanta tra Stato ed imprese, che permetteva, attraverso contatti
diretti con le imprese più grandi, di avviare progetti ed iniziative
industriali connessi tra loro in modo da “costruire insieme condizioni
di convenienza che non si sarebbero potute soddisfare per ciascuna
iniziativa singola” 20
.
Il bilancio di questo progetto risultò fallimentare, salvo qualche
miglioramento economico in alcune zone, proprio per le modalità con
cui fu attuato. Esso, infatti, operò un intervento di carattere
18M. C ENTORRINO , G. F. L O PRESTI , Strumenti di sviluppo locale: la programmazione negoziata, op cit., pag. 12.
19Ibidem, pagg. 13 e seg..
20G. SANVITI , Gli accordi fra lo Stato e le imprese nel quadro della contrattazione programmata, Milano 1974, pagg. 5 e
seg.
13
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
centralizzato, senza un vero ed attivo coinvolgimento dei soggetti
economici e politici dell'area interessata, e ciò non permise di
raggiungere risultati adeguati.
Negli anni ottanta e novanta il tema dello sviluppo economico e del
suo legame con la programmazione è tornato ad interessare gli
economisti ed i giuristi, per la sempre crescente necessità di mitigare
l'interesse pubblico di sviluppo con interessi altri, quali l'ambiente, la
sostenibilità dello sviluppo, l'utilizzo razionale delle risorse e del
territorio, introdotti anche dalla sensibilità del legislatore comunitario
e dunque dal confronto con gli altri sistemi giuridici e culturali
europei.
Di fronte poi ad un tema così rilevante ma incerto come la
Globalizzazione, i poteri locali hanno affermato la loro esigenza di
rappresentazione e protezione da parte delle sfere “alte” del potere
pubblico; cercando di far ascoltare la loro voce ai livelli di quell'alta
amministrazione in cui, fino a qualche decennio prima, non erano
ammesse intrusioni.
In questo scenario irrompe con forza il principio di consensualità,
anche in una sfera del diritto, ovvero quella pubblica, ove fino a
qualche tempo prima si pensava assolutamente inconciliabile col
potere statale; e tutto ciò al fine di creare quella “nuova
programmazione” di cui in questo lavoro ci si vuole specificatamente
occupare.
14
Capitolo primo – Considerazioni generali sull'idea di programmazione e pianificazione
1.4 Il principio di consensualità nel diritto amministrativo E' alla Commissione Nigro ed alla sua proposta di riforma del
procedimento amministrativo, elaborata negli anni ottanta, culminata
nel disegno di legge Goria e che porterà alla grandissima innovazione
della legge del 7 agosto 1990 n. 241, che si deve attribuire
l'introduzione, nel panorama nazionale del diritto amministrativo
positivo, di una prima forma di principio di consensualità operante sia
nei rapporti tra pubbliche amministrazioni tra loro (art. 15 della L.
241 del 1990
21
) che tra privati e pubbliche amministrazioni (art. 11
della medesima legge).
Un principio, quello voluto dal prof. Mario Nigro, padre nobile della
riforma del procedimento amministrativo degli anni novanta, che ha
trovato terreno fertile e che ha mostrato “una pervasività, una
capacità espansiva nella cultura degli attori dei rapporti giuridici,
nelle relazioni istituzionali, nelle stesse componenti della società, e si
è imposto sino ad assumere il ruolo di principio fondante della
comunità” 22
.
Il risultato di questa grande rivoluzione, rappresentata dalla legge sul
procedimento amministrativo n. 241 del 1990, è stato, ovviamente,
frutto di una lunga elaborazione dottrinale e di riflessioni dei più
autorevoli giuristi fin dalla fine del Ventennio fascista.
Il diritto amministrativo, come ben sappiamo, è nato nella prima metà
del secolo scorso come diritto di garanzia per il cittadino difronte alla
pubblica amministrazione, espressione del potere statale, che agiva
attraverso atti autoritativi ed unilaterali, idonei ad incidere in senso
limitativo nelle sfere giuridiche dei singoli, nel sufficiente rispetto del
principio di legalità.
Questa concezione tradizionale di amministrazione viene denominata
in dottrina “concezione di tipo soggettivo istituzionale”; ovvero
21Che sarà oggetto di studio più ampio nelle prossime pagine di questo lavoro.
22A. C ONTIERI , La programmazione negoziata, la consensualità per lo sviluppo: i principi, Napoli 2000, pag. 15.
15