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storiche che hanno spinto il paese asiatico ad affidarsi alla
programmazione economica, indicando le finalità che questi primi
piani intendevano perseguire. Si è trattato di una programmazione
di tipo indicativo, tesa a ridurre la dipendenza economica
dall’estero sia mediante l’adeguamento della struttura produttiva
dell’intero paese – incentivando l’industria “pesante” – che con
l’intervento protezionistico del potentissimo Ministero
dell’Industria e Commercio Estero (MITI).
Su questa base, il secondo capitolo mostrerà i presupposti che
determinarono il “miracolo economico”, le modalità di
predisposizione ed il ruolo svolto in quegli anni dai piani di
sviluppo. I programmi economici elaborati dall’Economic
Deliberation Council di concerto con l’Agenzia per la
Programmazione Economica, pur privi di strumenti di intervento
diretto nell’economia, hanno avuto il merito di ridare fiducia a
tutto il settore industriale nipponico, grazie soprattutto alla
competenza e fama internazionale degli economisti che li
7
realizzarono. Negli anni ’60, questo ha favorito l’eccezionale
fermento imprenditoriale susseguente la pubblicazione di ogni
piano (“effetto d’annuncio del piano”) e garantito il
raggiungimento degli obiettivi di crescita perseguiti.
Nel terzo capitolo, si ricorderanno i cambiamenti economici ed
istituzionali che hanno interessato l’economia mondiale e si
sottolineeranno le loro ripercussioni sull’attività programmatoria
giapponese. In particolare, i due shock petroliferi degli anni ’70
hanno creato una crisi economica senza precedenti che ha ridotto
fortemente il ruolo svolto dall’ “effetto annuncio” dei piani. Dai
primi anni ’80, inoltre, i programmi economici nipponici,
con l’abbandono dell’uso dei modelli econometrici a scopo
previsionale, hanno assunto sempre più la fisionomia di semplici
“dichiarazioni di intenti”, indirizzati soprattutto alla riduzione del
pesante surplus commerciale accumulato negli anni ’70. I risultati
deludenti conseguiti dai piani in quegli anni ed il precipitare della
crisi economico-finanziaria della seconda metà degli anni ’90
8
– originata dall’eccessivo indebitamento degli istituti creditizi –
hanno determinato però nel 1996, l’interruzione dell’esperienza
programmatoria anche in Giappone.
Il quarto ed ultimo capitolo, individuerà i limiti insiti
nella programmazione economica realizzata, con particolare
attenzione ai modelli econometrici impiegati e all’effettiva
utilizzabilità delle politiche economiche da parte dal governo.
Fino alla seconda metà degli anni Sessanta, i modelli
econometrici giapponesi si sono basati su schemi di crescita
economica di tipo harrodiano, che per il loro carattere
estremamente aggregato e per i loro limiti intrinseci si sono
rivelati di modesta capacità previsiva, portando continuamente a
sottostimare la crescita del paese. Successivamente, sono stati
introdotti modelli sempre più complessi con l’intento di migliorare
le stime delle variabili principali. L’utilizzo delle tavole input-
output allo scopo di tener conto del principio delle interdipendenze
economiche settoriali, non ha dato, tuttavia, gli effetti sperati, e a
9
fronte di costi enormi per la loro predisposizione, scarsi sono stati
i miglioramenti nelle previsioni ottenute, soprattutto per i continui
errori di stima dei coefficienti tecnici di produzione.
Nonostante questi ed altri limiti che saranno ricordati nel corso
dello studio, va tuttavia sottolineata l’importanza che i programmi
di sviluppo economico giapponesi hanno avuto, almeno sino alla
fine degli anni Settanta, nel garantire un’elevata crescita
economica, in un clima culturale e politico in cui un’ampia fiducia
veniva riposta nelle scelte degli operatori pubblici e una grande
“credibilità” era riconosciuta ai piani: gli effetti positivi
d’annuncio sembravano in altri termini compensare le
insufficienze analitiche dei programmi economici.
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CAPITOLO 1
LE ORIGINI DELLA PROGRAMMAZIONE IN
GIAPPONE
1.1 L’economia giapponese dopo la guerra
Al termine della seconda guerra mondiale, il Giappone si
presentava come uno Stato che aveva visto annientata la sua
potenza militare ed economica, ma manteneva intatta la propria
organizzazione statale, a differenza di quanto era avvenuto in altri
paesi europei quali la Germania e l’Italia, i cui assetti istituzionali
erano notevolmente modificati.
Con il conflitto mondiale, circa un terzo della ricchezza
nazionale giapponese andò distrutta. I continui bombardamenti
degli Alleati, che interessarono le maggiori città del Paese, non
solo provocarono la morte di circa tre milioni di giapponesi, ma
11
causarono anche la totale distruzione delle più importanti vie di
comunicazione e trasporto. La superficie dell’ex Impero si ridusse
della metà, poiché esso fu costretto a restituire i territori della
Manciuria e della Corea, occupati durante la guerra. Restava un
territorio solo parzialmente abitabile, formato da numerose piccole
isole separate dal resto del mondo, non solo geograficamente.
Dal lato economico, l’apparato produttivo aveva perduto gran
parte della propria funzionalità, e la disoccupazione raggiungeva
livelli mai conosciuti fino allora.
Prima del conflitto, la domanda globale giapponese, era
costituita principalmente da due componenti: una di natura
pubblica, indirizzata prevalentemente verso scopi militari, e l’altra
di natura estera, in prevalenza ascrivibile alla domanda di beni e
servizi provenienti dai territori conquistati in Asia. La domanda
interna, molta modesta, era invece caratterizzata da una
componente privata di scarsissimo rilievo che interessava
soprattutto beni di prima necessità. Dopo la sconfitta militare, sia
12
la domanda pubblica per equipaggiamenti militari, sia quella
estera, vennero meno e un nuovo e pressante problema si pose per
il paese del Sol Levante.
Questo, infatti, doveva basare la ricostruzione economica su una
domanda globale notevolmente ridotta, costituita esclusivamente
dalle due componenti interne: quella privata e quella pubblica per
scopi civili, facendo a meno di quella militare. Questo perché, la
nuova Costituzione del 1946, imposta dal vincitore statunitense,
vietava al Giappone la possibilità di possedere un esercito
autonomo.
Dopo la resa, il Paese fu posto sotto l’egida del Comando
Supremo delle Potenze Alleate (S.C.A.P.), di cui facevano parte
oltre agli Stati Uniti anche l’URSS e la Gran Bretagna1. Tale
organo, predispose una serie di misure, non solo politiche,
finalizzate alla trasformazione della struttura organizzativa del
1
La S.C.A.P, di fatto, era saldamente controllata dagli Stati Uniti, e in particolare dal
comandante delle forze alleate gen. MacArthur, l’uomo che aveva fatto firmare
all’imperatore la resa incondizionata dell’esercito giapponese.
13
Giappone, in modo da evitare la restaurazione di un potere
autoritario.
Il piano di MacArthur e dei suoi collaboratori, mirò ad
eliminare in modo definitivo la base economica del militarismo
giapponese, attraverso lo scioglimento degli zaibatsu2 e con
l’epurazione dei funzionari pubblici maggiormente coinvolti con
le nefandezze del passato. Nel contempo, si cercò di eliminare le
cause di maggior malcontento che avrebbero potuto dare risalto
alle rivendicazioni dei partiti di sinistra. Per questo motivo furono
attuate varie riforme: quella dell’istruzione, quella agraria3 e
quella fiscale, che cercavano di creare una più equa distribuzione
dei redditi e della tassazione. Inoltre fu promossa l’espansione
delle libertà civili e politiche garantite dalla nuova Costituzione.
2
Gli zaibatsu sorsero in Giappone dopo la restaurazione Meiji (1868) come concentrazioni
industriali controllate da poche famiglie, ma, con il tempo, acquisirono non solo una
importanza economica bensì anche politica, arrivando ad influire anche sulle decisioni del
governo.
3
La riforma agraria viene definita come la più riuscita delle riforme attuate dallo SCAP, in
quanto veniva incontro ad una esigenza sentita da molti. Essa imponeva la distribuzione della
terra di proprietà di non residenti ai coltivatori che l’avevano in affitto per una cifra irrisoria,
favorendo, così, lo sfruttamento intensivo del terreno, l’aumento di produttività e dei redditi
agrari.
14
Il programma degli Alleati, non mirava a distruggere il
capitalismo in Giappone, ma tentava di imporre un nuovo
modello: da un capitalismo oligarchico sovvenzionato dallo Stato
si passava ad uno caratterizzato dalla pluralità delle imprese. Ma la
libertà in campo economico poteva verificarsi solo se, anche a
livello civile, queste si fossero affermate.
Nel periodo che va dal 1945 al 1952, l’atteggiamento degli Stati
Uniti nei confronti del Giappone passò attraverso tre fasi, ciascuna
caratterizzata da differenti politiche, che ebbero un’importanza
rilevante nel determinare il futuro assetto economico e politico del
Paese.
La prima fase è quella maggiormente punitiva, durante la quale
si mirò a distruggere la macchina bellica giapponese attraverso lo
scioglimento degli zaibatsu e imponendo al Paese pesanti
riparazioni di guerra in moneta pregiata.
A questa prima fase, in cui gli americani volevano
dichiaratamente vendicarsi dell’aggressione subita a Pearl Harbor,
15
ne seguì un'altra in cui, una più lucida considerazione
dell’evoluzione politica in corso, consigliava un diverso
approccio. Il Giappone doveva necessariamente essere in grado di
badare economicamente a se stesso e di non nuocere ad altri. Per
questo motivo, si abbandonò l’idea di esigere che le riparazioni di
guerra fossero pagate in valuta pregiata e attraverso il
trasferimento delle strutture produttive nei paesi “attaccati” dal
Giappone. Furono, perciò, permessi pagamenti in yen e in prodotti
locali (soprattutto beni capitali), consentendo così, agli interessi
giapponesi di penetrare nuovamente in quei Paesi.
In seguito, si presentò una terza ed ultima fase nella quale, il
mutato quadro politico nell’Estremo Oriente, consigliò di fare del
Giappone un alleato, da rendere forte, contro l’emergere dei Paesi
Comunisti. Obiettivo dichiarato dello S.C.A.P. era ormai la ripresa
economica e l’autosufficienza del Giappone.
In questo contesto di riconquistata fiducia e credibilità
internazionale, i maggiori economisti del Paese erano convinti che,
16
date la scarsità delle risorse a disposizione del paese e le
distruzioni causate dal conflitto, la ricostruzione economica
dovesse affidarsi ad uno strumento già utilizzato in tempo di
guerra: la politica di programmazione economica.
1.2 L’origine della programmazione economica:
1948-1955.
Già negli anni che avevano preceduto la seconda guerra
mondiale, il Giappone aveva conosciuto una pianificazione
economica molto simile a quella dei paesi socialisti. Tutta la
produzione veniva indirizzata dallo Stato a soddisfare le necessità
e i bisogni delle forze armate senza alcuna considerazione per le
esigenze della popolazione civile.
Dopo la guerra, il totale annientamento della struttura
economica, l’esigenza di ricostruire, insieme con la necessità di
razionalizzare le scarse risorse ancora disponibili, convinse prima
17
gli economisti e poi i politici dell’opportunità di programmare
l’attività economica.
Questa volta però, la riconquista delle libertà civili ed
economiche, facevano venir meno uno dei requisiti fondamentali
dei precedenti piani giapponesi: la capacità coercitiva dello Stato.
Ora bisognava fare affidamento esclusivamente sulla capacità del
governo di persuadere gli operatori privati a seguire le indicazioni
di politica economica presenti nei piani. Si passava in altri termini
da un processo di programmazione coercitivo, “pianificazione”, ad
una programmazione di natura “indicativa”.
L’occasione favorevole venne con l’elezione a Primo Ministro
del socialista Katayama il quale decise subito di avviare una svolta
in campo economico. Si varò, infatti, un “piano per la priorità
produttiva”, in base al quale quasi tutte le risorse disponibili (beni
capitali, risparmi ed aiuti americani), dovevano essere indirizzate,
sia nelle imprese pubbliche che in quelle private, verso produzioni
considerate “strategiche”, quali quelle dell’acciaio e del carbone.
18
Questo significò per la popolazione civile, ricevere solo in quantità
minima gli aiuti messi a disposizione dalle forze Alleate, al fine di
perseguire l’obiettivo dichiarato di “consumare meno oggi per
consumare di più domani”4.
La forte inflazione, dovuta alla scarsità di cibo e di materie
prime e alle enormi spese del governo per la ricostruzione,
costrinsero l’esecutivo sia ad imporre severi controlli sulla dieta
alimentare della popolazione, attraverso un ferreo blocco delle
importazioni di carne e prodotti ortofruttiferi, sia ad indirizzare la
quasi totalità degli 1,8 miliardi di dollari messi a disposizione
dagli USA, verso investimenti produttivi in settori considerati in
rapido sviluppo dagli organi governativi, appunto il settore
meccanico, chimico ed estrattivo.
4
Cfr. H. ONOE ” Indicative Type Plan as Instrument of Governmental Intervention in
Japan”, in Studi in memoria di Tullio Bagiotti, CEDAM, Padova,1988, pag. 932.
19
Tab. 1 : Ripartizione dei fondi tra i principali settori industriali.
(in milioni di yen)
SETTORI Fondi alla fine del 1946 Fondi alla fine del 1947 Fondi alla fine del 1948
ESTRATTIVO 1.036 19.874 47.519
(Carbone)
CHIMICO 561 3.751 6.030
(Fertilizzanti)
ELETTRICO 302 1.166 22.400
ACCIAIO 291 1.858 3.526
MECCANICO 835 2.806 6.521
IMPRESE PUB* - 18.199 18.188
TOTALE 5.986 59.463 131.965
per impianti 2.808 26.039 94.341
per lavoro 3.178 33.424 37.624
* La ripartizione di fondi interessano 11 imprese pubbliche nei settori chimici e meccanici.
Fonte : Recostruction Finance Bank, Fukkin yùshi no kaiko (Recostruction Finance in Retrospect),Tokyo,1951.
Il risultato conseguito attraverso quegli sforzi permise alla
“macchina produttiva” giapponese di riprendere con buon ritmo,
facendo leva anche su una riserva di lavoratori a basso costo.
Gli effetti positivi che tale piano ebbe sull’economia e la pronta
reattività del settore privato, spinsero il Primo Ministro a dare un
peso sempre più rilevante alla programmazione economica.
5
L’ESB fu istituito nel 1946 dal governo su istruzione dello S.C.A.P.. Esso, oltre che
preparare i piani per la ricostruzione economica, era chiamato a trovare i fondi necessari per
la ricostruzione. Fu grazie ai piani di investimento preparati dall’ESB che il paese potè