Quindi se da più parti il tema della qualità è stato giudicato fondamentale per la competitività non solo delle aziende ma
anche di interi sistemi economici, le banche italiane sono sembrate fino ad ora, piuttosto indifferenti a questo riguardo.
Ben presto però dovranno confrontarsi con i concorrenti stranieri, non solo sui mercati esteri, ma anche in casa,
divenendo improcrastinabile, la progettazione, e l' implementazione di sistemi di qualità totale. Il presente lavoro
intende appunto analizzare questo aspetto.
Bisogna poi precisare che gli approcci al problema del miglioramento della qualità sono numerosi, sia in letteratura che
nelle realtà aziendali, ma tutti possono essere ricondotti nell' alveo del pensiero di uno dei principali autori che, a livello
internazionale, hanno contribuito maggiormente alla diffusione del "fenomeno qualità", essi sono: Philip B. Crosby,
Walter E. Deming, Armand V. Feigenbaum, Kaoru Ishikawa e Joseph M. Juran.
Ognuno di essi, infatti, ha sviluppato un modello più o meno diverso dagli altri, ma quello a cui si farà più spesso
riferimento in questo lavoro, sarà senz' altro quello di Kaoru Ishikawa, il quale, assieme ad altri tre studiosi giapponesi
(Shigeru Mizuno, T. Asaka e Masao Kogure) ha messo a punto l' approccio detto "Company Wide Quality Control"
(CWQC).
Questo per vari motivi: innanzitutto perché il modello di Ishikawa è una rielaborazione dei pensieri di Juran e Deming,
e quindi in un certo senso li contiene, poi perché il CWQC si è dimostrato l' approccio migliore per le aziende di servizi,
e quindi per le banche, che intendano sviluppare un programma di miglioramento della qualità, perché meno ancorato
agli strumenti di controllo della qualità di origine industriale, infine perché essendo il CWQC l' approccio giapponese
alla gestione della qualità, ed essendo le aziende giapponesi leaders incontrastate in questo campo, esso ha goduto per
anni di una notevole attenzione da parte degli studiosi, che quindi hanno prodotto una letteratura sull' argomento
svariata ed abbondante.
Il presente lavoro si articola in cinque capitoli. Nel primo si tenta di sintetizzare quelli che sono gli aspetti fondamentali
del modello della qualità totale. Nel secondo si vuole spiegare come la strategia di miglioramento della qualità possa e
debba essere attuata anche dalle imprese di servizi (e quindi dalle banche) e non sia un' opzione utilizzabile dalle sole
imprese manifatturiere e industriali. Nel terzo capitolo si cerca di mettere in evidenza il perché le imprese bancarie
debbano introdurre il modello della qualità totale e nel quarto come esse debbano farlo. Infine nel quinto capitolo, ricor-
rendo alla metodologia del caso aziendale, si constaterà come il modello teorico della qualità totale sia stato applicato
nel concreto.
Italia Europa
Aspettative di rendimento 1 4
Prossimità e accessibilità dello sportello 2 5
Qualità del servizio 3 1
Percezione della solidità finanziaria 4 2
Entità delle spese e condizioni 5 3
Tavola 1. Fattori chiave di scelta di una banca per la clientela, secondo il top management
CAPITOLO 1
IL CONCETTO DI QUALITÀ TOTALE: GLI ASPETTI
FONDAMENTALI
1.1. Cronistoria della nascita e dello sviluppo di una nuova filosofia
manageriale.
1.1.1. Lo sviluppo del controllo statistico della qualità.
Il problema della qualità si pose per la prima volta, ai produttori di beni e di servizi, agli inizi di questo secolo, quando
le nuove tecnologie, l' applicazione del fordismo e del taylorismo diedero inizio alla produzione industriale di massa di
prodotti a prezzo contenuto destinati ad un alto numero di consumatori. Il controllo di qualità è infatti connaturato al
metodo della scomposizione del prodotto in una componentistica sempre più complessa, in quanto la complessità del
ciclo e del prodotto rischia di diventare ingovernabile in mancanza di un controllo ex post che rilevi le imperfezioni e
che possa dunque correggere, attraverso un feedback di informazioni, la progettazione ed il metodo di produzione.
In questa fase il problema si sostanzia nell' individuare un meccanismo operativo che consenta di separare i prodotti
buoni da quelli difettati. Tale compito viene affidato a dei collaudatori che, al termine del processo produttivo, provano
i prodotti finiti, e scartando quelli non rispondenti a standard prestabiliti consentono di far affluire sul mercato una
produzione con il minimo numero di prodotti non all' altezza di soddisfare le presunte esigenze dei consumatori.
Negli anni '30, nei Bell Laboratories, negli Stati Uniti, si introdussero i metodi statistici nel controllo della produzione.
Grazie a tali strumenti, esaminando pochi prodotti finiti, si riusciva a stabilire, mentre si produceva, se il processo
presentava delle irregolarità o meno. Misurando pochi pezzi si riusciva ad accumulare più informazioni, e di tipo più
importante, che non misurando tutti i pezzi col controllo di tipo passa/non passa, ed inoltre il costo era minore.
Questo tipo di controlli però non consentiva di risolvere i problemi che erano la causa a monte dei prodotti da scartare.
Negli anni seguenti, anche grazie all' impulso impresso dalle necessità belliche della seconda guerra mondiale, si
migliorano le tecniche di controllo, con l' introduzione di verifiche anche durante le fasi intermedie del processo
produttivo, tali interventi però, in questo periodo vengono effettuati ancora senza alcuna pianificazione.
1.1.2. La via giapponese alla gestione della qualità.
In Giappone le prime tecniche per il controllo della qualità furono introdotte dagli ufficiali dell' esercito americano, nel
periodo tra il 1945 e il 1949, cioè immediatamente dopo la resa del Giappone e la conseguente fine della seconda guerra
mondiale. Ciò fu reso necessario dal fatto che l' intero settore industriale giapponese, a causa delle distruzioni causate
dai bombardamenti alleati del periodo bellico, non era in grado di sfornare prodotti all' altezza degli standard qualitativi
delle forza armate americane, che invece ne avevano bisogno per supportare logisticamente l' occupazione
dell' arcipelago giapponese. Fu quindi il comando alleato a suggerire alle industrie giapponesi l' applicazione delle
tecniche di controllo della qualità. Il primo settore ad essere interessato fu quello delle telecomunicazioni.
Bisogna però dire che i giapponesi non erano del tutto estranei al concetto di qualità nella produzione, per cui quelle
lezioni trovarono un “humus culturale” nel quale attecchire. Infatti allo scoppio delle ostilità con gli americani in
Giappone vi erano tre livelli di qualità: al livello più basso c' erano i prodotti destinati all' esportazione, in quanto per
anni i giapponesi avevano sfruttato la maggior parte dei loro capitali, dei loro migliori managers, dei loro ingegneri e
dei loro materiali per le ambizioni imperialistiche della casta militare dominante nel paese, tali prodotti essendo i soli
conosciuti in occidente, fecero identificare in tutto il mondo il “made in Japan” con la scarsa qualità; poi c' era il
secondo gradino, occupato dal materiale militare, spesso qualitativamente superiore a quello americano (soprattutto
siluri ed aeroplani da combattimento); infine c' erano i prodotti fatti a mano secondo l' antica tradizione giapponese:
spade, carta, vasellame laccato, rame e xilografie, che unanimemente, sin dal XVI secolo, erano ritenuti superiori a
qualsiasi altro oggetto conosciuto in occidente. Quindi, anche prima della guerra, i giapponesi, in alcuni settori, avevano
raggiunto un livello di qualità competitivo ed anche superiore a quello occidentale. Lo stimolo per raggiungere tale
traguardo anche nella produzione su larga scala dei beni di consumo, fu quindi dato proprio dalla sconfitta in guerra.
Nel 1946, tecnici, professori e ricercatori giapponesi, impressionati dalle nuove metodologie statistiche per il controllo
della qualità introdotte dagli americani, e comprendendo che lo sviluppo ed il miglioramento di tali tecniche poteva
essere una delle strade da battere per risollevare le sorti delle industrie giapponesi, fondarono il Japanese Union of
Scientists and Engineers (JUSE), un' associazione privata dotata di personalità giuridica e totalmente indipendente sia
economicamente che strutturalmente dal governo giapponese, che si poneva come obiettivo la promozione dello
sviluppo e della diffusione del controllo della qualità in Giappone. L' attività del JUSE, punto d' incontro dei migliori
cervelli del Giappone, si rivelò poi una delle ragioni per cui la Qualità Totale ha riscosso tanto successo nel mondo.
Nel 1949 il JUSE crea il Quality Control Research Group (QCRG), composto, tra gli altri, dai professori K. Ishikawa, S.
Mizuno, T. Asaka e M. Kogure.
Negli anni '50, la necessità proveniente da nuovi settori quali quello aerospaziale, quello nucleare, quello petrolchimico
e quello delle telecomunicazioni, di ottenere prodotti sempre più affidabili, condusse, in tutti i paesi industrialmente
avanzati, ad ulteriori miglioramenti dei processi di controllo. Nacque così l' assicurazione della qualità, intesa come il
sistema che attraverso l' integrazione di molteplici attività concorre a determinare la qualità del prodotto. Rispetto al
passato, cioè, la novità consisteva in un approccio sistematico ed integrato alla gestione della qualità: c' è una fase di
progettazione dei sistemi di controllo della qualità, il processo viene affidato al management e si definiscono le unità
incaricate della predisposizione del sistema e dell' ottenimento della documentazione che evidenzia la qualità raggiunta.
Per la prima volta inoltre, sempre in quell' epoca, si riconosceva che la qualità dei prodotti e dei servizi era il risultato
degli sforzi congiunti di tutte le funzioni aziendali, e che ciò che contava era la qualità dei processi aziendali, e non più
solo quella dei prodotti; nacque il Total Quality Control ad opera di A.V. Feigenbaum.
Questi concetti si svilupparono e trovarono un fertile campo di applicazione nel sistema produttivo giapponese,
attraverso il contributo di due studiosi americani, W.E. Deming e J.M. Juran.
Episodio chiave per la diffusione delle tecniche di controllo della qualità in Giappone, infatti, si ha nel 1950, quando un
professore americano, il dott. W.E. Deming, appunto, su invito del JUSE, tenne due seminari ai quali assistettero
presidenti e top managers delle maggiori imprese industriali. "Non feci molto di più che spiegare che cosa deve fare il
management" - spiega Deming - "e che cosa è il controllo della qualità dal punto di vista del management. [...] Parlai
dell' importanza di imparare il controllo statistico della qualità [...]. Spiegai l' importanza del comprendere il cliente, di
fabbricare e progettare per soddisfare le sue esigenze [...]. Tutto ciò era nuovo in Giappone. Nessuno mi aveva mai
ascoltato con maggior dedizione o assorbito le mie idee più avidamente."
3
. Infine parlando degli analoghi tentativi fatti
nel suo paese Deming dice: "Durante corsi di otto giorni chiedevamo all' azienda di mandarci persone del top ma-
nagement ma quella gente non veniva. Alcuni vennero per un solo pomeriggio. Non impari concetti come questi in un
pomeriggio. Così il controllo della qualità scomparve dalla cultura americana"
4
. Tali seminari consentirono ai managers
di alto livello di apprezzare l' importanza dell' applicazione del controllo statistico della qualità nelle loro aziende. Il
successo riscosso dallo studioso americano fu tale, che nel 1951, il JUSE istituì addirittura un premio che prese il suo
nome, il “premio Deming” appunto, che da allora viene conferito ogni anno alle imprese giapponesi dotate del più
efficiente sistema di controllo della qualità. Il premio Deming ha avuto un ruolo essenziale, nell' incentivare le aziende
giapponesi all' implementazione dei sistemi di qualità totale.
Il 1954 fu la volta di un altro professore americano, il dott. J.M. Juran, a visitare il Giappone su invito della Federazione
giapponese delle organizzazioni economiche (il Keidanren) e del JUSE. Egli tenne seminari nei quali per la prima volta
introdusse l' idea che il controllo della qualità avrebbe dovuto considerarsi uno strumento per l' azione manageriale, una
opzione strategica, e non soltanto un problema tecnico. I giapponesi capirono che la qualità significava più del semplice
controllo dei prodotti difettosi e del rispetto delle specifiche di produzione. Essi cercarono di dare maggior peso alla
qualità, un peso strategico.
E' sorprendente constatare come siano stati sufficienti una serie di seminari, tenuti da due studiosi stranieri (Deming e
Juran) ad avviare l' industria giapponese su una strada completamente nuova: quella della qualità totale.
Sarebbe sbagliato, però, pensare che sia stato esclusivamente merito loro, infatti come precisa lo stesso prof. Juran:
"Secondo alcuni giornalisti e industriali la leadership mondiale del Giappone nella qualità del prodotto è il risultato
delle conferenze tenute quarant' anni fa da due americani - W. Edwards Deming e Joseph M. Juran. Se Deming e io non
avessimo tenuto quelle conferenze, insistono queste persone, la qualità dei prodotti giapponesi sarebbe rimasta all' età
della pietra. [...]. Se Deming e io fossimo rimasti a casa, i giapponesi sarebbero diventati ugualmente i leader mondiali
della qualità. Noi abbiamo dato la spinta iniziale senza la quale i giapponesi avrebbero dovuto lavorare di più e il lavoro
avrebbe potuto essere più lungo: ma essi sarebbero ugualmente davanti agli Stati Uniti nella rivoluzione della qualità."
5
,
gli stessi messaggi, infatti, rivolti ai dirigenti occidentali, erano stati sistematicamente ignorati per oltre venti anni.
Così continua il prof. Juran: "Non ho confidato loro nessun segreto. Ho detto loro quello che per anni avevo continuato
a dire a chi aveva seguito i miei interventi negli USA. La differenza stava non in ciò che io dicevo, ma in quelli che
ascoltavano. Nessuno fu più sorpreso di me quando le persone che seguivano la mia prima conferenza di due giorni in
3
Deming W.E., (intervista), The Roots of Quality Control in Japan, in "Pacific Basin Quarterly", primavera/estate
1985.
4
Ibidem
5
Juran J.M., Made in USA: la rinascita della qualità, in "Harvard Business Review" edizione italiana, Gennaio-
Febbraio 1994.
Giappone risultarono essere amministratori delegati [...] provenienti dalle più grandi aziende di produzione del paese.
[...] Quando ho tenuto le stesse conferenze negli USA, chi mi seguiva erano ingegneri e dirigenti addetti al controllo
qualità."
6
.
Nei primi anni '50 alcuni esperti giapponesi appartenenti al QCRG, tra cui il prof. Ishikawa, rielaborando ed adattando
al sistema industriale giapponese le indicazioni del total quality control di Feigenbaum ed i contributi di Deming e Juran
svilupparono quell' approccio alla gestione della qualità che tanto successo avrebbe riscosso dapprima in Giappone e
poi nel resto del mondo: il Company Wide Quality Control (CWQC). I suoi principi fondamentali furono delineati per
la prima volta nel 1968, in occasione del settimo simposio nazionale sul controllo di qualità.
Il concetto base di questo nuovo sistema manageriale era sempre quello di produrre beni e servizi di qualità, ma ciò che
contava non era più tanto il rispetto delle prescrizioni e l' affidabilità del prodotto, come accadeva nei sistemi di quality
assurance, ma piuttosto la rispondenza del prodotto all' uso che il cliente desiderava farne, la customer satisfaction.
Quindi un prodotto tecnicamente perfetto, ma che non soddisfava le richieste del consumatore, non era considerato un
prodotto di qualità. Inoltre vi era il bisogno che tutti gli operatori aziendali, indistintamente, fossero coinvolti nel
processo continuo di miglioramento e che tutte le funzioni aziendali cooperassero al raggiungimento degli obiettivi.
Con l' avvento del CWQC, la qualità cessava di essere un problema di un solo reparto, quello del collaudo, o di una sola
funzione, quella della produzione, per diventare un valore che attraversa l' intera organizzazione.
Nel 1956, in Giappone, venne inaugurata una trasmissione radiofonica per la diffusione al grande pubblico dei concetti
di base del controllo di qualità.
Durante gli anni '50, i settori industriali interessati al controllo di qualità in Giappone furono: siderurgia, fertilizzanti,
elettricità, cemento, costruzioni, tessile, chimica, meccanica, fibre sintetiche, ingegneria navale, motocicli.
Nel 1960 viene varata in Giappone la prima campagna nazionale della qualità, e fu scelto il mese di novembre come
mese della qualità, mese nel quale vennero svolte attività e manifestazioni promozionali per il controllo di qualità.
Nello stesso anno furono tenuti corsi sullo stesso tema alla televisione pubblica (NHK Television). Nel 1962, con il
patrocinio del JUSE, vennero introdotti in alcune aziende giapponesi i primi circoli della qualità. Questi si rivelarono un
ottimo strumento di supporto nell' introduzione nelle aziende di campagne per il miglioramento della qualità, e
ottennero un notevole successo non solo in Giappone (V. fig. 1) ma in tutto il mondo.
In un tempo relativamente breve, dal 1950 al 1965, il CWQC raggiunse così la maturità, realizzando in Giappone una
vera e propria rivoluzione manageriale.
Nel 1969 venne organizzata in Giappone la prima “International Conference on Quality Control”, che ebbe luogo a
Tokyo. Ad essa parteciparono delegazioni di molti paesi occidentali, testimoniando il fatto che già in quell' anno il tema
della qualità iniziava ad essere avvertito come un aspetto critico.
6
Juran J.M., op. cit.
Figura 1. Numero di circoli della qualità registrati in Giappone dal 1962 al 1987.
Negli anni '60, sempre in Giappone, il controllo di qualità venne per la prima volta applicato alle fasi di sviluppo e di
progettazione dei nuovi prodotti, diffondendosi la mentalità che la qualità non sarebbe costata se il prodotto fosse nato
con alti standard qualitativi. Inoltre sempre nello stesso periodo i settori industriali interessati dal modello del CWQC in
Giappone furono: automobile, meccanica pesante, petrolchimica, elettrodomestici, grande distribuzione.
Il 1971 fu l' anno di nascita della Japanese Society for Quality Control (JSQC), i cui membri (i principali industriali e i
massimi dirigenti giapponesi) si impegnarono a promuovere e a favorire studi e ricerche in tema di controllo di qualità.
Gli anni '70 furono gli anni delle crisi petrolifere e della recessione anche per il Giappone, che trovò nel CWQC una
specie di ancora di salvezza per le proprie imprese. Fu infatti in quegli anni che le aziende giapponesi, iniziarono a
riscuotere i primi successi internazionali grazie al nuovo sistema manageriale messo a punto negli anni precedenti,
immettendo sul mercato mondiale prodotti ad alta qualità e a prezzi bassi; nasceva il caso Giappone (V. fig. 2).
In quegli anni i settori interessati dal CWQC in Giappone furono: ristorazione, abbigliamento e si ebbero i primi
esprimenti anche tra gli istituti di credito.
Negli anni più recenti il CWQC è divenuto definitivamente uno strumento strategico per moltissime aziende giapponesi,
che ha consentito loro di primeggiare in molti settori, esso inoltre ha contribuito moltissimo alla enorme crescita
economica del paese del sol levante. Questi risultati, sotto gli occhi di tutti negli anni '80, hanno permesso la sempre
maggiore diffusione di questo approccio alla gestione della qualità.
In questo periodo il CWQC è stato introdotto, in Giappone, nei seguenti settori: ospedali, servizi, enti governativi ed
infine istituiti di credito.
Figura 2. Confronto fra Giappone e Occidente in termini di qualità.
1.1.3. Il fenomeno “qualità totale” approda in occidente.
Solo a partire dall' inizio degli anni '80 (V. Fig. 2) le aziende occidentali, e per prime quelle americane a causa della
invasione dei prodotti giapponesi del loro mercato, iniziarono a rendersi conto non solo della importanza della qualità
per il successo dell' azienda, ma anche di come la qualità non fosse solo un aspetto tecnico che interessava solo l' area
della produzione bensì un sistema che doveva coinvolgere tutti gli aspetti della vita aziendale.
Il fenomeno della qualità ha trovato impreparato l' occidente non solo nelle sue aziende ma anche nel mondo della
ricerca e dell' università, si può ben capire quindi come alcuni autori parlino di "scoperta della qualità nel mondo
occidentale"
7
avvenuta negli anni '80.
Ciò è accaduto per due motivi: il primo deriva da pregiudizi culturali, in quanto i giapponesi erano visti come degli
ottimi copiatori ma mai come innovatori per cui li si poteva temere sul piano dei prezzi e non sulla qualità; il secondo
motivo è che le aziende occidentali, a differenza di quelle giapponesi, erano sprovviste di indicatori che mettessero in
evidenza la qualità percepita dai clienti. Le aziende giapponesi, infatti, avevano sviluppato mezzi di misurazione della
soddisfazione del cliente, della competitività della qualità, della performance dei più importanti processi, e tali
misurazioni erano parte integrante degli strumenti attraverso i quali gli amministratori delegati prendevano le proprie
decisioni.
Tra i paesi occidentali, quello in cui l' introduzione di sistemi di qualità totale è allo stadio più avanzato è senz' altro gli
Stati Uniti, dove in tutti i settori si è pienamente capita l' importanza strategica di questo nuovo approccio manageriale.
L' Europa però sembra avere maggiori potenzialità, malgrado il ritardo accumulato non solo nei confronti dei
giapponesi ma anche degli americani. Questo perché nell' introdurre sistemi di qualità totale nelle aziende è
fondamentale il coinvolgimento di un' elevata percentuale delle risorse umane e ciò è direttamente proporzionale a due
fattori: l' omogeneità della cultura e delle tradizioni dei dipendenti, e il loro grado di scolarizzazione. Come è ben noto
negli USA la presenza di numerose etnie, spesso profondamente diverse tra loro, e la scarsa scolarità in quantità e
qualità, giocano a sfavore, mentre in Europa questi fattori dovrebbero costituire un importante punto di forza sul quale
fare perno nell' introdurre progetti di qualità totale.
E' curioso scoprire come il grande pubblico americano abbia saputo che colui che aveva insegnato per primo ai
giapponesi l' approccio corretto al miglioramento della qualità era proprio uno studioso americano (il prof. Deming):
attraverso un programma televisivo, trasmesso dal network NBC nei primi mesi del 1980. Infatti solo in seguito a
questa trasmissione televisiva molte aziende americane richiedettero la collaborazione del dott. Deming, che
precedentemente era stato totalmente ignorato. Ed è quindi solo a partire da questo anno che le imprese americane
iniziarono ad implementare sistemi di qualità totale.
Il passo successivo in occidente fu quello di voler cambiare la mentalità delle persone per favorire l' introduzione del
nuovo modello così diverso dal modo di gestire l' azienda occidentale. Si capì quindi che era notevolmente importante
l' aiuto delle organizzazioni governative, nacquero così le campagne nazionali della qualità in Gran Bretagna (maggio
1984) e negli Stati Uniti (luglio 1984), ed analoghe iniziative, come il “treno della qualità” organizzato nel giugno 1985
in Francia, si svilupparono un po' in tutti i paesi occidentali (in Italia nonostante i molti solleciti, non si è fatto ancora
nulla, i vari governi succedutisi in questi anni, infatti, hanno reiterato più volte un progetto per un “anno della qualità”
ed è allo studio una legge con le linee generali del sistema qualità non solo per i singoli prodotti, ma per il sistema
impresa nel suo insieme).
Nel gennaio 1988, inoltre, negli Stati Uniti, venne istituito il Malcom Baldrige National Quality Award, un premio
nazionale annuale per le aziende americane che eccellono nel campo della qualità, a somiglianza del premio Deming,
istituito decenni prima in Giappone. Questo premio, in meno di dieci anni ha già fatto scatenare, negli Stati Uniti, una
competizione tra le maggiori aziende sul campo della qualità. Infatti il National Institute of Standards and Tecnology
(NIST), che assegna il premio, riceve annualmente circa duecentomila richieste di moduli di iscrizione, a fronte di 200
domande di partecipazione alla competizione. Ciò perché le imprese usano gran parte di questi moduli per condurre
controlli interni e per capire in quali punti rispettano i criteri del Baldrige.
Anche in Europa, nel 1988, nacque un premio destinato ad aziende modello, per aver dimostrato eccellenza nel
management della qualità quale processo fondamentale di continuo miglioramento, lo European Quality Award
assegnato ogni anno dalla European Foundation for Quality Management. Tale fondazione, nata appunto nel 1988 ad
opera di un gruppo di grandi aziende europee (Bosch, BT, Bull, Ciba-Geigy, Dassault Aviation, Ab Electrolux, Fiat
Auto, Klm, Nestlè, Olivetti, Philips, Renault, Sulzar, Volkswagen), e che ora conta circa 271 associati in tutta Europa, si
propone di sviluppare e diffondere una sempre più profonda cultura della qualità e, dove necessario, supportare il
management delle aziende europee nella gestione delle politiche e strategie della qualità, così da guidarle ad accrescere
la propria posizione di competitività sul mercato mondiale. Nel 1993 la cerimonia di consegna del premio è avvenuta in
Italia, presso la struttura congressuale del Lingotto di Torino, ed ha visto la presenza del Presidente della Repubblica e
del ministro dell' industria.
7
Galgano A., La Qualità Totale, il Company-Wide Quality Control come nuovo sistema manageriale, Il Sole 24 Ore
Libri, Milano, 1990.
E' solo quindi a partire dagli anni '80, che le aziende occidentali hanno scoperto che la qualità totale era il vero
vantaggio competitivo dell' industria giapponese, ed hanno iniziato a correre ai ripari, cercando di colmare il gap
accumulato in anni di incomprensioni e superficialità. Le aziende occidentali, cioè, hanno provato ad introdurre i metodi
ed i meccanismi di miglioramento della qualità, messi a punto nel paese asiatico. I primi approcci però sono stati
senz' altro deludenti; del resto ciò era quasi inevitabile, in quanto il cambiamento proposto era enorme: dalla qualità
come aspetto puramente tecnico, alla qualità come priorità assoluta dell' azienda, così compenetrata con essa da
determinare un nuovo sistema manageriale.
1.1.4. La deludente esperienza delle aziende occidentali con i circoli della qualità.
I fallimenti sono soprattutto da addebitarsi alla mancata comprensione della vera portata della qualità totale; si è cercato
infatti di “imitare” le aziende giapponesi soltanto negli aspetti più appariscenti del modello del CWQC: i circoli della
qualità.
I circoli erano però destinati all' insuccesso perché le imprese non ristrutturarono adeguatamente le loro compagini
aziendali ed optarono per circoli non inseriti in un contesto omologo.
E' stato un grosso errore di superficialità, infatti i circoli della qualità rappresentano solo uno strumento, e neppure il più
importante, di un più vasto e profondo sistema manageriale che coinvolge tutti i livelli aziendali: dal top management
fino ai più bassi livelli operativi. La qualità totale cioè è una filosofia che deve permeare tutta l' organizzazione e non
risolversi semplicemente in meccanismi operativi da attivare in modo più o meno costante.
Furono in pochissimi ad ipotizzare che i circoli di qualità non avrebbero risposto bene al trapianto dal loro originario
contesto giapponese, in quanto nelle aziende giapponesi i circoli della qualità costituivano un aspetto parziale di un
sistema complessivo di impegno a favore della qualità: il CWQC. I circoli della qualità furono una delle primissime
iniziative giapponesi sul fronte della qualità, ma da molti anni non funzionavano più come strutture a se stanti, essendo
invece integrati nel contesto di una moderna gestione della qualità totale. I teorici giapponesi della qualità sono ben
consapevoli degli inconvenienti che si accompagnano ad una estrapolazione dei circoli dal loro contesto. Ishikawa ad
esempio, è decisamente critico nei confronti dell' uso che si fa in occidente dei circoli, in quanto egli è convinto che le
direzioni aziendali debbano istituire i circoli di qualità soltanto contestualmente all' avvio di un progetto di total quality
management
8
.
L' implementazione dei circoli di qualità in occidente rispondeva, nel periodo che va dalla fine degli anni '70 agli inizi
degli anni '80, ad esigenze totalmente estranee a quelle che hanno portato al loro sviluppo in Giappone, infatti se nel
paese del sol levante i circoli della qualità sono il modo più naturale con cui i lavoratori svolgono le loro mansioni e
risolvono i loro problemi, e la loro introduzione è stata semplicemente un aiuto all' emergere di questa innata tendenza,
in Europa essi hanno costituito la risposta utilizzata dalle aziende per fronteggiare alcune problematiche: innanzitutto i
rapporti “cronicamente” difficili con il personale, che si esprimevano da un lato nelle attività poste in essere dalle
organizzazioni sindacali, e dall' altro in un atteggiamento di sfiducia della base dei lavoratori nei confronti dei vertici
aziendali e in un loro scarso attaccamento all' azienda; l' altro problema era la notevole caduta di competitività in stretto
rapporto al ritmo con cui le aziende giapponesi introducevano sul mercato prodotti innovativi e di alta qualità a basso
costo.
Dai circoli di qualità ci si attendeva quindi non un miglioramento graduale della qualità in un contesto più ampio di
total quality management, bensì un capovolgimento del trend negativo delle relazioni industriali e che ciò fosse la
chiave di volta per recuperare la competitività perduta. I circoli della qualità quindi come mezzo di valorizzazione delle
risorse umane e non come strumento di una più ampia strategia di qualità totale.
Inoltre non si tenne conto della diversa cultura del lavoratore occidentale, più individualista ed egocentrico di quello
giapponese, per cui si verificò un fenomeno del tutto inaspettato: la scarsa adesione volontaria ai circoli. La
maggioranza dei lavoratori era a dir poco indifferente e, persino nelle imprese in cui i circoli funzionavano bene, vi
erano gruppi di dipendenti decisamente contrari. L' impopolarità dei circoli indusse i dirigenti a porsi la domanda se
convenisse insistere nell' attuazione di un disegno a cui la maggioranza dei loro dipendenti attribuiva evidentemente
scarso valore. Infatti il rifiuto della maggioranza dei dipendenti di aderire ai circoli li escludeva automaticamente dai
supposti benefici in termini partecipativi, per cui quegli effetti positivi sui rapporti sindacali non vennero avvertiti.
I vantaggi finanziari furono modesti e per di più in calo e col tempo si esaurirono quasi del tutto, le imprese che non
abolirono i circoli decisero di mantenerli in piedi per motivi di ordine “sociale” piuttosto che economico, ritenendo che
malgrado l' esaurirsi dei vantaggi di ordine finanziario e tecnico ne traessero giovamento i componenti dei circoli e le
relazioni interpersonali in genere.
Un altro fattore che causò il fallimento dei circoli di qualità in occidente, agli inizi degli anni '80 fu l' ostilità nei loro
confronti dei dirigenti di medio livello, in quanto i circoli arrecavano loro notevoli disagi e pochi vantaggi e, finivano
per introdurre nell' impresa elementi di complessità tali da turbare le strutture esistenti. Le difficoltà a questo livello
sono da imputare alle procedure formali adottate, in primo luogo alle frequenti riunioni durante l' orario di lavoro e
all' obbligo dei managers di seguirne quotidianamente i lavori e di vagliarne le proposte, con notevole dispendio di
tempo. Queste complessità organizzative, discendono dal fatto che i circoli di qualità venivano istituiti in parallelo alle
8
Ishikawa K., Che cos' è la Qualità Totale, Il Sole 24 Ore Libri, Milano, 1992.
normali strutture aziendali, ovvero come strutture aggiuntive e coesistenti con quelle preesistenti. Essi erano presenti
parallelamente alle consuete strutture burocratiche e gerarchiche, senza incidervi in alcun modo. La gerarchia dei circoli
di qualità si componeva di solito dei circoli e dei loro animatori (facilitatori) e, in alcune imprese, di un funzionario
superiore in qualità di responsabile (coordinatore) oppure di un comitato di gestione. Invece di essere integrata nella
gerarchia aziendale esistente, questa gerarchia funzionava parallelamente ad essa. I managers si trovavano dunque a far
parte di due strutture, con conseguente appannamento delle normali linee gerarchiche. In secondo luogo i managers si
vedevano attribuire la responsabilità della supervisione dei circoli senza essere investiti della necessaria autorità:
l' appartenenza ai circoli era volontaria e i managers non erano in condizione di determinarne la composizione, inoltre i
circoli potevano fissare in proprio i loro ordini del giorno e non erano tenuti ad osservare le priorità indicate dai
managers. Tutto ciò ebbe come conseguenza l' ostruzionismo latente, o addirittura il rifiuto, con il quale i managers di
medio livello, davano attuazione alle proposte dei circoli.
Le soluzioni più indicate e più adottate in Giappone per superare queste impasse sono: utilizzare dei sistemi di
incentivazione per indurre i managers di medio livello a collaborare con i circoli, favorire l' inserimento dei managers di
linea nella struttura parallela di controllo e promozione dei circoli al punto in cui risulta difficile distinguere le due
strutture e il dualismo organizzativo diventa causa di minori preoccupazioni per i dirigenti di medio livello. Ma ciò in
occidente non accadde.
Alla luce di quanto detto quindi, il mancato appoggio dei managers di medio livello all' introduzione dei circoli di
qualità nelle aziende occidentali degli inizi degli anni '80, può ritenersi del tutto giustificato.
Verso la metà degli anni '80 ormai tutte le osservazioni indicavano dunque l' incapacità dei circoli di affermarsi
stabilmente, le previsioni entusiastiche dei primi anni del boom, secondo cui i circoli sarebbero divenuti una normale
prassi operativa, si erano dimostrate essere null' altro che vuota retorica.
Da un certo punto di vista però i circoli di qualità hanno prodotto un effetto positivo: hanno indotto le aziende
occidentali a cercare strumenti più efficaci e di tipo partecipativo per elevare la qualità. Molte imprese che hanno visto
fallire i loro circoli, infatti, sono poi approdate con successo alla qualità totale, facendo tesoro delle esperienze
accumulate in passato. In queste imprese cioè, i circoli della qualità avevano svolto un ruolo di transizione di un certo
rilievo.
Gli errori commessi nell' istituzione dei circoli di qualità in occidente, si evidenziano maggiormente se messi in
relazione con i principi della qualità totale; l' alta direzione non ebbe un ruolo attivo; i responsabili della qualità non
furono dotati della necessaria autorità; i managers di livello intermedio non furono sufficientemente coinvolti; il
problema del cambiamento culturale non fu affrontato con la dovuta importanza; i dirigenti non furono addestrati
all' uso delle moderne tecniche di gestione della qualità; i circoli non erano adatti a perseguire gli obiettivi affidati loro;
spesso le iniziative prese dai circoli non venivano attuate pur potendo, essi, occuparsi di un ristrettissimo ventaglio di
questioni, frustrando in tal modo legittime aspirazioni dei lavoratori componenti i circoli.
Oggi, anche se alcune aziende europee ed americane sono riuscite a capire tutto ciò, riuscendo in tal modo ad
implementare con successo sistemi di qualità totale, il grosso delle imprese è rimasto sulla visione ristretta poc' anzi
accennata. Anzi spesso le aziende sembrano non aver capito se la qualità totale è un reale strumento di business o se è
solo una moda passeggera.
1.1.5. Le tre generazioni della qualità totale.
Se si volesse fare un bilancio delle esperienze accumulate in questi ultimi venti anni dalle aziende occidentali sulla
qualità totale, sarebbe molto utile utilizzare uno schema che suddivide questo periodo in tre parti, identificando ognuna
di esse con una generazione di approccio:
• Approcci di prima generazione. Rientrano in questa categoria i programmi di qualità totale realizzati dalle aziende
americane nel periodo che va dal 1976 al 1984, e da quelle europee nel periodo che va dal 1980 al 1986.
L' evidente anticipo delle aziende americane è dovuto al fatto che esse hanno dovuto affrontare prima il problema
dell' invasione dei prodotti giapponesi ad alta qualità e basso prezzo.
Il periodo di tempo appena tracciato però, è solo indicativo in quanto ancora molte imprese americane ed europee si
trovano in questa prima generazione.
Il fattore comune di tutti gli approcci di prima generazione è la loro limitatezza a semplici programmi di miglioramenti
della qualità, soprattutto attraverso l' introduzione dei circoli della qualità, ed impostati e gestiti attraverso strutture di
staff create ad hoc (comitati, facilitatori, ecc...).
I risultati ottenuti da questi programmi di prima generazione sono stati dei più vari e, dove si è ottenuto un successo,
questo si è rivelato episodico e non duraturo a causa della inevitabile caduta di interesse che si registra in questi casi,
anche solo dopo il primo anno di introduzione.
Le critiche a questi tipi di approcci sono molte: innanzitutto sono troppo generici, infatti l' introduzione in azienda della
qualità totale richiede una attenta progettazione e programmazione, un controllo nella fase di realizzazione e
l' individuazione di obiettivi da raggiungere, in questi casi invece spesso le aziende hanno preteso di realizzare la qualità
totale semplicemente sensibilizzando i dipendenti ed addestrandoli più o meno episodicamente ad utilizzare nuove
metodologie di svolgimento del proprio lavoro; in genere, inoltre, tali approcci sono eccessivamente filosofici o
eccessivamente tecnici, nel senso che, o mancano di strumenti adatti a tradurre i buoni propositi in azioni concrete,
oppure il raggiungimento degli obiettivi è perseguito soltanto mediante l' automazione o specifiche procedurali, senza
coinvolgere minimamente il fattore umano dell' organizzazione; spesso i programmi di miglioramento della qualità di
questa generazione, hanno coinvolto il solo personale
esecutivo, mentre quello direttivo ed il top management
si sono solo limitati a dichiarazioni formali, non è mai
presente cioè, il coinvolgimento diretto di tutti i livelli
gerarchici, aspetto fondamentale per una buona riuscita
di un sistema di qualità totale; quasi mai questi
programmi sono stati considerati prioritari, bensì sono
stati avviati o per seguire la moda, o per tentare anche
quella strada, con la conseguenza che alla prima
difficoltà la tentazione di abbandonare il tutto si è
rivelata troppo forte; infine la qualità totale in questa
fase non viene mai seguita e gestita dalla direzione, ma
sempre delegata ad organi intermedi con l' effetto di
non essere contemplata, e quindi di non essere inserita
nel sistema manageriale e di controllo di gestione.
• Approcci di seconda generazione. Sono gli approcci
sviluppati dalle aziende americane a partire dagli anni
1984-1985 e dalle aziende europee a partire dagli anni
1986-1987.
Questi programmi, per la prima volta in occidente,
hanno la caratteristica di essere globali, di coinvolgere
cioè tutta l' azienda, in ogni suo aspetto, e non soltanto
alcuni, come i meccanismi operativi o l' automazione.
La bontà di questi approcci è testimoniata dagli ottimi
risultati ottenuti.
In questa fase molti degli errori commessi negli
approcci di prima generazione sembrano essere stati
risolti, infatti possiamo notare che: il top management si è appropriato stabilmente della leadership dei programmi di
qualità totale, e si badi bene, non è un semplice coinvolgimento ma una direzione attiva e motivata, praticata gior-
nalmente, al massimo settimanalmente, attraverso audit diretti e profondi; l' implementazione dei sistemi di qualità
totale viene progettata con attenzione e con cura, tenendo conto delle molteplici variabili che possono influenzare il
programma (cultura aziendale, caratteristiche tecnologiche, rapporto con il mercato, ecc...), la pianificazione inoltre è di
tipo poliennale, articolato in fasi, con obiettivi specifici per ogni fase; tutto il personale delle aziende in regime di
qualità totale di seconda generazione, è al corrente di come il suo operare può influenzare la soddisfazione del cliente,
non solo esterno ma anche interno, sa inoltre come misurare le sue performances attraverso indicatori, ed ha obbiettivi
di miglioramento da raggiungere; è diffusa la cultura del benchmarking (V. § 4.4.1).
• Approcci di terza generazione. Sono i modi di affrontare la qualità totale di più recente concezione.
Tale nuovo approccio contiene dimensioni e capacità ben diverse da quelle collegate ai semplici programmi di
miglioramento (approcci di prima generazione) o anche agli approcci organizzativi di total quality più globali
(cosiddetti di seconda generazione). Esso si caratterizza attraverso due fattori chiave che ne ispirano la logica operativa:
la “soddisfazione del cliente” come strategia di base, e la “gestione efficace” come capacità fondamentale (V. tav. 2).
Si ha una gestione efficace quando un' azienda è capace di scegliere le sue vere priorità, è coerente nel perseguirle ed è
efficace nel conseguirle. La peculiarità di una gestione efficace, quindi, è individuabile nei seguenti concetti chiave:
l' efficacia operativa, la coerenza, la capacità di mobilitazione.
Per ciò che riguarda il primo aspetto, l' efficacia operativa, essa è la capacità di ottenere importanti risultati sugli
obiettivi prescelti. Tale capacità è il frutto di tre fattori fondamentali: gestione per breakthrough, gestione per priorità,
gestione a vista. Gestire per breakthrough significa conseguire grossi miglioramenti concentrati nel tempo, gestire per
priorità significa invece stabilire ogni anno uno o alcuni obiettivi prioritari su cui concentrare i propri sforzi, principio
questo, fondamentale della qualità totale in base al quale gli sforzi aziendali devono essere sempre orientati ai fattori più
importanti (cosiddetta legge di Pareto - V. § 4.2.5), infine gestire a vista, significa poter presidiare continuamente e
migliorare le variabili operative, individuare e gestire in tempo reale quegli indicatori di processo che possono generare
i miglioramenti voluti, in poche parole gestione a vista significa poter evitare di aspettare rapporti o di indire riunioni
per sapere come stanno andando le cose.
Il secondo aspetto della gestione efficace, la coerenza, si riferisce alle capacità di un' azienda di realizzare gestioni che
sappiano evitare sprechi o sforzi antagonisti, cercando invece il più possibile sinergie tra i vari componenti
dell' organiz- zazione. La coerenza nella gestione può esplicarsi su tre dimensioni: orizzontale, verticale e strategica. La
coerenza orizzontale si ha quando si riesce ad impostare e realizzare programmi di miglioramento che coinvolgono
tutte le funzioni, ed in cui gli obiettivi vengono assegnati non in modo indiscriminato, eliminando i possibili contrasti.
SODDISFAZIONE DEL CLIENTE
GESTIONE EFFICACE
Efficacia operativa
Gestione per breakthrough
Gestione per priorità
Gestione a vista
Coerenza
Coerenza orizzontale
Coerenza verticale
Coerenza strategica
Capacità di mobilitazione
Tavola 2. Fattori chiave degli approcci alla qualità tota-
le di terza generazione
Si ha coerenza verticale, quando "tutti sparano sullo stesso bersaglio"
9
, quando cioè la concentrazione degli sforzi per
raggiungere gli obiettivi prefissati è massima. Non sarebbe infatti ammissibile che un collaboratore persegua un
obiettivo che non sia compatibile con quello del superiore gerarchico. Infine, si ha coerenza strategica quando l' azienda
riesce a raggiungere gli obiettivi di medio-lungo termine, con le azioni a breve termine, finalizzati cioè a raggiungere gli
obiettivi a breve termine.
L' ultimo aspetto della gestione efficace è la capacità di mobilitazione, che consiste nella capacità dell' azienda di
utilizzare il contributo delle persone adatte a perseguire un determinato obiettivo, in modo proficuo, organizzato, veloce
ed efficace. E' cioè la capacità di posizionare gli uomini giusti ai posti giusti, in relazione agli obiettivi precedentemente
fissati.
Uno strumento molto valido per raggiungere l' efficacia nella gestione è stato messo a punto dalle aziende giapponesi
nell' ambito del total quality management ed è chiamato policy deployment o direzione per politiche.
1.1.6. La qualità totale in Italia.
La situazione italiana è molto particolare, infatti, prima del 21 ottobre 1989, da quando cioè l' amministratore delegato
della Fiat, Cesare Romiti, ha lanciato un piano della qualità totale nella sua azienda, la qualità totale era un fenomeno
d' élite, conosciuto solo in pochi ambienti accademici, da quella data in poi, invece si è iniziato a parlarne molto, anche
attraverso i mezzi di comunicazione di massa.
Questo grande interesse, però, ha prodotto ben pochi progetti di introduzione di sistemi di qualità totale nelle aziende
italiane tanto che, da quanto risulta da una ricerca della Summit nel 1994, se ben l' 86% delle aziende italiane facenti
parte del campione dichiara di aver sviluppato al proprio interno un programma di qualità totale, molte di queste poi si
rivelano totalmente a digiuno della conoscenza di tecniche, strumenti e metodologie del modello manageriale, rivelando
che in realtà sono coinvolte in generici progetti e processi di miglioramento della qualità, totalmente differenti tra loro
sia per natura che per obiettivi. Infatti, i dati emersi dalla ricerca indicano che, anche in presenza di un indubbio
interesse per questa tematica, molto spesso si pensa di fare qualità limitandosi alla certificazione o, in taluni casi,
effettuando solamente un controllo di qualità, per quanto puntiglioso e rigoroso.
Oltre alla generale approssimazione appena evidenziata, le maggiori difficoltà nell' implementazione di sistemi di
qualità totale, in Italia, nascono dal fatto che essa viene interpretata soprattutto come una tecnica, un metodo che può
essere introdotto anche velocemente in azienda, senza valutare alcuni fattori di vitale importanza, una sorta di ricetta
miracolosa. Un punto però emerge essere ben chiaro a tutti: per competere su mercati sempre più ampi ed agguerriti è
indispensabile puntare sulla qualità di prodotto e di
servizio. C' è quindi consapevolezza della necessità di
imboccare la via strategica del miglioramento della
qualità ma regna la confusione sul come farlo.
Per quanto riguarda gli anni intercorsi dal momento
dell' introduzione di sistemi di qualità totale nelle
aziende italiane, sempre secondo la ricerca della
Summit, essi sono in media due (V. tav. 3). Per ciò che riguarda il ritorno economico, solo il 14% delle aziende
interpellate lo ritiene rilevante, mentre il 16% dichiara di aver avuto risultati nulli. I dati relativi ai vantaggi economici
devono però essere messi in relazione con quelli riguardanti il tempo trascorso dall' introduzione della qualità totale
(V. tav. 3) in quanto è estremamente difficile che le aziende che hanno implementato sistemi di qualità totale da meno
di due anni ottengano risultati economici apprezzabili.
In Italia, non dissimilmente da quanto accaduto negli altri paesi occidentali, si è vissuto un periodo di “innamoramento”
per i circoli della qualità (1986-1987), periodo al quale ne è seguito un altro (1989-1990), in cui, in concomitanza con
l' approfondimento concettuale e teorico della qualità totale negli ambienti accademici ed aziendali, si è persa l' enfasi,
passando da un eccesso all' altro, ed ora i circoli della qualità in Italia vivono una fase di declino. I motivi non sono
molto diversi da quelli che hanno portato allo stesso risultato negli altri paesi occidentali (V. § 1.1.4), e che possono
distinguersi in motivi strategici: sopravvalutazione dei risultati conseguibili dai circoli, paura di dar vita ad un flusso di
proposte non facilmente gestibili dal top management, ostruzionismo del middle management e di alcune funzioni
aziendali che si sentono espropriate delle loro competenze, timore di rivendicazioni sindacali che possono scaturire
dall' attività dei circoli; ed in motivi metodologici: mancata applicazione dei sette strumenti statistici, vincoli
organizzativi che impediscono la riunione dei circoli, errata composizione del gruppo, errata interpretazione del ruolo
dell' animatore o facilitatore, imposizione dei temi da trattare dall' alto senza nessuna possibilità di scelta autonoma.
In Italia il fenomeno dei circoli si è manifestato a partire dal 1981-1982 con alcune aziende pioniere (Fiat, Italgel, ecc...)
e poi si è lentamente diffuso sino ad arrivare agli anni del boom precedentemente accennati. L' ambito manifatturiero è
quello in cui è stato più semplice introdurre i circoli sia per motivi organizzativi sia di utilizzo di metodologie di
9
Merli G., I nuovi parametri della qualità totale, in "L' Impresa", n. 8/1993.
PIÙ DI 5 15%
3 34%
1 22%
MENO DI 1 18%
Tavola 3. Anni di introduzione
raccolta e analisi dei dati. Da una ricerca dell' Ancqui (Associazione nazionale circoli della qualità italiani) nel 1990 il
27% delle 200 maggiori aziende manifatturiere italiane li aveva introdotti, per complessivi 1.900 circoli. L' adesione dei
lavoratori a queste nuove forme organizzative però non è stata molto alta tanto che raramente in Italia si è arrivati a
coinvolgere più del 30% dell' organico di una azienda. Per ciò che riguarda la situazione nell' area dei servizi, pur
constatando che i giapponesi suggeriscono l' attivazione dei circoli nelle aziende di tale settore perché ritenuti
fondamentali per creare nel personale un corretto atteggiamento verso il cliente, per addestrare e per definire gli
standards operativi, essa è molto deludente. Si deve innanzitutto constatare l' assenza dei circoli nel settore pubblico
nonostante un contratto di lavoro siglato alcuni anni fa ne consentisse la sperimentazione. Più variegata la situazione nel
privato, dove a fianco di applicazioni ormai consolidate e di successo (Autogrill, Coin, Rinascente, ecc...) abbiamo
aziende ancora in fase di sperimentazione e di messa a punto dei sistemi gestionali, altre senza alcun interesse per
l' iniziativa. Colpisce, ad esempio la situazione in ambito bancario, dove a tutt' oggi si segnalano solo alcune
applicazioni (Credito Valtellinese, Cassa di Risparmio di Torino) peraltro parziali. E' da notare lo stridente contrasto, in
questo settore, con ciò che avviene in altri paesi come la Francia, il Giappone e gli Stati Uniti, in cui l' ambito bancario
è uno di quelli di maggior diffusione dei circoli della qualità. Le banche italiane hanno invece deciso quasi a priori che i
circoli non si addicevano loro.
In ogni caso dalle aziende italiane che hanno implementato veri e propri sistemi di qualità totale (se ne contano alcune
centinaia), trapelano alcune caratteristiche comuni: innanzitutto le aziende italiane non hanno adottato l' approccio
fortemente pianificatorio e “top down” delle multinazionali statunitensi, ma hanno seguito un approccio molto più lento,
una introduzione basata sul graduale allargamento del consenso; si è adottata una scarsa perseveranza, che ha portato
spesso all' alternarsi di fasi di grande attivismo a fasi di quasi totale abbandono; c' è stato un certo ritardo, in Italia,
nell' utilizzare le tecniche organizzative più potenti (quality function deployment, misura della qualità percepita, ecc...);
infine sono ancora molto rari i casi in cui si può constatare un buon radicamento della nuova filosofia manageriale della
qualità totale.
In Italia appare chiara anche un' altra tendenza, testimoniata dal successo della letteratura sull' argomento della qualità
totale e dai numerosi convegni organizzati per analizzare questo nuovo approccio manageriale, e cioè che le imprese
italiane hanno accolto con interesse l' insegnamento giapponese e sono impegnate a trarne il maggior frutto.
C' è quindi da attendersi per il futuro, anche nel nostro paese, un notevole sviluppo sia in quantità che in qualità, degli
approcci alla gestione della qualità totale. Anche il nostro apparato produttivo, cioè, sicuramente, di fronte alla sfida di
una competizione sempre più serrata, troverà nel metodo introdotto in Giappone una via efficace per risolvere molti
problemi di innovazione tecnica ed organizzativa
1.2. Una possibile definizione di qualità totale.
La qualità totale è un sistema gestionale centrato sul fattore umano che mira al continuo aumento della soddisfazione
della clientela e ad abbassare i costi reali. La qualità totale è un sistema di approccio totale, non un' area separata o un
programma, essa è infatti una parte integrante delle strategie di alto livello; essa funziona orizzontalmente attraverso le
funzioni ed i dipartimenti di cui si compone l' azienda, coinvolge tutti i dipendenti, di qualsiasi livello gerarchico, e si
estende all' indietro ed in avanti ad includere la catena dei fornitori e quella dei clienti. La qualità totale pone in rilievo
l' apprendimento e l' adattamento al cambiamento continuo come le chiavi per il successo organizzativo.
La qualità totale quindi punta all' eliminazione di qualunque causa di difetto per ottenere il miglioramento della qualità
(intesa come soddisfazione del cliente) e conseguentemente del profitto dell' impresa, attraverso il coinvolgimento e la
responsabilizzazione di tutti gli interessati. La qualità totale presenta dunque un apparente paradosso: per ottenere
risultati economici positivi non bisogna porre questi ultimi al primo posto, ma al primo posto nei piani strategici va
messa la soddisfazione del cliente, il profitto è il premio per quelle aziende che meglio delle altre hanno saputo
interpretare i bisogni della clientela, e meglio li hanno saputi appagare.
Quindi fare qualità totale significa individuare e rispondere alle necessità del cliente con prodotti e servizi senza difetti.
Infatti nessun prodotto può essere considerato accettabile da chiunque, e la soddisfazione di un cliente è data da
molteplici fattori, tanto che la necessità primaria è quella di interpretare le richieste di un tipo specifico di cliente, così
che un prodotto o un servizio possa essere progettato per soddisfarle. La qualità totale è l' adozione di un tipo di
approccio al lavoro, un atteggiamento mentale più che una serie di processi o di metodologie.
Utilizzando un' altra definizione si può affermare che la gestione della qualità totale è un modo di governo di una
organizzazione incentrato sulla qualità, basato sulla partecipazione di tutti i suoi membri, tendente alla redditività a
lungo termine ottenuta attraverso la soddisfazione dei clienti e inclusiva di benefici sia per i membri
dell' organizzazione, sia per la società.
In estrema sintesi possiamo dire che il total quality control si fonda sui seguenti fattori: miglioramento della qualità
quale elemento della competitività nel lungo termine; orientamento al cliente, esterno ed interno; ricorso a metodologie
statistiche per investigare la realtà dei fatti; forte orientamento a valorizzare le risorse umane a tutti i livelli.
L' impegno di tutti e la collaborazione effettiva diffusa a tutti i livelli, tramite l' attività di gruppo, consentono di
realizzare il processo di miglioramento continuo. Si badi bene, l' oggetto del miglioramento è la gestione aziendale nel
suo complesso e non solo il suo output, in quanto vale il postulato che un' azienda di qualità sforna prodotti e servizi di
qualità.
I sistemi di qualità totale sono supportati da tecniche rigorose e sistematiche di individuazione e risoluzione dei
problemi che tutti i dipendenti dovrebbero essere addestrati ad utilizzare (V. § 4.2.5). A loro volta queste tecniche
poggiano sul presupposto della disponibilità di informazioni precise e pertinenti e di una esatta misurazione e
quantificazione dei problemi.
Il top management ed il middle management hanno un ruolo importantissimo, decisivo nella riuscita o nel fallimento di
un progetto di qualità totale, infatti i massimi dirigenti hanno il compito di definire la posizione dell' azienda nei
confronti del controllo di qualità, stabilire le priorità, e fissare gli obiettivi di lungo termine. Inoltre, cosa più
importante, il top management deve farsi carico della promozione e della leadership delle varie iniziative di
miglioramento. Il ruolo dei dirigenti intermedi, può essere sintetizzato dicendo che essi possono essere assimilati, in
un' azienda in regime di qualità totale, a dei vigili urbani, che dirigono il traffico informativo tra livelli e tra funzioni
della struttura.
Il tratto dominante di un sistema manageriale di qualità totale è sicuramente la pervasività dell' attività di miglioramento
della qualità, che si configura come un approccio al management in senso lato. Esso infatti, investe tutta
l' organizzazione, in tutti i suoi aspetti strutturali, di operatività, di cultura e valori organizzativi.
La gestione della qualità totale può essere vista come disciplina aziendale e filosofia gestionale che istituzionalizza il
miglioramento operativo pianificato e continuo. Il banco di prova della qualità totale è la soddisfazione del cliente.
L' assunto chiave della qualità totale è che tutte le attività svolte nell' ambito di un' impresa concorrano a creare qualità,
che tutte le funzioni aziendali e tutti i dipendenti debbano contribuire al processo di miglioramento continuo, che le
imprese abbiano bisogno al contempo di sistemi di qualità e di una cultura della qualità. Volano di ogni iniziativa di
qualità totale è l' alta direzione, in quanto, come già detto, la qualità costituisce un obiettivo strategico e non
semplicemente un problema che investe i soli livelli inferiori della gerarchia. Le priorità in fatto di qualità vengono
fissate dall' alta direzione, che prescrive anche i sistemi di gestione della qualità e le procedure da seguire, stanzia le
necessarie risorse e funge da riferimento col suo esempio. La supervisione del processo di miglioramento è di solito
attribuita ad un comitato direttivo composto di dirigenti superiori posti alle immediate dipendenze della direzione di
vertice. Dato che gran parte dei problemi da affrontare per il miglioramento continuo sono di tipo orizzontale, attraver-
sano cioè i confini delle unità e delle funzioni, la qualità totale è gestita secondo modalità di tipo interfunzionale. Uno
dei principi base della gestione orizzontale è il “cliente interno”, in base al quale le unità aziendali analizzano il livello
qualitativo delle loro prestazioni con i destinatari del loro output per migliorare i servizi che essi forniscono a tali
“clienti”.
Aspetto critico per un programma di qualità totale è costituito dalla cultura aziendale, che è al contempo causa ed
effetto del miglioramento continuo. Gestire con la qualità totale presuppone, infatti, un cambiamento della cultura
aziendale, bisogna cioè sviluppare una cultura della qualità, dove per cultura aziendale si intende l' insieme dei valori
condivisi, l' atteggiamento di fondo, ed i comportamenti omogenei e spontanei dei componenti l' organizzazione. Per
riuscire a far ciò bisognerà utilizzare la formazione continua, la comunicazione diffusa e intensa, premi e sanzioni,
favorire la mobilità interna. Un' idonea cultura a questo scopo è la somma diversa di molti elementi, tra cui
l' internalizzazione del miglioramento continuo come obiettivo primo di tutte le attività; un clima più comunicativo, con
la disponibilità dei livelli superiori della gerarchia ad ascoltare quelli inferiori; la partecipazione di una gamma più vasta
di soggetti al processo decisionale; la creazione di rapporti interpersonali ispirati alla fiducia reciproca; un approccio
sistematico e razionale alle problematiche legate alla qualità; priorità assoluta al soddisfacimento del cliente.
Ugualmente importante per la qualità totale è fidelizzare i propri clienti, in quanto ricerche empiriche hanno dimostrato
che cercare un nuovo cliente costa sei volte di più che conservare uno vecchio. E' chiaro inoltre che c' è un forte legame
tra soddisfazione del cliente e la sua fidelizzazione in quanto un cliente soddisfatto molto probabilmente tornerà ad
acquistare il prodotto o il servizio. Infatti nei mercati moderni il cliente è più consapevole, non solo di quali sono le sue
reali esigenze ma anche del suo potere di “vita o di morte” nei confronti delle aziende, è più informato, più selettivo e
soprattutto ha più alternative. Egli quindi se non è soddisfatto cambia. I concetti di qualità e di soddisfazione del cliente
sono strettamente legati al miglioramento continuo, in quanto, quando si danno risposte a delle richieste dei
consumatori, immediatamente ne sorgono di nuove e di più complesse da affrontare e da soddisfare, implicando un
continuo processo di innovazione e di miglioramento dei prodotti. Il presupposto per questo miglioramento continuo
dei processi e del sistema è costituito dal pieno coinvolgimento delle risorse umane attraverso la formazione e
l' addestramento finalizzati alla crescita morale e culturale del lavoratore.
Al fine di migliorare la qualità risulta molto importante partire dalla conoscenza dei propri clienti, in quanto l' azienda
non deve impiegare risorse proprie per produrre ciò che poi il cliente non riconosce o di cui non è disposto a pagare il
prezzo. Il cliente deve pertanto rimanere il centro di tutte le attività svolte dai singoli dipendenti di un' azienda, in
quanto è la soddisfazione del cliente che, nel lungo termine, assicura il successo dell' azienda, più dell' utile realizzato
che potrebbe scaturire solo da scelte di breve periodo. Con il termine cliente, la filosofia della qualità totale non si limita
a descrivere il consumatore finale di un prodotto o servizio, ma anche il cliente interno, e pertanto, le funzioni svolte da
qualsiasi persona o ufficio nell' impresa. A tal fine, Ishikawa ha affermato: "a fase di produzione successiva è il tuo
cliente". Tutti i clienti, esterni ed interni, hanno aspettative e bisogni che devono essere anticipati e soddisfatti. Questa è
la ragione per la quale la direzione di un' azienda deve assicurarsi che le attese dei clienti siano conosciute da tutto il
personale.