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Introduzione
Negli ultimi anni gli studi sulla televisione si sono moltiplicati, non
mancano testi di storia della televisione, analisi dei generi televisivi, analisi
del pubblico fruitore, analisi dell‟aspetto economico della televisione. Dalla
fine degli anni novanta emerge in campo un nuovo attore: il format. Questa
parola misteriosa, spesso sconosciuta alla maggioranza, sta ad indicare un
programma “chiavi in mano”, che contiene, nella sua ideazione, tutti gli
elementi che ne garantiscano una realizzazione efficace, rapida e veloce, con
un gran livello di adattabilità da nazione a nazione.
Uno dei primi format a fare il giro del mondo è stato l‟olandese Big
Brother della Endemol. Successivamente sono sorte, in tutte le nazioni,
piccole, medie e grandi case di produzione che si occupano dell‟ideazione,
dello sviluppo e della distribuzione di questi format: esse vendono e
acquistano diritti, scambiandoli con le società affiliate e con le sedi dislocate
in altri paesi. Dietro tutto questo c‟è un giro d‟affari di ampie proporzioni, che
fa sì che il mercato europeo di format sia molto florido; non mancano infatti
festival, incontri, fiere dedicate al format, dove i protagonisti del settore si
ritrovano sempre a caccia di un‟ idea vincente, di novità, di contenuti sempre
più forti.
I contenuti in onda in televisione, dalle origini ad oggi, sono molto
cambiati. Dall‟iniziale intento pedagogico della Rai di Bernabei, l‟asse si è
decisamente spostato verso l‟entertainment, cambiamento iniziato dopo la
rottura del monopolio Rai, con l‟avvento del colosso Fininvest e delle tv
commerciali. Ed è proprio nell‟entertainment che il format si presta come
elemento chiave, grazie ai suoi bassi costi e rischi che vengono ammortizzati
per il fatto che probabilmente il programma è stato già rodato in un‟altra
nazione. Ogni rete nazionale infatti dovrebbe poter disporre di almeno un paio
di titoli forti che garantiscano una certa serialità e magari da riproporre
ciclicamente fino all‟esaurimento del potenziale.
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Dopo Grande Fratello le reti italiane hanno proposto sempre più
programmi derivati da format, forse anche troppi. Si è spesso parlato,
soprattutto sui giornali, di crisi delle idee, crisi del ruolo autoriale in Italia,
abbassamento della qualità, omologazione dei gusti, ma il format non deve
essere un capro espiatorio di problematiche che hanno origini ben più lontane
e complesse.
Nell‟epoca del format in Italia è cambiato anche il sistema di produzione
dei programmi televisivi. Sempre meno è la rete a produrre nuovi programmi;
la produzione in loco si rivela infatti troppo onerosa, come anche l‟acquisto di
serie e serial di importazione anglo-americana. Sempre più si fa ricorso a case
di produzione indipendenti, esterne alla rete. Oltre alla massiccia importazione
di format, si è assistito in Italia ad un florido mercato della fiction di media e
lunga serialità; per ora si dispone di molti titoli di buona qualità e di successo.
Il pubblico nostrano mostra di apprezzare lo stile Made in Italy e spesso la
scelta della qualità è premiata da ascolti elevati. Certo, i costi per produrre una
fiction sono davvero notevoli rispetto allo sviluppo di un format; un errore
comporta un‟ingente perdita di soldi.
Un interessante caso italiano è senz‟altro quello della società
Interferenze, una piccola casa di produzione che progetta e sviluppa format
televisivi di diverso genere e formato, che si pone in una prospettiva
internazionale: basti pensare che l‟intero sito internet è tutto in Inglese. E‟
forse, l‟unica società di produzione italiana indipendente ad occuparsi
interamente dello sviluppo di format televisivi originali.
La produzione di contenuti per la tv sta però sempre più allargando i suoi
orizzonti. Con l‟avvento della tv satellitare di Sky, con il digitale terrestre, con
le webtv, la Dvb-H, i contenuti aumentano e forse si accompagneranno a
nuove modalità di produzione. La tv digitale ci ha fatto scoprire nuovi format,
nuove serie. Dietro ai contenuti c‟è sempre un gran lavoro fatto di idee, di
persone, di organizzazione.
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Nell‟affrontare questo lavoro ho avuto come riferimenti un‟ampia
bibliografia comprendente testi internazionali e mi sono avvalsa di interviste
in profondità con professionisti del settore, essenziali e necessarie per
comprendere aspetti pratici legati alla produzione di programmi televisivi
derivati da format.
Nel primo capitolo, L’industria televisiva, ci si concentra sulle tappe
salienti della storia della neotelevisione in Italia; in particolare si analizzano i
due broadcaster italiani Rai e Mediaset, i generi televisivi, i palinsesti, le
caratteristiche e strategie legate a questi fattori.
Il secondo capitolo, La produzione televisiva, si occupa di spiegare come
si produce per la tv; quindi, le varie fasi della produzione televisiva, il
panorama della produzione indipendente in Italia e i ruoli professionali legati
alla produzione televisiva.
Il terzo capitolo, Il Format, analizza in particolare il format come nuovo
prodotto sempre più usato dalle reti: quindi una panoramica di come si è
inserito nel mondo televisivo, la situazione europea e i mercati dei format e
un‟ analisi della produzione di fiction per la tv in Italia.
Si passano poi in rassegna alcuni aspetti legati ai format, come la prassi
legata all‟adattamento per il mercato italiano e i problemi relativi alla sua
tutela giuridica.
Nel quarto capitolo, Le società produttrici di format, vengono analizzate
le principali società produttrici di format che operano in Italia ed un paragrafo
è dedicato a Interferenze, una piccola società che produce format originali,
proiettata in un contesto internazionale.
Il capitolo conclusivo, Il futuro della produzione televisiva, consiste in
una serie di riflessioni riguardanti non solo la produzione televisiva, ma la
televisione nel suo complesso ed i cambiamenti in atto legati alla
digitalizzazione.
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1 L’industria televisiva
1.1 STORIA ED EVOLUZIONE DELLA TELEVISIONE IN ITALIA
1.1.1. Dalla nascita della tv alla legge di Riforma della Rai
Il servizio televisivo italiano entrò in funzione il 1 gennaio 1954. Le
trasmissioni avvenivano tramite una rete in VHF (Very High Frequency), dai
trasmettitori di Torino-Eremo, Milano-Torre Littoria, Monte Penice,
Portofino, Monte Serra, Monte Peglia e Roma-Monte Mario.
“ La prima annunciatrice, Fulvia Colombo, apparve sul video alle 11 di mattina
ed annunciò il menù della giornata, che ovviamente si apriva con i riti ufficiali.
Esordirono tre giornalisti che, sul marciapiede del corso Sempione a Milano,
letteralmente tremanti dal freddo, presentarono il palazzo della RAI. Poi
presero la parola un ministro, un cardinale e il presidente della RAI, Cristiano
Ridomi. Con i discorsi ufficiali si tirò avanti fini alle 14.30 circa, quando sul
video apparve la sigla della prima trasmissione, subito dopo, il volto del primo
presentatore della televisione italiana. Quello show si chiamava Arrivi e
partenze e presentava personaggi di passaggio per Roma. Il presentatore era il
giovane Mike Buongiorno. Chiuse la prima giornata televisiva La domenica
sportiva con i risultati delle partite di calcio e le classifiche”.
1
Il 10 aprile seguente, con deliberazione degli azionisti, la Società cambiava la
denominazione: da Rai-Radio Audizioni Italia a Rai-Radiotelevisione Italiana.
Lo schema orario giornaliero e settimanale delle trasmissioni era costruito su
appuntamenti fissi: la serata di prosa, il film, l‟inchiesta, la rivista di
varietà…Nella televisione degli inizi mancava un vero e proprio palinsesto,
pensato come progetto, come strategia comunicativa. La RAI era tesa a
1
Di Dario V., “La televisione italiana: storia di un cinquantennio”, in Enciclopedia della
televisione, a cura di Aldo Grasso, Garzanti, Milano, 1966.
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cercare alla televisione una “via italiana”, opposta al modello commerciale del
“flusso” americano.
La prima vera forma espressiva originale, creata dalla televisione
italiana, fu lo sceneggiato. La TV tradusse molti capolavori della letteratura
mondiale: L’isola del tesoro, David Copperfield, La Cittadella, Delitto e
Castigo, La freccia nera, I Promessi Sposi. Furono riadattamenti di notevole
sensibilità, sottolineati, a volte, da grandi prove di recitazione. L‟altro
fronte sul quale la neonata televisione italiana si impegnò decisamente fu
quello dell‟informazione: il telegiornale andava in onda alle 20.30; veniva
letto da annunciatori con dizione impeccabile e veniva replicato in tarda
serata.
Il primo direttore fu Vittorio Veltroni. Il telegiornale, come ricorda Paolo
Murialdi, “raggiungeva con dirompente forza case dove non era mai entrato
un quotidiano”.
2
La nascita della TV avveniva in un momento di forte espansione
dell‟economia italiana. Si riduceva il peso del settore agricolo, cresceva la
produzione industriale. In un periodo piuttosto ristretto si verificava la quasi
totale riconversione della struttura produttiva, con un forte aumento
dell‟industria manifatturiera. Fu in tale fase dell‟economia italiana che
cominciava a verificarsi il consumo televisivo di massa. Dove maggiore fu il
suo consumo, cioè nelle zone arretrate del Sud, fu subito chiaro che lo
spettacolo televisivo avrebbe influito sui modi di vita e sulle abitudini delle
masse più di quanto avesse fatto la radio negli anni ‟30. Il fenomeno della
visione collettiva, concentrata soprattutto nei locali pubblici e nelle case dei
privati, che potevano permettersi il „lusso‟di un televisore, in occasione del
rito settimanale di Lascia o raddoppia?, poneva le premesse di un nuovo
modello di vita associata fino ad allora sconosciuto agli italiani. Mentre in
paesi, come la Francia e la Gran Bretagna, che da anni avevano la TV, si
procedeva con cautela e gradualmente nella diffusione della rete televisiva, in
2
Murialdi P., Storia del giornalismo italiano, Gutemberg, Torino, 1986.
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Italia la RAI, per conto del governo, procedeva ad estendere il servizio nel più
breve tempo possibile.
Fin dagli inizi la TV offriva agli italiani una serie di prodotti diversi:
l‟intrattenimento, l‟informazione, la riflessione, lo sport, il costume, lo
sceneggiato. Per molti anni, tuttavia, operò in questi ambiti con un
atteggiamento ben preciso, un atteggiamento che ha segnato in modo
particolare l‟informazione.
Nella TV la presenza della cultura cattolica era da subito rilevante, con
personalità di spicco. Inizialmente la posizione della Chiesa, dinanzi al nuovo
mezzo di comunicazione, era stata di diffidenza. A far cambiare idea al mondo
cattolico era stato Amintore Fanfani. Il nuovo segretario della Dc aveva
compreso l‟enorme potenzialità della TV e la impose in tutte le sezioni. Così, i
cattolici seppero misurarsi con il nuovo strumento di comunicazione e, nel
1961, diventava direttore generale della RAI Ettore Bernabei, un cattolico
intelligente e pieno di iniziative
3
. Egli si propose di trasformare la RAI in un
grande strumento di consenso, imponendo la centralità del mezzo televisivo e
della RAI nella vita politica, sociale e culturale del paese, con programmi
perfino progressisti, al fine di contribuire allo sviluppo culturale degli italiani
e per addomesticare l‟opposizione comunista.
Per quanto riguardava la programmazione Bernabei attivava, il 4
novembre del 1961, il secondo programma, che dava al pubblico televisivo la
possibilità di un‟alternativa, anche se i dirigenti erano gli stessi del 1° canale.
Bernabei rimase in carica per quattordici anni, promuovendo, all‟interno
della RAI, una serie di cambiamenti strutturali e di contenuti che hanno segnato
la storia dell‟azienda-rai fino ai nostri giorni.
Durante l‟autunno caldo del 1968 la Rai subì precise accuse di
„lottizzazione‟
4
. La denuncia del giornalista Alberto Ronchey, tra le altre cose,
3
Bernabei E., Dell‟Arti G., L’uomo di fiducia, Mondadori, Milano, 1999.
4
Il termine fu usato da Ugo La Malfa, che in una lettera a Ronchey denunciava la spartizione della
Rai.
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portò all‟elezione a capo dell‟azienda di Aldo Sandulli, ex presidente della
Corte costituzionale, che fu investito del ruolo di garante dell‟autonomia e
dell‟imparzialità dell‟ente. La questione lottizzazione non sfiorò, comunque, la
figura di Bernabei, che, anzi, uscì rafforzato da queste vicende: nella primavera
del 1969 il Consiglio di amministrazione assegnò al direttore generale poteri
tali che qualsiasi decisione in Rai doveva avere l‟assenso del direttore generale.
Il 16 settembre del 1973 Ettore Bernabei lasciava il suo incarico alla Rai
e diventava amministratore delegato e direttore generale dell‟Italstat.
Agli inizi degli anni „70 si aprì nella Rai una crisi lunga e difficile e il dibattito
sulla riforma si ampliò e si estese a tutti i soggetti sociali. Intanto si arrivava
alla vigilia del rinnovo della convenzione ventennale fra lo Stato e la RAI, che
scadeva il 15 dicembre 1972. Il dibattito politico proponeva la definizione di
un nuovo statuto della radio e della TV. In quello stesso periodo comparivano
le prime televisioni locali private via cavo: nel 1971 aveva iniziato
TELEBIELLA. Tra il 1973 e il 1974 le piccole reti via cavo, che erano sorte in
varie parti dell‟Italia, ricordavano l‟entusiasmo amatoriale dei primi ascoltatori
della radio negli anni venti, ma diversa era la percezione degli interessi in
gioco. TELEBIELLA venne fatta tacere nel gennaio del 1973. In questi anni
cominciarono a diffondersi in Italia, via etere, le TV straniere di
TeleMontecarlo, della Svizzera italiana, di TeleCapodistria.
Nel 1974 veniva emessa la seconda sentenza della Corte Costituzionale, la n.
225, che dichiarava illegittimo il decreto del giugno dello stesso anno, che
smantellava i ripetitori delle emittenti estere. Seguiva, subito dopo, un‟altra
sentenza della Corte Costituzionale, la n. 226, che definiva ancora legittima la
riserva allo Stato delle TV via etere, ma liberalizzava l‟emittenza privata via
cavo
5
.
Nel 1975 veniva promulgata la legge 103 di Riforma della RAI
6
. Con essa il
controllo della Direzione della Rai passava dal Governo al Parlamento. Veniva
5
Zaccaria R., Besi A., Leggi in materia di informazione e di comunicazione, Cedam, Padova, 2000.
6
AA.VV., La nuova Rai-tv, Il Mulino, Bologna,1975.
12
introdotto un Consiglio di amministrazione, scelto dal Parlamento. Per una
maggiore attenzione del servizio pubblico alle istanze locali veniva chiesto un
nuovo canale: il terzo Canale.
Nel 1976 ancora una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 202: dichiarava
legittima anche l’emittenza privata via etere, ma solo in ambito locale.
Il 1° febbraio del 1977 la Rai avviava ufficialmente le trasmissioni a colori
con un notevole ritardo, che aveva pesato non poco sulla nostra industria
elettronica.
7
Nel frattempo in Italia si diffondevano le „antenne libere‟ sia radiofoniche che
televisive. Cominciava l‟epoca del „far-west‟ dell‟etere, cioè: una
fondamentale assenza di regole. Il possesso di fatto di una certa frequenza era
l‟unico titolo valido per esercitare l‟attività televisiva. Spesso, anzi, si dovette
assistere a un vero esproprio di frequenze da parte di un operatore privato ai
danni di un altro. Questo stato di cose durerà fino al 1990, anno della Legge
Mammì, che avrebbe sancito il duopolio Rai-Fininvest
8
.
Furono, comunque, anni di grande creatività. La RAI finanziò con larghezza
gli sceneggiati o i film per la televisione; altrettanto generoso fu il sostegno
alle trasmissioni di politica e ai dibattiti.
Nel 1979 iniziarono le prime trasmissioni della Terza Rete; all‟inizio
molto limitate nella diffusione sul territorio nazionale. Essa in quel momento
assumeva una funzione propriamente sociale, come spazio garantito alle
associazioni e come supporto della televisione di Stato all‟opera di
decentramento regionale dell‟ informazione.
7
Ortoleva P., Un ventennio a colori, Televisione privata e società in Italia (1975-1995), Giunti,
Firenze, 1995.
8
Menduni E., La più amata dagli italiani, Il Mulino, Bologna, 1996.
13
1.1.2 La televisione degli anni ottanta
Fu il decennio della grande trasformazione della filosofia della televisione
italiana: da una concezione e da una pratica di tipo pedagogico e di servizio,
si passava ad una logica commerciale, basata sulla vendita di spazi
pubblicitari.
La prima metà degli anni‟80 fu, quindi, l‟era nella quale si organizzarono
i grandi monopoli privati, perché le risorse economiche in ambito nazionale
non riuscivano a far sopravvivere molti soggetti diversi. In quel periodo la TV
locale Tele Milano diventava il network Canale 5, dietro il quale c‟era la
Fininvest, finanziaria di Berlusconi. Questa, tra il 1982 e il 1984, acquistava
altri due network nazionali: Italia1 e Retequattro, ripettivamente dagli editori
Rusconi e Mondatori.
“Varie e complesse le ragioni. Schematizzando si può dire innanzitutto
che i tre gruppi erano relativamente deboli dal punto di vista economico per far
fronte all‟alto livello di investimenti che la televisione richiedeva…I loro
network furono sempre poco aggressivi sia nei confronti della Rai che degli
altri concorrenti privati. Inoltre avevano cercato, in omaggio alla loro
immagine di antiche imprese culturali, di restare il più possibile nell‟ambito
della legalità, desiderando sinceramente e persino auspicando la definizione di
un quadro normativo di certezze che garantissero una competizione alla pari,
quanto il loro principale concorrente tendeva invece a mantenere inalterata la
situazione di fatto”.
9
Si era passato da un monopolio di diritto a un monopolio di fatto, nel
quale alla Rai si contrapponeva il Gruppo milanese.
Il 13, il 15 e il 16 ottobre del 1984 i pretori di Torino, Roma e Pescara
decisero di intervenire contro la situazione nella quale si trovavano i grandi
9
Monteleone F., Storia della radio e della televisione in Italia, Marsilio, Venezia, 2003, p. 441.
14
network privati, che, attraverso una emittenza locale, diffondevano in realtà
programmi su tutto il territorio nazionale. Il Governo presentò prima un
decreto legge, poi convertito nella legge n.10 del 4 febbraio 1985: il ‘Decreto
Berlusconi bis’. Dopo 10 anni dalla prima riforma della Rai è la prima vera
regolamentazione della materia televisiva, che, in realtà, intendeva salvare le
televisioni locali, in attesa di una legge generale. La legge, però, portava
diversi cambiamenti nell‟organizzazione aziendale della Rai: stabiliva che tutti
i 16 membri del Consiglio di Amministrazione venissero nominati dalla
Commissione Parlamentare di Vigilanza; veniva abolito l‟articolo delle stessa
legge che obbligava la Rai a darsi determinate strutture; infine venivano
aumentati i poteri del Direttore Generale, ridimensionando i poteri del
Consiglio di Amministrazione. Di fronte alle strutture più flessibili delle
aziende private, si voleva rispondere dando alla Rai un capo con ampi poteri
decisionali. Per questo quel provvedimento venne anche chiamato „decreto
Berlusconi-Agnes‟: i due rappresentanti del settore privato e del servizio
pubblico. Le due aziende erano ormai leader del mercato italiano.
Fu questo il passaggio, attraverso il quale, il sistema industriale della
televisione italiana assunse quei caratteri che ne segnarono un grande
successo, come impresa, ma anche una totale anomalia giuridica. Da questo
momento l‟insieme delle tv, della pubblicità, della carta stampata, della
finanza e della politica costituirono un intreccio sempre più ingarbugliato che
si parlò, forse a ragione, di un „capitalismo selvaggio‟.
La programmazione delle tv private all‟inizio si basava soprattutto sulla
LUNGA SERIALITA’. Nel 1982 Dallas passava a Canale 5: cominciava così il
passaggio, sugli schermi italiani, di una lunga serie di soap opere
nordamericane e di telenovelas sudamericane. Queste creavano un forte
rapporto di fidelizzazione tra il pubblico e la rete. La nuova forza della tv
privata causava una „fuga delle star‟, dalla Rai alla Fininvest, verso contratti
miliardari. Cominciava anche la guerra dell‟audience: veniva introdotto il
criterio statistico di rilevazione Auditel.