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INTRODUZIONE
Entro il 2025 la banca mondiale stima che gli esseri umani produrranno quasi 5 miliardi di
tonnellate di spazzatura ogni anno, solo considerando le aree urbane. Parliamo di un terzo di tutta la
biomassa della terra stimando che una
larga parte finirà in discariche a cielo aperto, su enormi montagne di immondizia, nell'oceano o
semplicemente sulle nostre strade.
Negli ultimi dieci anni governi e ONG
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di tutto il mondo hanno fatto passi avanti per evitare un
futuro incerto sulla questione dei rifiuti e sul ciclo industriale che li regola. Gli organi di Stato
hanno così messo a disposizione del mercato un ingente capitale per tamponare il problema e
incrementare le potenzialità di riciclaggio delle singole industrie. È quindi davvero possibile creare
un futuro zero-waste?
Alcune nazioni come la Norvegia trovano più conveniente spedire i loro rifiuti in Svezia piuttosto
che pagare una costosa tassa pro capite sugli scarti. La Svezia a sua volta trasforma la spazzatura
norvegese in energia grazie all’utilizzo di fabbriche specializzate. L’energia prodotta viene
utilizzata per supportare le esigenze energetiche del paese stesso: ecco quindi un modo per creare e
risparmiare denaro utilizzando più di 400 miliardi di euro nel mercato globale dei rifiuti.
Di seguito andremo ad illustrare come il ciclo industriale di smaltimento dei rifiuti sia strettamente
correlato con l’economia di un paese, cosa è cambiato tra il 1990 e oggi in fatto di riforme e quale
posizione occupa l'Italia nella classifica ambientale europea. Vedremo inoltre esempi di paesi come
Cina e Giappone, dove intere città hanno applicato il modello dell’economia circolare all’industria
del riciclaggio e del riutilizzo di materiali, facendone la principale
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L’acronimo sta per organizzazioni non governative, un'organizzazione senza fini di lucro
indipendente dagli Stati e dalle organizzazioni governative internazionali.
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fonte di reddito e un esempio per tutta la comunità internazionale.
Recenti studi condotti negli Stati Uniti mostrano come sia possibile riciclare anche il 75% della
spazzatura. Ciò prova che in natura tutto è riutilizzabile, in omaggio al principio «nulla si crea, nulla
si distrugge, tutto si trasforma», cioè alla legge della conservazione della massa, legge fisica della
meccanica classica, postulata a Antoine Lavoisier nel Settecento: le piante assorbono la luce, le
foglie crescono, il suolo è ricco di sostanze nutritive e il ciclo ricomincia a ogni stagione. Il
medesimo concetto è applicabile a ogni materiale prodotto ed utilizzato dall’uomo: oggi la vera
opportunità finanziaria è una forma di riciclaggio a vantaggio del pianeta, che tenga insieme
interesse individuale al profitto e interesse collettivo alla salvaguardia dell’ambiente, come nelle più
ottimistiche sintesi smithiane fra utile dei singoli e benessere della società. Questo principio
economico appare per la prima volta su un giornale inglese nel 1990. Allora, un noto economista e
ambientalista britannico notò come l'economia attuale non fornisse nessun incentivo reale per il
riciclaggio (dal privato cittadino fino alle grandi catene industriali) e quasi tutti i prodotti erano
creati al fine di essere gettati.
Un'economia circolare, invece, non solo favorisce la conservazione dell'ambiente, ma ci proietta
verso un orizzonte di pensiero lungimirante al fine di iniziare al mercato prodotti che consentano al
cittadino di produrre la minor quantità possibile di rifiuti. Ad esempio: gli smartphone moderni sono
molto costosi, pieni di preziosi minerali, meccanismi high-tech e parti durevoli, eppure la maggior
parte dei telefoni vengono semplicemente gettati via, quando diventano obsoleti. Grazie a un piano
di economia circolare, potremo creare un mercato in cui il vecchio telefono possa facilmente essere
smontato, i componenti riciclati e le vecchie parti riutilizzate: si tratta di un comportamento
economicamente efficiente e prezioso dal punto di vista ambientale che ad oggi già esiste a livello
informale e che, per l’appunto, alimenta una virtuosa catena del valore della black economy.
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In Europa, rom, sinti, o comunque gruppi sociali marginali, vivono di una insalubre economia della
discarica, attraverso la quale riciclano e vendono rame o altre componenti riutilizzabili provenienti
da rifiuti, car-pack, scarti industriali. L’economia informale è già circolare, pur con tutte le
contraddizioni del caso, non ultimo la tendenza dei Paesi ricchi a esternalizzare verso i Paesi più
poveri o con meno garanzie lavoristiche e ambientali le attività più inquinanti. Al mondo esistono
vere e proprie città dei rifiuti, dove le costose tecnologie occidentali - che non siano già state
smantellate in un campo rom occidentale -, vengono ulteriormente vivisezionate per essere
reimmesse in circolo, come a Guiyu, in Cina, o Abidjan, in Costa d’Avorio. Si tratta, dunque, di re-
internalizzare nel circuito formale comportamenti informali già esistenti, garantendo che tali attività
avvengano in una cornice legale, che salvaguardi diritti umani e ambiente, indennizzando soggetti e
territori che pagano i costi di una attività spesso caratterizzata da una allocazione inefficiente dei
costi e benefici. Il rifiuto, infatti, deve essere trattato in modo da minimizzare e annullare i costi
ambientali e umani che potrebbe comportare, perché non è eticamente possibile indennizzare Paesi
o strati sociali poveri che accettano di trattare rifiuti non sicuri, perché spinti da una condizione di
indigenza. Le implicazioni relative a diritti ed equità che riguardano l’economia ambientale sono
tali da rendere la regolamentazione del settore una sfida non solo dal punto di vista economico.
Possiamo, tuttavia, imparare dalle strategie informali che si sono diffuse, proprio per implementare
una cornice legale che sia equa, oltre che efficace ed efficiente.
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L’ECONOMIA CIRCOLARE
Cos’è, dunque, l’economia circolare?
E’ un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo. Secondo la definizione della Ellen
MacArthur Foundation, in un'economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli
biologici, che devono essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, che devono essere
rivalorizzati senza entrare nella biosfera. Si tratta di un vero e proprio “cambio di paradigma”,
secondo la celebre espressione coniata da Thomas Kuhn nella sua opera : “La struttura delle
rivoluzioni scientifiche (1962)” per descrivere un cambiamento radicale nelle ipotesi base all'interno
di una teoria scientifica dominante. L’economia circolare, infatti, fa riferimento sia a una
concezione della produzione e del consumo di beni e servizi alternativa rispetto al modello lineare,
puntando sull'impiego di energie rinnovabili al posto dei combustibili fossili, sia su di un approccio
economico eterodosso e più orientato alla sociologia. E’ un approccio, cioè, che condivide le
perplessità di molti economisti eterodossi e antropologi che reputano ideologica la natura
dell'economia tradizionale liberale delle nostre società, che si basa sull'assunto che l'uomo sia un
attore razionale e che ordini le proprie preferenze secondo il principio dell'utilità marginale
decrescente, compiendo sempre analisi costi-benefici - ipotesi dell’homo oeconomicus - prima di
ogni decisione. Il valore di esistenza di particolari beni, come i beni ambientali, è completamente
diverso e maggiore dal valore d'uso che gli possono attribuire attori razionali che si trovano ad agire
nel mercato di concorrenza perfetta. Insomma, il valore della protezione dell'ambiente va aldilà dei
suoi costi, e non è certo l'utile individuale che può guidare le strategie volte alla protezione e
salvaguardia dell'ambiente.
Infatti, l’economia circolare si fa risalire al 1976, ad un rapporto presentato alla Commissione
europea dal titolo "The Potential for Substituting Manpower for Energy", di Walter Stahel e
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Genevieve Reday. I due esperti sottolinearono l'importanza dell'economia circolare soprattutto per
la creazione di posti di lavoro, per risparmiare risorse e ridurre rifiuti.
Oggi sappiamo che l’economia circolare può essere la quadratura del cerchio: non solo politica
keynesiana, ma strategia per sopperire a un classico fallimento del mercato nell’ambito
dell’economia ambientale. Aiutandoci a salvaguardare l’ambiente, i suoi costi sono ampiamente
ripagati dai risparmi sulla salute, con la riduzione delle malattie, dei costi di Welfare, ma anche con
l’aumento della produttività e dell’aspettativa di vita di comunità maggiormente in salute e dunque
capaci di produrre più reddito, che diventeranno più tasse per lo Stato. Sicuramente, l’economia
circolare è un processo multifattoriale dove l’approccio sistemico e olistico - e dunque il ruolo di
Stato o di altre stakeholder per definire la politica pubblica -, è fondamentale. E’ un processo che
non può essere lasciato al mercato, pena generare quelle economie informali dei rifiuti di cui già
abbiamo parlato che, per quanto efficiente dal punto di vista del riciclo, comportano costi sociali ed
etici inaccettabili.
A tutt’oggi, il miglior esempio di riciclaggio positivo viene dalla Cina, dal Giappone e dall'India
dove piccole/medie imprese applicano il principio di economia circolare proprio su elettronici ed
elettrodomestici.
Anche l’Italia si sta muovendo nella stessa direzione, guidata dalle normative europee, da campagne
di sensibilizzazione e dall’apertura di un nuovo mercato con grandi possibilità d’impiego nel
settore.
Nel 2015 l'Unione Europea ha iniziato la stesura di una serie di leggi volte a incoraggiare il sistema
di finanziamento verde, nonché ad attuare norme sui rifiuti e per erogare maggiori incentivi nei
programmi di riciclaggio.
L'idea innovativa prevede di chiudere il ciclo di vita di un prodotto per crearne uno nuovo,
conferendo nuove caratteristiche, creando varianti e ottimizzando la quantità di energia estraibile da
materie prime. Con un investimento iniziale di cinque milioni di euro solo per lo smaltimento
industriale di rifiuti, il progetto è un enorme passo verso un’Europa senza rifiuti. Negli ultimi dieci
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anni un numero crescente di industrie ha positivamente implementato le normative Ue sul ciclo di
produzione. La compagnia automobilistica francese Renault è stata una delle prime in Europa, con
automobili al 90% riciclabili e altre assemblate con parti al 45% riciclabili. La Renault stima che
applicando i principi dell’economia circolare possa ottenere benefici per circa 630 milioni di euro,
raggiungendo l’ obiettivo di sostenibilità ambientale entro il 2020.
Mentre i nostri rifiuti inquinano angoli sperduti del pianeta, è solo questione di tempo prima che
tocchino la vita di tutti i giorni, per questo abbiamo bisogno di nuovi modelli economici ed idee
sostenibili.