granulazioni e polverizzazione, al fine di produrre materie prime secondarie:
granulato e polverino di gomma. Da questi due prodotti inizia la seconda parte
della tesi in cui si confrontano dapprima l’asfalto modificato e il materiale
fonoassorbente e poi i due asfalti. L’obiettivo dello studio è quello di
quantificare gli impatti ambientali derivati dalla produzione di granulato e
polverino e di identificare la fase critica, cioè quella a cui si associano più
carichi, di tutto il processo di lavorazione. Inoltre confrontare la convenienza
sia ambientale che economica nel produrre asfalto modificato oppure asfalto
normale. L’analisi è stata effettuata utilizzando la metodologia LCA (Life
Cycle Assessment) cioè l’analisi del ciclo di vita . Questo procedimento è una
valutazione dei carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o
attività, di cui vengono identificati e quantificati gli input (materie prime ed
energia usate) e gli output (rifiuti rilasciati nell’ambiente). Lo studio si
articola seguendo le fasi previste dalle norme ISO 14040:2006 e 14044:2006.
L’applicazione dell’LCA è stata realizzata con il supporto del software
SimaPro 6.0 presso la facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna. Il
lavoro di tesi può essere schematicamente suddiviso in:
- Descrizione del metodo LCA,
- Descrizione del rifiuto pneumatico e del trattamento,
- Descrizione dell’asfalto modificato, normale e loro produzione,
- Studio LCA vero e proprio,
- Comparazione economica.
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CAPITOLO 1
LCA: LIFE CYCLE ASSESSMENT
1.1 Che cos’è una LCA
1.1.1 Definizione
La consapevolezza del ritmo di crescita esponenziale dell’inquinamento
globale, di pari passo con l’espansione industriale e con l’aumento dei
progressi delle nuove tecnologie, pone al centro del grande dibattito
sull’ambiente la ecosostenibilità di attività produttive, di servizi e di sistemi
di gestione. Un qualsiasi processo produttivo può considerarsi ecosostenibile
se riesce a soddisfare i bisogni delle generazioni presenti e considera la
protezione ambientale come condizione necessaria per uno sviluppo
duraturo a beneficio delle generazioni future. In questo contesto sta
assumendo notevole importanza un nuovo strumento analitico: la Life Cycle
Assessment (LCA), conosciuta in Italia come “Analisi del ciclo di vita”.
LCA ha come ultimo obiettivo l’identificazione dei carichi ambientali
associati ad un prodotto, processo o attività, percorrendo l’oggetto dello
studio in tutta la sua storia. Tale percorso, che si esplica sia a monte sia a
valle della fase di utilizzo, inizia con l’estrazione delle materie prime dalla
terra, attraversa la fase di lavorazione e utilizzo del prodotto e termina con il
ritorno delle materie prime alla terra sotto forma di rifiuti, cioè lo
smaltimento finale. L’insieme di queste macrofasi viene comunemente detto
percorso “from cradle to grave”, vale a dire “dalla culla alla tomba”.
Il termine LCA, con cui in principio si intendeva indistintamente Life Cycle
Assessment o Life Cycle Analysis, fu coniato durante il congresso della
Society of Enviromental Toxicology and Chemistry (SETAC) di Smuggler
Notch (Vermont-USA) nel 1990 per caratterizzare più dettagliatamente le
analisi svolte fino ad allora con il nome di REPA (Resource and
Enviromental Profile Analysis).
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La definizione stabilita è la seguente: “è un procedimento oggettivo di
valutazione di carichi energetici ed ambientali relativi ad un processo o
attività, effettuato attraverso l’identificazione dell’energia e dei materiali
usati e dei rifiuti rilasciati nell’ambiente. La valutazione include l’intero
ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il
trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la
distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento finale.” Nella
definizione vengono sottolineati alcuni aspetti: l’oggettività del
procedimento, vale a dire l’esecuzione di fasi analitiche precise e ben
determinate, nonché lo studio di dati confrontabili e scientificamente
verificabili e la considerazione dell’intero ciclo di vita, che presuppone una
visione globale del sistema in esame, poiché le fasi di uno stesso processo
produttivo (Figura 1.1.1) possono svolgersi in situazioni geografiche molto
distanti l’una dall’altra. L’obiettivo da perseguire, nella prospettiva di un
miglioramento futuro, è rappresentato dalla valutazione degli impatti
ambientali imputabili allo stato in essere del processo o dell’attività studiata,
in modo da sviluppare in futuro interventi di natura preventiva. La
quantificazione dei carichi ambientali del ciclo di vita di un prodotto o
servizio avviene attraverso la contabilizzazione di tutti i consumi di materie
prime, acqua e fonti energetiche, detti “input” e di tutte le emissioni gassose,
liquide e solide, di rifiuti e di altri rilasci, detti “output”. In particolare l’
LCA valuta anche i “risparmi ambientali” dovuti alla produzione evitata di
materiali ed energia grazie al riuso, al riciclo o alla termovalorizzazione del
prodotto considerato. Infatti, è proprio grazie all’identificazione di criticità
ambientali, in gergo “bottleneck” cioè “colli di bottiglia”, che si può mirare
all’ottimizzazione dei processi e dell’uso delle risorse.
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Energia
Acqua
Materiali
Prodotti principali
Co-prodotti
Emissioni in aria
Emissioni in acqua
Rifiuti solidi
Altre interazioni
con l’ambiente
Riuso,riciclaggio,recupero
energetico
Gestione dei rifiuti
OUTPUT
INPUT
Confine sistema
Estrazione materie prime
Processamento e fabbricazione
Distribuzione
Uso del prodotto
Figura 1.1.1: Schema di un sistema produttivo
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Caratteristica fondamentale della LCA è l’approccio “from cradle to grave”,
metodologia del tutto innovativa che è stata dettata principalmente da due
ragioni. In primo luogo una singola operazione industriale poteva
apparentemente essere resa più efficiente e “più pulita” semplicemente
trasferendo l’inquinamento in altri comparti ambientali: i benefici derivanti
da queste azioni venivano controbilanciati dai problemi generati altrove,
senza conseguire nel complesso alcun reale miglioramento. In secondo luogo
si passa da una tipologia di studio tipica dell’ingegneria tradizionale,
focalizzata sull’efficienza dei singoli sistemi produttivi, ad una visione
globale dell’intera catena produttiva che tiene tra loro collegate le singole
operazioni.
1.1.2 Tipologie e approcci
E’ stata già evidenziata l’importanza dell’approccio innovativo di uno studio
LCA, cammino “from cradle to gate”. In realtà si stanno diffondendo altri
tipi di approcci che incentrano uno studio LCA su specifiche macrofasi di un
sistema produttivo. In particolare:
• “from cradle to gate”, (dalla culla al cancello): lo studio inizia a partire
dall’approvvigionamento delle materie prime e delle fonti energetiche per
concludersi nell’immissione sul mercato del prodotto finito, escludendo
quindi la fase di utilizzo dello stesso;
• “from gate to gate”, (dal cancello al cancello): l’analisi si esplica in una
regione spaziale delimitata, quale quella aziendale, percorrendo la sola fase
di fabbricazione e assemblaggio.
Recentemente però gli studiosi del settore si stanno sempre più soffermando
su un approccio del tipo “from cradle to cradle” al fine di enfatizzare la
rivalorizzazione del prodotto a fine vita sotto forma di recuperi energetici e
di materiali, nell’ottica di diminuire progressivamente la quantità di rifiuti da
inviare allo smaltimento in discarica. Conferire valore intrinseco a un
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qualsiasi prodotto a fine vita vuol dire promuovere ogni attività di recupero,
reimpiego e riciclaggio, considerando lo smaltimento finale in discarica una
fase residuale da attuare in condizioni di massima sicurezza senza arrecare
alcun pregiudizio all’ambiente.
1.1.3 Origini e sviluppo
Le origini del concetto di “ciclo di vita” nell’ambito di un corretto
sfruttamento delle risorse per realizzare uno sviluppo sostenibile risalgono
agli anni ’60. Fu nel 1966 che l’economista Kenneth Boulding usò per la
terra la metafora dell’astronave, all’interno della quale la sopravvivenza
dell’equipaggio dipende da un’oculata gestione delle risorse esistenti, per
indicare la necessità di guardare alla biosfera come ad un ambiente limitato
nella capacità di fornire risorse e di assorbire scorie. Partendo dai contributi
di Boulding e di Georgescu Roegen, leader della bioeconomia, lo
statunitense Daly maturò il concetto che sia le persone che i prodotti
rappresentano “un sistema aperto che, attraverso il processo produttivo,
necessita di un flusso ininterrotto di materia-energia o throughput”. Tale
flusso deriva dallo sfruttamento di risorse naturali a bassa entropia, le quali,
tuttavia, una volta passate attraverso il processo economico, divengono delle
scorie inutilizzabili, ad alta entropia. Il primo studio di analisi del ciclo di
vita, mai pubblicato a causa della riservatezza delle informazioni contenute,
fu quello commissionato dalla Coca Cola Company al Midwest Research
Institute nel 1969. Si volevano determinare le conseguenze ambientali della
produzione di diversi tipi di contenitori per bevande per individuare il
migliore da un punto di vista ambientale. Lo stesso istituto pubblicò alcuni
anni dopo, nel 1974, una ricerca denominata REPA, Resource and
Environmental Profile Analysis, integrando l’energia come appartenente alle
risorse naturali nell’ambito della valutazione del ciclo di vita di alcuni
materiali. Intanto diventavano di interesse generale alcune tematiche quali il
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crescente livello d’inquinamento globale, la limitatezza delle risorse e il loro
sfruttamento sfrenato, le crisi energetiche e petrolifere e il problema della
destinazione dei rifiuti. Agli inizi degli anni ’70 anche in Europa, specie
Germania e Gran Bretagna, si avviarono i primi studi con approccio “dalla
culla alla tomba” relativi a imballaggi per bevande.
In Italia la necessità di uno strumento di contabilizzazione per i carichi
ambientali associati alla produzione delle merci si delineò nel 1977-79
quando, presso l’Istituto di Merceologia dell’Università di Bari,
l’economista Nebbia svolgeva ricerche sull’analisi dei flussi di energia
attraverso i vari cicli produttivi distinguendo fra energia impiegata
nell’impianto di produzione e energia incorporata nelle materie prime. In
quegli anni fu pubblicato quello che sarà poi il punto focale nella storia della
metodologia LCA, il manuale di analisi energetica industriale di Boustead e
Hancock, il primo ad offrire un reale procedimento analitico e operativo. Il
decennio successivo non vide delle vere spinte propulsive verso uno
strumento di analisi del ciclo di vita; fu infatti nel 1990 che la SETAC, in
seguito sede scientifica per la redazione delle norme ISO serie 14040, coniò
il termine Life Cycle Assessment nella stesura del “Code of Practice”, primo
documento guida ufficiale per tale metodologia. Nel giugno del 1992, si
formò la Society for Promotion of Life Cycle Development (SPOLD) che in
cinque anni sviluppò un formato standard per i dati di LCA tentando di
standardizzare le caratteristiche dei dati contenuti nei database dei diversi
software. Oggi l’utilizzo dell’LCA è in forte crescita in molti paesi europei,
nonché in America e in Asia, anche se la maggior parte degli studi non è
pubblicata. La Svezia resta il paese più avanzato nell’uso sistematico della
LCA a livello aziendale e ciò è ulteriormente confermato dal sempre
crescente numero di EPD, Environmental Product Declaration, cioè un
sistema codificato di certificazione ambientale di prodotto. Nella ricerca
della migliore ecoefficienza produttiva, un ulteriore passo in avanti è
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rappresentato dal Life Cycle Design (LCD), costituito da tutte le varie
discipline che conducono ad una sostanziale riprogettazione di un sistema
industriale. I prodotti che un LCD vuole garantire sono di elevata qualità
avendo al contempo impatti ambientali minimi, nonché parametri di
risparmio energetico e di protezione della salute dei lavoratori. Un Life
Cycle Design necessita dell’applicazione della metodologia LCA per
ricavare tutte le informazioni e i dati occorrenti alla fase di progettazione.
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1.1.4 Percorso normativo
Dopo che la SETAC ne coniò il termine, la LCA vide il suo primo
riferimento legislativo nell’art. 5 del Regolamento CEE 92/880 concernente
il sistema comunitario di assegnazione di una etichetta di qualità ecologica.
In esso si afferma che:
“…i criteri specifici per ogni gruppo di prodotti sono stabiliti secondo un
metodo globale (dalla culla alla tomba)…”.
Difatti, l’unico modo per assegnare un marchio Ecolabel è quello di valutare
il ciclo di vita complessivo del prodotto in esame per poi imporre restrizioni
sulle fasi del sistema maggiormente responsabili di danni ambientali. In
seguito, dal 1993 fino ad oggi, la International Standard Organization (ISO)
e nello specifico il suo Tecnical Committee 207 (TC 207) ha provveduto a
sviluppare una serie di norme relative a vari aspetti della gestione ambientale
di impresa, abbracciando le esigenze di organizzazioni governative e non,
consumatori e aziende. La valutazione del ciclo di vita, come detto, è
utilizzata anche come metodologia indispensabile per qualsiasi schema di
etichettatura ambientale di prodotto. Lo strumento normativo che le aziende
hanno a disposizione per migliorare la gestione ambientale delle proprie
attività, dei prodotti e dei servizi è rappresentato dalle norme internazionali
della serie ISO 14000 elaborate con lo scopo di fornire:
- una guida pratica per l'attuazione e il miglioramento di un sistema di
gestione ambientale;
- gli strumenti di valutazione degli aspetti specifici della propria gestione
ambientale;
- i principi e le indicazioni pratiche per dare informazioni sugli aspetti
ambientali di prodotti e servizi.
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