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RIASSUNTO
La società odierna vive in un contesto di notevole benessere socioeconomico ed è stato
stimato che nel 2050 verrà superata la soglia di 9 miliardi di persone nel mondo. Col crescere
della popolazione aumenterà anche la domanda di beni alimentari ma non è possibile trascurare
la consapevolezza che le risorse naturali a disposizione sono già ampiamente sfruttate e sarà
complesso potenziare la produzione alimentare nel prossimo futuro. Tra gli alimenti più
richiesti vi è la carne, ma se si vuole garantire cibo a tutta la popolazione mondiale e ridurre
l’impatto ambientale delle produzioni zootecniche è necessario ridurne il consumo pro-capite e
prendere in considerazione altre fonti proteiche come la carne coltivata.
Lo scopo del tirocinio è quello di indagare lo stato dell’arte circa la produzione e la
determinazione dell’impatto ambientale della carne coltivata. Per il suo raggiungimento è stata
condotta una ricerca bibliografica impiegando come fonte principale di informazioni il database
Scopus
®
. Attraverso di esso sono state reperite molteplici review che sono state in seguito
confrontate tra loro in modo tale da analizzare e studiare le varie tematiche correlate alla carne
coltivata.
Con il termine “carne coltivata” (in inglese “cultured meat”) si fa riferimento alla carne
ottenuta mediante la coltivazione cellulare in vitro e che si pone come obiettivo quello di
emulare – nelle sue varie caratteristiche – la carne convenzionale. L’idea di coltivare la carne
risale già al 1912 ma i princìpi alla base della coltivazione cellulare vengono fissati solo nel
1953 grazie al ricercatore olandese Willem Frederik van Eelen, che nel 1999 registra il primo
brevetto per la produzione industriale di carne in vitro per il consumo umano e animale. Occorre
attendere l’anno 2013 per la presentazione del primo hamburger prodotto con carne coltivata,
frutto del lavoro del professore Mark Post. Da allora sono state fondate molte start-up il cui
obiettivo è quello di realizzare un processo di produzione di carne coltivata su larga scala.
Il processo di produzione di carne coltivata inizia sottoponendo l’animale ad una biopsia con
l’obiettivo di prelevare una porzione di tessuto dal quale si vogliono isolare le cellule desiderate.
La coltivazione cellulare in vitro necessita l’impiego di cellule staminali (stem cell, SC) e quelle
impiegate per la produzione di carne coltivata sono di due tipologie: 1) le cellule staminali
adulte e 2) le cellule staminali pluripotenti. All’interno di questi due gruppi si individuano
differenti cellule che possono essere impiegate per realizzare le linee cellulari necessarie alla
produzione di carne coltivata. È bene rammentare che la selezione delle cellule da impiegare
necessita di molta attenzione poiché bisogna ricreare una matrice con caratteristiche analoghe
a quelle della carne convenzionale, costituita da circa il 90% di fibre muscolari e il 10% di
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tessuto adiposo e connettivo. Successivamente, bisogna formulare un mezzo di coltura adeguato
a fornire alle cellule tutti i nutrienti e i fattori di crescita necessari affinché avvengano i processi
di proliferazione e di differenziamento cellulare. Di solito, il mezzo di coltura è a base di siero
di feto bovino (fetum bovine serum, FBS) ma – al fine di creare un prodotto garante del
benessere animale – si stanno studiando formulazioni differenti a base di proteine vegetali,
estratti microalgali o proteine ricombinanti. Per consentire lo sviluppo delle cellule è necessario
anche costruire uno scaffold cioè una struttura sulla quale le cellule possano aderire. Esso
generalmente è costituito da microsfere (o microcarrier) che ricreano lo spazio extracellulare
oppure è possibile impiegare un idrogel. Anche per realizzare lo scaffold possono essere
impiegati materiali di origine animale (es. il collagene), di origine vegetale o micotica. La
biostampa 3D rappresenta un’alternativa all’uso di scaffold. A questo punto, il processo di
produzione prevede l’impiego di un bioreattore cioè di un apparecchio che ricrea i fattori
chimico-fisici tipici di un organismo vivente – quali pH, temperatura, pressione, concentrazione
di ossigeno (O2) – e li mantiene costanti nel tempo così da consentire la proliferazione e il
differenziamento cellulare. È possibile l’impiego di diverse tipologie di bioreattore ma se si
vuole realizzare una produzione su larga scala è preferibile impiegare un bioreattore stirred
tank che si adatta ad un processo di produzione continuo; inoltre, esso mantiene la biomassa in
movimento così da consentire una diffusione più efficace del mezzo di coltura.
Una progettazione accurata del sistema di produzione è essenziale per l’ottenimento di un
prodotto le cui caratteristiche organolettiche possano essere simili a quelle delle carne
convenzionale. L’utilizzo di uno scaffold dotato di striature piuttosto che l’impiego della
biostampa 3D possono essere due potenziali metodi per migliorare la texture del prodotto.
Ulteriori aspetti che devono essere tenuti in considerazione sono il flavour e il colore della carne
coltivata che possono differire anche molto rispetto alla carne convenzionale, ciò comporta la
messa a punto di strategie medianti le quali è possibile ottenere un prodotto gradevole dal punto
di vista sensoriale. Anche la composizione nutrizionale della carne coltivata non deve essere
sottovalutata e in modo particolare bisogna porre attenzione alla composizione in acidi grassi.
Essa tende ad essere diversa da quella della carne convenzionale ma è possibile modificarla
appositamente così da ottenere un alimento più salutare.
Nella descrizione delle proprietà della carne coltivata, l’aspetto più dibattuto è quello
concernente la sua sostenibilità ambientale. Per la sua produzione si assiste a minori emissioni
di gas effetto serra ma la sua impronta carbonica è comunque importante per via delle emissioni
di anidride carbonica (CO2) che derivano dalla produzione di energia necessaria a mantenere in
funzione il bioreattore. Per quanto riguarda l’impronta idrica, essa non è semplice da
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determinare e non è possibile confrontarla con quella della carne convenzionale perché i
processi di produzione sono molto differenti. La produzione di carne coltivata determina anche
un minore sfruttamento di superficie terrestre o marittima. Nonostante gli apparenti benefici
che la carne coltivata può esercitare sull’ambiente, attualmente non è possibile stabilire quale
può essere il suo reale impatto sull’ambiente e sul riscaldamento globale poiché ci si basa solo
su stime, dato che nessun processo su larga scala è stato messo in atto.
A seguire, la coltivazione in vitro della carne risponde alle nuove esigenze dei consumatori
occidentali come quella di poter acquistare un alimento eticamente accettabile e per la cui
produzione non si sia fatto ricorso allo sfruttamento degli animali. In effetti, la carne coltivata
viene a volte definita come “carne senza vittima” purché non si faccia uso di composti di origine
animale per la sua produzione.
Inoltre, diversi studi mettono in evidenza come la carne coltivata possa garantire una maggiore
sicurezza igienico-sanitaria al consumatore finale, ciò è dovuto alla riduzione del rischio di
zoonosi e di trasmissione di patogeni responsabili di malattie alimentari perché non si assiste
alle fasi di allevamento e macellazione. I parametri di crescita cellulare all’interno del
bioreattore sono costantemente tenuti sotto osservazione ma bisogna porre attenzione alla
qualità igienico-sanitaria delle materie prime impiegate perché possono essere fonte di
contaminazioni.
Nonostante i progressi raggiunti negli ultimi anni dalle varie start-up, al momento non esiste
una legislazione ad hoc che regoli la produzione e la commercializzazione della carne coltivata.
Solo nel 2019 negli USA è stato sviluppato un quadro normativo in materia di produzione di
carne coltivata mentre Singapore è il primo Paese al mondo ad aver autorizzato nel 2020 la
commercializzazione di tale alimento, dopo il parere positivo espresso dalla Singapore Food
Agency. Comunque sia, al momento la legislazione a riguardo è ad uno stato primitivo.
Il sistema di produzione messo in atto e le caratteristiche organolettiche della carne coltivata
rappresentano dei fattori importanti nel determinare l’accettabilità del prodotto da parte del
consumatore finale. È necessario, inoltre, tenere in considerazione anche tutti quei fattori
socioculturali e psicologici che spesso influenzano le scelte d’acquisto dei consumatori.
Bisogna porre molta attenzione al nome scelto per identificare l’alimento poiché esso influisce
direttamente sulla percezione complessiva del prodotto e sul livello di neofobia del
consumatore. Il termine più appropriato sarebbe quello di “carne pulita” dal quale traspare il
concetto che l’alimento è stato prodotto senza ricorrere alla macellazione di un animale e nel
rispetto dell’ambiente. Le indagini condotte da vari studiosi hanno messo in evidenza che i
vegetariani sono meno inclini a consumare la carne coltivata rispetto a quei soggetti che
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abitualmente consumano carne: la somiglianza con la carne convenzionale e la percezione di
prodotto “innaturale” determinano l’esito di tali indagini. Se poi si osserva il livello di
accettabilità da parte di alcune comunità religiose – come quella ebraica o musulmana – si
denotano varie voci di pensiero e non tutti sono propensi al consumo di carne coltivata.
La ricerca bibliografica ha condotto alla comprensione che il processo di produzione di
carne coltivata necessita di ulteriori miglioramenti poiché si è ancora bel lontani dall’ottenere
un alimento che sia del tutto interscambiabile con la carne convenzionale. Il miglioramento del
processo di produzione deve essere finalizzato a consentire una produzione su vasta scala e alla
riduzione dei costi di produzione: l’attuale prezzo elevato della carne coltivata ne ostacola la
sua accettabilità. In conclusione – considerando l’importanza socioeconomica delle produzioni
zootecniche convenzionali – è possibile pensare ad una integrazione dei due metodi di
produzione in modo tale da valorizzarne le sinergie. Ad esempio, gli allevamenti potrebbero in
parte ridurre l’uso di metodiche intensive che nella maggioranza dei casi li caratterizzano,
mentre le aree di superficie coltivabile – recuperate grazie alla produzione di carne coltivata –
potrebbero essere sfruttate per incrementare le produzioni vegetali destinate al consumo umano
o per potenziare la fornitura di servizi ecosistemici tali da mitigare gli effetti dell’inquinamento
ambientale e del cambiamento climatico.
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INTRODUZIONE
La società odierna vive in un contesto di notevole benessere socioeconomico – anche se
non equamente distribuito tra le varie regioni del globo – come diretta conseguenza del
progresso umano raggiunto nel corso del XX secolo. Tale benessere ha determinato un
incremento costante della popolazione mondiale dagli anni ’50 ai giorni nostri ed è stato stimato
che nel 2050 verrà superata la soglia di 9 miliardi di persone nel mondo (Fig. 1). Il maggiore
contributo a tale crescita sarà dato da Asia e Africa (United Nations, 2017), continenti nei quali
si trovano molti dei Paesi in via di sviluppo. La prima preoccupazione che deriva da tali stime
è come sarà possibile soddisfare la richiesta di cibo da parte di una popolazione così numerosa.
Difatti, è stato stimato che col crescere della popolazione aumenterà anche la domanda di beni
alimentari ma, al contempo, non è possibile trascurare la consapevolezza che le risorse naturali
a disposizione sono già ampiamente sfruttate e sarà complesso potenziare la produzione
alimentare nel prossimo futuro (FAO, 2009).
Figura 1 – Variazione del numero di individui nella popolazione mondiale, anni 1950-2100.
Tra gli alimenti maggiormente richiesti vi è la carne che rappresenta da sempre un
alimento cardine dell’alimentazione umana poiché è una fonte di proteine ad alto valore
Fonte: United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division (2017), “World
Population Prospects: The 2017 Revision. Volume I: Comprehensive Tables”.
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biologico, di vitamine e di minerali, oltre a rivestire un ruolo importante nella cultura e nelle
tradizioni di molti popoli. Parallelamente all’incremento della popolazione, la domanda di carne
è cresciuta (Fig. 2) e continuerà a crescere nel futuro. Però è necessario tenere in considerazione
che le produzioni zootecniche rappresentano uno tra i settori produttivi caratterizzati dal
maggiore consumo di risorse naturali e, di conseguenza, con un elevato impatto sull’ambiente.
Per via del cambiamento climatico, inoltre, non è concepibile aumentare la produzione di carne
più di quanto non sia già stato fatto sino adesso. È interessante osservare come i volumi di carne
richiesti attualmente sono il frutto anche dell’elevato consumo pro-capite (Fig. 3), tipico dei
Paesi industrializzati ma in aumento anche in quelli in via di sviluppo (Parlasca e Quaim, 2022).
Dato lo stato attuale, si delinea l’urgenza nell’intervenire così da consentire il perseguimento
di alcuni degli obiettivi prefissati dall’Agenda 2030
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dell’ONU (obiettivi 2, 12, 13 e 14) (United
Nations, 2015), soprattutto a seguito degli ingenti danni causati dalla pandemia da COVID-19
(FAO, 2021
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). Per quanto concerne la carne, una prima strategia che deve essere messa in atto
è quella di ridurne il consumo pro-capite; altra strategia consiste nel sostituire la carne – per
quanto nutrizionalmente possibile – con altre fonti proteiche quali vegetali, funghi, insetti
(Pintado e Delgado-Pando, 2020) oppure con la carne coltivata: proprio su quest’ultima opzione
si sofferma lo studio seguente.
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«L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile è un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità
sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo
Sviluppo Sostenibile […]» [Nazioni Unite, disponibile online: ONU Italia La nuova Agenda 2030 per lo Sviluppo
Sostenibile (unric.org)].
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FAO, disponibile online: News Article: Rapporto ONU: un anno di pandemia contrassegnato da una brusca
impennata della fame nel mondo.