3
Capitolo I
LA RELIGIOSITÀ NEL FANTASTICO BUZZATIANO.
I.1. Fantastico, mistero e Dio.
E' consuetudine collocare l'opera letteraria di Dino Buzzati
nell'ambito del cosiddetto genere fantastico.
A Todorov si deve una nota definizione del fantastico come
"esitazione provata da un essere il quale conosce soltanto le leggi
naturali, di fronte ad un avvenimento apparentemente
soprannaturale"
1
.
Il carattere di ambiguità che denota l'acquisizione todoroviana, ben
rappresenta l'atmosfera entro cui vagano i personaggi buzzatiani,
sempre in bilico tra l'ordinario e lo straordinario, la vita e la morte, la
realtà e il sogno.
Per una concezione esaustiva del fantastico di Buzzati, tuttavia,
occorrono ulteriori approfondimenti riguardo al messaggio che lo
scrittore bellunese si propone di inviare, o comunque invia, al lettore.
L'esistenza di un messaggio da recapitare e di un viaggio da
intraprendere sin dalla prima raccolta di racconti (I sette messaggeri
2
),
1
Cfr. T. Todorov, Introduction à la litterature fantastique, Edition du Seuil, 1970; trad. it. La
letteratura fantastica, Garzanti, 1977, p.26 (da cui si cita).
2
D. Buzzati, I sette messaggeri, Milano, Mondadori, 1942.
4
evidenzia un soggiacente autobiografismo di stampo sentimentale
caratterizzante l'intera esperienza letteraria buzzatiana, ben camuffato
entro un'asettica atmosfera metafisica:
"Una speranza nuova mi trarrà domattina ancora più
avanti, verso quelle montagne inesplorate che le ombre della
notte stanno occultando. Ancora una volta io leverò il campo
[...] per recare alla città lontanissima l'inutile mio
messaggio."
3
.
Un messaggio senza troppe illusioni, quello buzzatiano, teso non ad
impartire insegnamenti, quanto piuttosto a snebbiare coscienze,
sollecitando l'uomo a porsi delle domande ed a compiere, in
definitiva, la propria ricerca esistenziale.
La ricerca di una dimensione risolutiva, nella quale identificarsi del
tutto, sta alla base dell'esperienza artistica, oltre che di quella esi-
stenziale, dello stesso Buzzati.
Domenico Porzio osserva: "La sua preoccupazione, vivendo, fu quella
di spargere sulla sua realtà di scrittore una cortina fumogena: lasciarsi
credere un favolista innocuo, un creatore di fantasticherie appena un
po' deprimenti e angosciate, un inventore di divertenti paradossi
esistenziali appena un po' crudeli."
4
.
E' per sottolinearne l'atipicità nell'ambito del panorama italiano che,
soffermandosi sul fantastico buzzatiano, Fausto Gianfranceschi traccia
3
D. B., I sette messaggeri, in Sessanta racconti, Milano, Mondadori, 1992, p.13.
4
Cfr. D. Porzio, introd. a Siamo spiacenti di, Milano, Mondadori, 1991, p.7.
5
una distinzione preliminare tra fantasticheria e fantasia, essendo a suo
parere quest'ultima più consona a definirne l'estro come "momento
spiritualmente creativo, che però non si separa dal reale: lo ordina e lo
trasfigura metaforicamente."
5
.
Nel brano intitolato Il rospo, ad esempio, l'animaletto si trasfigura
nientemeno che in:
"messaggero di Dio, o, se non esiste Dio, di un mondo
benevolo, fresco, ricoperto tutto di grandi cespugli selvatici
pieni di fruscii e di rumori segreti, a scatti, a soffi, a sospiri,
lembi strani sospesi evanescenti di felicità."
6
.
Il mondo circostante, specie nei suoi più semplici componenti, pare
sottoposto ad un processo di elefantiasi, di dilatazione
dell'infinitesimale, allo scopo di carpirne il senso:
"Ma che cosa sarebbe poi questa goccia: [...] un topo
forse? Un rospetto uscito dalle cantine? No davvero. E allora
[...] sarebbe per caso una allegoria? Si vorrebbe, così per dire
simboleggiare la morte? o qualche pericolo? o gli anni che
passano?..."
7
.
5
Cfr. F. Gianfranceschi, "Buzzati: la sua religiosità e i suoi critici", A. Fontanella a c. di, in
AA.VV., Dino Buzzati, Firenze, Olschki, 1982, p.20.
6
D. B., Il rospo, in Siamo spiacenti di, cit.
7
D. B., Una goccia, in Sessanta racconti, cit.
6
In realtà, conclude Buzzati, ciò che fa più paura è che tale goccia salga
le scale, inesorabile, con un tintinnìo che assomiglia tremendamente al
ticchettìo dell'orologio, dunque allo scorrere inarrestabile del tempo.
Afferma Claudio Toscani: "Uno scandalo ontologico, in definitiva,
trapela dai testi buzzatiani e finisce per riassumersi nella eterna
domanda dell'uomo sul proprio nascere e morire; circa il male e il
dolore, veri misteri dell'esistenza e della storia; sul perché della vita
nell'inesorabile coscienza della morte e, prima che della morte, dello
stacco, della disillusione."
8
.
Ciò che all'uomo appare privo di senso, in Buzzati capita che si carichi
di trascendenza o si amplifichi in maniera spropositata: così accade
che Dio faccia la sua inconsueta comparsa nelle spoglie di un rospo o
che l'atomo sulla zampetta di una mosca contenga un intero universo,
perfettamente identico al nostro; mentre l'essere umano appare
infierire contro il mondo animale e contro i suoi stessi simili con
abominevole godimento.
L'uomo, quasi ovunque, è posto a confronto col mondo di cui è, suo
malgrado, parte integrante.
In Che cosa accadrà il 12 ottobre? ad un certo punto Buzzati si
esprime nel modo che segue:
"L' uomo [...] è una imprevista anomalia verificatasi nel
corso del processo evolutivo della vita, non il risultato a cui
l'evoluzione doveva necessariamente portare. E' mai
8
Cfr. C. Toscani, Guida alla lettura di Buzzati, Milano, Mondadori, 1987, p.10.
7
concepibile infatti che l'officina della natura mettesse
determinatamente in circolazione un animale nello stesso
tempo debole, intelligentissimo e mortale cioè
inevitabilmente infelice?"
9
.
A mosche, batteri e amebe, sembra sia concessa la sussistenza in un
qualsiasi altro punto del cosmo, mentre l'uomo campeggia in tutta la
sua orgogliosa solitudine e in una vana illusione di supremazia.
Snebbiare le coscienze equivale, quindi, a disilludere e relativizzare
l'essere umano, allo scopo di ricondurlo romanticamente alla sua
originaria armonia con la natura e con l'assoluto.
Pascal, uno degli autori più apprezzati da Buzzati, rifletteva:
"Che cos'è un uomo nell'infinito? Ma per presentargli un
altro prodigio altrettanto stupefacente, cerchi, tra quello che
conosce, le cose più minute. Un acaro [...] Egli penserà forse
che in natura non ci sia cosa più estremamente piccola. Là
dentro voglio mostrargli un nuovo abisso [...] Ci veda
un'infinità di universi..."
10
.
Buzzati sembrerebbe emulare tale brano, quasi fedelmente riprodotto
in Che cosa accadrà il 12 ottobre?, seppure con spessore e profondità
non ragguagliabili a quelle del filosofo francese.
9
D. B., Che cosa accadrà il 12 ottobre?, in Le notti difficili, Milano, Mondadori, 1992, p.144.
10
B. Pascal, Pensées, fr.72; trad. it. a c. di L. Collodi, Pascal. Pensieri, Roma, Newton, 1993,
p.37.
8
Tuttavia, può bastare tale richiamo a comprendere come il fantastico
buzzatiano non miri ad una semplice situazione straniante o ad uno
stravolgimento del reale fine a se stesso, ma induca ad una riflessione
sul mistero del mondo, delle cose e sulla relatività e caducità della vita
umana.
La fantasia di Buzzati "non esorbita mai - per citare ancora
Gianfranceschi - non è mai disgiunta da un concetto spirituale, da
principi e indicazioni ideali che ne sono la sostanza; si fa addirittura
calcolo, in funzione di una meccanica trascendente."
11
.
Come già rilevato, quanto di trascendente caratterizzi l'opera
buzzatiana è mistero, ossia la principale chiave interpretativa di
romanzi e racconti.
Nel corso di una nota conversazione con Yves Panafieu, Buzzati affer-
mava, appunto, riguardo al mistero: "Secondo la convenzione
romantica dovrebbe essere il diavolo. Un altro forse lo potrebbe
vedere nel sacerdote [...] essendo il rappresentante di Dio. Chè Dio è
mistero."
12
.
Il riferimento all'accezione romantica del mistero, come si avrà modo
di constatare, non appare del tutto casuale.
Tuttavia, l'aspetto più interessante del discorso si coglie nella
successiva affermazione: "Nel mio mondo il mistero coincide sempre
con la poesia. Il mio genere di poesia è fatto di mistero."
13
; di mistero
11
Cfr. F. Gianfranceschi, Dino Buzzati, Torino, Borla, 1967, p.156.
12
Cfr. Y. Panafieu, Dino Buzzati: un autoritratto, Milano, Mondadori, 1973, p.177.
13
Ibid.
9
e, a quanto pare, non di assurdo: "Questo non è assurdo - sosteneva
ancora Buzzati - E' un concetto dilatato o compresso al minimo per ca-
varne fuori il senso massimo [...] Certo c'è qualcosa di assurdo nel
senso di inverosimile, ma non mi sembra che sia proprio l'assurdo."
14
.
L'assurdo di Camus o di Sartre, privo di spiragli di luce, non lascia
spazio alla possibilità di scovare un qualsivoglia senso massimo, se
non quello dell'inesorabile fallimento dell'uomo che progetta di esser
Dio.
Il mistero, invece, può celare un senso che, per quanto enigmatico,
non lascia dubbi sulla sua effettiva esistenza: tutto sta ad interpretarlo.
Tirando le somme, Buzzati, più che rendere probabile l'improbabile,
"sfugge all'assurdità ricorrendo al "fantastico"."
15
.
E' questa caratteristica a distinguerlo da altri autori della cosiddetta
"Italia magica"
16
, oltre al fatto che egli crede seriamente al mistero.
Precisamente, il mistero lo aiuta "a comprendere intuitivamente il
reale, altrimenti indecifrabile in tanti suoi aspetti."
17
.
Solo così l'uomo Buzzati riesce a superare lo scacco derivante
dall'insensatezza dell'esistenza umana nella quale, invece, Camus pare
trovarsi a proprio agio.
14
Ivi, p.233.
15
Cfr. H. Prochazkova, "Dino Buzzati dans le contexte du roman d'Europe centrale", in Cahiers
Dino Buzzati, n.6, Paris, Laffont, 1985, p.305; (trad. fr.: "Buzzati, [...] échappe à l'absurditè en
recourant au fantastique").
16
Cfr. A. Biondi, "Fra Italia magica e surrealismo", N. Giannetto a c. di, in AA.VV., Il pianeta
Buzzati, Milano, Mondadori, 1992, p.17.
17
Cfr. F. Gianfranceschi, "Buzzati: la sua religiosità e i suoi critici", in AA.VV., Dino Buzzati,
cit., p.20.
10
Precipuo intento dello scrittore, dunque, non è postulare o supporre
l'assurdità del reale, bensì esprimerne e, in tal modo indagarne, gli
aspetti più inquietanti: la Morte, il Tempo, l'Uomo, l'Arte, il Sogno,
l'Amore, l'Esistenza, l'Aldilà.
Dio stesso è mistero, come si è già constatato, ma non nel senso
teologico del termine, dato che l'autore stesso si era espresso a tale
riguardo affermando: "Non credo più nel Dio che mi hanno insegnato,
perché è una cosa assurda, crudele e ingiusta [...] Sarebbe assurdo uno
che mi mette al mondo, mi crea e poi mi castiga se io mi comporto
male."
18
.
Sgombrato così il campo da presunte "certezze religiose"
19
e da
un'improbabile "ombra di fede"
20
, rimane da stabilire l'autentica iden-
tità di tale religiosità laica, riluttante a sbarazzarsi della "idea irritante
di Dio"
21
.
E' proprio l'assurdo Dio cattolico a fare la sua comparsa in alcuni
racconti quale oggetto narrativo, ad esempio in Il sacrilegio
22
.
In questo racconto chiara è l'allusione a Buzzati fanciullo, angosciato
dal dover osservare, fin troppo pedissequamente, i dettami di una
18
Cfr. Y. Panafieu, Dino Buzzati: un autoritratto, cit., p.88.
19
Cfr. F. Grisi, "Per Dino Buzzati", in La penna e la clessidra, Roma, Volpe, 1980, p.130.
20
Cfr. E. Falqui, "Dino Buzzati. I sette messaggeri", in Novecento letterario, VI, Firenze,
Vallecchi, 1961, p.186.
21
Cfr. M. Suffran, "L'intuition métaphisique dans l'oeuvre de Dino Buzzati", in Cahiers Dino
Buzzati, n.1, Paris, Laffont, 1977, p.72; (trad. fr.: "Il est [...] celui qui n'a Jamais pu se
débarrasser une bonne fois pour toutes de l'idée irritante de Dieu, cette banderille impossible à
arracher.").
22
D. B., Il sacrilegio, in I sette messaggeri, cit.
11
educazione cattolica rigorosa e tradizionalista, qual era quella
impartitagli dalla famiglia.
Domenico, protagonista del racconto, si ritrova in Tribunale, al
cospetto di Dio, per render conto del peccato commesso proprio all'in-
domani della sua Prima Comunione.
In tale luogo, come in altri, sembra quasi che Buzzati adoperi "la di-
mensione del fantastico - e, nel fantastico, del simbolico - per
ipotizzare Dio, rivolgerGlisi, parlarGli, contestarLo..."
23
.
Una contestazione che deriva, più che altro, dall'incapacità, o meglio,
dall'impossibilità dell'essere umano di guadagnarsi la grazia divina
con l'osservazione ossequiosa e puntuale ai precetti morali della
religione cattolica.
Si può pertanto inferire che il tema religioso "che includa le ossessioni
della corretta ottemperanza al catechismo o l'aspirazione alla vita
ultraterrena, si rivela come strumento narrativo atto a dimostrare la
difficoltà del vivere allorchè si cerca, attraverso l'uso della ragione e
un'analisi impietosa del proprio comportamento, di conformare la
pratica alla teoria."
24
.
La scelta etica che spetta all'uomo quale essere morale, credente o non
credente che sia, assume in Buzzati tutta l'aria di una stoica privazione
di beni mondani, perseguita mediante un tenore di vita alquanto
militaresco.
23
Cfr. C. Toscani, Guida alla lettura di Buzzati, Milano, Mondadori, 1987, p.140.
24
Cfr. E. Esposito, "Il sacrilegio", in AA.VV., Il pianeta Buzzati, cit., p.237.
12
Esemplari, a tale proposito, l'autoreclusione di Drogo nella Fortezza
de Il deserto dei Tartari
25
ed ancor più il rientro nel lebbrosario del
ricco principe, ormai guarito dalla malattia dopo anni di preghiere
rivolte a Dio, in L'uomo che volle guarire
26
. Quest'ultimo è l'unico
caso in cui sia concessa ad un personaggio la grazia divina, ma per
ironia della sorte, conquistata e scontata a caro prezzo, come
sottolinea il patriarca nel racconto:
"Di giorno in giorno, mentre la grazia lavorava in te, senza
saperlo tu perdevi il gusto della vita. [...] Credevi di essere tu
a vincere, e invece era Dio che ti vinceva. Così hai perso per
sempre i desideri. Sei ricco ma adesso i soldi non ti
importano, sei giovane ma non ti importano le donne [...]
L'unica felicità, che ti rimane è qui tra noi, lebbrosi, a
consolarci..."
27
.
L'inattingibilità del Dio cattolico e la conseguente inadeguatezza
umana ad esso provoca, nel personaggio buzzatiano, una reazione tale
da rovesciare ruoli e funzioni tra sacro e profano.
Nei racconti Dio diventa un personaggio con cui poter interloquire
(Un dio scende in terra)
28
; il Paradiso un luogo facilmente raggiungi-
bile in quanto sito proprio sulle nostre teste (24 marzo 1958)
29
; i santi
25
D. B., Il deserto dei Tartari, Milano, Rizzoli, 1940.
26
D. B., L'uomo che volle guarire, in Sessanta racconti, cit.
27
Ivi, p.297.
28
D. B., Un dio scende in terra, in Paura alla Scala, Milano, Mondadori, 1949.
29
" , 24 marzo 1958, in Il crollo della Baliverna, id., 1957.
13
delle improbabili macchiette che cercano conferma nella devozione
della gente (I santi)
30
; il Diavolo appare qua e là, prima nelle
sembianze di gestore della Autorimessa Erebus
31
, poi in quelle del
negro che costringe Einstein ad accelerare la ricerca della chiave
dell'universo (Appuntamento con Einstein)
32
; gli spiriti architettano il
mondo (La creazione)
33
, mentre l'Inferno trova sede più consona nella
metropoli milanese (Viaggio agli Inferni del secolo)
34
.
Jean Lacroix nota una diffusa presenza di "perfino piccoli subdoli
inferni (Lo stillicidio) ed anche troppo fugaci paradisini."
35
.
In altri termini, tutto ciò che appare collegato all'immaginario
religioso cristiano, viene normalizzato, quotidianizzato, svuotato di
mistero.
Se ne deduce che il mistero sia collocato altrove da Buzzati ed anche il
senso della religiosità buzzatiana sia altro da questo, altro dalla
esclamazione "Grazie a Dio!", in cui ci si imbatte di frequente nel
corso dei racconti e che sembra quasi volerne evocare la presenza.
Il Dio buzzatiano "anche quando è assunto a oggetto di trama, al più è
un Dio che non può assistere l'uomo"
36
. Difatti, pur sentendone
nostalgia, non certo il fervore del credente induce l'autore a parlare di
30
" , I santi, in Sessanta racconti, cit.
31
" , Autorimessa Erebus, in Il crollo della Baliverna, cit.
32
" , Appuntamento con Einstein, in Sessanta racconti, cit.
33
" , La creazione, in Il colombre, Milano, Mondadori, 1966.
34
" , Viaggio agli inferni del secolo, in Il colombre, cit.
35
Cfr. J. Lacroix, "Utopie buzzatiane: il racconto dell'altrove", in AA.VV., Il pianeta Buzzati,
cit., p.208.
36
Cfr. C. Toscani, Guida alla lettura di Buzzati, cit., p.80.
14
Dio così frequentemente, ma la stessa consapevolezza che il vero
prodigio trovi posto all'interno dell'uomo.
Nel brano intitolato Le stelle! Buzzati, difatti, osserva:
"Dicevano i vecchi che per convincersi di Dio basta
contemplare il firmamento, che non esiste prova più
risolutiva, che a quella vista il miscredente non resiste,
sopraffatto da tanta maestà. Perché? Molto più stupefacente,
vasta e inesplicabile ci sembra la vituperata nostra vita
quotidiana [...]. Per misurare l'animo di un uomo, sia pure
quello di un cannibale, non bastano miliardi di anni luce."
37
.
Si direbbe che, feuerbachianamente, Buzzati rovesci la coscienza
umana dell'infinito divino in un altro tipo di consapevolezza: quella
dell'infinitezza della stessa coscienza umana.
A corroborare ciò si può addurre una risposta dello stesso Buzzati,
rilasciata durante un'intervista riguardante, per l'appunto, il problema
di Dio: "Io non credo nel dogma. Non credo che Dio esista, ma non
escludo che possa esistere per un altro diverso da me. Sono anzi
convinto che Dio possa esistere in quanto la gente ci crede. Dio è una
creazione dell'uomo. Una creazione che può diventare una cosa di
altissima suggestione, potentissima, tale da produrre autentici
miracoli."
38
.
37
D. Buzzati, Le stelle!, in Siamo spiacenti di, cit., p.93.
38
Cfr. intervista in A. Buzzati, G. Le Noci, Il pianeta Buzzati, Milano, Apollinare, 1974.
15
Se Dio, dunque, esiste grazie all'uomo che ci crede fermamente, è
all'uomo che spetta la facoltà di produrre miracoli e magie (basti
pensare a Il borghese stregato
39
ed a L'ubiquo
40
).
Tra i vari prodigi umani Buzzati annovera la stessa arte, la poesia, la
musica, attraverso cui egli riesce ad avvicinarsi ed a sondare meglio il
mistero.
Secondo Giuliano Gramigna "Ogni atto di enunciazione letteraria è
sorretto da un'energia, da un'intenzione, o [...] da una fede specifica.
Quella che supporta alcuni testi buzzatiani (se non tutta la sua
narrativa) è la fede nel pensiero magico o meglio nell'onnipotenza del
pensiero. Vale a dire, la convinzione che i processi psichici
influenzino la realtà"
41
.
Fede nell'uomo, quindi, o, più precisamente, nei suoi poteri, sebbene il
Dio insito nell'uomo stenti a decollare nell'era del pensiero positivo,
restìo ad accogliere qualsivoglia forma di riaffiorante spiritualismo.
In conclusione, è vero che "la religione è una tematica [...]
narrativa, che concorre, con le altre ideologie (spiritismo,
metempsicosi, parapsicologia, ecc.) a motivare la fede dei personaggi,
e quindi la verosimiglianza delle figurazioni fantastiche"
42
, come
asserisce Neuro Bonifazi, ma è anche vero che il discorso sulla
religiosità buzzatiana, come si è potuto constatare, ha delle
39
D. B., Il borghese stregato, in Sessanta racconti, cit.
40
D. B., L'ubiquo, in Il colombre, cit.
41
Cfr. G. Gramigna, "Tecniche del pensiero magico", in AA.VV., Il pianeta Buzzati, cit., 1992,
p.242.
42
Cfr. N. Bonifazi, "Dino Buzzati e la catastrofe", in Teoria del "fantastico" e il racconto
"fantastico" in Italia: Tarchetti, Pirandello, Buzzati, Ravenna, Longo, 1982, p.162.
16
implicazioni più vaste e controverse che non si possono restringere ad
una mera questione di espediente tecnico proprio del genere
fantastico.