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domestico non potevano più offrire sufficiente protezione alle ingerenze e alle
indiscrezioni esterne”3. A tutto ciò va aggiunto che, dalla fine del XIX secolo,
cominciarono a diffondersi i primi mezzi di comunicazione e gli strumenti
d’informazione di massa4, aumentando di conseguenza i pericoli per la
riservatezza dell’individuo. Basta pensare che proprio nel 1830 iniziava la
grande diffusione dei giornali grazie al loro basso costo (un penny), e che agli
inizi del 1900 venivano alla luce i primi sistemi di schedatura governativi
(Social Security Sistem) e le prime catalogazioni di dati personali per fini di
marketing. È proprio in questo quadro generale che prende corpo il primo
pensiero inerente al diritto alla privacy, grazie anche, al contributo del saggio
“The right to privacy” pubblicato nel 1890 da Samuel Warren e Louis
Brandeis5 .
Tale saggio nasceva come risposta agli articoli pubblicati da un quotidiano
americano (Evening Gazette di Boston) riguardanti alcuni particolari privati
sulla lussuosa vita del giovane studioso Warren venuto alla ribalta per il
matrimonio con la figlia di un importante Senatore del Congresso americano.
Nel loro saggio, Warren e Brandeis esprimevano il concetto di privacy inteso
come “right to be let alone”, cioè il diritto di escludere qualsiasi ingerenza
estranea all’interno delle mura domestiche; un diritto, quindi, prettamente
3
G.M. SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza, in
R. Nania, P. Ridola (a cura di), I diritti costituzionali, Giappichelli, Torino 2006, volume II,
seconda edizione riveduta e ampliata, p. 631.
4
Nel 1884 inoltre viene inventata la prima macchina fotografica ad opera della Eastman
Kodak Company in grado di scattare fotografie in modo istantaneo.
5
Warren e Brandies furono compagni di università alla Havard (1870) e successivamente
lavorarono insieme come avvocati nello studio fondato da Warren, nonostante quest’ultimo
riuscì a continuare la sua attività solo fino al 1910 anno della sua morte, dopodiché fu Brandies a
curare tutti gli affari della famiglia dell’amico e nel 1916 ricevette la nomina di giudice della
Corte Suprema degli Stati Uniti.
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negativo in grado di realizzare un isolamento (morale) da tutto ciò che circonda
l’individuo6. Hanno focalizzato l'attenzione sul diritto alla privacy
costantemente violato dalle sempre più frequenti invasioni da parte degli organi
di stampa, curiosi, ma non sensibili al principio della “inviolate personality”,
che gli autori ritenevano fosse parte del più ampio e generale diritto
all'immunità della persona, “the right to one's personality”. Inoltre avevano
notato come nella common law, mancava del tutto un sistema legislativo che
tutelasse in qualche modo il diritto alla riservatezza. Questo diritto non poteva
essere tutelato con la predisposizione di contratti, perché non era possibile
stipularne un numero sufficiente a parare le intromissioni innumerevoli, così
hanno preso in rassegna la disciplina della diffamazione, ma anch’essa si è
rivelata inadeguata, poiché vietava solo la divulgazione di notizie false.
Esaminando poi la legge sul copyright (tutela alla pubblicazione di opere non
ancora diffuse) hanno notato sia che proteggeva l’individuo accordandogli un
property right sia che il diritto alla privacy doveva sganciarsi dalla logica
proprietaria ed assumere la dignità di diritto autonomo7. Dopo l’analisi dei due
famosi giuristi si sono susseguite diverse tesi altalenanti da parte delle corti
statunitensi che non ponevano subito in risalto la questione centrale della
situazione, cioè la realizzazione di una disciplina in grado di legiferare in
materia di privacy. Proprio grazie a queste tesi si concretizzava nel 1903 la
nascita della prima legge sulla privacy degli Stati Uniti d’America promulgata
6
UBERTAZZI T.M., Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Cedam, Padova
2004, p. 6.
7
UBERTAZZI T.M., Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Cedam, Padova
2004, p. 8.
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dallo Stato di New York il cui contenuto, emendato nel 1911 e nel 1921 è tuttora
vigente8.
In seguito a ciò, “il right to privacy” poteva essere utilizzato per la tutela
di interessi dell’individuo in diverse linee difensive, creando un distacco da una
concezione prettamente domestica fino a quel momento utilizzata. Tra le attività
potenzialmente lesive dell’individuo vanno ricordate:
le interferenze sia fisiche e non, nella solitudine o nel ritiro altrui, il diritto di
opporsi alla pubblicazione di notizie su quotidiani, relative allo stato di salute e
alle condizioni economiche, e l’interesse di vietare la rappresentazione al
pubblico dell’individuo in modo non corretto mettendolo in alcuni casi in
cattiva luce, ed infine occorre menzionare l’utilizzo dell’immagine di una
persona senza il consenso traendone i relativi benefici9.
Verso la fine degli anni ’60, proprio grazie ai grandi cambiamenti
tecnologici ed alle ampie mutazioni sociali, si assiste ad una rivisitazione del
concetto di privacy, inteso ora come il diritto dell’individuo di controllare la
circolazione delle informazioni che lo riguardano. Questo nuovo modo di
concepire il diritto alla riservatezza è stato in parte recepito dal legislatore che,
lo ha trasformato nel primo testo legislativo federale, il cosiddetto “Privacy Act”
del 1° giugno del 1974. Il “Privacy Act ” riconosceva il diritto di cognizione,
d’accesso e di rettifica dei propri dati detenuti da altri soggetti, ma nonostante
ciò, si riconoscevano al suo interno, parecchie carenze che sono state
8
In particolare si trattava di due statuti che conferivano una “cause of action” all’interesse
della privacy. E’ bene ricordare inoltre che, nel 1905 la Corte Suprema della Georgia qualificò
tale diritto come “discendente dal diritto naturale”.
9
UBERTAZZI T.M., Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Cedam, Padova
2004, p.19 viene fatto espresso riferimento alla qua tripartizione operata da Proser nel 1960.
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successivamente colmate con una serie di testi legislativi federali. Nonostante il
XIX secolo è stato l’anno di nascita del diritto alla privacy, questo era già realtà
in altri ordinamenti diversi da quello italiano, oltreoceano in quello statunitense,
e in Europa in quello inglese.
In Inghilterra a differenza degli Stati Uniti però, la mancanza di una Carta
costituzionale, ha portato a cercare una tutela della riservatezza nei molteplici
rimedi offerti dall’ordinamento della common law a tutela delle specifiche
manifestazioni della vita privata10. Tra le varie forme di protezione offerte in via
giurisprudenziale, possiamo ricordare:
-“Breach of confidence”, che proteggeva dall’uso non autorizzato di notizie
ottenute in via confidenziale, ma sulle quali si aveva un obbligo di riserbo.
Presupponeva quindi la presenza tre elementi fondamentali: l’informazione
confidenziale, l’obbligo di riserbo e l’uso non autorizzato della notizia.
Questo obbligo di riserbo è nato in coincidenza della tutela offerta al Principe
Alberto contro l’editore che voleva compiere copie abusive di quadri scelti dal
Principe raffiguranti componenti della famiglia ed altri soggetti di personale
interesse;
-“Breach of copyright”, tutelava l’attività di pubblicazione che necessitava del
consenso del titolare dei relativi diritti, cioè solamente l’autore poteva decidere
della pubblicazione della sua opera;
-“Trespass”, tutelava l’acquisizione di informazioni sulla vita privata di un
individuo dall’invasione e violazione dei diritti (famoso è stato il caso del
10
G.M. SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza,
citato, p. 634.
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fotografo che sì intrufolandosi nella tenuta della regina e della principessa
Margaret cercò di fotografarle mentre svolgevano sport d’acqua);
-“Nuisace e Defamation”, tutelavano atti di turbativa del fondo altrui mediante
atti di immissione fisica ( rumori, acqua, ecc.) oppure la sfera della proprietà
privata anche mediante le molestie telefoniche o attività che determinano l’altrui
sofferenza11.
Successivamente ai primi riconoscimenti dottrinali della privacy negli
ordinamenti europei si iniziava anche in Italia a parlare di un diritto alla
riservatezza.
1.2 I primi riconoscimenti della dottrina italiana: le difficoltà di un ancoraggio
normativo
Non capita spesso che si parli di un termine nel mondo del diritto, in una
pluralità di significati tale, da assumere contorni e contenuti diversi. Eppure il
diritto alla riservatezza può essere considerato un esempio emblematico e
piuttosto recente12. Difatti in Italia, a differenza degli altri Stati, si è iniziato a
parlare di privacy circa mezzo secolo dopo il famoso saggio di Warren e
Brandeis del 1890. Le motivazioni di questo ritardo sono da attribuire sia al
profilo strettamente giuridico - normativo e sia al modificarsi del profilo
etico - politico. Dal punto di vista strettamente giuridico si è visto come in Italia
il problema principale è stato la mancanza di una vera e propria organica
11
A. CERRI, Riservatezza (diritto alla), II) Diritto comparato e straniero, citato, p. 2.
12
G.M. SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza,
citato, p. 617.
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disciplina sulla privacy invece, dal lato etico - politico si è notato come i ritardi
sono attribuibili alle mutazioni della società e al differimento con cui avvenne la
rivoluzione industriale nel nostro Paese rispetto agli Stati Uniti. Non v’è dubbio,
infatti, che una società urbana ed industrializzata offre possibilità di anonimato e
di isolamento morale, che non si prospettano in una società rurale, caratterizzata
da vita preminente comunitaria13.
Addentrandoci nella trattazione delle origini del diritto alla riservatezza in
Italia, vediamo come queste sono fatte risalire al 1938 per merito del famoso
docente di Filosofia del diritto Adolfo Ravà, e in seguito a Carnelutti, che, di
fronte all'assenza di un esplicito riconoscimento di un autonomo e rilevante
diritto alla riservatezza nell'ordinamento, ha fatto riferimento all'esistenza di
norme che ne rappresentavano alcune manifestazioni. In Italia così come negli
Stati Uniti, non c’era nell’ordinamento una tutela esplicita alla riservatezza;
tale concetto è stato trattato per la prima volta da Ravà, in particolare, nel suo
testo “Istituzioni di diritto privato”, sostenendo appunto che “la qualità di
persona richiede ed esige che alla persona stessa sia riservata una certa sfera
relativa ai dati più gelosi e più intimi di essa e della sua attività”14e a
conclusione del suo percorso argomentativo, egli ha affermato che “da ciò
deriva un generale diritto alla riservatezza che ha molteplici implicazioni”.
Le norme richiamate dal giurista furono gli art. 6-7-9-10 del Codice Civile del
13
CATAUDELLA A., Riservatezza (diritto alla), I)Diritto civile, volume XXVII, in Enc.giur.,
Ist.Enc.Ital., Roma, 1991, pp.1.
14
A. RAVÀ, Istituzioni di diritto privato, Cedam, Padova, 1938, pp. 174-175.
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1942 e gli articoli 96 e 9715 della legge sul Diritto d'Autore del 22 aprile 1941,
n. 633. Proprio prendendo come spunto questi articoli, ci sono state delle linee
interpretative dissimili che portarono ad un susseguirsi di teorie tra loro
contrastanti. Infatti, si è visto come il percorso realizzato da Ravà fu oggetto di
contestazioni sia da parte del Pugliese sia da parte del De Cupis che da parte di
altri autori. Il primo negava l’applicabilità analogica dell’art. 10 c.c. e 96-97 l.a.
sostenendo che quelle norme ponevano limiti alla libertà d’espressione ed erano,
dunque, norme eccezionali. Il De Cupis invece, criticava le argomentazioni
proposte dal Pugliese riconoscendo nella disciplina del diritto all’immagine, la
riservatezza, poiché tale disciplina comportava anche dei limiti e in base a ciò
proponeva di applicare in via analogica le norme poste a tutela del diritto
all’immagine16.
Alla costruzione dei diritti della personalità come pluralità di diritti venne,
infatti, contrapposta una concezione monista, prospettata in particolare da
Giampiccolo17, il quale, sull'esempio della dottrina tedesca prima, e della
giurisprudenza costituzionale poi, preferiva delineare un diritto unico della
personalità. Egli è partito dalla considerazione della persona umana come valore
unitario, traendone come conseguenza, che, il complesso di norme presenti nel
diritto positivo, non costituiscono il fondamento di autonomi diritti della
persona, ma piuttosto la disciplina specifica di alcuni aspetti particolari della sua
15
Gli articoli 96 e 97 della legge sul diritto d’autore e l’art.10 c.c. disciplinano la diffusione
dell’immagine con regole ispirate ad un intento di tutela contro la diffusione delle proprie
fattezze fisiche e perciò del riserbo riguardo ad esse.
16
UBERTAZZI T.M., Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Cedam, Padova
2004, p.54.
17
UBERTAZZI T.M., Il diritto alla privacy. Natura e funzioni giuridiche, Cedam, Padova
2004, p.53.
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tutela, ipotizzando cioè un rapporto tra diritto unitario e singole disposizioni.
Il principale vantaggio è da individuare nella maggiore elasticità della norma e
quindi nella sua intrinseca capacità di adattamento a nuovi o imprevisti
strumenti di violazione dell'interesse da essa protetto. Dopo quest’ampio
dibattito, si è cercato di capire come mai il riconoscimento del diritto alla
riservatezza è stato prevalentemente frutto dell’opera creativa della
giurisprudenza.
1.3 Il diritto alla riservatezza come base per l’affermazione del diritto alla
privacy nell’ordinamento italiano
La mancanza di una specifica disposizione costituzionale in materia di
riservatezza ha fatto in modo di utilizzare in funzione integrativa e suppletiva, i
principi dell’ordinamento repubblicano posti dalla Costituzione del 1948.
In pratica si è cercato di ricorrere ai principi costituzionali che pongono la
persona al centro dell’ordinamento riconoscendogli i diritti inviolabili, così da
ottenere una lettura sistemica delle disposizioni costituzionali che appaiono
collegate alla tutela della riservatezza18. Le disposizioni richiamate sono state
quelle che garantiscono la riservatezza dall’altrui interferenza cioè l’inviolabilità
della libertà personale, libertà morale, della segretezza delle comunicazioni e del
domicilio. Relativamente a rapporti umani la Costituzione andava a tutelare da
ingerenze esterne nello specifico: il diritto all’esercizio del culto religioso
18
G.M. SALERNO, La protezione della riservatezza e l’inviolabilità della corrispondenza,
citato, p. 625.
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(art.19), il diritto al nome (art.22), i diritti della famiglia come società naturale
(art.29ss.) ed il rispetto della persona nel trattamento sanitario obbligatorio
(art.32).
Le questioni sulla vita privata sono state trattate nella nostra cultura
giuridica, prevalentemente dagli studiosi di diritto privato, nell’ambito della
problematica della tutela dei diritti della personalità ciò, in particolare, con
riferimento ai due casi giudiziari degli anni ’50 che riguardavano opere
cinematografiche e pubblicazioni di vicende personali di personaggi noti, che
portarono ad invocare un diritto alla riservatezza davanti ai giudici. La sentenza
della Corte di Cassazione relativa alle opere cinematografiche faceva
riferimento al film “Leggenda di una voce” del tenore defunto Enrico Caruso19.
I familiari del tenore chiedevano al giudice l’inibitoria circa la rappresentazione
del film in questione, poiché lo ritenevano lesivo della riservatezza del
congiunto. Nella sentenza20 il giudice ha trovato la soluzione senza bisogno di
inventare istituti nuovi, grazie al precetto generale del “neminem laedere”, come
specificato nell’art. 2043 del Codice civile e questo verdetto fu accolto anche da
quella parte della dottrina che negava la tesi dell’esistenza del diritto alla
riservatezza. La sentenza relativa alla vicenda sulla pubblicazione della storia
amorosa tra la Petracci e Mussolini, comparsa sul periodico “il Tempo” ha
mutato del tutto la rigida posizione iniziale su questo tema. La Cassazione, pur
non riconoscendo ancora la tipicità di un diritto alla riservatezza, ha accolto la
configurazione unitaria di un diritto assoluto della personalità.
19
In questo film venivano narrati fatti della vita privata del defunto artista che gli eredi
ritennero in qualche modo non veritieri e lesivi dell’onore e della memoria, nonché della
riservatezza del congiunto.
20
Sentenza del 22 dicembre 1956, n.4487.